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Artemis. La prima città sulla luna
Artemis. La prima città sulla luna
Artemis. La prima città sulla luna
E-book379 pagine5 ore

Artemis. La prima città sulla luna

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Info su questo ebook

Dall'autore del bestseller Sopravvissuto. The Martian
Numero 1 nel mondo

Jazz Bashara è una criminale. O qualcosa di molto simile. La vita su Artemis – la prima città costruita sulla Luna – può essere davvero difficile a meno di non essere molto ricchi. Ma Jazz non ha un sostanzioso conto in banca e si deve barcamenare tra piccole truffe e affari di contrabbando, visto che con il suo stipendio ufficiale riesce a malapena a pagare l’affitto. Per di più, ha dei progetti ambiziosi e per realizzarli le serve del denaro. Un bel po’ di denaro. Così, quando le si presenta l’opportunità di mettere a segno un grosso colpo che le consentirebbe di sistemarsi una volta per tutte, Jazz, nonostante gli evidenti rischi, decide di non tirarsi indietro. La ricompensa è una cifra da capogiro, ma l’impresa si rivela più pericolosa del previsto e lei si ritrova invischiata in una spirale di intrighi e cospirazioni letali. E a quel punto la sua unica possibilità di salvezza sarà rischiare il tutto per tutto, ben sapendo che in gioco non ci sono solo i suoi sogni di riscatto, ma il destino stesso di Artemis…

Il nuovo straordinario bestseller di Andy Weir
Tradotto in 45 Paesi
Oltre 3 milioni di copie vendute

Hanno scritto di Sopravvissuto. The Martian:

«Un romanzo formidabile. È la puntata che mancava a 2001 Odissea nello spazio.»
Antonio D’Orrico, Il Corriere della Sera

«Dal passaparola a Hollywood: è la scienza la cifra del romanzo di Andy Weir.»
il Venerdì di Repubblica

«Ormai è un piccolo cult contemporaneo destinato a riscrivere i canoni più classici della science fiction.»
Wired

«Ogni atto del protagonista è logico e dettagliatamente spiegato, è questo il segreto del successo del romanzo di Andy Weir.» 
la Repubblica

«Una descrizione tra le migliori su come potrebbe davvero essere la vita su Marte.»
L’Espresso

«Un esordio straordinario. Una storia avvincente che appassionerà non solo i lettori di fantascienza.»
Publishers Weekly
Andy Weir
Appassionato di ingegneria aerospaziale, ha iniziato come programmatore in un laboratorio all’età di 15 anni e da allora ha sempre lavorato come ingegnere del software. Il suo primo romanzo, Sopravvissuto. The Martian, nato dal selfpublishing, è stato tradotto in 45 Paesi, ed è diventato un caso editoriale mondiale arrivando a vendere oltre 3 milioni di copie. Dal libro è stato tratto il film con Matt Damon diretto dal leggendario Ridley Scott.
LinguaItaliano
Data di uscita3 ott 2017
ISBN9788822715036
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    Anteprima del libro

    Artemis. La prima città sulla luna - Andy Weir

    immagine

    Mi chinai sul terreno grigio e polveroso girato verso la grande cupola della bolla Conrad. La sua camera di equilibrio, attorniata da luci rosse, pareva penosamente distante.

    È faticoso correre con cento chili di equipaggiamento addosso, anche in presenza della gravità lunare. Vi sorprenderebbe comunque scoprire quanto ci si muova in fretta quando si è in pericolo di vita.

    Bob mi era accanto.

    La sua voce mi giunse via radio: «Lascia che colleghi i serbatoi alla tua tuta!».

    «Così morirai anche tu».

    «La perdita è enorme», sbuffò Bob. «Vedo il gas fuoriuscire dai tuoi serbatoi».

    «Grazie dell’incoraggiamento».

    «Sono io il professionista eva qui!», sbottò Bob. «Fermati subito e lasciami agganciare!».

    «Negativo». Continuai a correre. «Ho sentito uno schiocco prima che scattasse l’allarme. Il metallo si è usurato. Penso sia partita la valvola. Se ti attacchi, è probabile che il bordo seghettato tagli il cavo».

