la rivolta delle pietre di basalto
Di Carlo Manca
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Anteprima del libro
la rivolta delle pietre di basalto - Carlo Manca
d’acqua.
2. Amore
Maddalena mi ascoltava senza dire una parola. Poco tempo dopo il nostro primo incontro mi chiese se una mattina sarebbe potuta venire a cercare sassi con me, e cosi quel giorno l’accontentai. La portai al torrente dove gli eucaliptus sono più grossi, dove il vento avrebbe potuto sussurrarle il mio amore.
I suoi lunghi capelli rossi erano mossi da una brezza leggera e il profumo arrivava fino a me che con la mano indicavo il letto del torrente.
I sassi rotolano dal monte spinti dalla forza dell’acqua, fino a questa pianura. Quando la piogge sono abbondanti il fiume trascina con se tante pietre, quando si ritira le lascia all’asciutto nella nuova riva che diventa il mio magazzino di sassi
Faceva attenzione ad ogni mio movimento, ascoltava le mie parole come non le aveva mai ascoltate nessuno e cominciai a capire cosa significasse amare una donna ed essere amato.
Prese la mia mano. Fermò quel movimento lineare che tentava di imitare il lento scorrere dell’acqua e la strinse forte. Mi fissò per un attimo e poi abbassò lo sguardo timidamente. Le carezzai il viso con l’altra mano, ripensai a quando da bambino cercavo di accarezzare l’acqua del fiume cercando di bagnarmi solo il palmo.
Avevo paura di farle del male con le mie mani, sfregiate e indurite dal lavoro.
Tolsi la mia mano dal suo viso e accennai ad una fuga da quell’attimo. Ora capisco che le mie mani non c'entravano niente, avevo sentito traballare il muro che nascondeva il mio cuore, e il terrore mi aveva assalito. Maddalena non mi chiese il perché del mio comportamento, le bastò guardare la mia faccia impaurita. Cercai di divincolarmi anche dall’altra mano ma lei la strinse forte, mi tirò a se e mi abbracciò. La sentii piangere delicatamente sulla mia spalla. Il muro crollò.
Maddalena ti sentivo mia come niente lo era mai stato fino allora e penso che l’amore, i rapporti fra le persone vadano aldilà delle parole. Non avevamo niente da dirci, quello che sentivo nel mio cuore era più di quanto potevo dirti. Mi avevano insegnato che la bocca serviva per parlare, o per stare zitti, ma noi la usammo per trasmetterci il nostro amore, tra le tue lacrime e la mia paura.
Il tuo sapore mi riempiva la testa, il tuo amore travolgente si faceva largo tra le macerie del muro e finalmente incontrò il mio cuore ferito e cominciò a medicarlo.
Maddalena ho sempre desiderato riassaporare la tua bocca, la tua lingua, le tue labbra salate.
Continuai nel mio lavoro a casa Mainas, posando una pietra dopo l’altra, facendo attenzione a cozzare le pietre per bene ma i miei pensieri erano tutti per Maddalena. Passava le sue mattine ad osservarmi dalla finestra oppure seduta sui sassi che avevo appena posato.
Non voglio disturbarti mentre accarezzi le tue pietre, fa come se io non ci fossi !
mi ripeteva giornalmente, così se ne stava in silenzio seduta a un paio di metri di distanza con l’aria di chi non ha mai visto niente di più interessante.
Pensi che sia uno spettacolo suggestivo?
le chiesi una volta, cercando di comunicarle la mia gioia per averla accanto con un sorriso. Non disse niente, mandò su e giù la testa con decisione e delicatezza, sorridendo timidamente.
Il mucchio di pietre ogni tanto si assottigliava e allora ero felice di andare a fare il raccoglitore di sassi al fiume. Quello lo sapevo fare bene e Maddalena non voleva mancare ad ogni mia sortita sulle rive del Corongiu. Così passavo a prenderla ben prima dell’alba e ci dirigevamo al magazzino di pietre
con la sua chioma rossa poggiata sulla mia spalla mentre guidavo felice. Arrivati nei pressi della riva, ben nascosti dagli eucaliptus e dall’oscurità che tentava di resistere ai primi raggi del mattino, facevamo l’amore.
