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Mr. O
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E-book480 pagine7 ore

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Info su questo ebook

Un Maestro Illuminato, un suggeritore sempre presente nella vita dell'autore, si manifesta prepotentemente prima che il tempo biologico concesso abbia termine per reclamare maggior attenzione e concretezza sulle questioni affrontate. Una serie di avvenimenti straordinari, classificabili come misteriosi, richiamano l'attenzione sul loro significato, inducendo di conseguenza il confronto. Il Maestro e' uno spirito universale, vissuto prima del Big Bang e proiettato in questa Terra sotto forma di energia pura. Racconta il loro arrivo, l'insediamento e il percorso fino ai nostri giorni, prospettando una svolta per la nostra umanità. Lo scetticismo dell'autore viene sopraffatto da un viaggio oltre i confini del razionale, indotto attraverso un coma dolcissimo.
LinguaItaliano
Data di uscita11 apr 2014
ISBN9786050300895
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    Anteprima del libro

    Mr. O - Giuseppe Puddu

    sapiens

    Prefazione

    Mister O

    Prefazione dell’autore

    Immanenza e trascendenza, due condizioni esistenziali che creano imbarazzo alla maggior parte di noi, sono trattate in queste pagine con la semplicità dell’ingenuo sognatore, nella benevola illusione di dare un modesto contributo per dipanare l’aggrovigliata matassa del mistero della dimensione umana.

    Come per tutti i sognatori, alcune immagini retoriche assumono la valenza delle evocazioni tranquillizzanti per sostenere la propria tesi, almeno fino a quando qualcuno, depositario della verità, potrà smentirla. Così, nell’oceano della nostra personale esistenza, nella convinzione primitiva che qualcosa non muore col corpo, la vita del nostro corpo assume le vesti di un piccolo battello sballottato dalle onde, o di un’esile fiamma di candela pericolosamente oscillante ad ogni soffio di vento. La disperata volontà del battello a non lasciarsi sommergere, rinnovata ad ogni frangente, o l'anelito di una fiamma caparbiamente accesa, spietatamente aggredita e ridotta allo stremo dal buio ignoto e minacciante, raffigura molto bene la nostra dimensione umana. Il desiderio di verticalità della fiammella esprime simbolicamente la volontà d’ascesa, di dominio e di coscienza, di coraggiosa coerenza d'intenti nella nostra quotidianità, come il testardo ed eroico raddrizzarsi dell'albero sotto le raffiche di vento, quasi cosciente, verso le stelle del cielo. E nell'immensità dell'oceano esistenziale, con le sue imprevedibili onde, così diverse nel loro aspetto, così pericolosamente disuguali nella loro aggressività, la nostra vita viaggia in un mondo ristretto di solitudine e distacco, indissolubilmente legata al suo corpo come ad un battello, dove il pulsare della fiamma di una candela si confonde col battito del cuore. Al di là d’ogni possibile raffronto, la barca in una tempesta e la fiamma di una candela sono due grandi quadri che suscitano immagini, che inducono meditazioni, sentimenti, pensieri e valori, capaci d’ispirare sfondi e musiche di base, su cui imbastire la nostra verità personale. Davanti alla fiamma di una candela molti di noi tendono a divagare sereni in mille fantasie, altri ne colgono con dolore la brevità dell'esistenza: - Fra poco la fiammella si spegnerà e sarà il buio, il nulla ci avvolgerà …

    Contro questo buio pessimistico, che non consente di vedere la grandiosità del mondo in cui viviamo, le pagine che seguono propongono una diversa visione, un delicato profumo di vita che si rinnova ogni primavera, dopo un lungo letargo invernale. A dirigere il racconto è Mister O, una coscienza evoluta che tenta di scuotere la nostra diffidenza parlando di trascendenza e dei misteri esistenziali, resi tali solo dalle paure ingiustificate della nostra mente.

    Quante volte nella nostra vita abbiamo vissuto la sensazione del déjà vu, del già vissuto, già sentito, già visto e conosciuto, senza trovare, nella nostra esperienza, conferme dirette capaci di illuminarci su questo sentire. Quante volte abbiamo manifestato sorpresa per i contenuti di un articolo, di un libro, per la netta sensazione che essi fanno già parte del nostro bagaglio, frutto di pregresse elaborazioni mentali, di sintesi dei nostri convincimenti, con la certezza d’aver affrontato quei temi articolandoli secondo identiche sequenze.

    Diverse correnti di pensiero sostengono che le attività creative e ideative liberano forme di energia che consentono al nostro elaborato di immetterlo in onda, per così dire, rendendolo captabile da coloro capaci di sintonizzarsi sulla stessa lunghezza, come nella circostanza dell’ascolto di una radio virtuale. Seguendo queste teorie dobbiamo prendere atto che sono disponibili intorno a noi informazioni e conoscenze provenienti da una specifica attività mentale di un soggetto, il quale a sua volta potrebbe aver ricevuto gli elementi formativi del suo pensiero attraverso la stessa tipologia di comunicazione.