    «Sono disposto a correre il rischio!».

    «Ma io no», dichiarai. «Fidati di me, Bob. So cosa dico».

    Iniziai a fare dei salti, lunghi e pesanti. Mi muovevo al rallentatore, ma non potevo fare altrimenti con tutto quel peso addosso. Lo schermo incorporato nel casco mi stava avvertendo che la camera di equilibrio si trovava a cinquantadue metri.

    Diedi un’occhiata ai valori sul bracciale. La mia riserva di ossigeno calava a vista d’occhio. Distolsi lo sguardo.

    I lunghi salti produssero il risultato sperato: stavo sfrecciando. Ero persino riuscita a lasciarmi alle spalle Bob, l’esperto di attività extraveicolari (o eva) della Luna. Ecco il trucco: spostare tutto il peso in avanti ogni volta che si tocca il suolo. Questo, però, significa anche che a ogni salto, in caso di errore, si rischia di finire per terra oppure di scivolare. Le tute eva sono resistenti, ma è sempre meglio evitare di sfregarle contro la regolite.

    «Stai andando troppo veloce! Se fai un passo falso, ti schianti!».

    «Meglio che morire soffocata», replicai. «Mi restano forse soltanto dieci secondi di autonomia».

    «Sono troppo indietro», mi avvertì. «Non aspettarmi».

    Mi resi conto della velocità a cui stavo andando solamente quando scorsi le lastre triangolari della bolla Conrad che s’ingrandivano a vista d’occhio.

    «Merda!». Non potevo permettermi di rallentare. Feci un ultimo balzo, dandomi tutta la spinta possibile in avanti. Riuscii a calcolare alla perfezione la distanza, più per fortuna che per capacità, atterrando esattamente contro il muro. D’accordo, Bob aveva ragione. Stavo andando troppo forte.

    Finii per terra, mi rimisi velocemente in piedi e afferrai la manovella del portello della camera di equilibrio, detta anche airlock.

    Le orecchie mi esplosero. Il suono degli allarmi inondò il mio casco. Il serbatoio era ormai quasi vuoto, non c’era più ossigeno.

    Aprii il portello e rotolai dentro l’airlock. Avevo bisogno di aria, vedevo tutto appannato. Chiusi con un calcio il portello, mi allungai verso il serbatoio d’emergenza e strappai la sicura.

    Il coperchio del serbatoio saltò via e l’aria iniziò a fluire nello scompartimento stagno. Uscì così in fretta che, per il freddo generato dalla rapida espansione, metà si condensò in particelle nebulose. Caddi a terra a malapena cosciente.

    Sudavo dentro la tuta, e cercavo di non vomitare. Feci appello a tutte le mie forze. La mancanza d’ossigeno mi fece venire un forte mal di testa. Mi avrebbe fatto compagnia per almeno un paio d’ore. Ormai ero abituata ad avere la nausea da altitudine sulla Luna.

    Il sibilo divenne un gocciolio e poi cessò del tutto.

    Bob finalmente raggiunse l’airlock. Lo vidi sbirciare dentro attraverso il piccolo oblò del portello.

    «Stato?», mi domandò via radio.

    «Cosciente», ansimai.

    «Riesci a stare in piedi? Devo chiamare aiuto?».

    Non poteva entrare, altrimenti mi avrebbe uccisa, dato che ero distesa in una camera di equilibrio con una tuta fallata. Chiunque, però, tra le duemila persone in città, avrebbe potuto aprire il portello interno e trarmi in salvo.

    «Non serve». Mi misi a quattro zampe e, poi, mi alzai. In equilibrio precario, mi appoggiai al pannello di controllo e incominciai la decontaminazione. Dei getti d’aria ad alta pressione mi colpirono ovunque. La grigia polvere lunare volò nella camera stagna e venne aspirata dalle ventole a muro.

    Dopo la decontaminazione, il portello interno si aprì automaticamente.

    Entrai nello spogliatoio, lasciando che il portello si chiudesse, e mi accasciai su una panca.

