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I Giardini dell'Anima
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E-book247 pagine3 ore

I Giardini dell'Anima

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Info su questo ebook

Salvatore vive la sua adolescenza, all’inizio degli anni 90, in una piccola borgata immersa nel verde delle campagne di una cittadina dell’entroterra siciliano: Caltanissetta.
In perfetta simbiosi con i paesaggi campali che lo circondano diviene narratore di se stesso e pittore di ciò che sente e rappresenta , guidandoci alla ricerca dei veri sentimenti.
Profondamente dedicato alla passione per la letteratura definisce la sua camera “un laboratorio letterario” dove quotidianamente ci fa incontrare con i suoi autori preferiti. Si trastulla per la freddezza dell’uomo e la sua incapacità di amare. Comincia a porsi mille domande sulla natura dell’uomo ed i suoi comportamenti ma non trovando risposte continua la sua spasmodica ricerca: manca l’ultimo pezzo del puzzle della sua vita, quello che la maggior parte degli uomini non riesce a trovare con facilità.
Si incontra con Maria e scoprono di avere tante cose in comune. La sua dolcezza e la sua innocenza trasportano Salvatore in una nuova dimensione: l’amore. Ecco il tassello mancante, adesso tutto è più chiaro, scopre cosa vuol dire avere il batticuore, innamorarsi e desiderare una donna fino al punto di volerla tutta per se. Comincia a sentirsi un uomo completo, però non aveva fatto i conti con il suo immediato futuro: arriva la visita per il servizio militare e l’idea di allontanarsi da Maria lo fa star male.
Si susseguono suggestivi momenti di vita serafica e improvvise difficoltà per i personaggi della borgata.
Filo conduttore di tutto il romanzo è il sacerdote della chiesetta della borgata, padre Vincenzo che, da buon pastore, guida con parsimoniosa diligenza le anime del suo gregge.
Qualcosa non va per il verso giusto e Salvatore deve salire sul treno che lo terrà lontano dal suo amore per un anno. Subito dopo la partenza una terribile disgrazia si abbatte sul destino di Salvatore che torna nella sua città disperato. Ancorato nello sconforto giunge un’altra brutta notizia: dovrà dire addio alla sua adorata nonna materna, un breve saluto ma di una immane importanza. Adesso che ha conosciuto il dolore dovrà trovare le forze per andare avanti e riprogrammare la sua vita.

Nella stesura del testo sono i personaggi a presentarsi come narratori delle proprie vicende usando talvolta colorite espressioni dialettali siciliane.
LinguaItaliano
Data di uscita23 ago 2014
ISBN9786050318258
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    Anteprima del libro

    I Giardini dell'Anima - Salvatore Litrico

    l’Eden.

    Capitolo primo

    Il sole batteva radioso sul muro della camera e come ogni mattina le campane della chiesa mi avevano svegliato: stiracchiandomi tra le lenzuola di fresco cotone salutavo il nuovo giorno.

    Dal balcone vedevo mia madre indaffarata a stendere la biancheria.

    <> le gridai.

    <> rispose alzando lo sguardo mentre il sole le si poggiava sul viso.

    Padre Vincenzo è il parroco della nostra piccola chiesa che, immersa nel verde della Borgata Prestianni, dista da Caltanissetta appena dodici chilometri; è di pietra antica e il grande Crocifisso in cima alla facciata centrale pare ci guardi tutti.

    Mia madre è molto legata a quell’uomo.

    Conosce la storia di ogni famiglia che abita queste grandi campagne, di tutte le valli intorno e delle nude pietre che confortano i percorsi delle vacche e delle pecore quando vanno al pascolo.

    Anche lui ha imparato ad amare il buon sapore del latte pastorizzato che ci scalda e ci rincuora fin dalle prime ore del mattino quando i nostri pastori, con in spalla il sacco con dentro il "companaggio", son pronti per andar a pascolar gli armenti.

