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gli invincibili 11 di papà Klapzuba: Una storia per grandi e piccini
Nell'armadio
Romanzo senti/mentale
Serie di e-book16 titoli

NováVlna

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Info su questa serie

Quella dei Bata è la storia di un successo mondiale, decenni prima della globalizzazione. Si trattava di un capitalismo a tratti ingenuo, seppure moderno. Illuminato, nel suo paternalismo: era attento alla qualità del lavoro e della vita dei dipendenti, fino a immaginare un vero e proprio “sistema Bata”, efficiente ed etico, comprensivo di buone paghe, istruzione, case, dettami morali.
Il romanzo ci dà l’occasione di rovistare nei cassetti e nelle scatole di latta di questa straordinaria famiglia di “calzolai che hanno conquistato il mondo”. Scatole e cassetti colmi di documenti, foto, diari.
Seguiremo Jan Antonín Baťa (così il vero cognome), uno dei più grandi uomini d’impresa di ogni tempo e luogo, visionario, caparbio e con un’incrollabile fiducia nel futuro, insieme modernissimo e d’altri tempi. Ci accompagneranno le sue figlie e nipoti, i cognati, con il loro racconto gustoso e dolente, sempre combattivo, tra i ricordi di mille peripezie affrontate procedendo a zig zag tra i dossi e le buche del Novecento.
La fuga dai nazisti prima e dai comunisti poi, che lo condannarono ingiustamente per collaborazionismo, il boicottaggio da parte di inglesi e americani, le beghe ereditarie, l’esilio e la nostalgia, con la lingua madre a fare da sottile e orgoglioso legame con le proprie origini.
E la giungla? Dei cechi, dei calzolai, nella giungla? Nulla di strano per uno che aveva immaginato di “trasferire” il popolo cecoslovacco in Patagonia per colonizzarla.
È in Brasile, infatti, che Jan Baťa si stabilisce una volta lasciata l’Europa, lì insedia fabbriche e fonda città, strappandole alla foresta. Dimostrando che con la volontà e la capacità, oltre che con il duro lavoro, si può ottenere molto, se non tutto.
E magari riuscire a far « venire a galla la verità come l’olio sull’acqua », come scrisse in punto di morte.
Alessandro De Vito
LinguaItaliano
Data di uscita1 nov 2021
gli invincibili 11 di papà Klapzuba: Una storia per grandi e piccini
Nell'armadio
Romanzo senti/mentale

Titoli di questa serie (16)

  • Romanzo senti/mentale

    1

    Romanzo senti/mentale
    Romanzo senti/mentale

    24 ore, due persone, due luoghi, due incontri con la morte. Lui è messaggero di brutte notizie, lei deve mettere ordine nell’eredità… Strani eroi uniti dal loro sguardo nel passato, da cocci di memoria di esperienze condivise, che ognuno vede a modo suo. Cinici e vulnerabili. Volgari e teneri. Cercano la via verso se stessi e il loro mondo. Un racconto insolito, una sonda sorprendentemente profonda nel-l’inferno della perdita dell’innocenza, nella vita di chi è cresciuto alla fine del regime. Opera d’esordio di Bianca Bellová, Romanzo senti/mentale rivela già il germe ben riconoscibile della sua maestria espressiva.

  • gli invincibili 11 di papà Klapzuba: Una storia per grandi e piccini

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    gli invincibili 11 di papà Klapzuba: Una storia per grandi e piccini
    gli invincibili 11 di papà Klapzuba: Una storia per grandi e piccini