    Bob entrò nell’airlock con calma, senza usare il serbatoio d’emergenza (che, tra l’altro, ora doveva essere sostituito). Ricorse al normale metodo a pompe e valvole e, dopo essere stato decontaminato, mi raggiunse nello spogliatoio.

    Lo aiutai in silenzio a togliersi casco e guanti. È sempre meglio non levarsi la tuta da soli. Certo, è fattibile, ma anche una scocciatura. Le usanze vanno salvaguardate. Lui mi restituì il favore subito dopo.

    «Be’, c’è mancato poco», dissi mentre mi sfilava il casco.

    «Sei quasi morta». Si tolse completamente la tuta. «Avresti dovuto seguire le mie istruzioni».

    Anch’io mi liberai dell’equipaggiamento per esaminarlo sul retro. Indicai un pezzo rotto di metallo, che un tempo era una valvola. «È saltata la valvola, proprio come ti ho detto. Il metallo si è usurato».

    Lui osservò il pezzo, annuendo. «D’accordo. Avevi ragione a non farmi agganciare. Brava. Ciò non toglie che non doveva accadere. Dove l’hai presa quella tuta?»

    «È di seconda mano».

    «Perché hai comprato una tuta usata?»

    «Perché non potevo permettermene una nuova. A stento avevo i soldi per questa. Voi stronzetti non fate entrare nessuno nella corporazione senza una tuta».

    «Avresti dovuto aspettare e comprartene una nuova». Bob Lewis è un ex marine degli Stati Uniti ed è uno che non le manda a dire. Cosa più importante, è l’addestratore capo della Corporazione eva. Deve rispondere al direttore, ma soltanto Bob decide chi è adatto a diventare un membro del gruppo. Senza licenza, non si può uscire sulla superficie lunare o condurre i turisti a fare un giro. È così che vanno le cose. Lo so, fa schifo.

    «Allora, come sono andata?».

    Sbuffò. «Stai scherzando? Non hai passato l’esame, Jazz. Hai fallito alla grande».

    «Perché?», domandai. «Ho eseguito alla perfezione tutte le manovre che mi sono state richieste, ho portato a termine gli incarichi e superato la corsa a ostacoli in meno di sette minuti. Inoltre, in presenza di un problema quasi fatale, ho evitato di mettere in pericolo il mio compagno e sono rientrata in città sana e salva».

    Aprì un armadietto per riporvi dentro guanti e casco. «La tuta è una tua responsabilità. Ha riportato un guasto, perciò hai fallito».

    «Non puoi incolparmi per quella perdita! Andava tutto bene quando siamo usciti!».

    «Questa professione si basa sui risultati. La Luna è una vecchia infida stronza. Non le importa del perché la tua tuta non abbia funzionato a dovere. Semplicemente ti uccide appena ne ha l’occasione. Avresti dovuto ispezionare meglio il tuo equipaggiamento».

    Appese il resto delle sue cose all’attaccapanni del suo armadietto personale.

    «E dài, Bob!».

    «Jazz, sei quasi morta là fuori. Come posso darti la licenza?». Chiuse l’armadietto e si avviò verso l’uscita. «Puoi ritentare tra sei mesi».

    Gli bloccai la strada. «Ma è assurdo! Dovrei forse mettere la mia vita in pausa per colpa di una regola arbitraria della corporazione?»

    «Ispeziona con più cura il tuo equipaggiamento». Mi aggirò e uscì dallo spogliatoio. «E vedi di non risparmiare sulla riparazione della tuta».

    Lo osservai sparire, poi mi lasciai cadere sulla panca.

    «Maledizione!».

    Mi trascinai verso casa, percorrendo il labirinto di corridoi in alluminio. Per fortuna si trattava di una camminata breve. Dopotutto, l’intera città è lunga appena mezzo chilometro.

    Vivo ad Artemis, la prima (e finora l’unica) città sulla Luna. Artemis è composta da cinque grandi sfere semi interrate chiamate bolle, perciò, con la sua manciata di cupole, sembra proprio uscita da un vecchio libro di fantascienza. Le parti che sono sottoterra, invece, non sono visibili.