    <>

    Avremo poca acqua questa estate e bisognerà fare economia.

    <A pinsarici mi veni di ridiri.>>

    <> le chiesi divertito.

    <>

    Ridemmo entrambi come fanno i bambini quando sanno di aver commesso una burla.

    Il profumo della biancheria pulita arrivava fin su nel balcone della mia camera ed era piacevole sentirne la fragranza.

    Mi piaceva osservare i suoi gesti metodici: quando finiva di stendere i panni si asciugava le mani su quel vecchio pezzo di stoffa sfilacciato dai colori un po’pavidi. Ogni volta che lavava quel grembiule ripeteva nostalgicamente che era un ricordo di sua madre e non le importava mica se abbisognava di qualche rammendatura: era così che lo voleva.

    Il "panaro" con le mollette, lo adagiava sempre lì, sotto la pianta di alloro, fiero dei suoi rami rigogliosi poi, rialzandosi, ammirava le colline di fronte prospere di spighe di grano.

    Chi viene dalla città, superata la curva della fontana, ha davanti agli occhi uno splendido dipinto: i cipressi che corrono ordinati ai cigli della strada e gli ulivi che, congiungendo le valli intorno come fossero le grandi ali di un’aquila, avvolgono l’intera Borgata.

    Come non pensare ad una felice giornata campale ohimè un tempo trascorsa e mai dimenticata?

    Non si può rimanere indifferenti ad una mera espressione laconica di un vecchio mondo arcaico ed evanescente.

    Questi sentimenti fanno vibrare il cuore; dagli argini primitivi del corpo parte un sospiro che libera le energie negative affastellate, poi, come un riflesso incondizionato, si inspira l’aria nuova, espansa di fieno e ricca del fresco sapore della zagara.

                                                                                                                                 Ω

    Sul retro della casa mio padre stava uscendo dal pollaio con i calzoni trattenuti da un paio di bretelle rosse e gli stivaloni zuppi di letame, fiero del suo lavoro fatto con tanto amore e tanta cura per gli animali. Porgeva a mia madre delle uova fresche ancora calde, e avvicinandosi le chiese se avesse potuto cucinargli la sua frittata preferita e fu divertente sentirglielo dire a quel modo: <>

    Dalla smorfia che colsi sul viso di mio padre ebbi la netta impressione che stesse già gustandola.

    Lei, raccolse il grembiule per ricevere le uova, entrò in casa e le ripose nel cesto di paglia sulla vecchia credenza di fronte la tavola.

    Soddisfatto continuò il suo lavoro andando su e giù per il terreno, doveva prendersi cura dei suoi alberi. Toccava delicatamente le foglie, i rami, poi poggiava sul tronco di ogni albero il palmo della mano per mostrargli la sua riconoscenza ed il suo amore.

    Ogni volta che indossava quei pantaloni mi chiedevo sempre da dove li avesse presi, non per le toppe di cui erano stracolmi, ma era il modello che mi stuzzicava curiosità; un giorno glielo chiesi e lui ridendo mi rispose che prima o poi mi avrebbe raccontato la storia.

    Non contento, entrai in casa e feci la stessa domanda a mia madre. Pensierosa fissò per un attimo le sue mani, le portò con se nel petto e col capo chino verso il pavimento mi raccontò di una felice giornata, di circa vent’anni fa, trascorsa tra amici in un vecchio casolare …..

    <

    Al centro della piazzetta c’era un grande tavolo di legno che, adornato con una splendida tovaglia di pizzo macramè, avevamo imbandito di appetitose pietanze e calici colmi di vino rosso. Quando tuo padre vede vino e frittate "nun ci vidi cchiù" arraffa un pezzo dietro l’altro, poi della ricotta, olive verdi, pane a volontà... "si inchiu la guaddera, poi ci calau lu sonnu e si curcau sutta ‘n’ arbulu d’ulivu.>>

    <>

    <

    Antonio, buonanima, patri di donna Cettina che voleva un gran bene a to patri, andò di corsa nella legnaia e uscì fuori con in mano un paio di vecchi pantaloni che usava pi travagghiari e ci dissi: nun ti preoccupari ‘nfilati chissi.>>

    Conoscevo mio padre, ma non pensavo che fosse stato così anche da giovane.