    Uscito nel 1922, Gli invincibili 11 di papà Klapzuba è un grande classico dell’umorismo e della letteratura popolare e per ragazzi (non a caso il sottotitolo recita Una storia per grandi e piccini).  Il campagnolo papà Klapzuba ha undici figli e, non sapendo come sbarcare il lunario, sbuffando con la sua perenne pipa in bocca insegna loro a giocare a calcio, facendoli in breve diventare una squadra fenomenale. Dopo una stupefacente cavalcata di parossistiche vittorie man mano su campi sempre più prestigiosi, gli invincibili Undici di Klapzuba arriveranno a vincere tutto il possibile in Europa e nel mondo, con peripezie degne del più classico romanzo di avventura (compresa una partita molto particolare contro i cannibali in seguito a un naufragio, con in palio aver salva la vita). Opera fondamentale e notissima della prosa ceca, il romanzo celebra lo spirito sportivo, la tenacia che porta a superare ogni difficoltà e la passione per il calcio, ma è anche una favola ironica e leggera sull’ebbrezza della nuova era: per l’ascesa della Cecoslovacchia appena nata dalle ceneri dell’Impero austro-­ungarico, e per la nuova Europa e il nuovo mondo tornato alla normalità dopo la tragedia della Grande Guerra. Eduard Bass (pseudonimo di Eduard Schmidt, Praga 1888-1946) è uno de­gli scrittori più noti in Repubblica Ceca, qui tradotto per la prima volta in Italia. Nella sua vita si è cimentato nei più diversi campi artistici: abile intrattenitore, è stato anche attore e can­tante, paroliere, autore di testi teatrali, e ha avuto una lunga carriera di giornalista. Gli invincibili 11 di papà Klapzuba (1922), insieme a Cirkus Humberto (1941), il suo romanzo più noto e maturo, lo collocano tra i campioni di tutti i tempi dell’umorismo, legato ai coevi modelli di romanzo d’avventura, al pari di altri grandi autori ormai classici.

  • Nell'armadio

    1

    Nell'armadio
    Nell'armadio

    Hana, la giovane protagonista del romanzo, rientra improvvisamente a Praga dall’estero, dove vive, nascondendo a tutti il vero motivo. Una volta tornata non ha un posto dove stare e non ha la minima idea di che fare della sua vita. Sua sorella deve buttare via un armadio, e le si accende una lampadina. Sistema l’armadio in un angolo nascosto del cortile dello stesso caseggiato e… ci va a vivere. Questa surreale, deprimente e a tratti buffa situazione diventa la metafora della ricerca del proprio spazio nel mondo, ovvero del senso dell’esistenza e dell’incessante affannarsi per qualcosa. Seguiamo allora Hana nelle prove della sua vita, o meglio della sua sopravvivenza, attraverso le fantasiose bugie con cui fodera il suo esistenzialismo minuto e quotidiano per parare i colpi più duri (ma senza risolvere niente). La sua vita, anche prima dell’evento che scatena il ritorno in patria, è un misto di insoddisfazioni. Una relazione in esaurimento, che sfocia in un esito tragico ma salvifico. Il lavoro, la precarietà, la difficoltà di crescere, di integrarsi nel “ sistema ”. La famiglia, di cui cerca l’approvazione in un rapporto irrisolto, come tutti. L’amore, che come un elettrodomestico non funziona mai bene. Il ruolo della donna, la critica sociale. La mancanza della “ sensazione di casa ”, il sentirsi sempre fuori posto (particolarmente quando si trova nelle case altrui, “eterna ospite”). Vive una vita esplosa, in cui sembra camminare scalza tra i cocci, seguita passo passo e con crescente empatia dal lettore. Tereza Semotamová trova la chiave per raccontare questo mondo in frantumi mescolando i tempi dell’azione e del ricordo come in un cocktail, tintinnio del ghiaccio compreso, e giocando con la lingua. Sovrappone i registri linguistici, nell’originale il ceco e lo slovacco, inserisce nella sua prosa riferimenti letterari e filosofici elevati e rimandi a programmi televisivi, canzoni pop o folk, classici della poesia, filastrocche, brani tratti da Wikipedia o pubblicità, il tutto apparentemente a sproposito, con effetti stranianti e spesso brillanti. Alessandro De Vito  

  • Dove è passato l'angelo

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    Dove è passato l'angelo
    Dove è passato l'angelo