    La bolla Armstrong si trova proprio nel mezzo, circondata dalla Aldrin, dalla Conrad, dalla Bean e dalla Shepard. Ciascuna bolla è collegata alle altre tramite delle gallerie. Ricordo di avere fatto un modellino di Artemis come compito a casa, quand’ero ancora alle elementari. Una roba da niente: un paio di palle e bastoncini. Mi ci erano voluti dieci minuti.

    Il viaggio per venire fin qui è costoso e vivere quassù lo è ancora di più. Ma una città non può essere abitata soltanto da ricchi turisti ed eccentrici miliardari. Ha bisogno della classe operaia. Nessuno si aspetta che Mr Ricco Sfondato si pulisca il bagno da solo, no?

    Io faccio parte dei poveri.

    Vivo a Conrad Down 15, un’area degradata quindici piani sotto alla bolla Conrad. Se i vicini di casa fossero un vino, gli intenditori li descriverebbero come disgustosi, con sfumature di fallimento e pessime scelte di vita.

    Superai la fila di porte chiuse, quasi attaccate le une alle altre, fino a ritrovarmi davanti alla mia. Se non altro, io avevo una cuccetta in basso. Era più facile entrare e uscire. Passai il Gizmo davanti alla serratura e la porta si aprì. M’infilai e mi chiusi dentro.

    Mi sdraiai nella cuccetta a fissare il soffitto, che si trovava a meno di un metro dal mio viso.

    Tecnicamente, la mia è una casa capsula, comunemente nota come bara. È una cuccetta con una porta che si può chiudere a chiave. Nella bara si può fare una sola cosa: dormire. Be’, certo, c’è anche un’altra cosa che si può fare (sempre in posizione orizzontale), ma avete capito, no?

    Possiedo un letto e un comodino. Tutto qua. C’è un bagno comune in fondo al corridoio e delle docce pubbliche qualche blocco più in là. Di sicuro la mia bara non apparirà tanto presto sulla copertina di Ville lunari di design, ma è ciò che posso permettermi.

    Controllai l’ora sul Gizmo. «Cavolo!».

    Non era il momento di rimuginare. Il cargo della ksc sarebbe arrivato nel pomeriggio e io avevo del lavoro da fare.

    Per essere precisi, non è il sole a definire il pomeriggio sulla Luna. Qui abbiamo soltanto un mezzogiorno ogni ventotto giorni terrestri e comunque non lo possiamo vedere. Ogni bolla è composta da due gusci spessi sei centimetri, inframmezzati da un metro di roccia frantumata. Se un howitzer li colpisse, rimarrebbero intatti. No, la luce del sole non filtra.

    Allora, che cosa usiamo per calcolare il tempo? Il Kenya. Se a Nairobi è pomeriggio, lo è anche ad Artemis.

    Ero madida di sudore e puzzavo in modo orribile dopo la mia quasi morte durante l’esercitazione eva. Non avevo tempo per una doccia, ma almeno potevo cambiarmi. Restando sdraiata, mi sfilai l’abbigliamento refrigerante dell’eva e indossai una felpa blu. Allacciai la cintura, mi misi a sedere a gambe incrociate e raccolsi i capelli in una coda di cavallo. Poi presi il mio Gizmo e uscii.

    Non esistono strade ad Artemis, soltanto corridoi. Costa un patrimonio costruire sulla Luna, pertanto non si sprecano soldi in infrastrutture inutili. C’è chi possiede una golf car elettrica o uno scooter, ma i corridoi sono principalmente pensati per i pedoni. Tanto la gravità lunare è un sesto di quella terrestre, perciò non si fa molta fatica a camminare.

    Più le aree sono degradate, e più i corridoi sono stretti. Si potrebbe dire che quelli di Conrad Down sono claustrofobici. Ci si passa soltanto schiacciandosi contro il muro.

    Percorsi i corridoi verso il centro di Down 15. Non c’erano ascensori liberi, quindi salii le scale tre gradini alla volta. Le trombe delle scale, composte da scalini alti ventun centimetri, sono esattamente identiche a quelle sulla Terra. Fanno sentire i turisti più a loro agio. Nelle aree non turistiche i gradini raggiungono anche il mezzo metro d’altezza. La gravità lunare aiuta. Comunque, feci i gradini di corsa fino a ritrovarmi in superficie. Probabilmente vi sembrerà un’impresa salire quindici piani di scale, ma in realtà non è un granché. Non avevo nemmeno il fiatone.

