Incontri e scontri
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Personaggi sia sopra sia sotto le righe che ci fanno rivivere vicende originali ma anche del tutto reali, non lasciandosi però sfuggire l’occasione di volar via con la fantasia. Un cammino itinerante che attraversa alcune tra le più importanti città del centro e del nord Italia, delineando un ritratto pungente dei vizi e delle virtù degli italiani. Ma anche riflessioni sull’esistenza e suoi valori, l’importanza degli affetti e delle persone che ci accompagnano durante la vita, un unico giro di giostra che va vissuto appieno, non dimenticando delusioni e aspettative spezzate.
Finemente caratterizzato e umoristicamente raccontato attraverso la forza dei dialetti e della musica, delle citazioni letterarie e del mondo dello spettacolo e dello sport.
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Anteprima del libro
Incontri e scontri - Giovanni Volpon
29 settembre e dintorni
Capitolo primo
In un inizio pomeriggio di fine aprile Mario, un funzionario di banca di circa quarantacinque anni, stava seduto al tavolino di un bar prospiciente la stazione di Lambrate sorseggiandosi in santa pace un caffè. Era uno di quei rari pomeriggi soleggiati con il cielo reso terso dalle folate del phoen che aveva fatto scrivere a Manzoni mirabili frasi, croce e delizia di tanti studenti (più croce per la verità), sull’azzurritudine del bel ciel di Lombardia.
Ogni riferimento ad Addio monti sorgenti dall’acque, etc.
è volutamente non casuale.
Essere seduto al tavolino del bar all’angolo con via Salieri, se pur nel consueto movimento pomeridiano di persone che entravano e uscivano dalla fermata della metropolitana e dalla vicina stazione Trenitalia, in quasi sbrago era un modo come un altro per rilassarsi.
Non mancava il pezzetto di verde (era il verde-spelacchiato tendente a sabbia di molti spazi verdi
della Milano del 21° secolo), dove nasce una primula in mezzo al traffico, ma in quel momento stava scaricandosi dalla tensione fumando dopo il caffè una sigaretta con voluttuosa lentezza e lenta voluttà. Aveva deciso di utilizzare la pausa pranzo fino all’ultimo minuto, vale a dire fino alle 14.29, prima di entrare di nuovo in banca.
Tale decisione, per la cronaca, era stata presa alle 13.21, minuto più, minuto meno.
Era stata, almeno per lui, una mattinata lavorativa moolto pesante nel corso della quale non era mancato nessun elemento negativo tipico di qualsiasi ambiente di lavoro a contatto con il pubblico. Non erano mancati clienti pedanti, pretenziosi, maleducati e litigiosi, lavoro arretrato da consegnare per ieri, diverbio fra tre sue collaboratrici e successive e legittime lamentele di due di loro esternate al Mario di turno, l’animata discussione con un suo collega circa presunti torti subiti e, ciliegina finale sulla torta, sfiancante discussione col direttore della filiale che ascoltava tutti, diceva sempre sì, guardandosi bene però dal prendere decisioni.
Insomma una di quelle mattinate da Fermate il mondo, voglio scendere!
Mario avrebbe potuto, facendo poca strada in più, arrivare tranquillamente a casa sua (abitava in via Clericetti, una traversa di via Bassini), ma pensò tra sé che non era il caso, almeno in questi giorni. Non aveva alcuna intenzione né di discutere col suo figlio adolescente Lucio, di quindici anni, sull’acquisto dell’ultimo capo di abbigliamento firmato che avevano tutti i suoi compagni di classe né di litigare con la moglie Silvia che gli rimproverava continuamente di essere un padre poco propenso ad accontentare il figlio. Mario detestava profondamente la corsa al consumismo becero e massificante, soprattutto da parte dei ragazzi. Silvia era caduta in un accesso/eccesso di gelosia perché Mario aveva osato!? salutare con due bacetti sulla guancia una sua ex compagna di classe incontrata mentre stava accompagnando la moglie a fare la spesa. Mario era un tipo espansivo, non lesinava complimenti, apprezzamenti e baci alle signore di ogni età ma non in presenza della moglie e senza andare né sopra né sotto né in mezzo alle righe. Stavolta era andato leggermente oltre e la stava pagando cara oltre il dovuto. Era stato sincero con Silvia spiegandole che Barbara (la signora bacettata che, per sua sfortuna – di Mario, non della signora, ovviamente – era ancora graziosa e piacente) era stato un amore di gioventù, un tuffo dove l’acqua è più blu, niente di più. Per sua sfortuna Mario aveva replicato citando una frase di una canzone degli anni settanta, gli anni in cui prima di laurearsi in scienze politiche ad indirizzo economico e diventare un funzionario di banca stimato ed apprezzato, era militante in una formazione extraparlamentare, studente non proprio brillante, capitano della squadra di condominio Le furie rosse
ed aspirante corteggiatore di compagne di classe, sorelle e cugine degli stessi, vicine del primo, secondo e quinto piano.
Non era un tombeur de femme (percentuale una su dieci per intenderci), ma era chiaro che politica, calcio e ragazze gli interessavano più degli studi di ragioneria.
Le sue spiegazioni non avevano convinto Silvia che da tre giorni gli stava rendendo pesante la convivenza tra le pareti domestiche.