    Martin vive a Ostrava, una città mineraria dell’Est (Cecoslovacchia). Anni Settanta, il socialismo reale. Siamo in un nuovo quartiere satellite abitato da minatori di carbone e operai di acciaieria, palazzoni di cemento, un luogo senza una piazza e una chiesa, infimi bar da fine turno, una non-città che amplifica l’oscurità dei tempi, dopo l’invasione sovietica. Martin è un perfetto outsider: di famiglia evangelica, vive la sua vita, il primo amore, cercando sempre più un rifugio dal mondo ostile, in una generazione cresciuta con l’idea della minaccia nucleare incombente. Dopo l’89 e il cambio di regime il nuovo mondo si rivela solo un’altra faccia della stessa medaglia. Cosa è cambiato davvero?, sembra chiedersi Balabán dopo qualche anno. Martin fa un bilancio della sua vita, di quello in cui ha creduto, e oltre alla crisi coniugale trova una generale disillusione, riconosce come disincanto, delusione e stanchezza abbiano preso il sopravvento sulla sua combattività giovanile, sulla sua ricerca interiore, che sembrava avere tanta importanza. Diventa allora essenziale per Balabán « andare a cercare “ dove è passato l’angelo ”, seguendo il detto popolare che quando accade qualcosa di buono, o intravvediamo qualche speranza, di lì sia passato un angelo », come racconta Petr Hruška, poeta e amico dell’Autore, centrando il senso profondo del romanzo e del suo titolo. Una ricerca necessaria e non eludibile, che apre alla speranza, o almeno alla possibilità di essa. Jan Balabán (1961-2010), è considerato una delle voci più potenti, originali e importanti della letteratura ceca contemporanea. Nato in una famiglia evangelica – frequenti infatti sono i riferimenti biblici, per quanto la sua fede sia spesso non ortodossa –, nei suoi scritti si interroga e ci interroga sull’esistenza e sul senso della vita di ciascuno e della società nel suo complesso, con forza e senza risparmiare a se stesso o al lettore la scomodità delle domande da porsi. Se sembriamo, come spesso afferma attraverso i suoi tipici personaggi, estranei in questo mondo, agli altri e anche a noi stessi, l’unico senso possibile dell’azione umana e, ancor prima, di ogni intenzione non può che essere la ricerca di un qualche punto di luce che possa accendere la speranza. Ha pubblicato diverse raccolte di racconti e due romanzi, ed è stato insignito due volte del Premio Magnesia Litera: nel 2005 per i racconti di Jsme tady (Siamo qui) e nel 2011, post mortem, per Chiedi a papà, tradotto in questa stessa collana. Dove è passato l’angelo è uscito una prima volta per una piccola casa editrice nel 2003, ed è stato ripubblicato nel 2005 in seguito alla notorietà raggiunta dopo il successo di pubblico e di critica e il premio citato, nello stesso anno. È il suo primo romanzo, ed è stato tradotto in 5 paesi.

  • Compiti per casa: Riflessioni e interviste

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    Compiti per casa: Riflessioni e interviste
    Compiti per casa: Riflessioni e interviste

    Compiti per casa raccoglie testi di natura molto varia (racconti, articoli, apologhi, riflessioni sulla letteratura e sulla scrittura, resoconti di viaggio ecc.) usciti tra il 1964 e il 1969. La prima edizione ceca del 1970, nonostante gli interventi della censura comunista, fu di fatto ritirata dal commercio appena stampata a causa della sua inopportunità politica. Compiti per casa non è solo una raccolta di piccole gemme del grande scrittore ceco, ma l’occasione per sbirciare nel suo laboratorio letterario e per avvicinarsi alla sua personalità. A sorprendere, in questi testi, è il superamento dell’immagine di Hrabal come “ trascrittore ” di avvenimenti vissuti, una formula semplificatoria di cui l’autore stesso ha abusato. Poche pagine bastano, infatti, per scoprire quanto fosse rilevante l’ispirazione letteraria accuratamente nascosta dietro lo stile da “ cinema verità ” di tanti racconti. Questa edizione presenta per la prima volta al pubblico italiano tutti i testi originari senza tagli, compresi gli otto eliminati nella prima edizione e i tre aggiunti dopo.

  • Il secondo addio

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    Il secondo addio
    Il secondo addio

