Romanzo senti/mentale
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Anteprima del libro
Romanzo senti/mentale - Bellová Bianca
Tavola dei Contenuti (TOC)
prefazione di Angelo Di Liberto
romanzo senti/mentale
i diari
insieme
NováVlna
( 14 )
© Bianca Bellová 2018
© 2021 Miraggi edizioni, Torino
www.miraggiedizioni.it
Titolo originale: Senti/mentalní román, Host, Praha 2018
(Prima edizione ceca: IFP Publishing, Praha 2009)
Translation of this book was realized with
the support of the Ministry of Culture
of the Czech Republic
Ringraziamo il Ministero della Cultura
della Repubblica Ceca per il sostegno
alla traduzione e alla pubblicazione
Progetto grafico Miraggi
Finito di stampare a Chivasso nel mese di ottobre 2021
da A4 Servizi Grafici per conto di Miraggi edizioni
su Carta da Edizioni Avorio – Book Cream 80 gr
e Carta Fedrigoni Woodstok Materica Chalk 180 gr
Prima edizione cartacea: ottobre 2021
isbn 978-88-3386-193-7
Edizione digitale: ottobre 2021
isbn 978-88-3386-194-4
bianca bellová
Traduzione dal ceco di Laura Angeloni
Prefazione di Angelo Di Liberto
prefazione di Angelo Di Liberto
Questo non è un romanzo sentimentale. Ogni tentativo volto a ricondurlo all’idillio amoroso risulterà un errore dei sensi per una strana fenomenologia dello sguardo, dove il ripristino di una dimensione emotiva e sensibile è irreparabilmente illusione.
Se si volesse ridurre in una formula il significato dell’opera di Bianca Bellová, si dovrebbe puntare lo sguardo sul sottosuolo della Repubblica Ceca. Non mi riferisco alla Kateřinská jeskyně (la grotta di Caterina) nel carso moravo, vicino a Brno, che custodisce il più antico disegno del paese risalente a seimila anni fa tracciato su una roccia rugosa per questo chiamata Mozek (Cervello), ma alla straordinarietà delle rocce sedimentarie, che hanno la forza di trascinare e inglobare microrganismi animali e che vengono da lontano, da epoche remote sature di storia.
Così la potenza espressiva di Bianca Bellová ha dato prova sedimentaria nella prima opera tradotta in Italia dall’editore Miraggi con il titolo di Il Lago (Jezero), romanzo vincitore di due premi prestigiosi (Premio Unione Europea per la Letteratura e il Magnesia Litera) nel 2017; e con la seconda dal titolo Mona nel 2019.
Nei due romanzi ritroviamo i temi cari alla scrittrice: memoria, legami familiari, guerra, condizione femminile, infanzia negata, arcadia perduta, tenuti insieme da una scrittura per sedimento in cui ogni figurazione permane come per una continua stratificazione.
Immaginate che dalla terraferma si stacchino dei detriti rocciosi e che finiscano nel fondo di un lago. Essi porteranno con sé polveri e microorganismi, residui vegetali, resti di ere geologiche, frammenti di vita ancestrale. Parte di quel deposito permarrà in superficie e sarà ciò che vedremo; il rimanente andrà a formare una struttura continuamente modificata dall’azione dei fluidi e della forza di gravità.
Questa originale tecnica letteraria, intrisa di una straordinaria valenza conoscitiva, chiama il lettore a essere parte attiva di quel processo di modificazione. Egli sarà fluido e forza di gravità. Arriverà a essere testimone di quella solidificazione del sedimento che darà origine a un nuovo disegno organico che prima non c’era.
Romanzo senti/mentale, terza opera uscita in Italia ma prima in ordine di tempo nella produzione belloviana, estremizza il concetto di scrittura per sedimento proponendo un allineamento di memorie, una maschile e l’altra femminile, in modo che i due frammenti si situino in un uno-unico in grado di dare vita a una grande confessione dell’assenza.