La tua pelle sulla mia pelle, non avrei potuto chiedere altro e il mio amore si univa al tuo in un esaltante incrocio di emozioni. Il tuo piacere era il mio, non avrei smesso mai di baciarti, di assaporare il tuo sudore, di massaggiare i tuoi seni, di carezzare i tuoi capelli, e poi l’alba esplodeva e un raggio di sole colpiva il tuo viso. Tutto questo è immortalato nell’anima di questa terra come una foto indelebile, e la signora morte porterà via i nostri corpi ma non potrà cancellare il nostro amore.
3. Il lettore verbale
Non avrei potuto chiedere altro alla mia vita se non vivere l’amore che univa me a Maddalena, ma la vita stessa non ti da tregua e ti trascina in situazioni e luoghi sempre nuovi.
Un giorno, una mattina vado al mio magazzino di pietre
e trovo il Corongiu che non è più un fiume, un torrente, tanto meno un rigagnolo, ma un filo d’acqua senza forza ne anima. Avrei potuto far finta di niente, fottermene davvero, tanto che il mio lavoro è il raccoglitore di pietre e anche con il fiume in quelle condizioni di sassi ne avrei avuto in abbondanza per tutta la vita e forse anche di più. Decisi di non chiudere gli occhi e senza pensarci risalii la corrente o meglio il letto del fiume in secca per arrivare alla fonte, alla sorgente, alla causa. In un istante cambiai il corso alla mia vita, abbandonai il mio lavoro nella villa, Maddalena e quel poco che possedevo. Vagai lungo il Corongiu in secca chiedendo un panino o una bottiglia d’acqua alla gente dei piccoli paesi che incontravo lungo il cammino. In alcuni momenti mi sentivo come un vigliacco in fuga in cerca di una risposta che nessuno mi sapeva dare. Vagai per non so quanto tempo, sporco e stracciato, con la mente spaccata in due dal rimpianto per quello che avevo lasciato e dalla voglia di rivedere il mio fiume vivo. Camminai tanto, certo che in ogni caso sarei andato fino in fondo a questa storia e che non sarei mai più potuto tornare indietro.
Una sera cercando acqua e cibo, deviai dal mio fiume e mi ritrovai in un paesino della costa centro orientale. Il sole era già calato quando un vecchio agricoltore mi offrì un grappolo d’uva e una bottiglia d’acqua così decisi di passare la notte in quel posto.
Ricordo con piacere la mattina dopo quando incontrai Samuele.
Forse era fine primavera o inizio estate, e in ogni caso la temperatura della notte era abbastanza alta da permettermi di dormire sotto un vecchio albero di ginepro, che mi proteggeva malamente dall’umidità del mare. Sognai Maddalena che sradicava le pietre dal selciato del giardino della villa con le mani sanguinanti e con rabbia me le scagliava addosso. Mi svegliai che le ossa mi facevano male, pensai che non mi sarei mai abituato a dormire in terra, e tanto meno la soffice sabbia della spiaggia mi aveva dato sollievo. Finito questo pensiero lamentoso, alzai istintivamente la testa per cercare il punto dell’orizzonte dove il sole sorge. Dal mare iniziava un’alba testarda. La mia attenzione fu catturata dalla figura decisa di Samuele che dalla riva, in piedi controllava la punta della canna da pesca. Mi alzai e guardai intorno, notai che eravamo le sole persone presenti in quella caletta. Mi scrollai dai vestiti la sabbia che avevo addosso e andai incontro al pescatore. La solitudine di quei giorni aveva rafforzato in me la voglia di dialogare con qualcuno, e non mi feci perdere l’occasione di farmi due chiacchiere. Man mano che mi avvicinavo riuscivo a scorgere sempre meglio la serenità del suo viso e ciò mi dava fiducia sulla buona riuscita della nostra conversazione.