    Roma, sul finire degli anni Settanta. La giovane Marie ha lasciato Praga negli anni bui post invasione sovietica e vive in una comune con altri giovani, dividendo il suo desiderio di amore tra il giovane rivoluzionario Mels e il più anziano Pavel, uno storico, amico di suo padre, rimasto in patria, con cui intrattiene un’intensa corrispondenza e una relazione che resta platonica. La cortina di ferro, il sentimento dell’esilio e la ricerca del sentirsi a casa, una casa concreta e insieme ideale, sempre sul punto di prendere fuoco e che comunque va approntata, perché i bambini nascono, anche se i padri svaniscono e cambiano; il clima dell’Italia – e di Roma – tra gli anni Settanta e Novanta, tra rivoluzione tradita o svanita, fine dei sogni e rifiuti e relitti umani lungo le mura aureliane, rosse dei loro antichi mattoni piatti illuminati dai tramonti del sole romano. È in questo scorcio di tempo (e di spazio) che bisogna formulare un “ secondo addio ”, una volta caduto il Muro: « l’addio finale ai padri nati e morti dietro “ i chiavistelli del tempo totalitario ”» come nota Massimo Rizzante nella sua postfazione. Il secondo addio è un romanzo dove ognuno dei personaggi parla – o meglio scrive – in prima persona, raccontando, nell’alternanza discontinua delle voci, la sua parte di ricerca di identità e di nuove e vecchie radici, cercando un approdo – o una via di fuga – dopo la caduta delle utopie. Una domanda di senso – della propria vita e della Storia – resa plastica nell’immagine del Narciso Cieco, ovvero di un Narciso che cieco non è, ma non vede altro che sé stesso. Come individuo, e come idea, o ideologia. Ma Il secondo addio è anche e soprattutto un’esultanza della scrittura, delle sue possibilità: non solo di raccontare qualcosa, ma di farsi strumento di conoscenza e forza ordinatrice, per quanto labile e soggetta a incomprensione e smarrimento. Una scrittura irriducibile che osa andare oltre sé stessa, diventando letteratura nell’accezione più alta.

  • La perlina sul fondo

    La perlina sul fondo
    La perlina sul fondo

    Finalmente tradotto in italiano (a cura e con una postfazione di Alessandro Catalano) il libro d’esordio di Hrabal, uno dei più grandi scrittori del Novecento. « Ho inchiodato rotaie, fatto il capostazione, offerto polizze assicurative, ho lavorato come commesso viaggiatore, operaio di acciaieria, imballatore di carta da macero e macchinista teatrale. Quello che volevo era sporcarmi con l’ambiente, con la gente comune, e trovarmi a vivere, ogni tanto, l’esperienza sconvolgente di scorgere la perla sul fondo dell’essere umano. » Bohumil Hrabal C’è già tutto Hrabal in questa sua prima raccolta di racconti, i personaggi, marginali e sbruffoni, sinceri come i bassifondi da cui provengono. È lì e in loro che però è più facile scorgere ciò che si annida sul fondo di ciascuno, una forma di vera essenza umana, la “perlina”. Hrabal  però insiste a dire che non si tratta di racconti metaforici, morali: il racconto è come un riflettore sotto la cui luce entrano i personaggi, che ci possono parlare e di cui possiamo conoscere quasi tutto da pochi gesti e alcuni scampoli di conversazione, e poi escono di scena. In modo che sia poi ogni singolo lettore, come gli pare, a scoprire, al fondo di sé, le sue perline. Per farlo, Hrabal usa in modo estremamente creativo ed espressivo un linguaggio concreto in cui si sente il rumore della fabbrica e delle fumose chiacchiere da birreria, gli slang, terminologia presa di peso da ambiti tecnici. Il linguaggio parlato amalgama tutto in modo da creare una spontaneità credibilissima e insieme estremamente studiata, che rende tutto semplice come la realtà, ovvero di una complessità effettiva e irriducibile che reinventa la tradizione, come accade solo nei grandi della letteratura. Quarta di copertina di Alessandro Catalano, curatore del volume: « Sulla forca! È quello il posto di Bohumil Hrabal e dei maniaci simili a lui, purtroppo non è il solo. Sulla forca! » Nella sua rielaborazione di una lettera anonima, Bohumil Hrabal fotografa con grande efficacia la reazione di alcuni lettori cechi di fronte alla novità linguistica, stilistica e tematica dei suoi testi letterari dopo quindici anni di grigio realismo socialista. Con i racconti di Hrabal, nel 1963, fanno prepotentemente ingresso nella letteratura ceca i “ discorsi della gente ”, l’inventiva linguistica e la creatività popolare di operai delle acciaierie, commessi viaggiatori, ferrovieri, assicuratori, notai, impiegati del macero della carta, macchinisti teatrali, che, attraverso un lessico colorito, espressioni dialettali e slang professionali, restituivano alle pagine dei libri la vivacità dell’osteria e « lo splendore dei chiacchieroni e il loro sollazzarsi ». Ed è nello scontro tra drammatica situazione contingente e discorsi apparentemente banali e ripetitivi, che in questi racconti si realizza « l’esperienza sconvolgente di scorgere la perla sul fondo dell’essere umano », come Hrabal la definisce. Mai tradotta prima in italiano, La perlina sul fondo ha forse risentito del veloce successo editoriale dello scrittore ceco negli anni Sessanta ed è rimasta nell’ombra della successiva raccolta Pábitelé (presentata in italiano con i titoli Vuol vedere Praga d’oro? e Gli stramparloni). Il grande successo dei due volumi di racconti ha poi portato alla rapida pubblicazione di molti degli scritti che Hrabal aveva accumulato nei cassetti nel corso dei decenni precedenti, consacrandolo in pochi anni come uno dei più interessanti autori del panorama internazionale.

