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Il ricordo di te
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E-book169 pagine2 ore

Il ricordo di te

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Info su questo ebook

Rebecca ha fatto la scelta sbagliata e ora si ritrova a pagarne le conseguenze. Dopo aver messo a rischio la sua incolumità e aver perso gran parte dei suoi ricordi, si rende conto che l'unica mano amica che può tirarla fuori dal buio della sua mente è quella del detective Sanchez. Sarà lui ad aiutarla con i ricordi. Come? Iniziando a raccontare qualcosa di sé, qualcosa che possa aiutarla a conoscerlo e a distrarsi dalle mille domande a cui non riesce a dare una risposta. La vicinanza del bel detective, però, metterà Rebecca in difficoltà e, nel momento in cui lei crederà di poter ripartire da zero, qualcosa di atroce stravolgerà nuovamente la sua vita e il passato tornerà a bussare alla sua porta, strappandole dalle mani il presente e mettendola di fronte ad una scelta a cui potrà rispondere solo il suo cuore: sfuggire alla morte o correrle incontro? Sarà proprio grazie alla sua decisione coraggiosa che Becca scoprirà com'è arrivata fin lì e perché non è mai stata realmente sola.
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2019
ISBN9788827866948
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    Anteprima del libro

    Il ricordo di te - Allis B.

    Ringraziamenti

    Allis B.

    IL RICORDO DI TE

    Questo romanzo è un’opera di fantasia che contiene riferimenti a fatti storici realmente accaduti. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o sono stati usati in modo fittizio.

    Foto di copertina : Zach Allia

    Model : Charly Jordan

    Con tutto il mio cuore, a chi non ha

    mai smesso di credere in me.

    Alla mia famiglia ed ai miei amici, senza voi

    non esisterebbe questa avventura.

    PROLOGO

    Luglio 2011

    Non ero più la Rebecca di una volta.

    O almeno, non ero più la Rebecca di pochi anni prima.

    La Rebecca sorridente e disponibile che aiutava gli anziani della casa accanto a sistemare le aiuole, quella che aiutava i figli dei vicini con le ripetizioni di geografia o quella che sognava di viaggiare per il mondo alla ricerca del luogo perfetto dove passare il resto della vita.

    No, non ero più la stessa.

    Ero cambiata e non per mia volontà.

    Ora restavo chiusa in casa per ventiquattro ore al giorno. Non potevo più aiutare gli anziani con il giardinaggio o in cucina, no. Lui aveva deciso che dovevo smettere, poiché piegandomi per sistemare i fiori avrei potuto scoprirmi la schiena o vedendomi impugnare una frusta per preparare le crema, qualcuno avrebbe potuto fare allusioni sessuali e sarebbe stato riprovevole.

    Non potevo più fare ripetizioni ai figli dei vicini, no. Lui aveva deciso che quel ragazzo adorabile che consideravo un fratello minore era cresciuto e che, a quindici anni, avrebbe potuto trovarmi attraente. E anche suo padre avrebbe potuto pensare cosa sbagliate vedendomi in casa propria troppo spesso.

    Viaggiare? Non ci pensavo nemmeno più. Mi era vietato uscire anche solo nel cortile di casa mia, ormai. Poter prendere un aereo era un sogno infranto già da tempo.

    Se cinque anni prima avessi saputo come sarebbe stata la mia vita, probabilmente mi sarei imbarcata sul primo volo a disposizione e sarei fuggita il più lontano possibile. Ma non era andata così.

    Pur sapendo, in un angolo del mio cuore, che quella relazione non avrebbe portato a nulla di buono, avevo continuato a vederlo. Anzi: avevo iniziato a vederlo.

    Sì, perché lui aveva già una lunga nomina pronta a precederlo, ma il mio stupido sentirmi crocerossina aveva ignorato ogni campanello d’allarme accesosi nei mesi di frequentazione dopo i quali lui aveva deciso di venire a vivere da me.

    L’idea mi aveva elettrizzata fin dal principio. Ero giovane e ad appena diciotto anni non si capiscono molte cose: soprattutto quelle ovvie.

    Poche settimane dopo essersi trasferito nella casa che i miei genitori avevano scelto per me, notai dei cambiamenti nel suo umore. Era spesso nervoso ed iroso nei miei confronti e, nonostante io non gli dessi alcun motivo per perdere le staffe, le discussioni si facevano sempre più presenti. Passai sopra ad alcuni atteggiamenti del tutto sbagliati, convinta che comportandomi meglio e chiedendo meno, il suo umore sarebbe migliorato.

    Sbagliavo.

