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Credito agrario. La valutazione finanziaria delle aziende
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E-book170 pagine2 ore

Credito agrario. La valutazione finanziaria delle aziende

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Info su questo ebook

Il libro, muovendo da un’analisi di scenario che mette a fuoco le dinamiche di mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari degli ultimi anni, si articola in un approfondito studio sulle modalità empiriche di valutazione finanziaria delle aziende agricole, agroalimentari e della pesca ai fini della concessione del credito. Nel contesto dell’accordo Basilea 2 e rispettando l’inquadramento normativo del credito agrario secondo il Testo Unico Bancario, viene proposta una modalità di rilevazione delle grandezze frutto di un lavoro sistematico di valutazione degli aspetti contabili ed economici, svolto attraverso la ricostruzione della catena del valore di attività multifunzionali in campagna. Il risultato è quello di giungere finalmente a delineare criteri corretti di interpretazione dei valori contabili
ai fini dell’ottenimento del credito agrario.
LinguaItaliano
Data di uscita27 feb 2012
ISBN9788865370247
Credito agrario. La valutazione finanziaria delle aziende

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    Anteprima del libro

    Credito agrario. La valutazione finanziaria delle aziende - Emanuele Fontana

    Emanuele Fontana, Credito agrario

    Copyright© 2012 Edizioni del Faro

    Gruupo Editoriale Tangram Srl

    Via Verdi, 9/A – 38122 Trento

    www.edizionidelfaro.it – info@edizionidelfaro.it

    Prima edizione: ottobre 2010 – UNI Service

    Seconda edizione: gennaio 2012 – Printed in Italy

    ISBN:

    978-88-6537-019-3 (Print)

    978-88-6537-024-7 (EPUB)

    978-88-6537-025-4 (Kindle)

    Progetto grafico di copertina:

    Prefazione

    Affidare le aziende agricole e agroalimentari è da sempre un interessante banco di prova per le Banche in quanto si verificano difficoltà di valutazione delle reali capacità di rimborso delle stesse dovute alle specifiche contabili e fiscali del settore.

    Proprio per queste caratteristiche è difficile ricostruire i dati contabili ma soprattutto manca una metodologia accertata per rilevarli; perlomeno in funzione dell’attribuzione del rating e delle procedure di affidamento a livello bancario. Troppo spesso si ricorre ad una generica interpretazione delle consistenze patrimoniali, affidando il cliente più in relazione al possesso di ettari lavorabili che alle effettive e potenziali capacità reddituali.

    Con queste premesse lo sforzo congiunto di Banche e imprese dovrebbe senz’altro essere quello di assumere un atteggiamento capace di comprendere le esigenze delle aziende aldilà della interpretazione formale dei dati contabili: sapendo bene che oltre il 90% delle aziende agricole si trova in regime agricolo semplificato.

    Solo in questo modo è possibile procedere ad una organica trattazione del settore, in ottica di presidio del rischio e sviluppo commerciale.

    Il libro di Emanuele Fontana, con il quale condivido un percorso professionale significativo, propone una metodologia di valutazione specifica del settore, improntata sulla logica di valorizzazione dei dati ai fini della emersione delle capacità di reddito reali delle aziende agricole.

    Centrato sulla rilevazione delle grandezze flusso e fondo dell’impresa agricola, ricostruisce la catena del valore, attraverso una ampia trattazione delle specifiche produttive delle attività cicliche e non.

    Il lavoro prende anche spunto dall’attività quotidiana di valutazione delle aziende e accompagno volentieri lo scritto, certo di un suo ruolo essenziale nell’approccio bancario al credito agrario.

    Marco Nichele

    Dirigente Banca Popolare di Vicenza

    Capitolo 1 – Analisi di scenario

    1.1. Brevi considerazioni sul sistema agricolo e agroalimentare in Italia

    Nella consapevolezza che siamo di fronte ad un macro settore, letto da più punti di vista, che sfugge ad una definizione univoca, è imprescindibile procedere per gradi. Per comprendere il fenomeno e avviare un percorso di lettura dell’affidabilità delle aziende agricole è necessario illustrare le dinamiche del settore ampliandone immediatamente la configurazione, nella prospettiva di far emergere le dinamiche di filiera.