Meglio il purgatorio del tavolino del bar! Il gironcino dell’inferno domestico lo avrebbe affrontato nel tardo pomeriggio dopo le diciotto!
Mentre si stava gustando in placida solitudine quei momenti di relax, dall’interno del bar partirono le note della canzone dell’Equipe 84 29 settembre
, che inizia guarda caso con la voce fuori campo di un giornale radio e con le parole: Seduto in quel caffè io non pensavo a te / guardavo il mondo che girava (o correva?) intorno a me.
Eccezionale coincidenza tra canzone, momento e stato d’animo!
Mentre era in quello stato d’animo che si potrebbe definire come piacevole sensazione di non essere del tutto connesso con il mondo esterno, ma non del tutto assente, passò davanti al tavolino ove si stava gustando con lente boccate la sigaretta del dopo caffè, la segretaria del collega con cui aveva litigato durante la mattinata. Mario la salutò cordialmente dicendo: «Ciao Daniela, posso offrirti un caffè prima di riprendere il lavoro?»
Daniela era una signora sui quaranta di bella presenza quanto basta (e avanza), non molto appariscente, di aspetto gradevole, coi capelli castani, le sopracciglia folte, gli occhi castani con riflessi verdi e il sorriso che spandeva con profusione.
Aveva forme di magra non anoressica ma era piacevolmente arrotondata nei punti giusti.
Non era una donna che colpiva al primo impatto, ma al secondo o terzo o quarto per i distratti, ma ciò non vuol dire…
Era gentile e cordiale sia coi clienti sia coi colleghi d’ufficio. Era arrivata alla banca da poco tempo (sei mesi) trasferita dall’hinterland e si era fatta benvolere da tutti i suoi colleghi e da tutte (o quasi) le sue colleghe. Non era una pettegola, era discreta e non tediava colleghe e colleghi con le narrazioni di disavventure matrimoniali anche perché con suo marito andava d’accordo (quando lo chiamava o era chiamata al cellulare rispondeva rivolgendogli sempre epiteti graziosi (il suo preferito era cucciolone, in seconda posizione cioccolatino, in terza il più banale tesoro). Anche a Mario risultava gradevole e simpatica, ovviamente.
Daniela accettò di buon grado l’invito di Mario e si sedette allo stesso tavolino di fronte a Mario, ed iniziò a sorseggiare il caffè lentamente. Guarda caso, Daniela era arrivata dopo i versi: "Poi d’improvviso lei sorrise / e ancora prima di capire mi trovai sottobraccio a lei / stretto verso casa abbracciato a lei / quasi come se non ci fosse che lei… (segue uo, uo, uo in falsetto dalla voce di Maurizio Vandelli)
Per strana, imprevista ed imprevedibile coincidenza, Daniela smise di sorseggiare il caffè e sorrise. Mario doveva aver assunto un’espressione tra il perso ed il sognante che indusse Daniela a chiedergli: «Cosa c’è? Costa ti sta succedendo?»
Mario le rispose dicendo che la canzone 29 settembre gli piaceva molto perché legata a momenti passati per lui importanti (alla sig.ra Barbara, fonte dell’accesso di gelosia della moglie, particolare che omise di raccontare) e che l’aveva colpito l’associazione spazio-tempo-azione (il sorriso di Daniela appunto). Daniela rimase abbastanza sorpresa da quanto gli aveva detto Mario.
Era la prima volta che Mario faceva alla collega confidenze di carattere così personale. Certo con la collega andava d’accordo, dialogava su questioni inerenti l’attività lavorativa, con lei parlava di politica, di sport, di arte ed altro (condividevano la passione per l’Inter ed avevano anche punti di vista abbastanza vicini per quanto riguarda la politica, entrambi con simpatie per il centro e, più’ o meno, sinistra e la meno o più velata antipatia per il collega con cui Mario aveva avuto un diverbio in mattinata).
Mario lasciò il discorso in sospeso, si avvicinò alla cassa, offrì il caffè alla collega che lo ringraziò sorridente ed insieme si avviarono alla filiale della banca dove entrambi lavoravano.
Il pomeriggio trascorse nelle consuete attività per entrambi. La pausa sembrava aver restituito a Mario la calma e le energie per continuare l’attività lavorativa senza intoppi. Anzi riuscì a sbloccare in mezz’ora una questione legata ad alcuni bonifici estero su Italia che tardavano a palesarsi sul conto corrente di un cliente.
Alla fine del pomeriggio Mario salutò quasi tutte le sue colleghe ed i suoi colleghi (fece eccezione per la racchiosa e pedante sig.na Camilla Sfondrini che, richiedendo un giorno di permesso non previsto, aveva lasciato a due sue colleghe il lavoro arretrato senza informarle e per il dr. Manlio Meliconi con il quale aveva avuto il diverbio in mattinata).
Si avviò a passo lento verso casa accendendosi la sigaretta, varcò la porta di casa e fu accolto dalle sarcastiche parole di Silvia che gli disse: «Bentornato Dongiovanni dell’Ortica.» Quartiere ove abitava prima di conoscere e sposare Silvia. «Quante signore sono state oggi vittime dei tuoi baci appassionati?»
Mario in un primo tempo fu tentato di rispondere per le rime, ma la sua esperienza gli suggerì di non offrire spunti per una lite. «Cucciolona mia, oggi ho avuto troppo da fare in ufficio.»
Silvia rimase sorpresa pensando: