Come l'abisso
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Anteprima del libro
Come l'abisso - Mariano Puglisi
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PREFAZIONE
di Marianna Moscarino
Moravia: Ma a questo punto vorrei dire che è molto raro che un libro sia rivoluzionario (diciamo: il Vangelo, il Capitale), ma molto spesso, invece, i libri sono contestativi. La contestazione sta infatti a metà strada tra la critica e la rivoluzione: è più radicale della prima in quanto mette in dubbio la validità delle istituzioni, ma conserva anche un carattere dimostrativo
che le vere rivoluzioni non posseggono1.
Andare oltre la superficie delle cose richiede tempo, dedizione, intelligenza, ma soprattutto un’acuta sensibilità morale. Questa, insieme al coraggio di manifestarsi in pubblica contestazione, diventa trasgressione in un mondo in cui tutto si muove alla stessa velocità attraverso cui una storia di Facebook lascia il posto ad una nuova.
In un mondo narcisistico in cui essere concentrati su sé stessi è la tendenza prevalente, è trasgressione anche la generosità dell’Autore la cui lettura del mondo si offre come salvagente.
Nelle pagine di questo pamphlet, succede un po’ come quando qualcuno ti avvisa di un pericolo che non vedi e urla perché tu ti metta in salvo. Salvarti da cosa? Dalla cecità.
L’urlo dell’Autore inizia tra i post della bacheca Facebook. Mariano Puglisi ha pubblicato una riflessione sulla società contemporanea: sconfortante ma piena di speranza, feroce ma sincera. Ha condiviso un pensiero sull’uomo dei nostri tempi: avvilente ma fiducioso, pessimista ma in un bicchiere mezzo pieno. Ha raccontato una storia d’amore: insicura ma passionale, timorosa ma coraggiosa.
La logica del leggi e scorri
non fa di Facebook la culla ideale per accogliere le acque straripanti di un fiume in piena. Così, l’Autore decide di riportare in un libro i suoi appassionati ed appassionanti pensieri come fossero le pagine di un diario. Si tratta di una selezione dei post pubblicati sul più popolare dei social network nel corso di quasi quattro anni, dal 2016 (anno di iscrizione) ad oggi.
Il trittico che ne risulta rivela una sensibilità critica verso la società, l’essere umano e l’amore, temi molto cari al più famelico ed appassionato lettore che io conosca. Generoso, aggiungerei, perché questo
lavoro è raffinato nel senso proprio del termine, frutto di letture filtrate dalla passione verso qualcosa che non si limita a restare in superficie, bensì sprona ad andare oltre, in profondità, verso abissi intellettuali ed emotivi.
Riflessioni senza filtri, provocazioni e contraddizioni pervadono un’opera che non ambisce a fornire verità assolute, ma che al contrario si pone continuamente in discussione e afferma per poi negare, crede per poi diffidare, riempie per poi svuotare.
Con l’atteggiamento di un maestro ideale, l’Autore sollecita lo spirito critico, crea vuoti per incoraggiare a riempirli, innesca una rivolta con riflessioni che sembrano gridare: È tempo di svegliarsi!
A coronamento di un animato urlo di ribellione c’è la quiete e al contempo l’impetuosità dell’ultima parte del testo, dedicata all’amore, tema intoccabile per l’Autore che decide di riportare solamente le citazioni a lui più care, con un ritmo che smuove la passione con la stessa potenza dell’innamoramento, sconvolge l’anima come la tempesta improvvisa della fine di un amore e, con la stessa forza dell’amore eterno, conquista.
INTRODUZIONE
di Francesca Nicosia
Scrivere un libro è sempre un atto di ribellione.
Una ribellione che si solleva contro qualcosa e a favore di altre.
Scrivere un libro è pungolare l'indifferenza, attentare all'ignoranza, entrare nelle coscienze, partorire idee, generare crepe nel già costituito. È uno squarcio nel nulla.