    Il protagonista delle riflessioni contenute nel racconto che segue, la cui provenienza potrebbe ricadere nella fattispecie del pensiero collettivo trasmesso in forma onirica, è un personaggio reale e fantasioso nello stesso tempo, che assume deliberatamente l’impersonale identità di Mister O. Il misterioso pensatore dice di appartenere alla comunità di coloro che si sentono capaci di profonde analisi introspettive, di formulare pensieri come voli pindarici, quelli solitamente soffocati dalla paura del confronto. Si è rivelato con energia, imponendomi un lungo periodo di totale attenzione, un lavoro di scritturazione forzata accompagnato da un appuntamento quotidiano obbligato: le quattro del mattino. La dimensione umana, con cui si propone Mister O, per quanto misteriosa nella sua genesi, diventa spunto per riflessioni su argomenti che ci appartengono. La diversa visione del mondo, l’allargamento dei confini, oltre la Terra, entro i quali, secondo lui, saremo chiamati a confrontarci nel prossimo futuro, il metodo di comunicazione scelto, l’obbligo della sudditanza senza compromessi con rigide regole espressive, su argomenti a volte di difficile comprensione anche per menti evolute, impongono una premessa informativa apparentemente avulsa dal racconto.

    Mister O sostiene in queste pagine che corpo e anima restano legate fra loro dopo la morte, almeno fino a quando persiste un’energia vitale nel cadavere in decomposizione. Il filo che lega le due entità si spezzerà solo dopo che tutta la forza attrattiva che li unisce si sarà esaurita, lasciando l’anima libera di reincarnarsi in un nuovo processo di concepimento. L’unione di un corpo e di un’anima sono la condizione necessaria affinché possa esistere l’uomo. Le due dimensioni di trascendenza e di immanenza sono pertanto aspetti di un’unica realtà, della quale abbiamo scelto solo la facciata più rassicurante, quella razionalmente accettabile. Mister O espone in queste pagine una visione globale della nostra esistenza, facendo riferimento prevalentemente alla sua esperienza di vita spesa in un mondo più universale del nostro.

    Ho voluto citare, in apertura di ogni capitolo, la saggezza di uno straordinario Maestro a noi contemporaneo. Antony de Mello sapeva cogliere le sfumature della vita e le esponeva con parabole di grande semplicità e comprensione. Ho ritenute alcune di queste in sintonia con il contenuto delle rivelazioni di Mister O.

    L'INCONTRO

    Un comune, comunissimo mortale

    - Quell’uomo dice cose senza senso -

    disse un visitatore

    dopo aver udito le parole del maestro.

    Un discepolo gli rispose:

    - Anche tu diresti cose senza senso

    se cercassi di esprimere l’Inesprimibile.

    Quando il visitatore interrogò in proposito

    il maestro stesso, si sentì rispondere:

    - Nessuno è esente dal dire cose prive di senso.

    Il guaio è farlo con solennità.

    (Antony de Mello)

    Erano le sei del mattino quando finalmente sentii le prime voci, dopo una fatica immane per attraversare un tunnel interminabile, scuro, in fondo al quale intravedevo una luce così intensa da costringermi a chiudere gli occhi, per non offenderli.

    - E’ un maschietto, signora, un bel maschietto! Peserà più di tre chili … Dopo tante femmine ci voleva un maschietto a rallegrare il gruppo … Come lo chiamerà? - diceva la voce petulante dell’ostetrica, una signora di mezza età, sformata dal cibo, piccola di statura, ma con due occhi vivacissimi.

    Ho cominciato così il vivace tormentone di questa vita, proprio con la scelta di un nome appropriato. Avevo avuto, nelle vite precedenti, tanti nomi altisonanti, altri schifosi e canzonatori, presi in prestito da circostanze familiari dei miei occasionali genitori. Nelle vite precedenti? Ebbene, si. Fra le poche certezze delle prime ore di vita, la continuità esistenziale attraverso ripetute reincarnazioni era quella dominante. Una certezza che allora non ponevo in dubbio, dato il reiterarsi del felice evento del mio ritorno nel nostro paradiso, fra comuni mortali. D'altronde tutto ciò che ha avuto seguito all’evento della mia nascita confermerà pienamente questa certezza.

    Ancora fradicio di liquido amniotico, con occhi sbarrati per la curiosità, tentavo di capire dove ero capitato, in quale famiglia, chi erano i miei parenti. Quel grosso donnone che mi teneva stretto in un panno, sfregandomi violentemente, non poteva essere mia madre. Non vedevo figure maschili, non erano ammesse all’epoca, il parto era solo una questione fra donne. Le altre due figure femminili, piuttosto impaurite, erano troppo giovani.

    - Che nome vorresti dare al nostro fratellino, mamma … - così si presentarono le due sorelle maggiori. Mia madre, troppo sofferente per decidere che nome dare al settimo figlio, tentava solo di recuperare frettolosamente le forze.

    - Ci penseremo più tardi … - disse con un filo di voce. Intanto, avvolto in un asciugamano, provai a dire anch’io qualcosa in merito al nome, per evitare di ritrovarmi incastrato per tutta la vita con un appellativo infelice o poco gradevole. Riuscii a balbettare solo il classico ueh dei bambini, che non approdò a niente.

    - Non essere ridicolo, non ti possono capire se continui a strillare senza articolare parole. Sei appena nato, i tuoi organi vocali devono ancora svilupparsi per consentirti di parlare. Inoltre devi imparare la loro lingua. Non tentare di spaventarli anticipando i tempi della crescita, calmati, rilassati, goditi questo magico momento e non preoccuparti per il nome che ti sarà dato. E’ solo una convenzione, non inciderà più di tanto sul tuo percorso di vita … - disse una vocina impertinente dentro di me.