Nina, da sempre innamorata di Eda, trascorre la sua esistenza come la controfigura della sorella Eliška, di cui Eda è innamorato, anche quando questa non c’è più. Il nucleo sordido della storia offre intagli d’inaspettata crudeltà, soffocanti atmosfere degne di un classico enigmatico, in cui la verità è occultata talmente in profondità da richiederne un’altra in surrogato.
« Quando c’era Eliška mi sbatteva davanti agli occhi ventiquattro ore al giorno la mia inadeguatezza. Non fosse stato per lei, forse sarei davvero diventata qualcuno, e mi sarei accorta di non avere abbastanza talento più in là, forse a trent’anni o forse mai, con la giusta determinazione. Ma poiché tra di noi non c’era nemmeno un anno di differenza ho sempre saputo quale fosse il mio posto, praticamente da quando sono nata. »
Eliška è un personaggio dannatamente frustrante, che ha un peso simbolico anche se il lettore sa già dall’inizio che è morta. Vi sono assenze che minano le fondamenta della nostra realtà come certe presenze non riescono a determinare.
Sembra che si sappia tutto di lei, della sua spregiudicatezza, dell’insofferenza alla forma, dell’idiosincrasia del già predefinito, eppure bisogna arrivare alla fine per delinearne con precisione i tratti essenziali.
Come la roccia arenaria, Eliška si abbatte sulla superficie del lago delle apparenze lasciando dietro di sé polvere menzognera alla vista di quanti l’hanno conosciuta. Occorre scendere negli abissi, farsi detrito, rilasciare le scorie e abbandonarsi ai flutti e alla forza di gravità per arrivare a stabilire l’esistenza autentica della sua natura.
La traduzione di Laura Angeloni è voce mirabile e precisa dell’autrice e dipana con puntualità l’universo belloviano fatto com’è, in quest’opera, della perdita inequivocabile dell’innocenza, dello struggimento nel sentimento del contrario. Quando a infrangere il destino è l’ambiguità non si può scappare dalla volontà della colpa, ha memoria antica, si può solo desiderare di dormire per dimenticare.
romanzo senti/mentale
Dedicato a papà
Quando ripensa a quegli anni lontani,
è come se li guardasse attraverso
un vetro impolverato:
il passato è qualcosa che può vedere
ma non può toccare.
E tutto ciò che vede è sfocato, indistinto…
Wong Kar-wai, In the Mood for Love
Il cielo si scurisce davanti ai miei occhi come una vasca da bagno in cui si versa inchiostro. Ho sette anni. All’improvviso cala un silenzio assoluto e si solleva il vento. Il paesaggio della base militare è piatto come un altare del sacrificio. Una nuvola si arresta proprio sopra di me. Mi vedo riflesso nella vetrina del fruttivendolo, ho i capelli ritti in testa. Le strade che percorro sono deserte; ormai sono tutti rintanati in casa da un bel po’. Sulla tribuna, pronta per il corteo del primo maggio di domani, sventolano gli striscioni sibilando a ogni colpo d’aria. tutto il potere ai lavoratori! per sempre a fianco dell’unione sovietica. Per liberarmi di una zavorra getto via il camion con la scritta pepsi. La macchinina Matchbox Made in Macao la stringo al petto e corro come Michael Johnson.
Il primo fulmine squarcia il ventre di una nuvola, che libera un denso muro di pioggia. Corro e di colpo ho l’acqua alle caviglie. Boccheggio, annego. La maglietta zuppa mi si appiccica al corpo, pesa un quintale. Ma va ancora bene. È ancora tutto a posto. Il vero casino scoppia quando intorno a me cominciano a battere i fulmini. Mi accecano e dunque alla fine mi fermo. Mi sembra che i capelli prendano fuoco. Non c’è pausa tra i colpi dei tuoni, è un rumore compatto che mi assorda. Sto lì fermo e urlo; grido così forte che, nonostante il tumulto, mi sentono anche le vecchiette che chiudendo le finestre guardano fuori incredule. Con tutta quell’acqua non possono vedermi, mi hanno solo sentito gridare in mezzo al frastuono. Una di loro poi lo farà pure scrivere a verbale, di aver sentito il figlio della tempesta
, una dichiarazione che la metterà nei guai col politruk¹ locale.