    Lasciai mia madre in cucina mentre sorrideva ancora e salii in camera mia.

    È un po’ piccola ma confortevole, mia madre si lamenta sempre quando deve pulirla. La parte più faticosa è la libreria: toglie tutti i libri dalle mensole, e dopo averli spolverati per bene li ripone a casaccio. Più volte le ho detto che vorrei farlo io, non voglio scombinato l’ordine alfabetico in cui sono catalogati, per autore intendo, altrimenti poi non so più raccapezzarmi. Se sono in casa sbruffa e mi dice che non è una camera adatta ad un ragazzo della mia età, ci sono troppi libri.

    È il mio rifugio, un laboratorio di pensieri che, in simbiosi con il mio senno, nutre la mia mente dell’erudito sapere dell’età classica, neoclassica, rinascimentale, verista, decadentista.

    Avevo appena finito di leggere l’ultimo capitolo del libro "Siddharta, scritto da Hermann Hesse, lo chiusi e lo tenni ancora un attimo fra le mie stesse mani per gustare quanto mi aveva trasmesso: mi trovavo al di là dei confini dell’essere uomo", faccia a faccia con il mio ego. È uno di quei libri che ti lascia qualcosa dentro, segna profondamente la carne e lascia una cicatrice indelebile perché mette a confronto l’uomo con una nuda realtà: la sua storia, presente e passata, senza più riuscire a discernere via di fuga.

    Concentrato negli ultimi pensieri, sentii germogliare dentro di me una forza evanescente, ricca e florida; avevo svelato il segreto di un enigma contrapposto alla stessa vita, celato tra le righe di quel racconto: l’anima cresce quanto più lo spirito si arricchisce di esperienze parsimoniose e passionali.

    Lo riposi con cura nella mia piccola biblioteca, mi affacciai al balcone e guardando all’orizzonte vidi cielo e terra toccarsi in un sol punto: meditando sulle angosce dell’uomo, angosce di Siddharta, pensai tra me:-"un giorno anch’io scriverò un libro, non importa se avrà successo, quel che voglio è che la gente possa condividere i miei pensieri, i miei sentimenti"-.

    <>,gridò mia madre dalla cucina interrompendo freddamente i miei pensieri.

    Le risposi che sarei andato a prenderlo nel tardo pomeriggio e mio padre, che nel frattempo era rientrato in casa, intervenendo, disse:<>

    Gli chiesi come mai prendessimo sempre lo stesso formaggio e sempre dal signor Lombardi. Lui con voce altisonante mi rispose: <<Avanti u tintu saputu ca u buonu a sapìri, u signor Lombardi ti duna ‘na pezza bbona; si ci va di sira c’è so frati, ascutami, vacci prestu, ora lavati i manu e assettati a tavola ca è pronto pi mangiari.>>

    Nonostante ha il viso un po’ accigliato non è un padre autoritario; dice sempre che il rispetto è uno dei valori più importanti della vita. I suoi capelli sono duri come la corteccia degli alberi e gli occhi hanno il colore della terra bagnata.

    Tutti gli uomini che vivono in campagna infondo sono così, ma hanno un cuore grande, buono e generoso. I loro occhi trasudano le fatiche del duro lavoro, parlano con il sole, lo si legge dalla profondità delle rughe che hanno incise sul volto.