    Le settimane divennero mesi e il suo odio nei miei confronti sembrò sovrastare quello che fino a poco tempo prima era sembrato amore.

    Capii in cosa mi ero cacciata una sera di Luglio.

    Il caldo era soffocante sia dentro che fuori casa e il nostro condizionatore continuava a non funzionare; anzi. Accenderlo avrebbe significato un’ondata di aria bollente sparata proprio contro il tavolo del soggiorno, ed era l’ultima cosa che avrei voluto.

    «Dovremmo far riparare quell’aggeggio.» Dissi con tono pacato mentre portavo a tavola l’arrosto con patate al forno che avevo preparato per pranzo.

    «Non ho tempo.» Tagliò corto lui.

    Riempii il suo piatto, poi misi una fettina di arrosto nel mio, contornata da cinque cubetti di patate. Ultimamente odiava vedermi mangiare troppo. «Non devi farlo per forza tu.» Mi sedetti al suo fianco e gli riempii il bicchiere di vino rosso. Il suo preferito.

    «E chi può farlo se non io?»

    Masticai lentamente un boccone prima di rispondere. «Qualcuno.» Sussurrai.

    «Vuoi un uomo dentro casa nostra? Vuoi che un altro faccia queste cose per potermi additare come un pessimo compagno, non è vero?»

    Avvertendo la collera nella sua voce, finsi disinteresse e scossi semplicemente la testa. Quando la sedia stridette sul pavimento, strinsi gli occhi, pronta a ricevere ciò che avevo meritato.

    «Sei la solita sgualdrina. Chi vorresti entrasse in casa mia? Hai già un’idea, ne sono certo.»

    Scossi di nuovo la testa, deglutendo spaventata.

    «Nessuno entrerà mai qui dentro. Sono l’unico che può varcare quella soglia. Ci siamo capiti?»

    Annuii. «Scusami.»

    «Sei fatta così, cosa posso aspettarmi da te? Ricordo come ti comportavi prima di conoscere me, quindi è un po’ anche colpa mia questa situazione.»

    Alzai lo sguardo e lo vidi appoggiarsi allo schienale della sedia con gli avambracci.

    «In che senso?» Domandai con un filo di voce.

    «Eri quello che sei ora. Ti fiondavi su chiunque ti desse un minimo di attenzione. Sbaglio?»

    Sì, sbagli.

    Avevo avuto un solo ragazzo prima di lui, ed era stato totalmente diverso. Mi aveva sempre amata e rispettata, consentendomi di crescere come donna e come compagna al suo fianco.

    «No, hai ragione.»

    Sentii il suo corpo sciogliersi. Aveva avuto quel che desiderava: farmi sentire sbagliata. «Non hai bisogno che quel coso funzioni. Non è poi così caldo qui.»

    Nella mia mente sperai scherzasse. Si erano superati i trentotto gradi quel giorno a Tucson e di certo non ero solo io a sentire caldo dato che anche la sua fronte era imperlata di sudore. Mi guardò sbuffando un’ultima volta, si accese una sigaretta ed uscì a fumare in giardino.

    Continuavo a sentirmi la protagonista di un film, o dell’incubo di qualcuno.

    Durante la notte mi capitava di svegliarmi dopo averlo sognato mentre mi uccideva nei modi più svariati, ma c’era una modalità che ricorreva più spesso di altre: il soffocamento.

    Sì, perché lui mi aveva tolto la libertà, la parola, ed era un po’ come se mi stesse soffocando lentamente fra le mura della mia stessa casa.

    Non sapevo come fosse accaduto. Ero una ragazza così innamorata della vita, prima.

    Quando ero ancora al liceo vivevo di sensazioni intense, la mia filantropia mi aveva portata con gli anni a conoscere centinaia di persone diverse e molte, col tempo, avevano chiesto aiuto a me per ritrovarsi. Pensavo costantemente agli altri, a volte tralasciando un po’ me stessa, ma era quella la parte più appassionante della mia vita. Non vivevo per trovare l’amore – infatti era stato l’amore a trovare me – io vivevo per aiutare gli altri a capire se stessi e il mondo che li circondava. Avrei tanto voluto studiare psicologia criminale, ma quando conobbi lui, tutti i miei interessi finirono diretti nel dimenticatoio. Mi convinsi che lui aveva bisogno di me più di chiunque altro e che avrei dovuto donargli la totalità del mio tempo.

    Raccontò i problemi della sua famiglia, i litigi con suo padre e le difficoltà di relazione che lo avevano afflitto fin dall’adolescenza. Sembrava appena rifiorito dopo un brutto inverno quando lo incontrai, e non badai alle maniere brusche e prepotenti che mostrava a volte con chi aveva il coraggio contraddirlo.