Buong…
il resto del saluto mi s’impiglio fra i denti, troncato dall’alzarsi deciso della mano di Samuele. Quasi contemporaneamente al piegarsi della punta della canna l’espressione del suo volto cambiò in disperazione. Cominciò ad armeggiare sul mulinello interrompendo solo per dare una leggera strattonata alla canna. Non potevo sapere da quanto tempo stava aspettando quel momento ma guardando dentro la cesta, che stava poco lontano, pensai che si apprestava a prendere il primo pesce. Ma la disperazione sul suo viso aumentava tanto quanta lenza avvolgeva per poi farmi sobbalzare per il suo urlo straziante quando il pesce sbucò fuori dall’acqua. Diede ancora una strattonata e portò a se il grosso pesce che si dibatteva. Lo afferrò e lo staccò dall’amo. Mi chinai per raccogliere la cesta, gliela porsi ma lui non badò a me. Buttò la canna in riva e con il pesce tra le mani entrò nell’acqua fino alle caviglie, e molto delicatamente si chinò per liberare la preda in mare.
Si voltò rapidamente, mi sorrise, e con calma mi venne incontro.
Non riuscivo a trattenere il mio imbarazzo: mi sentivo come se avessi violato un rito religioso e pensai che sarebbe stato meglio se mi fossi svegliato anche solo dieci minuti più tardi.
Mi hai portato fortuna: questa notte è il pesce più grosso che tolgo dal mare
a quelle parole i muscoli del mio viso si rilassarono e non riuscì a trattenere un sorriso.
Ho visto molti pescatori di fiume nella mia vita e tutti quelli che riuscivano a prendere una bella preda la riponevano fieri nella cesta. Ho sempre pensato che la pesca di mare non fosse differente
ero sorpreso.
Samuele soffocò una risata e si chinò a raccogliere la sua canna.
Questa non è una pesca vera e propria, io invito sulla mia spiaggia i pesci che vengono dal mare e li rimetto dove devono stare
Continuavo a non capire. Intanto il pescatore prese un’esca da una delle sue tasche e la infilò con cura nell’amo. Fece un passo indietro tenendo la canna con entrambe le mani, si preparò al lancio poggiandosela sulle spalle, poi con un movimento energico proiettò la trappola appena preparata in aria. In quel primo mattino si riusciva a sentire il ruotare veloce del mulinello e, pochi secondi dopo, l’ingresso del piombo in acqua.
Il mio amico riavvolse un po’ di lenza, il tanto che bastava per tenerla ben tesa. Con un colpo secco infilò la parte finale della canna nella sabbia e disse Ecco, adesso siamo pronti a rimandare in mare il pesce che ha l’incoscienza di mangiare ciò che gli offriamo. Vorresti partecipare a questo sport emozionante ?
Non feci a tempo a rispondere che Samuele si girò di scatto e nel suo viso notai la stessa disperazione di prima. Mi voltai e potei constatare che la sua attenzione era stata attirata da due cavalli al galoppo che si dirigevano verso di noi dalla parte meridionale della spiaggia. Dai colori delle uniformi capii che i cavallerizzi erano due uomini del governo. Samuele borbottò qualcosa con rabbia e con apparente tranquillità ci voltammo verso il sole che ancora non era al meglio del suo splendore. Quando giunsero a pochi passi da noi diminuirono l’andatura e si portarono dietro le nostre spalle. Samuele continuava a guardare dritto verso il mare, mostrando interesse solo per la pesca. Appena mi resi conto che cercavano noi, non riuscii a trattenere la mia curiosità e mi voltai istintivamente verso i due uomini. Uno scese velocemente da cavallo, mentre l’altro estraeva, dal fodero appeso alla cintura che teneva legata tra la spalla sinistra e il fianco destro, una pistola che mi puntò addosso urlandomi di non muovermi. Il compare estrasse da una tasca della giubba un aggeggio cilindrico e si fermò a due passi da me e Samuele. Con tono deciso ci ordinò di allargare le braccia e divaricare le gambe. Solo in quel momento il mio amico degnò di uno sguardo l’uomo del governo che stava a terra. Si avvicinò, mi fissò negli occhi e mi