Oltre la vita
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Ferita dall’abbandono di lui, la donna porta ancora le cicatrici di quel rapporto difficile, del senso di inadeguatezza di fronte alle aspettative del padre, e l’incontro onirico diventa un momento di confronto, di uno scambio dialogico che ha il sapore della sfida. Di fronte all’uomo che confessa rimorsi e rimpianti, però, l’astio si affievolisce, si supera la voglia di giudicare e, dopo il tempo del rancore, arriva il tempo del perdono. Perdono che rappresenta un conforto terreno per la donna, ma anche la consapevolezza che, oltre la vita, tutto ciò che non è accaduto nella realtà materiale può diventare possibile in quella spirituale.
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Anteprima del libro
Oltre la vita - Daniela Vasarri
I
Odio il mese di ottobre. Lo odio tanto quanto amo il mese in cui sono nata.
Era sera, il sole, ancora visibile stava scomparendo nel naviglio e tu mi hai tenuta in braccio. Non me lo hanno detto e non lo ricordo, ma anche se non ero chi ti attendevi, anche in quel momento ti sei sentito un poco protagonista. Ti è sempre piaciuto recitare la parte del primo attore. Quelle bellissime mani, dalla presa sicura, si saranno mosse come imbarazzate nel tentare di tenermi e non far cadere quei due chili scarsi della tua prima creazione.
In ottobre la natura si prepara, si spoglia e, silenziosa, va incontro al sonno.
E anche oggi, come ogni sera, mi preparo, mi spoglio, mi tolgo i colori dal viso e, silenziosa, inizio a chiudere gli occhi con la speranza di svegliarmi domattina. Un ripasso d’obbligo alle ore trascorse, per essere certa di non aver tralasciato nulla, nemmeno le preghiere che non recito più. Voglio solo pensarti in armonia.
Dove ora vi trovate, possiate vivere senza conflitti, in uno stato di pace perenne, magari vicino a chi ti ha osteggiato, ti ha maledetto quando eri un corpo, un bellissimo corpo maschile.
Eri mio padre.
In questi ultimi anni, di notte vivo una veglia sopita, sempre pronta ad ascoltare me stessa, ma anche a cogliere un qualunque fruscio esterno.
Ti ci abitui sai dopo che hai avuto un figlio. Rimpiangi però quei lunghi sonni che facevi da adolescente, quando ti alzavi tardi la mattina.
E tu com’eri?
Giovane certamente, un tempo gli uomini giovani si comportavano come fossero già maturi. Eh sì, dalle foto parevi un adulto, davvero.
Mi rimane il primo sonno ancora simile a quello di un tempo, corposo e intenso, che offre una maggiore soddisfazione e un riposo certo.
Ti penso, non sempre, ma ti penso spesso e più passano i mesi più mi avvicino a te. Ti incontrerò mai?
Mi sistemo, dopo aver esplorato le pieghe fresche tra le lenzuola, fino a che il mio corpo, dotato di buona memoria e di sana abitudine, si adagia in quella che è la posizione collaudata e sicura per lasciare la consapevolezza ed entrare nell’ignoto.
Il bello qui è che non esiste la misurazione del tempo, non so quindi distinguere quanto lunga sia la strada per raggiungere l’altra dimensione, mi accorgo solo di essere più pesante nelle membra e infinitamente più leggera dai pensieri.
Un salto. Un salto verso l’ignoto.
Quanta confusione, pare una festa di paese notturna; qui però le luci sono poche, intravedo ombre, sagome, nessun oggetto, ma solo grandi piante e piccoli arbusti dai colori intensi, tutte le tonalità dell’ocra e del verde, credi di camminarvi sopra, ma non sento foglie o rami, mi basta osservare un luogo per esserci
Proseguo, recandomi ovunque posi lo sguardo.
Prima a destra, poi a sinistra, indietreggio e avanzo al minimo cenno degli occhi.
Chi sono quelle ombre di cui non distinguo i tratti, di cui non percepisco la sagoma o l’odore?
Insisto nel tentare di dar loro una forma, di riconoscere qualcuno o qualcosa, ma mi passano accanto, leggere, impalpabili. Avverto che alcune mi scrutano, ma non si fermano, come se non mi ritenessero interessante, come se fossi diversa.
Di alcune percepisco una sorta di ostilità.
Vorrei fermare qualcuno e chiedere dove mi trovo, ma nessuno sembra disposto ad ascoltarmi.
Che insolita festa notturna è mai questa? Malgrado l’oscurità, non provo alcun timore, sono affascinata dalla quiete che molti emanano, continuo quella ricerca per capire dove mi trovo e perché.
«Prosegui, non temere» mi appare sulla destra, poco più in alto, un globo luminoso dal quale proviene quel consiglio sussurrato.
Le luci simili a iridescenze lunari, si fanno più frequenti.
Le sagome appaiono ora più simili a me, meno fugaci e meno eteree.
Una grande pace mi sostiene.
Non odo voci o rumori, eppure avverto un biascicare lungo e sommesso, di cui non distinguo l’origine.
Sempre più incuriosita, mi sposto e tendo l’orecchio, senza indietreggiare.
Ormai le luci superano l’oscurità iniziale, le sagome procedono più lentamente, borbottando in una lingua di cui ancora non riconosco le parole.
Il mio incedere incuriosito è via via più sicuro, faccio attenzione a non urtare le forme che incontro.
Nessuno mi conosce, nessuno si ferma, ma io ora decido di non chiedere, perché inizio a sentirmi tranquilla in questo paesaggio surreale.
Loro avanzano, mi superano, ma io di nuovo li raggiungo e proseguo verso una meta ignota. Come in un museo, dove immagini su tela si susseguono e tu non conosci il percorso, ma intuisci che sei prossima al capolavoro, all’opera più importante, al motivo per cui sei entrata in quella kermesse di figure.
Ho un sussulto: non può essere vero, non voglio crederci, mi sto sbagliando, sto vaneggiando. Che scherzo mi sta giocando la nostalgia, che crudeltà pensare che tu sia ancora visibile.
Mi giro e vedo il mio corpo dormire nel letto, mentre io sono qua.
Mi fissi. Non sembri stupito di avere di fronte tua figlia, la tua primogenita, che non vedevi più da tempo immemorabile.
Come puoi avermi riconosciuta? Ho fattezze adulte, direi più che mature, i grandi occhi che assomigliavano ai tuoi ora sono molto più serrati, nel tentativo costante di mettere a fuoco il mondo esterno.
Eppure tu avanzi con calma, passo dopo passo,