Soprattutto quando i temi affrontati riguardano l’Uomo: la politica, la società, l’economia, la cultura, l’amore... occasioni per scandagliare i meandri consci e inconsci dell’essere umano e interrogare l’Io, aspettare risposte, e nel frattempo misurare questa attesa con i singulti di volontà protesi all’azione, che, fondamentalmente, svelano chi siamo.
Un libro è un atto di ribellione perché annienta l’eventualità di non provare a cambiare il mondo con le parole, che portano con loro un apparato di significati e di simboli che da sempre ri-creano e re-interpretano continuamente il mondo e la vita e la loro rappresentazione.
Ed è proprio questa la prospettiva prescelta dall’Autore di codesto pamphlet.
Quale apparato di simboli e di significati sta generando l’homo felix di oggi nell’era globalizzata, consumistica, ipertecnologica, populista e autoritaria al tempo stesso, neocolonialista, efficientistica e narcisista?
Nella società liquida (come direbbe Bauman), che fa della velocità della comunicazione il nuovo must a prescindere dalla autenticità e che attenta al per-durare persino dei sentimenti, l’uomo è davvero consapevole e dunque libero di ri-creare il reale con un sistema interpretativo di senso o ne è schiacciato e subisce un meccanismo perverso che è alimentato dalla passività del soggetto (non) pensante?
Questa è l’era in cui l’homo faber (suae quisque fortunae) di appiana memoria è diventato homo fabricatus, l’uomo prodotto, mercificato e consumato come un oggetto qualsiasi nel mercato globale della società liquida, in cui la reificazione è perennemente o in atto o in agguato, anche e soprattutto nei confronti della donna, che, nel peggiore dei casi, compiacente, rischia di essere considerata solo oggetto di consumo sessuale.
Allora sorgono delle domande: quello che meccanismi astratti attivano e alimentano in nome del progresso o del profitto, è ciò che il singolo Io vuole per il raggiungimento della (vera) felicità o, almeno, della sua realizzazione nella vita? Ha consapevolezza di ciò? E, non da ultimo, accettando passivamente il vortice vizioso che lo consuma, l’Io cosa guadagna? Cosa perde?
Oggi si è ormai consolidato il processo di spaesamento dell’uomo, spaesamento che ha radici nel decentramento caotico del cosmo in seguito alle scoperte astronomiche per arrivare al relativismo delle conoscenze o, addirittura al nichilismo esistenziale.
Il tracollo dei millenari o secolari sistemi magni di certezze ottimistiche e di speranze dell’Occidente ha lasciato lentamente (?) lo spazio vitale ad una società che è permeata da una libertà apparente che, associata spesso all'irresponsabilità e all’anarchia, genera un senso di insicurezza e di precarietà e, di conseguenza, frustrazione.
Il futuro non è più promessa messianica o realizzazione professionale, non è latore di salvezza religiosa (il Paradiso) o laica (tramite le scoperte scientifiche o tecniche) ed è vissuto come minaccia.
Nel presente viene meno il riconoscersi confortante in una decisa e fervente identità di gruppo religiosa o politica (come accadeva in un passato poi neanche tanto lontano) e l’individuo, spesso non riconosciuto se non come oggetto, cade nell’esasperato individualismo narcisistico, esibizionista e tornacontista e, concentrato famelicamente a bruciare l'hic et nunc assoluto in una solitudine arida e diffidente verso l’Altro, tende ad allentare sempre più le maglie solidali delle relazioni nella società, in cui l’unica forma di integrazione e di riconoscimento sociale sembra essere l’omologazione e il conformismo.
La politica o, meglio, un certo tipo di politica asservita e fagogitata dagli interessi della finanza nazionale e internazionale, lontani dai reali bisogni del cittadino, viene nel pamphlet tirata in causa e interrogata sulle sue responsabilità. Un veloce zoom sull’Italia pone inquietanti domande sulla passività dei cittadini che, inermi, subiscono il perpetrarsi di ingiustizie e contraddizioni di Stato.
Le fisiologiche crisi esistenziali del singolo individuo si innestano così in una crisi culturale ben più vasta e strutturata, che sembra negare un orizzonte di senso. E quali soggetti sono più vulnerabili alle crisi se non i giovani e i