    In superficie, cioè al piano terra, si trovano le gallerie che collegano le varie bolle, oltre a, ovviamente, i negozi e ogni possibile trappola per turisti. Tanto vale trarre dei vantaggi dal traffico pedestre. Nella Conrad ci sono soprattutto ristoranti che servono schifezze a chi non si può permettere del cibo vero.

    Una piccola folla s’infilò nella galleria Aldrin-Conrad. È l’unico collegamento tra le due bolle (a meno che non si voglia fare il giro attraverso la Armstrong), perciò si potrebbe definire la via principale. Superai l’enorme porta a tappo circolare. Se la galleria s’infrange, la fuoriuscita d’aria dalla Conrad fa chiudere automaticamente la porta. In questo modo le persone dentro alla bolla si salvano, invece quelle nella galleria… be’, sperate di non essere tra loro.

    «Ma tu guarda! Jazz Bashara!», esclamò uno stronzo che fingeva di essermi amico, anche se non lo eravamo affatto.

    «Dale», replicai, continuando a camminare.

    Lui aumentò il passo per starmi dietro. «Dev’essere arrivato un cargo. È l’unica cosa che ti spinge a indossare la divisa».

    «Ehi! Ti ricordi di quella volta in cui ti ho dato retta? No, aspetta. Non è mai successo».

    «Ho sentito che non hai passato l’esame eva oggi». Fece una smorfia di disapprovazione. «Che sfortuna. Io l’ho superato al mio primo colpo, ma non tutti possono essere bravi come me, giusto?»

    «Levati di torno!».

    «Già, devo ammetterlo, i turisti pagano bene per fare un giretto là fuori. Sai, sto proprio andando al Centro Visitatori a portare qualcuno a spasso. Diventerò ricco sfondato».

    «Vedi di saltare su un paio di rocce appuntite quando sei fuori».

    «Naa», rispose, «chi passa l’esame sa che è pericoloso».

    «Era una battuta», replicai con noncuranza. «E poi fare l’eva non è un vero lavoro».

    «Già, hai ragione. Uno di questi giorni spero di finire a fare la ragazza delle consegne come te».

    «Io sono un corriere», grugnii. «Il termine corretto è corriere».

    Sogghignò in un modo tale che mi venne voglia di prenderlo a pugni. Per fortuna avevamo raggiunto la Aldrin. Gli diedi una spallata e uscii dalla galleria. La porta a tappo della Aldrin era aperta, proprio come quella della Conrad. Mi affrettai a svoltare a destra in modo da liberarmi di Dale.

    La Aldrin è l’esatto opposto della Conrad sotto ogni punto di vista. Nella Conrad vivono idraulici, soffiatori di vetro, fabbri, saldatori, operai vari… l’elenco potrebbe continuare all’infinito. La Aldrin, invece, è un vero e proprio resort, con tanto di hotel, casinò, bordelli, teatri e persino un parco verde come Dio comanda, con erba vera. Qui ci vengono i turisti ricchi da tutta la Terra per un soggiorno di due settimane.

    M’infilai nell’Arcade. Non è esattamente la via più breve per raggiungere la mia destinazione, ma mi piace rifarmi gli occhi.

    New York ha la Quinta Strada, Londra Bond Street e Artemis l’Arcade. I negozi non espongono mai i prezzi. Se ti serve saperli, non ti puoi permettere la merce. Il Ritz-Carlton di Artemis occupa un intero blocco e si estende per cinque piani sopra e altrettanti sotto. Una notte lì costa 12.000 slug, più di quanto io guadagni in un mese come corriere (devo ammettere però di avere altre fonti di reddito).

    Nonostante una vacanza lunare abbia costi proibitivi, c’è la lista d’attesa per venire qui. I borghesi terrestri possono permettersela una sola volta nella vita, grazie soprattutto ai finanziamenti. Di solito soggiornano negli alberghi peggiori, che si trovano nelle altre bolle, tipo la Conrad. Ma la gente ricca si può permettere un viaggio lunare all’anno e soggiorni in hotel di lusso. E, cavolo, non fa altro che spendere.

    Più di ogni altra bolla, la Aldrin è la vera macchina da soldi di Artemis.

    Non c’era nulla che potessi permettermi nel centro commerciale, ma, un giorno o l’altro, la situazione sarebbe cambiata. Questo era il piano. Mi soffermai ancora a guardarmi intorno, prima di voltarmi per dirigermi verso il Porto d’Ingresso.

    La Aldrin è la bolla più vicina alla zona di allunaggio. I ricchi non vogliono essere costretti a passare dalle bolle più degradate. Meglio andare direttamente in quella più bella, no?

    Superai la grande arcata del porto. La gigantesca camera di equilibrio è il secondo ambiente più grande della città. Il primo è l’Aldrin Park. L’airlock era in fermento. Mi feci largo tra gli operai, che, efficienti, andavano e venivano. In città bisogna camminare lentamente per evitare di travolgere i turisti, ma al porto ci sono solo i lavoratori. Sappiamo come muoverci e, soprattutto, come sfruttare al meglio le nostre energie.

    Nella zona nord del porto un paio di pendolari erano in attesa del treno, che di fatto è un airlock che viaggia su rotaie. La maggior parte di loro lavora nei reattori e nella fonderia Sanchez Aluminium, un chilometro a sud della città. La fonderia produce una quantità di calore tremenda, oltre a prodotti chimici estremamente sgradevoli, per questo in città concordiamo sul fatto che debba restare il più lontano possibile. Per quanto riguarda i reattori… be’… sono reattori nucleari. E anche quelli è bene che stiano distanti.

    Dale si trascinò fino ai binari. Lui, invece, avrebbe preso il treno in direzione del Centro Visitatori dell’Apollo 11. I turisti lo adorano. Il tragitto di mezz’ora permette di godersi una vista incredibile del suolo lunare e il Centro Visitatori è il posto migliore da cui ammirare la zona del primo allunaggio senza uscire all’aperto. E per quelli che ci tengono a vederla da vicino, Dale e gli altri professionisti eva sono a disposizione per un tour.

    Proprio davanti al treno c’è un’enorme bandiera keniota. Sotto si possono leggere le seguenti parole: State salendo a bordo di un treno di proprietà della colonia del Kenya Artemis. Le piattaforme sono di proprietà della Corporazione Spaziale del Kenya. Si applicano le leggi marittime internazionali.

    Guardai Dale in cagnesco, ma lui non se ne accorse. Maledizione! Avevo sprecato uno sguardo minaccioso da manuale.

    Controllai sul mio Gizmo l’orario degli arrivi. Non erano previsti carri bestiame quel giorno (è così che chiamiamo le navi spaziali passeggeri). Arrivano solo una volta alla settimana. La prossima sarebbe giunta di lì a tre giorni. Grazie a Dio. Non c’è niente di più scocciante di una manciata di ereditieri in cerca di una scopata lunare.

    Mi diressi verso sud, dove l’airlock cargo era già in posizione. Poteva contenere 10.000 metri cubi di merci in una sola volta, ma il processo di decontaminazione richiedeva tempo. La sonda era arrivata già da ore e i professionisti eva l’avevano portata dentro all’airlock per disinfettarla con l’aria ad alta pressione.

    Facciamo del nostro meglio per evitare che la polvere lunare entri in città. Non ho saltato la decontaminazione nemmeno quando stavo per morire per la valvola rotta. Come mai tanta fatica? Perché la polvere lunare, se respirata, è estremamente nociva. È composta da minuscole particelle di roccia, che non sono mai state erose dalle intemperie, perché sulla Luna non esistono mutamenti climatici. Ogni pagliuzza è pronta a lacerare i polmoni come se fosse filo spinato. Credetemi, è meglio fumarsi un pacchetto di sigarette all’amianto che respirare quella roba.