  • Chiedi a papà

    Chiedi a papà
    Chiedi a papà

    I fratelli Hans, Emil e Kateřina devono far fronte, come la loro madre Marta, alla malattia e alla morte di una persona cara, il padre, il medico Jan Nedoma (che significa “senza casa”: nessuno in questo mondo è realmente a casa). Tutti e quattro si trovano a fare i conti con se stessi e i propri ricordi, e a far fronte alle accuse postume di complicità con le autorità comuniste mosse a loro padre da quello che un tempo era il suo migliore amico. Si tratta di un’amara ironia, “chiedere papà come siano andate davvero le cose” non è più immaginabile né possibile. Il romanzo di Balabán è pervaso di domande che riflettono sul senso, sulla qualità e sul percorso della vita umana, sui rapporti famigliari, sulla malattia e sulla morte, e su quel che resta dopo. Con un’immediatezza straziante, che porta in sé una dimensione di meditazione e un’urgenza di espressione interiore concreta, l’autore descrive in modo estremamente preciso l’aspetto tragico del destino individuale che tende inesorabilmente al suo punto finale. Non è forse vero che è dalla nascita che si comincia a morire? E nel frattempo, che cosa facciamo, che cosa siamo? Quarta originale del poeta e amico Petr Hruška «La morte osserva le nostre vite. L’evento centrale dell’ultimo romanzo di Jan Balaban è l’agonia e la morte di un uomo, ma ciò che racconta davvero è l’impegnativa ricerca della vita. Poiché questa deve sempre essere trovata nella profondità di ciascuno. E poi di nuovo reinventata. In un certo senso siamo tutti simili ai personaggi della meravigliosa storia di Jan Balabán, traboccante di conversazioni, di soliloqui e silenzi. Una storia in cui si cerca la verità, e si trova la sincerità. Tutti noi, nella nostra parabola mortale, cerchiamo di scoprire qualcosa sull’essenza della realtà, o almeno trovarci per un un momento vicino a qualcosa di importante. È quasi impossibile, perché ne sappiamo terribilmente poco. La nostra mente è sopraffatta da domande e dubbi, sfiducia e incredulità, nervosismo e aggressività. L’energia viene sprecata nel cieco affanarsi quotidiano. Le parole si ribellano in una inesattezza maligna, le mani sono corte … Abbiamo ancora un cuore.»

  • Mona

    Mona
    Mona

    Non sono lunghi i libri di Bianca Bellová, ma ogni volta ti sembra di aver letto un libro di mille pagine, per tutta la vita che hai visto scorrere nel mezzo. È un aspetto che mi ha colpita enormemente da lettrice, e ancora più da traduttrice, perché quando traduci senti il peso di ogni parola sulla pelle. La peculiare, profondissima, forma d’amore tra Mona, infermiera in un ospedale travolto dalla guerra, e Adam, il giovane soldato che arriva dal fronte con una grave ferita alla gamba, fa qui da collante a grandi temi umani e sociali. La violenza con cui la dittatura e le guerre irrompono nella vita della collettività e del singolo, la condizione della donna, l’infanzia rubata dalla crudeltà degli adulti. Ma anche, più semplicemente, i rapporti che sbiadiscono, le distanze che aumentano, l’ado­lescenza, col suo carico di strafottenza e apatia che a volte si porta dietro. Nel buio e nella devastazione della guerra, in un ospedale infestato dalla vegetazione della giungla e dalle urla dei pazienti, Mona e Adam trovano un’ancora di salvezza: la parola. E sono proprio le parole a diventare protagoniste. Quelle che, incise con una calligrafia segreta sulle pareti terrose di uno scantinato-r­ifugio, salvano Mona bambina dal senso di perdita e solitudine, e quelle che, annotate su un quaderno nascosto sotto il materasso, salvano Mona adolescente dalla desolazione di un collegio-prigione. E infine quelle raccontate al capezzale di Adam, che salvano Mona adulta dalla resa e dall’apatia, restituendole la consapevolezza della donna che è. Con il racconto che ripercorre la storia delle loro vite, i protagonisti si prendono cura di loro stessi e dell’altro. Parole salvifiche. Quelle che Bianca sa scolpire con tanta precisione e premura. Tradurre Bianca Bellová, ormai lo so, è come farsi prendere per mano, con fiducia. Perché lei non si perde mai, va avanti a intagliare fino a condurti alla fine della sua storia. E alla fine, ormai so anche questo, troverò sempre uno spiraglio di luce. Laura Angeloni

  • Il Lago

    Il Lago
    Il Lago

    PREMIO UNIONE EUROPEA PER LA LETTERATURA 2017 PREMIO MAGNESIA LITERA (Rep. Ceca) LIBRO DELL’ANNO 2017 Tradotto in 22 paesi Nami, un ragazzino che non ha più nulla, e nessuno, compie il suo viaggio solitario, brutale, quasi animale, sulle sponde di un grande lago che si prosciuga catastroficamente, dove le persone sono esse stesse resti di se stesse, malate e perse.  Un romanzo duro e ruvido: un ragazzo diventa uomo in un corpo a corpo con un ambiente apocalittico e allucinato. Parte perché deve cercare, e torna a casa per poter trovare. Perché la vita alla fine del mondo può finire subito dopo che sia incominciata, ma non è detto. «Il lago è un romanzo di ferite e cicatrizzazioni, perdite e riscatti, brutalità e tenerezza. La storia del cammino attraverso cui, nelle varie fasi di crescita e consapevolezza, il bambino Nami diventa uomo.» (Laura Angeloni)

  • La corsa indiana

    La corsa indiana
    La corsa indiana

    La corsa indiana, libro d’esordio di Tereza Boučková, romanzo breve o racconto lungo come più ci aggrada chiamarlo, fu pubblicato per la prima volta nel 1988 in un’edizione samizdat e vinse nel 1990 il prestigioso premio letterario Jiří Orten. Narrata in prima persona è una prosa vivace, originale e riccamente autobiografica che segue la vita della protagonista dalla nascita fino all’età adulta. Quando l’autrice è la figlia di Pavel Kohout, noto intellettuale dissidente, scrittore e drammaturgo, attivo nel circolo delle persone più in vista dell’underground di quegli anni, una storia autobiografica non è esattamente quel che si dice innocua, specialmente se la narrazione si attiene ai fatti accaduti non risparmiando le personalità più note (nel racconto compare, col soprannome di Monologo, anche l’ex presidente Vaclav Havel che la Boučková ha avuto modo di conoscere da vicino), pur celandole sotto ironici soprannomi. Una scrittura catartica che ripercorre l’infanzia vissuta con la madre Alfa e i due fratelli Luna e Raggio di Sole, dopo che il padre, qui chiamato l’Indiano, li abbandonò per trasferirsi all’estero con Musa, la sua nuova donna, dimostrando verso di loro un disinteresse quasi assoluto. E poi la giovinezza, gli amori e le difficoltà della madre Alfa, il matrimonio, la ricerca disperata di un figlio. Infine l’adozione di due bambini, le gioie e difficoltà della nuova vita, e finalmente, inaspettato, un ventre che germoglia. “Il tuo libro è pieno di rabbia e bugie. Mi auguro che non lo pubblicherai così. Ecco l’Indiano, che dopo dodici anni è tornato a casa”. Ma Tereza Boučková il suo libro lo pubblicò. Esattamente come l’aveva scritto.

