Il custode dei pozzi maledetti
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Anteprima del libro
Il custode dei pozzi maledetti - Roberta Bianchessi
Indice
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Appendice
Ringraziamenti
Roberta Bianchessi
IL CUSTODE
DEI POZZI MALEDETTI
Youcanprint
Titolo | Il Custode dei pozzi maledetti
Autore | Roberta Bianchessi
ISBN | 9788831605878
Copertina a cura Cristina Taverna de La Taverna del Colore
Face book:
https://www.facebook.com/La-Taverna-del-Colore-1453224124959267
Editing a cura di Chiara Di Cola
sito internet: https://bludiprussia.wixsite.com/robertabianchessi
facebook: https://www.facebook.com/ROBERTABIANCHESSIAUTORE
email:robertabianchessi@email.it
© Tutti i diritti riservati all’Autore
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Ad Anna,
il mio personale Ariete di sfondamento.
Grazie.
Quando il mio sangue bagnerà la mia tomba,
là, dove l’argento mi ha squarciato il petto,
il cuore di tutti tornerà a battere
e la mia anima, di cui mi sono privata,
soffierà l’alito di vita nelle mie membra addormentate.
Tre volte tenterete e tre volte fallirete.
Solo affrontando i vostri demoni passati, presenti e futuri
traccerete la via e ci libererete tutti.
(Profezia della strega)
Prologo
Il vento soffiava irruento mentre grigie nubi si profilavano all’orizzonte foriere di cattivi presagi.
In silenzio, attese ancora qualche istante stringendo le labbra, quasi a voler tacitare i pensieri che gli premevano nel petto. Non avrebbe mai voluto arrivare a tanto, ma doveva porre rimedio alle sue azioni.
- Sei certo di quel che fai?
Distolse lo sguardo dal cielo plumbeo sospirando.
- Mio l’errore, - iniziò pacato – devo fare ammenda – abbassò lo sguardo su quella creatura dalle parvenze feline. Un buffo papillon nero stropicciato esaltava il suo pelo morbido rendendo la sua figura quasi una caricatura di se stesso. – Se fallirò dovrai chiudere il passaggio, Astaroth.
Gli occhi verdi della creatura parvero spalancarsi, mentre le vibrisse bianche, tremarono non per il gelo che, improvviso, lo aveva colto, ma per il timore che quelle parole gli avevano instillato.
- Tu sei il Custode dei Pozzi. – miagolò incerto – Se fallisci tu, io che sono solo un Depositario delle Chiavi, cosa credi potrò mai fare? – rizzò la coda che ondeggiava come una frusta impazzita – Vedi di tornare e di chiudere quel tunnel. Nessuno dovrebbe saltare dentro i Pozzi ad eccezione tua.
Il mantello del Custode si riempì d’aria, proprio quando le nubi si aggregarono sopra di loro come una corona oscura.
- Io vado Astaroth – riprese con foga – quando sarò sparito nel vortice sigilla il Pozzo e riponi la chiave nel cerchio magico che ho tracciato col mio sangue, così che solo io possa riprenderla per riaprire il passaggio.
Sfiorò la testa rossa della creatura scompigliando il morbido pelo che assunse un riflesso argenteo.
- Sei un bravo aiutante – sistemò la faretra sulla spalla e si avvicinò alla cavità in pietra dove la magia ribolliva sul fondo. – Forse sono ancora in tempo – distolse lo sguardo e sedette sul bordo scivolando al suo interno e spezzando il fluire vorticante della magia. D’improvviso si aprì il varco inondando di luce le pareti di mattoni rossi della struttura.
- Bada a te Custode!
La magia lo risucchiò mentre il cielo riversava un diluvio incessante in quell’appezzamento magico.
Astaroth zampettò veloce a richiudere il pozzo in cui lui era scomparso, lo sigillò con una chiave a forma di stella spezzata infilata dentro un cerchio d’argento. La pioggia iniziò a riempire tutti i pozzi e la magia scivolò via rapida.
Si scrollò un poco di acqua di dosso, afferrò coi denti la chiave e schizzò veloce verso la struttura a cupola dove sarebbe stata custodita fino al suo ritorno. Il cilindro gli si era afflosciato sul capo nascondendogli un occhio, se ne liberò dandosi un’ultima sistemata che lo lasciò simile a un riccio ispido. Saltellò sopra le mattonelle di coccio e si fermò. Osservò il complicato disegno, e con cautela, per non cancellare i segni di sangue, si portò al centro e lasciò cadere la chiave mentre la magia si attivava riverberando all’interno della costruzione.
In quell’attimo Astaroth comprese che la sua esistenza era legata a quella chiave, e finché il Custode non fosse tornato, lui ne avrebbe condiviso il destino.