    In quel magico momento della nascita non era importante sapere che qualcuno interferiva nelle mie questioni personali, non mi ponevo eccessivi problemi sul perché di quel fenomeno. Provenivo da una dimensione dove i dialoghi fra le persone, fra le anime, avvenivano senza parlare, senza proferire una parola. Una dimensione dove tutti si capiscono senza bisogno di cambiare idioma.

    Ancora appesantito dal bagaglio delle esperienze che mi portavo appresso, di vita in vita, mi accorsi che la curiosità per la nuova avventura di vita era superiore ad ogni altro problema. In quella circostanza un interlocutore col quale dialogare senza parlare mi faceva comodo, mi avrebbe tenuto compagnia nei primi tempi di adattamento. Era una circostanza normale per la mia vecchia anima tornata ad incarnarsi in un bambino.

    - Sarò un compagno discreto, se ancora mi vuoi. Interverrò solo se me lo chiederai. Ma ricordati sempre chi sei realmente anche quando sarai adulto, non cercare di identificarti col nome che ti verrà dato o con la tua futura professione, non esaltare il tuo ego razionale più di quanto necessario, è solo l’effimero potere dello sciocco.

    Scoprii allora che, come per molti di noi, il ritorno fra i comuni mortali sarebbe stato accompagnato da un Maestro, da un consigliere, che nella comune dizione poteva essere chiamato coscienza. Capii subito che, anche quando non richiesto, si sarebbe arrogato il diritto di intervenire nelle decisioni, di suggerire scelte, di criticare il mio stile di vita, insomma di determinare il mio futuro. Come il grillo parlante nella favola di Pinocchio, a volte utile, spesso impertinente, il Maestro non amava mostrarsi esplicitamente, si nascondeva in chissà quale meandro del corpo. Sosteneva che sarebbe stato il mio convivente segreto, un consigliere fidato, che mi avrebbe protetto dai grandi pericoli, ma che sarebbe intervenuto fino al dolore fisico se avessi travisato il significato della nuova vita. Proprio perché non aveva una sua dimensione specifica, un luogo fisico o biologico dove stare, perché si sentiva superiore alla ragione, dentro di me lo raffigurai come un alieno, una persona di un altro mondo, che parlava di trascendenza, di ciò che andava oltre i limiti d’ogni conoscenza razionale.

    Sono stato investito fin dall’infanzia dal tema della trascendenza senza sapere il significato razionale del termine. I miei genitori parlavano spesso dell’esistenza di un’anima, di uno spirito, di una personalità, di un Ego, di presenze esterne non visibili, di coscienza, per spiegare ad un bambino che esisteva una dimensione non materiale, non biologica, appartenente alla misteriosa sfera dell’esistenza, quella che ci distingueva dagli animali.

    All’epoca avevo in testa una grande confusione! Fin dai primi anni di vita mia madre parlò dell’anima in senso religioso, affermando che dopo la morte sarebbe andata in cielo per unirsi a Dio, semplificando il tema del trascendente con l’attribuzione della dimensione spirituale ad un credo religioso che non si discuteva, ma che si doveva accettare come mistero di una fede professata. Ben presto sentii parlare in famiglia anche di fantasmi, di presenze senza corpo, dotate di energie capaci di produrre danni alle persone e alle cose, che si manifestavano con strane forze molto simili a quelle fisiche. Scoprii allora che la Chiesa Cattolica accettava l’esistenza di forze malefiche, di energie distruttive che spesso si impadronivano delle persone, energie provenienti da certi spiriti maligni, dal Diavolo, contro il quale ci si opponeva con l’esorcismo.

    Allora ero consapevole che per noi bambini, con il ritorno alla vita, simili argomenti erano scontati, privi di mistero, ma non nei termini in cui l’educazione dei genitori, prima, e la scuola, più tardi, tentavano di spiegare. Il mio Maestro, nei nostri continui dialoghi trascendenti dei primi mesi di vita, ripeteva quasi in modo ossessivo:

    - Non è consentito ad un bambino affrontare questioni così delicate, anche se la sua purezza potrebbe fornirne la chiave di lettura più idonea. I bambini sanno tutto sulla trascendenza, provengono da quel mondo, ma non sanno come comunicarlo agli adulti. Lo fanno solo col sorriso rassicurante, con lo sguardo acceso, ma nessuno può capirli veramente. Poi anche loro crescono e perdono inevitabilmente quelle certezze. Il dominio della ragione durante la vita biologica è ancora molto forte, è capace di ridicolizzare argomenti fondamentali provenienti da certi ricordi pregressi.

    Man mano che i mesi passavano mi rendevo conto di un lento e continuo cambiamento. La curiosità verso il nuovo mondo, la scoperta dei sensi, della comunicazione verbale, travolgeva inesorabilmente tutto il bagaglio di conoscenze che mi ero portato appresso, cancellandolo pian piano dalla memoria.

    L’educazione che ricevevo mi costringeva a porre attenzione sulla coscienza solo nell’ambito etico - morale per dettare le regole comportamentali. Mi spingeva ad assumere atteggiamenti precostituiti, a formulare risposte coerenti al modello comportamentale scelto. Ogni qualvolta i miei atteggiamenti apparivano devianti, i miei genitori rispondevano con frasi come mettiti una mano sulla coscienza, oppure prima o poi dovrai fare i conti con la tua coscienza. Fu così che queste espressioni divennero parte integrante del mio linguaggio, a testimoniare una confusione crescente che mi avrebbe accompagnato nel corso della vita. Infine, durante la scolarizzazione, ecco emergere un altro aspetto non strettamente afferente alla sfera della mia biologicità: l’Ego, la personalità razionale più intima.