    Quando raggiunsi l’airlock cargo, notai che il gigantesco portello interno era già stato aperto per scaricare la sonda. Andai da Nakoshi, il capo degli scaricatori. Era seduto al tavolo delle ispezioni e stava esaminando il contenuto di un pacco. Soddisfatto di non avere trovato merci contrabbandate, richiuse la scatola e vi applicò il timbro di Artemis, una A maiuscola con la parte destra che ricordava un arco e una freccia.

    «Buongiorno, Nakoshi», lo salutai sorridente. Lui e mio padre erano amici fin da quando ero bambina. Insomma era uno di famiglia, uno zio acquisito.

    «Mettiti in fila insieme agli altri corrieri, stronzetta».

    D’accordo, forse più un cugino di quarto grado.

    «E dài!», lo pregai. «È da settimane che aspetto questa sonda. Ne abbiamo parlato».

    «Hai fatto il pagamento?»

    «Hai messo il timbro sul pacco?».

    Senza distogliere lo sguardo, allungò le braccia sotto il tavolo per tirare fuori una scatola ancora sigillata e passarmela.

    «Non vedo il timbro», dissi. «Come mai ogni volta dev’essere così difficile? Eravamo amici. Che cos’è successo?»

    «Sei cresciuta e sei diventata una tremenda rottura di palle». Posizionò il suo Gizmo sul pacco. «E dire che c’era così tanto potenziale in te. Che spreco. Trecento slug».

    «Forse volevi dire duecentocinquanta slug, giusto? Come avevamo pattuito».

    Scosse la testa. «Trecento. Rudy sta ficcando il naso in giro. Più rischi, più soldi».

    «Direi che è più un problema di Nakoshi che di Jazz», replicai. «Avevamo pattuito duecentocinquanta».

    «Mmm», disse, «forse dovrei ispezionare il pacco in modo più approfondito. Magari c’è dentro qualcosa di proibito…».

    Serrai le labbra. Non era il caso d’impuntarsi. Aprii il software di trasferimento di slug sul mio Gizmo, quindi disposi la transazione. I Gizmo sono in grado di fare le stesse operazioni dei computer: si trovano e si collegano l’uno all’altro.

    Nakoshi prese il suo Gizmo, verificò che il passaggio di denaro fosse avvenuto e poi annuì soddisfatto. Solo allora mise il timbro sul pacco. «Che cosa contiene?»

    «Soprattutto porno. La star è tua madre».

    Sbuffò e si rimise a ispezionare le scatole.

    Ecco come si fa a contrabbandare della merce su Artemis. Direi che è molto semplice: basta corrompere un addetto allo scarico che si conosce da sempre. Far arrivare la merce contrabbandata ad Artemis, be’, quella sì che è tutta un’altra storia. Ve lo spiegherò più avanti.

    Avrei potuto raccogliere altri pacchi da consegnare, ma questo era speciale. Raggiunsi la mia golf car elettrica e balzai al posto del guidatore. Non mi serviva davvero un mezzo di trasporto, Artemis non era adatta ai veicoli, ma mi permetteva di muovermi più in fretta e di consegnare più merce. Dal momento che vengo pagata a consegna, è un investimento sensato. La mia golf car è particolarmente difficile da guidare, ma è ottima quando devo trasportare dei pacchi pesanti, così ho pensato che le stesse bene un nome maschile. L’ho chiamata Trigger.

    Pago un affitto mensile per il posto auto di Trigger al porto. Dove altro potrei tenerlo? La mia casa è più piccola di una cella terrestre.

    Avviai il motore. Non c’è bisogno di chiave, basta premere un bottone. A chi verrebbe in mente di rubare una golf car? Che cosa potrebbe fare? Venderla? Verrebbe subito scoperto. Artemis è una piccola città. D’accordo, ammetto che ogni tanto ci sono dei casi di taccheggio, ma nessuno ruba le golf car.

    Uscii dal porto.

    Guidai Trigger lungo i sontuosi corridoi della bolla Shepard, la più lontana dalla mia squallida casa. I corridoi di Shepard sono fatti di legno e hanno pannelli che attutiscono i suoni. Ogni venti metri c’è un candelabro di vetro che penzola dal soffitto, quindi l’illuminazione è garantita. I candelabri non sono assurdamente costosi come il resto perché abbiamo tantissimo silicio sulla Luna, perciò il vetro lo fabbrichiamo da noi. Comunque, sono pur sempre un’ostentazione.