Si acciambellò di fronte ad essa e nascose il capo sotto la zampa, si augurò che fosse una breve attesa e che lui tornasse presto. C’erano ancora tante cose che doveva fare prima di scomparire da quel mondo. Sospirò e decise che quello era il momento di farsi un pisolino.
Quando riaprì gli occhi avvertì subito il senso di nausea. Anche se aveva viaggiato molte altre volte, ogni risveglio era accompagnato da quel malessere. Ebbe appena il tempo di voltarsi e svuotare lo stomaco, che i succhi gastrici gli riempirono la bocca mentre si rimetteva barcollante in piedi.
La faretra e l’arco gli pesavano sulla spalla ma erano l’unica arma che aveva imparato ad usare fino a quel momento. Troppo lento e maldestro per usare un’arma bianca, il leggero arco di frassino si era rivelato un ottimo compromesso, unito alla sua vista acuta che gli permetteva di centrare l’obiettivo a diverse yards di distanza.
Si sfilò il mantello, lo ripiegò con cura e lo pose nella sacca consunta dove conservava solo qualche oggetto e del cibo bastevole per un breve viaggio.
Un rivolo caldo e rosso gli gocciolò lungo il polso macchiando l’erba ai suoi piedi.
Si riscosse e osservò il polso bendato intriso del suo sangue. Si era fasciato frettolosamente la ferita, quasi timoroso che potesse ripensarci se avesse atteso altro tempo. Si chinò per sfilare delle bende dalla sacca per rifare la fasciatura. Quel pentagramma gli era costato più sangue del previsto, sentiva la stanchezza e la debolezza che minavano la sua determinazione a riprendere il viaggio.
Armeggiò ancora qualche istante con il contenuto della sacca e ne estrasse un lungo pezzo di radice, ne staccò con un morso, un frammento, e iniziò a masticarlo nonostante il saporaccio che gli riempì subito la bocca.
Mentre si ripeteva che non c’era tempo per riprendersi, iniziò a percorrere lo stretto sentiero che discendeva verso l’entrata della boscaglia. Se avesse avuto scelta se la sarebbe certamente lasciata alle spalle, ma purtroppo, quella era la strada che doveva percorrere per raggiungere il luogo dove era diretto.
L’unica sua consolazione era che, in quel momento, Astaroth aveva portato a termine il suo compito sigillando l’accesso al pozzo.
Capitolo 1
- Nihls!
La voce di suo padre risuonò per tutta la vallata facendolo balzare in piedi come uno stambecco.
- Accidenti, deve essersene accorto! – mugugnò afferrando l’arco e la faretra e gettando un’occhiata sul fondo del crinale – se corro veloce forse ce la faccio a non farmi prendere.
I piedi affondarono nell’erba bagnata, l’aria era calda quella mattina, quasi un’estate improvvisa in quella stagione di mezzo.
Stava quasi per spiccare un balzo quando si sentì afferrare per il colletto della casacca, gli mancò il contatto con la terra e fece appena in tempo a voltarsi e scorgere l’espressione furiosa del padre. Strinse con più forza l’arco e la faretra nel pugno determinato a non lasciare la presa.
- Come ti sei permesso di prendere il mio arco moccioso?
Adesso arriva!
Il colpo fu così violento che lo lasciò senza fiato, la guancia gli bruciò in un attimo, ma il secondo colpo gli fece lanciare un grido di dolore che non seppe trattenere. Nonostante tutto, non abbandonò l’arma.
Si ritrovò a terra, con l’odore persistente dell’erba e della terra bagnata nelle narici, col sapore ferroso del sangue che gli imperlò i denti e il dolore acuto che gli bloccò l’udito per una manciata di attimi.
Alzò gli occhi e si ritrovò a fissare il viso bruciato di suo padre, chiazzato da qualche ciuffo di pelo che ancora resisteva su quella carne putrescente. Avrebbe dovuto esserci abituato, ma ogni volta che si soffermava sul suo profilo deturpato, avvertiva un senso di ribrezzo difficile da mascherare.
- Se ti faccio tanto schifo molla quel pezzo di legno e tornatene a correre dietro alle capre! – grugnì chinandosi verso di lui per sfilargli l’arco.
Ma il ragazzo strinse ancora più forte le dita.
L’uomo ringhiò afferrandolo per il colletto e sollevandolo di peso per fissarlo negli occhi. Aveva l’espressione corrucciata di sua madre dipinta sul viso, con quegli stessi splendidi occhi azzurri che ti bucavano l’anima quando li incrociavi.
- Smettila di giocare a fare l’eroe, non ti porterà che guai, – asserì – vedi quanto mi è costato il mio servizio in quel luogo maledetto?