    Spesso mi ponevo domande su quante persone vivevano dentro il mio corpo. Cercavo di fare una classificazione razionalmente comprensibile, una distinzione qualificativa delle diverse dimensioni che mi accompagnavano, per soddisfare in qualche modo un’intima esigenza di chiarezza. Allora accettavo, per educazione ricevuta, l’esistenza dell’anima associata all’ambito del credo religioso imposto come fede. Ero convinto, come tutti, che la sua presenza fosse un’aggiunta, un qualcosa di più rispetto agli animali, e del suo distacco dal corpo, dopo la morte, per raggiungere un posto indefinito, un ambiente illuminato di saggezza e di spiritualità, dove vigeva il dono dell’immortalità delle cose, in un abbraccio perenne col nostro Dio. Accettavo l’esistenza dell’anima che si nutriva di trascendenza, per la quale il tema dominante era la religiosa venerazione divina. Tuttavia questa presenza mistica si contrapponeva al bisogno razionale, sociale e collettivo, di definire i miei comportamenti coerentemente all’etica dominante, che mi costringeva a adeguare il modo di pensare ad una sorta di codificazione comune per combattere il male, inteso come aspetto deteriorante dei rapporti fra gli individui.

    Avvertivo che gestore della quotidianità della vita era l’Ego, la mente, che esprimeva i contorni della personalità, che incideva sulle mie capacità creative ed intellettive. L’Ego parlava una lingua pratica, discuteva razionalmente sulle cose, prescindeva dal credo religioso, s’infilava in tutti gli aspetti del sociale, partecipava alle scelte e influiva sulle mie decisioni.Al contrario dell’anima, l’Ego sembrava aver bisogno del mio corpo, degli input provenienti dai sensi. Ero certo che senza la mente il corpo non avrebbe potuto esprimersi, non sarebbe stato in grado di andare oltre le funzioni vitali, non si sarebbe potuto proporre in attività creative. Ero convinto che l’Ego avesse anch’esso il dono dell’immortalità e della continuità, della durata oltre il biologico. Si presentava come custode della crescita, della memoria. Intimamente gli avevo assegnato il compito di depositario dei miei segreti, delle emozioni, delle aspirazioni. Lo associavo alla coscienza classica, alla consapevolezza delle mie capacità, gli avevo assegnato il ruolo di padrone delle mie scelte.

    Ero frequentemente immerso nella nebbia dei miei dubbi, assorbito dal desiderio di sapere, di capire, quando dopo molti anni di silenzio la voce del Maestro, quello dei primi giorni di vita, si fece sentire di nuovo, con un tono perentorio e minaccioso.

    - Non continuare a fuggire come sei solito. Ho provato a parlarti, ma non ascolti. A che servono i miei suggerimenti se credi di trovare da solo tutte le spiegazioni? Sembri piuttosto confuso, ma rifiuti i consigli … Forse è giunto il momento di fermarti, di ascoltare il silenzio … Si, il silenzio … E’ sempre più loquace delle parole …

    - Come si fa ad ascoltare il silenzio? Cosa vuol dire?

    - Ssss … Non parlare … Non pensare … Non guardare con gli occhi … Non toccare nulla … Non ascoltare … con le orecchie … Entra nel Nulla, nel vuoto assoluto …

    Dopo molti anni di silenzio o di pessimo ascolto da parte mia, quella voce amica dei primi giorni di vita, quel compagno che si era offerto di insegnarmi i segreti della vita, riemerse improvvisamente per iniziare un dialogo in un susseguirsi di argomenti e riflessioni, sollecitando ricordi di avvenimenti recenti o pregressi che avevano assunto il significato di un chiaro messaggio: ci sono anch’io!Alla fine ho dovuto prendere atto della richiesta e nel tentativo di assegnare un nome pomposo o altisonante al mio interlocutore, lui stesso suggerì un semplice appellativo ma appropriato: Mister O, come mistero. Il Maestro cominciò a parlare del loro arrivo sulla Terra, del luogo di provenienza, dell’inserimento nel mondo primitivo degli uomini, del contribuito offerto alla crescita culturale dell’umanità e delle finalità. M’impose il modo di comunicare, di scrivere, i temi da affrontare, la cadenza da seguire. Il racconto che segue è una sorta di diario cronologicamente coerente con i suoi interventi imperativi. Le parole contenute nelle sue espressioni non appartengono al mio linguaggio. Le riporto con la massima fedeltà possibile. Mi costrinse, come prima cosa, a produrre la rottura dei vincoli razionali e la liberazione del pensiero.

    I sogni lucidi

    Ad un nuovo arrivato al monastero

    un discepolo disse: - Ti devo avvertire

    che non capirai una sola parola

    di ciò che il maestro dice,

    se non sei nella giusta disposizione di spirito.

    - E qual è la disposizione giusta?

    - Essere come uno studente

    ansioso di apprendere una lingua straniera.

    Le parole che il maestro dice

    hanno un suono familiare, ma non t’illudere:

    vogliono dire tutt’altra cosa.