    Se pensate che una vacanza sulla Luna sia cara, non avete la minima idea di quanto possa costare vivere nella Shepard. Nella Aldrin ci sono alberghi e resort di lusso, ma è nella Shepard che vivono gli artemisiani benestanti.

    Stavo andando proprio da uno degli uomini più ricchi della città: Trond Landvik, che aveva accumulato una fortuna investendo nelle telecomunicazioni norvegesi. La sua casa occupava gran parte del piano terra della Shepard: era stupidamente immensa, visto che insieme a lui ci vivevano solo la figlia e la domestica. Ma i soldi erano suoi e se gli andava di comprarsi una residenza enorme sulla Luna, chi ero io per giudicarlo? Mi occupavo soltanto di fargli avere della roba illegale, come da sue istruzioni.

    Parcheggiai Trigger vicino all’ingresso della proprietà (uno dei tanti ingressi, per la precisione) e suonai il campanello. La porta si aprì e sulla soglia apparve una massiccia donna russa. Irina lavorava per i Landvik fin dall’alba dei tempi.

    Mi fissò senza proferire parola. E io fissai lei.

    «Consegna», dissi infine. Irina mi aveva visto un’infinità di volte, eppure pretendeva sempre che io dichiarassi lo scopo della mia visita.

    Grugnì, quindi si voltò per rientrare in casa. Era il suo modo simpatico di dire che potevo passare.

    Le feci delle smorfie alle spalle mentre la seguivo nell’ingresso. Mi indicò un punto in fondo al corridoio e poi se n’andò via nella direzione opposta, senza pronunciare una sola parola.

    «È sempre un piacere, Irina!», gridai rivolta a lei.

    Attraversai un arco e vidi che Trond era sdraiato su un divano in tuta e vestaglia. Stava chiacchierando con un asiatico che non avevo mai visto prima.

    «Comunque, i potenziali ricavi sono…», mi vide e mi salutò con un grande sorriso. «Jazz! Che bello vederti!».

    L’ospite di Trond aveva una scatola aperta accanto a sé. Mi sorrise educatamente, affrettandosi a chiuderla. Quel gesto mi incuriosì, quando di consueto non gli avrei prestato minimamente attenzione.

    «Il piacere è mio», replicai. Appoggiai la merce contrabbandata sul divano.

    Trond indicò il suo ospite. «Lui è Jin Chu, viene da Hong Kong. Jin, ti presento Jazz Bashara. È di qui, è cresciuta sulla Luna».

    Jin inchinò fugacemente la testa, poi si rivolse a me con un accento americano. «Sono felice di conoscerti, Jazz». Fui colta di sorpresa, tanto che non riuscii a mascherarlo.

    Trond scoppiò a ridere. «Già, Jin ha studiato in scuole private americane di prim’ordine. Hong Kong! Che posto incredibile!».

    «Ma non così incredibile come Artemis», intervenne Jin. «È la prima volta che vengo sulla Luna. Mi sento un bambino in un negozio di caramelle. Sono sempre stato attratto dalla fantascienza. Sono cresciuto guardando Star Trek e ora ci sono dentro».

    «Star Trek?», ripeté Trond. «Dici davvero? Avrà almeno cent’anni!».

    «La qualità prima di tutto», recitò Jin. «L’epoca è irrilevante. Nessuno prende in giro i fan di Shakespeare».

    «Ben detto. Purtroppo qui non ci sono aliene sexy da sedurre. Non puoi fare il capitano Kirk di turno».

    «A dire il vero», Jin Chu alzò un dito, «Kirk è stato a letto soltanto con tre aliene in tutta la serie e, tra l’altro, nel numero è compresa Elaan di Troyius, di cui non si è certi. Perciò potrebbe benissimo aver fatto sesso soltanto con due aliene».

    Trond si chinò con aria di supplica. «Mi ricorderò di non sfidarti mai sulla serie Star Trek. Hai intenzione di andare a visitare il luogo dell’allunaggio dell’Apollo

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