    Ci si trova di fronte ad un macro settore con forte caratterizzazione domestic market, che comprende la produzione primaria (agricoltura e pesca) e le successive fasi di trasformazione e commercializzazione. Si parla di conseguenza di macro settore primario nel suo complesso: vincolato alla specificazione di filiere produttive.

    La definizione di macro settore omogeneo ripercorre, in una logica esplicativa che parte dalle prioritarie dinamiche di prezzo, un processo di specificazione che parte dalla generazione del prodotto nella pratica colturale e di allevamento fino a giungere alla prima trasformazione. Per interessare poi la seguente impostazione della pratica commerciale. Una logica che si fonda sulla consapevolezza che sia limitante non occupare lo spazio analitico che va dalla maturazione del prodotto primario alla sua utilizzazione. Nel macro settore primario inquadriamo le aziende di allevamento e di acquacoltura, di coltivazione e di pesca, di prima trasformazione e di trasformazione della caratterizzazione organolettica del prodotto, nonché di ricettività turistica in campagna e sulla costa. In prospettive che trovano sempre più affermazione nella definizione di assetto multifunzionale in un unico complesso aziendale.

    A livello tecnico analitico lo stesso complesso aziendale è suscettibile di essere scomposto in UTE (Unità Tecniche Economiche¹) riconducibili ora ad una pratica colturale che insiste in un luogo, ora ad una unità multifunzionale indipendente ma facente parte di una conduzione amministrativa unitaria. Con tali strumenti è possibile procedere alla definizione dell’articolazione micro economica appropriata. A livello marco invece la struttura del settore primario si configura come un universo di attività differenziate ma possibilmente complementari legate imprescindibilmente al territorio di appartenenza. Laddove si caratterizzano per proprietà organolettiche, caratteristiche colturali legate alla produzione e perfino mercati di sbocco.²³

    Tab. 1. Numeri complessivi di riferimento

    per l’agricoltura italiana comparata ai dati UE.

    Fonte INEA e FAO, 2010.

    Nelle varie forme esistono sul territorio nazionale oltre un milione e mezzo di imprese, con un numero di addetti che oscilla stagionalmente da 425 a 430 mila unità di lavoratori dipendenti. A questi si aggiungono, stando ai dati disponibili al 2010 riferiti al 2009⁴, oltre 470 mila lavoratori indipendenti, cioè coltivatori diretti o coadiuvanti familiari comunque occupati ma non con vincolo di subordinazione.

    Il dato sull’occupazione, che in questa percentuale, a livello di settore, rappresenta il 3,8% dell’occupazione totale nel Paese, non è troppo significativo in quanto siamo in presenza, nella maggior parte dei casi, di conduzione individuale configurabile come forma imprenditoriale.

    Nel complesso le 895 mila unità censite sono un aggregato di lavoratori stabili, avventizi⁵, lavoratori conto terzi, coltivatori diretti del fondo non qualificati come imprenditori agricoli professionali (IAP⁶).

    Numeri in calo rispetto al dato 2008 soprattutto dal lato dei lavoratori dipendenti che hanno ceduto il 7%. Stabile invece l’occupazione fra gli indipendenti: dati pressoché uguali nel 2008 e 2009.

    Il numero assoluto di imprese è invece costante dal 2007 ad oggi. Non si sono avuti miglioramenti o peggioramenti rispetto ad un numero assoluto che dai primi anni del 2000 si è comunque ridotto dal 20%.

    La diminuzione in termini assoluti non indica, secondo lo scrivente, una fuga dal settore ma, in una lettura più ampia, coincide con le pratiche di aggregazione di più unità produttive in strutture più grandi e necessariamente orientate ad economie di scala. Negli anni passati la eccessiva polverizzazione del settore ha generato troppi inconvenienti in termini di prospettive reddituali e di sviluppo.

    La testimonianza del fenomeno appena accennato trova effetto nella rappresentazione dei numeri assoluti come di seguito riportata.⁷⁸

    Tab. 2 Rilevazioni medie rispetto ai dati italiani e UE.

    Fonte INEA e FAO, 2010.

    La media nazionale di SAU (Superficie Agricola Utilizzata) per azienda è oggi superiore del 20% rispetto a vent’anni fa. Per la precisione nel 2009 sono stati condotti oltre 12,7 milioni di ettari con una media di 7,5 ettari di SAU per azienda.