    (Antony de Mello)

    Tutto iniziò in sordina, nottetempo, con richiami di modesta intensità, di solito alla stessa ora: le quattro del mattino. Il Maestro comunicava con messaggi non strutturati, ma con argomentazioni interessanti, spesso di tipo progettuale. Chiamavo quei messaggi sogni lucidi perché appartenevano alla categoria onirica, con un’unica differenza: restavano perfettamente impressi nella mia memoria come la visione di un film appena visto. Negli ultimi anni la frequenza di quei sogni era diventata assillante, la richiesta d’attenzione sempre più forte, sebbene in un primo tempo non emergesse con chiarezza. Cominciava sempre alla stessa ora, alle quattro del mattino. A volte, quando il sonno era profondo per la stanchezza accumulata, l’orario dell’incontro differiva di un quarto d’ora, massimo mezz’ora.

    Cercai di dare una spiegazione logica attribuendo al fenomeno la conseguenza di frequenti viaggi all’estero, specialmente in Indonesia, al fuso orario spostato di sette ore, ma la risposta sembrava debole, non reggeva. Le quattro del mattino. In età scolastica, per esempio, alle quattro del mattino complessi problemi di trigonometria, non risolti da sveglio, trovavano una facile soluzione. Alle quattro del mattino, quasi per magia, come se qualcuno suggerisse il procedimento, ecco arrivare l’input risolutivo. Ubbidivo al richiamo, mi alzavo e scrivevo le risposte. Fu così che imparai il metodo più efficace per affrontare le difficoltà quotidiane: quando mi sentivo tormentato da problematiche dall’esito difficile andavo a dormire, sicuro che avrei trovato la risposta giusta. Attribuivo naturalmente il risultato al famoso detto la notte porta consiglio, come se la notte producesse una sorta di liberazione dai vincoli e la mente arrivasse al massimo delle sue capacità analitiche.

    I recenti avvenimenti onirici delle quattro del mattino, tuttavia, erano caratterizzati da argomenti molto diversi rispetto al passato: nei miei sogni non c’erano specifici problemi da risolvere, angosce da eliminare, preoccupazioni soffocanti, ma affrontavano temi della vita che si sviluppavano in un mondo diverso dal nostro, profondamente diverso. Ero continuamente in contatto con persone che comunicavano con me in modo semplice, facilmente comprensibile. Raccontavano le loro storie, parlavano di cose che non appartenevano alla nostra comune quotidianità. Al risveglio, tuttavia, non ricordavo i dettagli delle nostre conversazioni. Fino a quando, una notte, come per incanto, sentii il Maestro parlare con voce forte e chiara. Le sue parole restavano impresse nella memoria con la precisione degna di un registratore. All’inizio pensavo che la mia mente stesse per degenerare in forme schizofreniche. Mi guardavo intorno per cercare la persona che parlava con me. Pensavo che il vecchio appartamento dove abitavo fosse la sede di strane presenze, di fantasmi. Mi esercitavo a cercarli intorno a me con la coda dell’occhio, con tutte le antenne accese, seguendo i diversi suggerimenti della scienza esoterica. La voce che sentivo era ferma, ma nello stesso tempo suadente:

    - Ho una richiesta da avanzare. Avrei bisogno della tua attenzione per qualche tempo, se non altro per compensare i tanti aiuti ricevuti nel recente passato.

    - Chi sei? Che vuoi da me? Lasciami perdere ….

    - Fai finta di non conoscermi? Viviamo insieme da molte vite, accetti suggerimenti, anche se mi sento relegato nell’angolo più remoto dei tuoi pensieri. Mi utilizzi quando ti fa comodo e mi zittisci se sono contro di te. Finalmente riusciamo a parlarci, mi senti perfettamente, non capisco perché ti spaventi come un bambino che ha appena visto un mostro. Sembri sorpreso più di quanto m’aspettassi ….

    Capii subito a cosa alludeva il Maestro. Effettivamente avevo avuto molte volte la sensazione che a risolvere i miei problemi fosse stata un’altra persona. Tuttavia ero ancora molto lento nel cogliere appieno la straordinaria occasione. Così, lentamente, sogno dopo sogno, superando tutte le resistenze, mi preparai ad ascoltarlo con maggior attenzione, accettando i suoi dialoghi piuttosto insoliti come si ascolta il sermone di un saggio. Notte dopo notte m’accorsi che mi arrendevo al gioco. Seguivo i suoi desideri, volevo scoprire dove intendesse portarmi.

    L’appuntamento delle quattro del mattino divenne un momento importante della mia giornata. Andavo a dormire presto per recuperare energie, per sfogare, prima dell’incontro, il mio bisogno onirico invaso dalla quotidianità. Il Maestro arrivava puntuale, in un silenzio chiassoso e cominciava subito a parlare, anzi a comunicare. La mia curiosità crebbe in modo esponenziale. Volevo scoprire, capire razionalmente a quale mondo sconosciuto facesse riferimento. Il suo invito a partecipare era suadente e rassicurante. Chiedeva solo attenzione, lucidità razionale, ma soprattutto l’uso del potenziale sensitivo di cui, secondo lui, ero capace. Mi rassicurava sostenendo che non avevo nulla da perdere, che mi sarei arricchito di nuove conoscenze, che insieme avremo fatto un viaggio solo apparentemente immaginario, dentro una realtà che si può cogliere solo con la totale liberazione dai vincoli razionali, con il così detto sesto senso.