  • Grand Hotel: Romanzo sopra le nuvole

    Grand Hotel: Romanzo sopra le nuvole
    Grand Hotel: Romanzo sopra le nuvole

    Fleischman, il personaggio principale del “romanzo sopra le nuvole”, è un trentenne solitario, rimasto orfano da ragazzino. La sua vita è un fallimento. Non è mai riuscito in nulla. Non ha mai neppure lasciato la sua città, Liberec, nei Sudeti, al confine ceco-tedesco. Non ha mai avuto una ragazza. Ma Fleischman comprende le nuvole, le alte e le basse pressioni e le direzioni dei venti, gli effetti dei fronti caldi e freddi. La sua vita è un diagramma in cui annota il tempo atmosferico e lo scorrere del tempo. Fleischman, che non conosce nemmeno il suo nome proprio, è il tuttofare del Grandhotel di Ještěd, l’avveniristico e gigamntesco hotel rotondo a forma di astronave (realmente esistente) che sovrasta la città. In questo luogo magico, sospeso tra la terra e il suo amato cielo si rende conto che troverà una via d’uscita dalla sua città e dalla sua stessa vita solo attraverso le nuvole. Nei suoi piani irrompe la cameriera Ilja, che un giorno arriva come un’apparizione alla reception dell’hotel. Ma la decisione di lasciare la città ad ogni costo non è più reversibile, e la fuga non può che essere verso il cielo, in mongolfiera… Dal libro è stato tratto, con la sceneggiature dell’autore, il film “Grandhotel” di David Ondříček (2006) (https://cineuropa.org/it/film/69313/)

  • Il bruciacadaveri

    Il bruciacadaveri
    Il bruciacadaveri

    Praga, 1938-39. La storia del Novecento marcia a passo forzato verso uno dei suoi momenti più critici: il magniloquente Nuovo Ordine nazista, la guerra imminente, la "questione ebraica”, le persecuzioni pianificate, l’invasione dell’Europa. Chi è il signor Kopfrkingl, protagonista di questa storia nera praghese? Un tenero, sdolcinato padre di famiglia, impiegato al crematorio, un uomo che sorride sempre. Sì, in apparenza. Interiormente, invece, è una marionetta dall’animo monodimensionale, dalla volontà larvale, dalla morale astratta e limitata, che vede tutto e tutti come stereotipi. Un uomo intimamente servile per cui il bene è indifferentemente cura e sterminio, felicità e olocausto, la cui idea di paradiso in terra condanna gli altri all’inferno. Lo stile ossessivo e preciso di Fuks sottolinea perfettamente questo aspetto e gli è funzionale. Il bruciacadaveri procede come una partitura con il frequente contrappunto di ripetizioni di nomi e intere espressioni. Lo sguardo alienato e distorto del protagonista, con tracce di macabro divertimento, amalgama un testo di cui si può apprezzare la struttura profonda e la caleidoscopica creatività: siamo a tutti gli effetti di fronte a un capolavoro del Novecento. Ma forse ha un senso ulteriore, oggi, riproporre questa figura di “volenteroso carnefice”, che accoglie in sé le parole d’ordine naziste con leggerezza e conseguenze paradossali, opportunista, perbenista e superficiale. «…la violenza non paga per nessuno. Con essa si può tirare avanti solo per un breve periodo, ma non si può scrivere la storia. Viviamo in un mondo civilizzato, in Europa, nel Ventesimo secolo» si dicono più volte i personaggi, nel 1938. La storia ha provato loro il contrario a stretto giro, e ormai, anche molti anni dopo, passato l’inizio del Ventunesimo secolo, sappiamo che nulla può essere dato per scontato, che l’angusto abisso del signor Kopfrkingl non si è richiuso per sempre con la fine delle ideologie e grazie al benessere, e che far finta di niente può precipitarci nuovamente dentro di esso.

  • La teoria della stranezza

    La teoria della stranezza
    La teoria della stranezza

    PREMIO MAGNESA LITERA PROSA 2019 La narratrice Ada Sabová, una giovane ricercatrice dell’Istituto di Antropologia Interdisciplinare, è per molti versi una tipica (ma non stereotipata) intellettuale dei nostri tempi, impegnata nella lotta di conciliare vita personale e carriera. Occupata nel tentativo di dipanare il mistero che si cela dietro alla scomparsa del figlio di una sua collega, comincia a notare intorno a sé degli strani eventi, che intuisce in qualche modo essere interconnessi e governati da una sorta di legge universale e misteriosa. Nel cercare di definirli, elabora una vera e propria “Teoria della Stranezza”, non risparmiandosi dal tirare in ballo teoria dei quanti, gatti di Schrodinger e teoria olografica dell’universo e si arrende alla constatazione che la sola ragione non le basterà a capire la complessità del mondo, e che per essere davvero libera dovrà abbandonare ogni sua sovrastruttura.