    Secondo i dati del censimento agricolo del 1990, la SAU media era intorno ai 6 ettari laddove nel complesso la superficie lavorata ammontava a 15 milioni di ettari.

    Con le opportune cautele la messa in evidenza dei dati di superficie e occupati ci consentono di proporre uno scenario che coglie un approccio strategico centrato sull’innovazione di processo. Gioca in questo senso un ruolo di prioritario la meccanizzazione agricola e il conseguente forte incremento della produttività.

    La diminuzione costante di occupati dipendenti dal dopo guerra ad oggi testimonia perlomeno tre diverse stagioni.

    La prima legata all’abbandono della campagna da parte di mezzadri, fittavoli e piccoli coltivatori che ha interessato il centro nord della penisola dal secondo dopo guerra fino agli anni alla fine degli anni ’60. In uno scenario disarmante di abbandono della campagna da parte di nuclei familiari e singoli lavoratori attratti dalle opportunità offerte dalla industrializzazione in aree metropolitane sempre più grandi.

    Uno scenario che sembrava non aver fine a scapito del lavoro agricolo e dell’attività di presidio della campagna. In questo senso nessuna politica pubblica ha giocato mai un ruolo di contrasto al fenomeno.

    Si ricordi a solo titolo di esempio il tentativo di modellizzazione di un nuovo sviluppo politico economico da parte di Graziani⁹. Sviluppo basato su una sostanziale equità di sviluppo nell’interazione fra mondo rurale e urbano, all’insegna dell’aumento delle esportazioni e dell’intervento pubblico a livello locale.

    Tuttavia questo come altri modelli di politica economica hanno poco inciso già dalla fase di progettazione, non incontrando i favori dei politici decisori maggiormente orientati ad un ampio sviluppo dell’industrializzazione.

    Tardive in questo senso le prese di posizione che più volte sono venute da parte del mondo politico negli anni ’90 e 2000 di non aver sufficientemente sfruttato la campagna come fonte di reddito e occupazione prima e garanzia e tutela del territorio poi. In un percorso integrato capace di portare benessere diffuso fra campagna e città.

    La seconda stagione va dagli anni ’70 ai primi ’90, un ventennio o poco più nel quale il modello di sviluppo della penisola, incentrato sulla grande industria al nord e sul sussidio continuato al sud (definizione un po’ brusca ma che effettivamente rende l’idea di quelle che sono state le fallimentari politiche di aiuto al meridione e la inconsistente risposta alla tuttora presente questione meridionale) cominciava ad incontrare le prime serie difficoltà¹⁰.

    Concetti già ampiamente indagati come la differenziazione dei gusti dei consumatori, il crescente reddito disponibile per il consumo, la dinamica produttiva degli anni subito conseguenti il grande sviluppo della penisola sancirono il passaggio ad una stagione nella quale il paradigma di sviluppo del paese cominciava ad incepparsi.

    L’agroalimentare, come parte integrante di un sistema in difficoltà, venne esposto in prima battuta alle influenze negative delle speculazioni mondiali e successivamente alla riorganizzazione del mercato interno, con l’abbandono di determinate colture poco remunerative e la valorizzazione di altre. In una dinamica dei prezzi che cominciava a risalire dopo la inevitabile turbolenza degli anni del decennio precedente.

    Altro tema centrale di quegli anni la riorganizzazione della produzione e della proprietà fondiaria. Con la definitiva fine della mezzadria e la riorganizzazione in chiave di ampliamento del terreno coltivabile degli appezzamenti disponibili da nord a sud, si posero le basi per l’impostazione di una percorso di crescita delle imprese. Crescita ancora lontana da venire ma che trova in quegli anni la sua fondamentale giustificazione.

    I contadini e i mezzadri cominciano ad affrancarsi e diventano piccoli proprietari grazie ad investimenti propri. Nel contesto del riordino fondiario conseguente non va sottovalutato il ruolo della Piccola Proprietà Contadina¹¹, istituto che da solo ha contribuito in modo determinante alla riconfigurazione dello scenario agrario della penisola.

    Con prestiti a tassi agevolati, di durata ultradecennale, senza di fatto garanzie se non quelle insistenti sul fondo, tramite il riservato dominio, la Cassa ha impostato un riordino fondiario sulla base delle effettive richieste degli agricoltori in tutta Italia.

    Oggi il ruolo della vecchia

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