    Da quella notte, sempre alle quattro del mattino, gli incontri si susseguirono con un ritmo sempre più incalzante, con argomenti ricchi di dettagli e di visioni lucide, affascinanti, a volte sconcertanti, di quelle che lasciavano col fiato sospeso. Era un viaggio continuo, non facile da seguire. Richiedeva molta attenzione per capire le minuziose descrizioni. I suoi temi spesso provocavano in me una strana ansia, la stessa che di solito caratterizzava la cosiddetta prima volta di avvenimenti importanti. Mister O sollecitava in me una crescente curiosità, verso la quale reagivo come colui che si sorprendeva del fatto che la vita gli riservasse ancora stupore.

    Sosteneva che ero un testone, che avevo impiegato più di sessant'anni per accettare razionalmente l’esistenza della dimensione da cui provenivo, per imparare a capire il suo linguaggio, diverso dal nostro, molto più articolato. La presenza del Maestro in precedenza non era mai stata così definita e chiara. Il susseguirsi degli appuntamenti mattutini indusse in me iniziali incertezze, fino a quando sentii la sua presenza come quella di un accompagnatore stabile, non occasionale, ma soprattutto riuscii a capire il senso degli argomenti più difficili che proponeva. Iniziai a dialogare, a porre domande su quanto di più complesso circondava la nostra esistenza.

    Mister O non era raffigurabile in nessun modo, ma avvertivo che spesso rideva sornione per le mie perplessità. Non articolava parole secondo il nostro comune senso del dialogo, ma esprimeva un insieme di blocchi di pensiero. Invadeva il mio spazio logico e razionale rendendo incerte tutte le certezze faticosamente costruite, riservandosi la battuta finale con atteggiamenti da sapientone, anzi da saggio.Suggerì di prendere appunti, di scrivere anche sinteticamente il contenuto dei nostri colloqui, supponendo che la labilità della mia memoria non consentisse scelte diverse dalla scritturazione.

    La mia curiosità verso il nuovo interlocutore si fece sempre più viva, sebbene provassi un senso di difficoltà a parlare con un personaggio non visibile, ma così presente nella quotidianità di quel periodo. Chiedevo spiegazioni sulla sua presenza nei miei sogni, sul perché sentisse il bisogno di sconvolgere la mia tranquillità, di interferire col ruolo sociale che avevo assunto come uomo razionale.

    - Sei uno dei più curiosi fra gli uomini con cui ho vissuto, molto intuitivo, facile da addomesticare … - mi diceva sorridendo Mister O.

    - Addomesticabile? Non sono mica il tuo cane … E poi? Che significa uno dei più curiosi fra gli uomini con cui hai vissuto? Vorresti farmi intendere che sei solito accompagnarti con gli uomini, magari al solo scopo di tormentarli con le tue stranezze, tentando di addomesticarli come animali incapaci di esprimere un’autonoma intelligenza?

    - Ehi, ehi, … calma! Abbiamo appena incominciato a parlare e subito ti ribelli. Non sentirti a disagio né tanto meno frustrato. Non è mia intenzione offenderti, anzi nutro molta stima nei tuoi confronti. Sei un privilegiato, una persona con cui ho l’onore di parlare apertamente, di raccontarmi senza timore d’incomprensione o di fraintendimenti … Va meglio così?

    M’illuminai con soddisfazione quando avvertii che, finalmente, la pazienza e la perseveranza di Mister O avevano prodotto un primo risultato: ci parlavamo senza diffidenza! Ero in grado di capire quello che diceva.

    - Sai quanto è penoso non poter raccontare a qualcuno la nostra storia, la tragedia che ci ha colpito, o semplicemente descrivere gli aspetti del mondo da cui proveniamo. Abbiamo provato a comunicare con voi in tutti i modi, in tante circostanze del passato, senza ottenere un riconoscimento, un risultato, salvo sporadici e occasionali segnali …

    - Parli al plurale come se voi foste piuttosto numerosi. Non capisco a chi ti riferisci, fai intendere che siete gente di un mondo del tutto diverso dal nostro. Per noi è difficile accettare che possano esistere forme d’intelligenza così diverse, appartenenti ad un mondo tanto lontano dal nostro. Spiegami qualcosa di più …

    - Non so se sia il caso di raccontarti subito la nostra storia. Forse è ancora presto. Gli scenari della nostra vita sono veramente diversi da quelli che caratterizzano la vostra società dal tempo dei tempi. Molti degli uomini che hanno tentato di parlare del nostro mondo, in passato, sono stati definiti scrittori di fantascienza dai vostri accademici, non affidabili, a volte destabilizzanti e pericolosi e come tali da emarginare. E’ pur vero che oggi il mondo scientifico è più tollerante verso ipotesi fantascientifiche, ma solo apparentemente. La tendenza conservatrice della vostra società produce forti resistenze, distrugge l’attendibilità dell’uomo che si permette di aprire nuove ipotesi di vita senza il suffragio della scienza, della sperimentazione.