    Durante il pranzo i miei discutevano sul prezzo del grano, se fosse questa un’annata buona o scarsa; mio padre ogni tanto smetteva di parlare, mi fissava aspettando che dicessi qualcosa ed io, disinteressato, gli rispondevo che era giusto quello che pensava lui. Avevo altro per la testa, la ragione era offuscata da uno strano stato d’animo; a volte i miei pensieri mi rendevano malinconico, altre volte mi incitavano come un cavallo imbizzarrito.

    Pensavo alle grandi città, cosa avrei provato nel vedere grandi strade, bei palazzi, monumenti storici. Forse avrei dovuto evadere per un po’ dal contesto in cui vivevo? Ero alla ricerca di qualcosa, la mia colonna vertebrale non era perfetta, aveva un anello mancante.

    Più guardavo le mie colline, i miei alberi, la mia campagna e più capivo che non mi bastava conoscere ciò che già amavo. Cominciavo ad avere interesse per tutto ciò che potesse rappresentare un limite, un confine sia di spazio che di tempo.

    <>

    <>, risposi a mia madre.

    Li lasciai tranquilli ai loro discorsi, sapevano che dopo pranzo facevo sempre un giro per la campagna.

    <<Leggi troppi libri figlio mio, ti riempiono la zucca dei problemi degli altri, ti confondono e ti fanno perdere la testa>>, urlò mio padre dalla cucina vedendomi uscire di casa.

    Non gli risposi, non per mancargli di rispetto ma perché ero sicuro che infondo non aveva tutti i torti. Mi fermai un attimo sull’uscio fissando con garbo un gattino rossiccio che bagnava con la lingua le zampette e poi le strofinava dolcemente sul viso.

    <> insistette ancora mia madre chiamandomi dalla finestra della cucina.

    <>.

    Mentre pedalavo giù per la discesa pensai che a volte ha ragione mio padre, quando leggo un libro entro in un’altra dimensione, ne vivo la storia rigo per rigo. Passo giorni e giorni chiuso nella mia stanza, giusto il tempo per mangiare qualcosa, fare la passeggiata con la bici e poi mi tuffo nuovamente tra i pensieri e i racconti dell’autore di turno.

    Così non va! Dovrò dare spazio ad altre emozioni.

    Per strada incontrai Giuseppe Mancuso, figlio di Saro il pastore, ogni pomeriggio a quell’ora della giornata prende l’acqua dalla fontana.

    Quelli della borgata ci conosciamo tutti, qualche famiglia abita un po’ più su qualcun’altra un po’ più giù. Non so di sicuro che età abbia la borgata, ma come lo è segreta per una bella donna allo stesso modo credo lo sia per essa, ed è custodita dalle stesse pietre che la compongono.

    Quando accade qualcosa, se ne parla per giorni e giorni, tutti chiacchierano, bisbigliano di comare in comare, perfino tra gli armenti nelle stalle, finché diviene cosa di tutti.

    Quando arrivo alla fontana mi giro sempre verso il borgo, da qui, quasi in collina, è bello vederlo: è come se fosse la cartolina di un bel presepio vivente.

    Tutto il giorno ci tengono compagnia i muggiti delle mucche di Saro, il belare delle pecore, le grida dei bambini che giocano allegramente per strada: ogni tanto un bimbo piange e spaventata la madre corre gridando:Gesuzzu, chi ti facisti figghiu miu? e poi, rialzatosi illeso, schizza via rincorrendo le anatre libere nel piazzale che beccano di qua e di là qualche chicco di grano.

    La vita scorre agevole tra queste verdi colline, colorate dai fiori degli oleandri, della zagara degli ulivi, sempre ricca degli aromi inebrianti della terra.

    Ma si può vivere solo di questo?

    Tra le spighe di grano vidi camminare verso di me Padre Vincenzo.

    <Fatti taliari, quantu si fattu!>>

    <> gli risposi mentre avevo fermato la bicicletta.

    Mi abbracciò come fossi stato uno dei suoi figli più cari che partito per lavoro ora era di ritorno.