  • I tedeschi

    I tedeschi
    I tedeschi

    Premio Josef Škvorecký 2013 Premio Libro Ceco dell’Anno 2013 Nomination Magnesia Litera categoria Prosa 2013 Per anni una famiglia praghese riceve dei pacchetti di piccoli doni, dolciumi, orsetti gommosi. Li manda Klara Rissmann dalla Germania Ovest, e li manda al figlio, da cui si è separata poco dopo la sua nascita, alla fine della guerra. Konrad infatti è cresciuto con un’altra donna, Hedvika, che fino all’età adulta ha creduto essere la sua vera madre. Dopo la morte dell’uomo, sua figlia decide di rintracciare gli sconosciuti parenti tedeschi, alla ricerca della verità su quel trauma famigliare originario. Con lei ripercorreremo tutta la vita di Klara, immersa nel flusso spesso tragico della storia tedesca ed europea del Novecento. Jakuba Katalpa riesce con I tedeschi nella non facile impresa di essere originale in una materia su cui è stato scritto molto. Da un lato, il punto di vista è quello dei “ tedeschi ”: chi sono, cosa fanno, cosa pensano in quegli anni in cui da dominatori e degni nipoti dei Buddenbrook si ritrovano allo sbando, come individui e come popolo? Da un altro, i protagonisti che emergono con una forza plastica straordinaria dalla narrazione, scorrevole e cronachistica, sono figure epiche più che storiche, di un’epica famigliare in cui a tratti possiamo riconoscere quella di ogni famiglia, se pensiamo alle vicende dei nostri padri, nonni e bisnonni di quegli anni difficili.  Assistiamo così all’incompleta ricostruzione di una “ geografia della perdita ”, come recita il sottotitolo. Tutti perdono qualcosa, e sembrano destinati a perdere, sono colpevoli e vittime nella complessa giostra della vita. Una perdita spesso legata alla maternità –  è un romanzo di donne e di madri: buone, cattive, mancate e defraudate – e alla memoria, che svanisce, perlopiù senza rimedio, tra le cose non dette e la cattiva coscienza.

  • Con Bata nella giungla

    Con Bata nella giungla
    Con Bata nella giungla

    Quella dei Bata è la storia di un successo mondiale, decenni prima della globalizzazione. Si trattava di un capitalismo a tratti ingenuo, seppure moderno. Illuminato, nel suo paternalismo: era attento alla qualità del lavoro e della vita dei dipendenti, fino a immaginare un vero e proprio “sistema Bata”, efficiente ed etico, comprensivo di buone paghe, istruzione, case, dettami morali. Il romanzo ci dà l’occasione di rovistare nei cassetti e nelle scatole di latta di questa straordinaria famiglia di “calzolai che hanno conquistato il mondo”. Scatole e cassetti colmi di documenti, foto, diari. Seguiremo Jan Antonín Baťa (così il vero cognome), uno dei più grandi uomini d’impresa di ogni tempo e luogo, visionario, caparbio e con un’incrollabile fiducia nel futuro, insieme modernissimo e d’altri tempi. Ci accompagneranno le sue figlie e nipoti, i cognati, con il loro racconto gustoso e dolente, sempre combattivo, tra i ricordi di mille peripezie affrontate procedendo a zig zag tra i dossi e le buche del Novecento. La fuga dai nazisti prima e dai comunisti poi, che lo condannarono ingiustamente per collaborazionismo, il boicottaggio da parte di inglesi e americani, le beghe ereditarie, l’esilio e la nostalgia, con la lingua madre a fare da sottile e orgoglioso legame con le proprie origini. E la giungla? Dei cechi, dei calzolai, nella giungla? Nulla di strano per uno che aveva immaginato di “trasferire” il popolo cecoslovacco in Patagonia per colonizzarla. È in Brasile, infatti, che Jan Baťa si stabilisce una volta lasciata l’Europa, lì insedia fabbriche e fonda città, strappandole alla foresta. Dimostrando che con la volontà e la capacità, oltre che con il duro lavoro, si può ottenere molto, se non tutto. E magari riuscire a far « venire a galla la verità come l’olio sull’acqua », come scrisse in punto di morte. Alessandro De Vito

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