    - Qual è il problema … Mettiti nei nostri panni e cerca di capire. Noi percepiamo la realtà esclusivamente con i cinque sensi, che guidano e arricchiscono la nostra esperienza di vita. I sensi illuminano il quotidiano, consentono di recepire la ripetitività degli eventi, forniscono stabilità ai riferimenti, sono le pietre miliari del nostro crescere. Perché dovremo cambiare atteggiamento, lasciare le certezze per immergerci in un mondo i cui parametri sono così lontani dalla nostra comprensione del fenomeno realtà? Noi tracciamo netti confini fra realtà razionale e l’immaginario, il fantastico, appena tollerato dai più …

    - Questa si chiama resistenza. Noi siamo certi che l’ambiente in cui viviamo sia molto semplice da capire, quasi elementare, se l’osserviamo con l’ottica giusta, se misuriamo il tutto con un metro più universale. Non sono parole oscure. Affidati all’innata capacità percettiva del tuo essere uomo, all’istinto naturale e all’immaginazione. Tutto apparirà di facile lettura, compreso il nostro dialogo.

    - Mi sento un po’ agitato quando tento di capire razionalmente i tuoi discorsi. Devo fare uno sforzo enorme per seguire l’insieme delle tue parole per renderle comprensibili. Ti ascolto, è vero, ma non sempre capisco. Ti prego, spiegami anche i più piccoli dettagli in modo semplice affinché possa intenderli. Vorrei cominciare dal perché di una presenza come la tua nella mia vita, in qualità di ospite fisso non invitato …

    - Bisogna partire dall’idea uomo, che non è quella che ti è stata inculcata con l’educazione. Lo definite, senza prove, animale superiore agli altri esseri animati della Terra. A mio avviso come animale biologico l’equivalenza è totale: lo distingue dagli animali solo la capacità di produrre autodeterminazione. Noi siamo stati gli artefici di un’accelerazione della vostra crescita in tal senso. Senza il nostro incontro probabilmente avreste impiegato altri milioni di anni per arrivare all’attuale livello di conoscenza. Lo scambio fra due diverse coscienze universali, una ancora primitiva, l’altra più evoluta, forse è la conseguenza di un disegno creativo universale. Forse abbiamo forzato eccessivamente i tempi della crescita indicandovi la strada da percorrere, i modi, gli obiettivi da raggiungere.

    - Dunque siete voi gli artefici della nostra confusione … È vero, siamo un po’ confusi. Non riusciamo più a riconoscerci da una generazione all’altra, tanto è rapida la crescita delle conoscenze …

    - Senza il nostro apporto sareste ancora fermi dove vi abbiamo trovato, circa diecimila anni fa secondo il vostro tempo convenzionale. Eravate poco più che animali intelligenti primitivi, con un grado elementare d’immaginazione e creatività, al primo livello di consapevolezza. Vi chiamavate homo sapiens, ma in realtà non sapevate nulla del mondo che vi ospitava, nulla di voi stessi. A proposito di tempo, per capire quanto dirò, dovresti allontanarti da questa misura, spogliarti dai preconcetti sociali che definiscono il tempo biologico, attribuendolo ad ogni essere vivente sulla Terra e fuori. E’ il primo ostacolo che ci separa.

    - Ehi, calmati! Qui non ti seguo. Che c’entra il tempo con questo discorso? E poi, come potrei allontanarmi dall’unico parametro che in qualche modo ci collega alla dimensione spazio? Lo stadio citato da te come momento iniziale del nostro incontro, quando eravamo poco più che animali evoluti, è misurato proprio dal parametro tempo. Che vorresti eliminare …

    - La misura del tempo è il vostro grande handicap. È frutto di una presunzione e di una radicata incapacità ad allontanarvi dalla vostra biologicità. Proviamo ad immaginare un meeting fra tutti gli organismi viventi sulla Terra invitati a definire una comune unità temporale per soddisfare le esigenze di tutte le specie.

    - Un congresso estemporaneo di tutti gli esseri animati?

    - Più o meno. Ovviamente il parametro utilizzato dall’uomo, la sua misura del tempo in minuti, ore, giorni, anni, potrebbe disturbare esseri viventi che durano solo pochi istanti, o pochi giorni, durante i quali manifestano tutte le loro fasi vitali: nascita, riproduzione e morte. Il rapportare la dimensione tempo al proprio ciclo vitale condurrebbe ad una totale incomprensione fra le varie specie viventi. Emergerebbe immediatamente il bisogno di superare lo stretto legame fra tempo convenzionale e ciclo vitale d’ogni essere.

    - Inaccettabile … anche come semplice ipotesi.

    - Cosa potrebbe mai accadere se si cambiasse l’attuale criterio temporale per adottarne uno compatibile con tutte le forme di vita esistenti sulla Terra e fuori? In che modo la nuova misura potrebbe modificare la vostra consapevolezza d’essere uomini?

    - E’ un ragionamento che non capisco per niente. Che cosa c’entra il tempo e la sua misura convenzionale con quanto dici?

    - La convenzione tempo è la chiave di lettura del nostro dialogo. Bisogna che ti liberi da questo concetto limitativo, perché strettamente legato alla durata della vita. Come uomo razionale istintivamente accetti come reale solo ciò che accade nell’arco di tempo a tua disposizione, durante la vita biologica. Collochi tutto dentro questo spazio. La proiezione immaginaria verso il futuro s’infrange davanti al grande muro della morte del corpo. Non va oltre, non può andare. Misuri tutto all’interno di questo limite, entro il quale solo il vissuto recente assume la funzione di certezza e di realtà. Lo stesso vale per il passato remoto...