    Ci accostammo al ciglio della strada animando chiacchiere tranquille; in quel preciso istante passò Aldo con un rimorchio pieno di paglia e ci salutò allegramente. Tra un giro e l’altro delle ruote cadeva un po’ di fieno ed era bello vedere stizze di giallo ravvivare il grigio della strada.

    Mi aveva messo una mano sulla spalla, adesso il tono della sua voce non era più dolce e rassicurante: mi rimproverava del fatto che non riuscissi a trovare un po’ di spazio per nostro Signore.

    <>.

    <> <> gli risposi <>

    <, uomo di cultura, ma tu ‘nci dari cuntu, su scimuniti.>>

    Rimasi un po’ male sapendo della ngiuria che mi avevano affibbiato, ero sicuramente diverso dagli altri ragazzi, ma libero di vivere la mia età nel modo che volevo.

    <>.

    <<È più forte di me Padre, mi affascina scrutare i pensieri dei grandi scrittori, filosofi e studiare le diverse culture della nostra terra. Non ci rendiamo conto che il mondo è immenso ed è abitato da milioni di persone, non dai soli uomini della Borgata>>.

    Annuì col capo dicendomi che spesso anch’egli era provato da questi mistici pensieri.

    <> disse mentre indicava un punto ai miei occhi lontanissimo, <>.

    Che parola stupenda aveva pronunciato.

    <>.

    <>

    <<È una lotta continua, ogni giorno devi vedertela con la miseria, la fame e le malattie.

    "Bouar, così si chiamava quel piccolo numero di casette che si trova a 450 chilometri a nord ovest di Bangui", una delle cittadine più povere del paese; il villaggio poteva ospitare circa 100 bambini, c’erano ricordo delle case famiglia, un asilo, una scuola primaria ed un centro medico. I bambini giocano per strada con dei bastoni, con delle pietre, rincorrono i sassolini, lanciano per aria le foglie degli alberi come fossero degli aquiloni.

    Nonostante parlino francese riescono a farsi capire, sono degli angeli affettuosissimi; quando ti vedono per la prima volta vengono tutti vicino, e con le piccole mani alzate vogliono accarezzarti. Per darti il benvenuto offrono in dono il loro splendido sorriso.

    Io per loro ero il maestro che cercava a tutti i costi di insegnare loro a leggere e a scrivere; questo però era l’aspetto più bello del mio lavoro. L’altro mio compito era quello di riuscire a portare in quel villaggio medicine, farina, era difficile trovare perfino dell’acqua potabile.

    Vedendo tutta quella miseria e quelle sofferenze, l’entusiasmo e l’eccitazione del missionario passano in fretta, ti rendi conto che il male più grande è l’indifferenza dei ricchi e dei potenti del mondo.

    I bambini hanno lo stomaco molto gonfio e non perché hanno mangiato tanto anzi tutt’altro, è una malattia che si chiama Kwashiorkor o marasma infantile, causata da una dieta estremamente povera di proteine. Il fegato non produce le albumine, e di conseguenza si viene a creare un accumulo di liquidi extracellulare nell’addome, me lo ha spiegato il medico del campo.

    Il fegato si ingrossa originando un’epatomegalia che contribuisce a distendere l’addome; come se tutto ciò non bastasse, acqua e cibo sono pieni di batteri e virus, che causano un gonfiamento della pancia e forti dolori allo stomaco>>.

    <>

    <>.

    Andò via lasciandomi con quei brutti pensieri per la testa, non feci in tempo ad alzar lo sguardo che già era abbondantemente lontano.

    Salii sulla bici e ripresi a pedalare pensando a quanto mi aveva raccontato il prete, a quei poveri bambini vittime innocenti di una crudele posizione geografica, mentre le spighe di grano dolcemente mi carezzavano le ginocchia.

    Ero fermo sulla collina davanti il cancello della famiglia Lombardi, ammiravo l’antico caseggiato quando, improvvisamente vidi venirmi incontro due

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