Il vento ha strappato via gli striscioni sui lavoratori, trasportandoli in chissà quale anfratto di merda. Ci ho messo vent’anni a capire che quel giorno ero nell’epicentro della tempesta.
¶
Strano che la casa sembrasse in un certo senso a posto, nonostante tutto il caos e il disordine. Come la casa di uno che si aspetta di morire da un giorno all’altro e vuole evitare che, chiunque si trovi a sgombrarla, si imbatta in qualcosa di inopportuno, una collezione pornografica per esempio, o dei panini ammuffiti tra i calzini. Non oso pensare a cosa troverebbero a casa mia se domani, andando al lavoro, mi cadesse un mattone in testa.
Anche se solo inconsciamente, ho sempre saputo che sarebbe finita così. Dopo tutti gli anni di non toccare quella tazza!
, meglio lasciarla sullo scaffale
, è l’ultimo ricordo di Eliška
, questa non la diamo nemmeno agli ospiti
, era chiaro che prima o poi si sarebbe rotta. Ora giace qui davanti a me, raro design degli anni Settanta con un astratto disegno a fiori arancione, spaccata in mille pezzi, alcuni ancora oscillano sul pavimento con aria di sfida, sembrano ammiccarmi in modo ambiguo: Tanto lo sapevamo che sarebbe finita così
.
Mi è anche scappato un urletto, con mia grande sorpresa. Per farvi capire, io non perdo mai la mia compostezza e le manifestazioni di scarso autocontrollo mi ripugnano. Mai per esempio userei tre punti esclamativi. Anche se dovessi lanciare un segnale di avvertimento: Signora, le vanno a fuoco i capelli
lo farei con tono discreto, puramente informativo, senza alzare la voce. Di sicuro capita anche a me di sentirmi bruciare dentro come un forno vetrario. Ma la dignità va mantenuta sempre. Per questo quel gridolino mi ha sbalordita. Il fatto che per me significasse tanto. Non era di certo quella tazza l’ultimo ricordo di Eliška. Questa casa è così piena di suoi ricordi che per girarti devi prima uscire dalla stanza: una mezza dozzina di cavalletti, decine di tele in varie fasi di realizzazione, acquarelli, scatole piene di tubetti di colori a olio ormai secchi, addirittura tutte le uova di Pasqua che un tempo ha dipinto.
E a proposito di ospiti, non è che ci fosse un tale viavai. Un tempo capitava che passassero a trovarci l’una o l’altra zia del Nord, quando venivano a visitare Praga, e allora mamma ci chiamava: « Ragazze, venite a salutare », e io ed Eliška in camera nostra alzavamo gli occhi al cielo, ma alla fine ci trascinavamo in cucina e c’era una che gridava: « Oh Gesù, quanto sono cresciute, ma non è possibile! », infilandoci in mano una tavoletta di cioccolata Barila con la farfalla disegnata sul pacchetto, una ciascuna, dopodiché io potevo dileguarmi, mentre Eliška era costretta ad andare a prendere le sue ultime creazioni, un disegno o un elefante di pongo o una bambolina di stoffa… Pian piano aveva imparato a portarle subito con sé quando ci chiamava mamma, per non fare inutilmente avanti e indietro, e mamma si accigliava, ma giusto un attimo, senza farsi accorgere. Da quando Eliška non c’è più non è comunque mai venuto nessuno, a quanto ricordo, e ormai non sarebbe possibile. Questa in verità è la ragione principale per cui il banchetto funebre devo organizzarlo in un ristorante.
¶
L’uomo aveva la mia età. Mi è bastato uno sguardo da lontano per capire che era morto. Fino a quel momento non avevo fatto caso a lui, il che è abbastanza comprensibile visto che alla festa c’erano circa cinquecento persone. Hanno chiamato me ancora prima di cercare il dottore, non so perché proprio io; non è che