    Avevo intuito già da bambino che una forte presenza, un Maestro, avrebbe condizionato enormemente la mia vita, ma non fino a questo punto. Sono cresciuto in una famiglia numerosa, dieci figli, ma già dai primi anni scoprii una strana propensione a dire bugie colossali, di quelle incredibili, che ponevano negli adulti seri quesiti sull’equilibrio del bambino loro interlocutore. Andavo dicendo a tutti quelli che mi chiedevano l’età che avevo 3500 anni, senza sapere il perché dell’affermazione. La sentivo autentica e basta! I più sorridevano per il gioioso modo di rispondere, la ritenevano una risposta ironica data ad un adulto che poteva capire l’età del bambino senza fare troppe domande. Invece la mia era una risposta seria, convinta, proveniva dal profondo. Sentivo come vero quanto affermavo, forse come suggerimento scherzoso del Maestro, senza capire il perché di una risposta così bizzarra.

    La presenza di una guida dominante come il Maestro aveva provocato nel mio essere bambino diverse situazioni imbarazzanti per il mio comportamento insolito, soprattutto nella valutazione degli altri. La famiglia in cui crescevo era della media borghesia, che nel dopoguerra stentava a riemergere dalla miseria generalizzata provocata dal difficile momento storico. Mio padre, l’unico che tirava la carretta, aveva un’eccellente abilità nel trasmettere ottimismo e serenità. Era sempre sorridente. Mia madre sorprendeva per la sua capacità nel fare miracoli con i pochi soldi a disposizione. Riusciva con grande fatica ad assicurare il necessario ad una banda di marmocchi, tutti impegnati nello studio. Una famiglia esemplare, almeno agli occhi dei vicini di quartiere, tutti impegnati nel conseguire una formazione culturale più elevata rispetto alla media dell’epoca, collettivamente interpretata come una sfida. La monotonia non era di casa, la vitalità del gruppo era molto chiassosa, la solidità dei rapporti affettivi erano fuori discussione.

    Nonostante questi aspetti positivi, che bene amalgamavano la banda dei miei fratelli, provavo all’epoca una strana sensazione si estraneità, un sentimento di diversità rispetto agli altri familiari. All’esterno della famiglia arrivavo a sostenere, senza tradire emozioni, che non avevo né genitori, né fratelli. Mi presentavo spesso come un orfanello di guerra. Reagivo così tutte le volte che qualcuno chiedeva di chi ero figlio, come se l’informazione fosse l’unico modo per capire il piccolo personaggio e collocarlo in una delle classi sociali dell’epoca. Sentivo che le domande al bambino non servivano per fargli esprimere il suo sé, i suoi pensieri. Odiavo, fin da allora, l’ipocrisia della gente che poneva l’attenzione solo sulla scala sociale. Mi chiedevo perché si formulassero sempre le stesse domande per identificare una persona: che cosa fai nella vita?

    L’identità rappresentava già allora un grande problema personale: chi ero realmente? All’epoca della mia infanzia osservavo soprattutto il comportamento degli adulti per andare oltre il loro modo di presentarsi. Mi domandavo perché l’identità delle persone dovesse passare attraverso una qualificazione professionale, perché gli adulti si presentavano come medico, ingegnere, insegnante, segretario, presidente, fabbro, falegname, pastore, disoccupato, e così via. Così, per superare i dubbi inerenti alla mia identità iniziai ad offrimi come apprendista di tutti i lavori che la mia giovane età consentiva, con o senza il permesso dei genitori. Provai così esperienze di lavoro da meccanico, artista, fotografo e falegname. Sentivo incontenibile il desiderio di compenetrare gli oggetti per sapere come fossero fatti. Ho cominciato così molto presto a smontare tutto ciò che aveva un meccanismo interno, comprese le grandi sveglie di mia madre, per capire come funzionassero. Mi angosciava un costante handicap: non riuscivo mai a rimontare la suoneria!

    Nell’immediato dopoguerra casualmente era approdata in famiglia una radio a valvole, pezzo pregiatissimo per l’epoca. Aveva un solo guasto, il trasformatore della corrente era bruciato. Fino a quel momento l’unica musica che riempiva la casa erano le canzonette che le mie sorelle cantavano durante i lavori domestici. Pur di sentire qualcosa di diverso i miei genitori avevano cercato in tutti i modi di farla riparare, chiamando a consulto amici di famiglia, a detta loro esperti elettrotecnici, senza approdare a risultati concreti. Avvertivamo in casa un senso di frustrazione per il mutismo di quel bellissimo apparecchio costruito solo per rompere il silenzio. Decisi così, con molta presunzione, di affrontare il problema che gli esperti non erano riusciti a risolvere, coinvolgendo mio fratello per condividerne la responsabilità. La nostra era una solida complicità: io promuovevo le marachelle, lui le pigliava da mia madre come responsabile unico dei disastri provocati! La mia faccia d’angelo suggeriva solo innocenza.

    Cominciammo la ricerca del guasto nascosti dietro un letto, per evitare d’essere scoperti in fragrante. Un odore acre di bruciato indirizzò la nostra attenzione sul trasformatore di corrente. Occorreva un saldatore, ma per ragazzini intraprendenti come noi tutto ciò non rappresentava un ostacolo. Il manico metallico di un coltello da cucina, arroventato sul fuoco del fornello a gas, ci consentì di dissaldare i fili, dopo aver annotato ogni

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