Avrebbe voluto replicare ma sapeva che avrebbe innescato soltanto una discussione inutile. Si limitò a sostenere, sprezzante, il suo sguardo.
Quando la mano di suo padre si aprì, finì a terra come un sacco di patate, un gemito di dolore gli sfuggì, nell’attimo esatto in cui atterrò su una delle pietre piatte che si mescolavano tra l’erba più alta.
L’arco e la faretra finirono tra la sterpaglia mentre il ragazzo si massaggiava il viso per pulirsi del sangue che colava dal labbro spaccato.
L’uomo raccolse l’arma e se la gettò in spalla lanciando un’occhiata di ammonimento al ragazzo. Silenzioso tornò verso il casale percorrendo la distanza in un battito di ciglia.
In fondo era un Mutaforma, la sua stirpe gli conferiva l’agilità e la velocità di una lince. Quella era la sua vera natura, che lui aveva ereditato solo in parte e che ancora non si era manifestata nonostante avesse già raggiunto la maggiore età per la sua razza. Agli occhi di un Umano dimostrava appena 16 anni, troppo gracile e inesperto persino per tendere al meglio le corde di un arco. Per non parlare della sua goffaggine e della scarsa abilità nella corsa. A volte dubitava di essere il figlio di Gristin Hap, il Custode dei Pozzi.
Fin da piccolo era affascinato da quei luoghi magici. Ignorando le proibizioni dei suoi genitori si era avventurato diverse volte ad ammirare coi suoi occhi quel luogo, almeno fino a quando era accaduto l’incidente.
Strinse un ciuffo d’erba tra le dita trattenendo le lacrime che gli bruciavano negli occhi fino a farlo impazzire.
L’incidente… Era un modo carino di definire quel che era successo per non addossarsi la colpa di quello che aveva cagionato con il suo comportamento avventato.
Da quel giorno tutto era cambiato ed era lui l’unico responsabile. Questo non doveva dimenticarselo mai.
Si rialzò traballante, quindi si ripulì alla bell’e meglio e tornò verso il pendio dove le capre albine stavano pascolando. Se questa era la vita che lo aspettava, allora avrebbe preferito scomparire anche lui in uno di quei pozzi maledetti.
Gristin Hap vuotò d’un sorso il boccale di birra scura picchiandolo sonoramente sul bancone bagnato. Non sollevò lo sguardo rimanendo con il viso in penombra nascosto dal cappuccio della cappa da viaggio da cui non si separava mai. Era difficile che si mostrasse in pubblico, ma quel giorno era di umore rancoroso, e l’unico modo per chetare quel suo stato d’animo, era affogare i dispiaceri con una bevuta.
Si sentiva inadatto al suo ruolo quando cedeva alla disperazione, ma anche lui aveva un cuore e provava dei sentimenti, quindi si sentiva autorizzato a lasciarsi andare di tanto in tanto.
Ma ancora non riusciva a perdonare Nihls.
Era consapevole che era solo un bambino, ma quel che aveva causato la sua disattenzione, aveva compromesso tutta la sua vita. E non soltanto il suo aspetto.
Ingollò l’ultimo sorso di birra sbirciando nella semioscurità di quel luogo malfamato. Avvertiva l’odore della paura e della disperazione e il tintinnio del denaro che passava da una tasca all’altra.
Quella locanda era conosciuta per essere il ritrovo di tagliagole e avventurieri, ma era anche la bettola che serviva un beveraggio accettabile rispetto a tutte quelle sparse in quelle terre desolate abitate dalla feccia del regno.
- Sei pensieroso e solitario – azzardò la voce di una donna alle sue spalle.
Sollevò appena lo sguardo mentre prendeva posto accanto a lui sullo sgabello sbilenco. Notò le dita nodose e contorte che sfiorarono il ripiano gibboso del bancone.
- Non ho bisogno di compagnia – replicò seccato cercando di nascondersi ancora di più nell’oscurità del cappuccio.
- Non sono venuta ad offrirtene infatti – ridacchiò gettando delle pietre scure verso di lui.
Erano piccoli sassi levigati di un colore grigio opaco con alcuni segni bianchi appena visibili sulla superficie. Ne contò quattro.
Gristin Hap non proferì parola, avrebbe voluto ignorare la donna, ma quella presenza sembrava più invadente di quanto non desiderasse.
- Non affogherai i ricordi in quel piscio colorato – iniziò scostando con l’unghia ricurva un sasso per avvicinarlo all’altro – il giovane uomo saprà sorprenderti più di quanto ha fatto in passato, ma stavolta non ti strapperà altro a cui tieni, ti libererà da un fardello – voltò