    Una volta in particolare, uscimmo per andare a mangiare un boccone insieme. Ci conoscevamo da poco, forse un mese. Ci sedemmo al tavolo che scelse lui, ordinò da mangiare e da bere senza consultarmi, ma io non fiatai, convinta che altrimenti lo avrei destabilizzato ed era l’ultima delle mie intenzioni.

    Quando arrivarono le bistecche, richieste entrambe al sangue nonostante io odiassi la carne, soprattutto se cruda, lui ebbe una crisi d’ira.

    «Avevo detto al sangue!» Gridò contro la cameriera, che si spaventò e corse in cucina col piatto fra le mani.

    Restai basita, osservando la sua mandibola contrarsi spasmodicamente. «Non era necessario. L’avrei mangiata comunque.» Non era poi così grave che la bistecca fosse leggermente più cotta del dovuto. No?

    Lui, però, non fu dello stesso avviso.

    Il proprietario del locale, un uomo basso e grassoccio, venne al tavolo per chiarire la situazione mentre la povera cameriera, spaventata a morte, se ne stava dietro il bancone del bar, pallida come un fantasma.

    «Signore, non c’è alcun bisogno di aggredire il personale.» Asserì con calma, sorridendomi.

    «Non ho intenzione di sentire le sue stronzate. Questo è uno dei peggiori ristoranti in cui sia mai stato!»

    Quella risposta mi lasciò senza parole. Non era questo che desideravo. Quelle persone stavano lavorando e avremmo dovuto portare loro rispetto.

    L’uomo lo guardò dall’alto in basso, basito. «La prego di uscire.»

    In un istante, senza chiedere assolutamente il mio parere, lui mi afferrò per il polso, trascinandomi oltre l’uomo e spingendomi fuori dalla porta d’ingresso come fossi un insetto fastidioso. Un istante dopo si ricompose, mi posò un braccio sulle spalle e prese a camminare. «Rebecca, spero tu possa perdonarmi per questa serata. Non era mia intenzione creare scompiglio, ma sono certo che capirai perché l’ho fatto.»

    Annuii, spaventata da quel cambiamento emotivo così repentino. «Non importa.»

    E con quelle parole firmai la mia condanna, perché da allora le cose andarono solo peggiorando.

    La paura era ormai mia fedele compagna ed ogni mattina mi svegliavo felice. Felice di essere ancora viva considerato l’uomo che avevo accanto.

    Le mie peggiori paure divennero realtà quando, il giorno seguente, superammo il sottile limite tra parole e fatti.

    Rassettai con cura la nostra stanza dopo che lui fu uscito e mi sedetti sul letto ordinato controllando l’ora sull’orologio a parete che echeggiava col suo ticchettio per tutta la stanza.

    Era prestissimo. Non avevo motivo di alzarmi alle sei del mattino, dato che non frequentavo più le lezioni, ma lui voleva così e, di conseguenza, non avevo scelta.

    Come ogni altra mattina, aprii la finestra del primo piano prendendo una boccata d’aria già tiepida. Sorrisi amaramente al nuovo giorno e mi trovai ad aspettare con impazienza i piccoli rituali del quartiere.

    La signora nella casa di fronte aprì la finestra pochi attimi dopo di me e subito il suo sguardo si spostò sulla mia abitazione. Mi fece un cenno di saluto, poi rientrò, sparendo alla mia vista. Negli istanti successivi il padre del ragazzo cui avevo dato ripetizioni per un po’ uscì dal portone con il suo fedele jack russel al guinzaglio, pronto per la sua sessione di jogging mattutino.

    Passarono ancora cinque minuti prima che il fattorino dei giornali passasse, lasciando il nostro ai piedi della cassetta delle lettere. Sapeva che non sarei uscita per prenderlo e che il mio ragazzo preferiva trovarlo lì. Glielo avevo detto io stessa diverso tempo prima.

    All’inizio di quella schiavitù.

    Era davvero deprimente essere solo una spettatrice in tutto ciò, ma il mio destino mi aveva condotta fin lì e non riuscivo a fuggire in alcun modo.

    Luglio 2012

    «Piccola, sono a casa.» La sua voce, nonostante fosse ormai familiare, mi fece trasalire. Rischiai di bruciarmi con la padella rovente, ma riuscii fortunatamente ad evitare incidenti, rimettendola sul fornello appena in tempo.

    «Sempre la solita sbadata.» Ghignò lui

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