Ri-anima
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Anteprima del libro
Ri-anima - Daniele Rubino
RI-ANIMA
Daniele Rubino
EDIZIONI SIMPLE
Via Trento, 14
62100, Macerata
info@edizionisimple.it / www.edizionisimple.it
ISBN edizione digitale: 978-88-6924-236-6
Stampato da: WWW.STAMPALIBRI.IT - Book on Demand
Via Trento, 14 - 62100 Macerata
Tutti i diritti sui testi presentati sono e restano dell’autore.
Ogni riproduzione anche parziale non preventivamente autorizzata costituisce violazione del diritto d’autore.
Prima edizione digitale ottobre 2016
Prima edizione cartacea settembre 2016
Copyright © Daniele Rubino
Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo, riservati per tutti i paesi.
Mi affascina il mistero delle vite
che si dipanano lungo la scacchiera
di giorni e strade, foto scolorite
memoria di vent’anni o di una sera.
E mi coinvolge l’eterno gocciolare
e il tempo sopra il viso di un passante
e il chiedermi se nei suoi occhi appare
l’insulto di una morte o di un’amante,
la rete misteriosa dei rapporti
che lega coi suoi fili evanescenti
la giostra eterna di ragioni o torti
il rintocco scaglioso dei momenti,
il mondo visto con gli occhi asfaltati
rincorrendo il balletto delle ore
noi che sappiamo dove siamo nati
ma non sapremo mai dove si muore.
Francesco Guccini
My soul is painted like the
wings of butterflies
Queen
Indice
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
I
Nella periferia ad est di Milano c’erano centinaia di bar e Luciano li aveva provati tutti, un po’ perché gli piaceva conoscere gente nuova, un po’ perché da molti era stato cacciato in malo modo.
Non che fosse incline ad abbassare la testa, scusarsi e sparire: anzi, aveva collezionato nei suoi quarant’anni diverse denunce e qualche notte al fresco, ma il suo atteggiamento collerico, soprattutto dopo un paio di bicchieri di Vecchia Romagna, non era mai cambiato.
Entrò al Roxy bar e cominciò ad ordinare da bere, seguendo la partita da biliardo con scarso interesse, per poi decidere di prendere posto vicino ad una faccia mai vista.
L’uomo era di bell’aspetto, giudicò dovesse avere circa la sua età, forse sui trentotto, era castano, con quei capelli che hanno sempre bisogno di una riavviata che però non dura più di un paio di minuti. Notò che aveva spalle larghe ma non era grasso, sembrava molto in forma. Eppure aveva una barba di almeno una settimana ed a quanto pare si era scolato una bottiglia di vino da solo, anche se accompagnata da una cena che a giudicare dai resti sul tavolo, doveva essere stata abbondante. Ora dalla tv appesa in alto guardava un incontro di tennis, e non pareva essersi accorto che la sedia di fronte a lui era stata occupata. O forse, cosa peggiore, non gli interessava.
Luciano ordinò un altro bicchiere di Vecchia Romagna e si rivolse all’uomo. «Non si usa salutare dalle tue parti?»
L’uomo non si girò completamente verso di lui – ora sembrava molto preso dall’incontro in tv – ma quel tanto che bastava a riprendere il suo bicchiere, e rispose «non ti conosco, ma al limite toccava a te, visto che io ero già qui.»
Luciano avvertì il solito moto di rabbia, questa volta accentuato dal fatto che aveva a che fare con qualcuno che sembrava sentirsi decisamente superiore a lui. Anzi, a dirla tutta, quel bastardo sembrava sentirsi superiore a tutti.
«Mister, ti conviene girarti e guardarmi se non vuoi che vada a finire male. Lo sai chi sono io?» gli sussurrò con un ghigno, e questa volta quell’arrogante bastardo non si degnò neanche di rispondergli.
Buttò giù tutto il contenuto del bicchiere, fece segno al barista di volerne un altro ed aumentando il tono della voce continuò «lo sai chi sono io?»
Questa volta l’uomo si girò completamente verso di lui, distogliendo l’attenzione dalla tv, prese la bottiglia, l’agitò constatando che erano rimaste poche gocce, la ripose giù con una smorfia e disse con voce pacata «E tu lo sai chi sei? Te lo dico chi sei: uno che non ha mai fatto niente in vita sua. Non hai le mani da operaio e non sei un impiegato, visto che da come ti vesti e dal fatto che non ti sei curato gli incisivi, penso che non lavori. Proba-bilmente credi d’incutere paura a qualcuno dicendo che eri un pugile, ma il pugno di uno che hai importunato ti ha rotto il naso e tu non ne hai mai tirati, si capisce sempre guardando quelle mani da donna. Fumi, ed anche questo fa incazzare tua moglie perché butti via soldi che non ci sono e questo spiega perché sei qui e non è una sera ogni tanto. Ti diverti a provocare gli altri perché tuo padre te le suonava senza motivo, ma ti guardi bene dall’andare avanti se capisci che hai di fronte qualcuno più determinato o forte di te. Più o meno, sei questo.»
Luciano lo guardò con occhi stupefatti e scoppiò a ridere.
«Mister, tu sei suonato forte!! Ma proprio tanto!» poi si girò verso il barista «un’altra bottiglia per il mister, qui!»
L’uomo si alzò e rifiutò, ringraziandolo e avviandosi verso la cassa per pagare il conto. Luciano lo chiamò. «Mister, ora che stavamo cominciando ad ingranare? Fermati ancora un po’!» poi, porgendogli la mano «piacere, Luciano» l’uomo si girò, e quasi con un sussurro, si avvicinò al suo orecchio «hai la gola asciutta, strizzi gli occhi come chi ha la vista offuscata, e hai il formicolio a mani e piedi. Hai il diabete. Va’ a farti vedere. Piacere, Roberto»
Pagò ed uscì.
Luciano si alzò e chiese al barista chi fosse quello strano tizio.
«Non l’avevo mai visto, non saprei… non sarà nessuno…»
Ed invece era qualcuno.
***
La ragazza lasciò la bicicletta nello spazio riservato, legando la catena con il grosso lucchetto che le aveva regalato suo padre secoli prima. Cercò nello zaino l’ennesimo panino, l’addentò e si mise in coda. Erano le dieci del mattino e faceva già abbastanza caldo, ma aveva già percorso trenta dei quarantuno chilometri che si era imposta di coprire ogni giorno per tornare a casa sabato.
Aveva superato metà del lungo viaggio, era arrivata a Firenze ed ora si apprestava ad entrare in uno dei luoghi che amava di più: la Galleria degli Uffizi.
Arianna - così si chiamava, come volle il padre amante della mitologia greca, il quale sosteneva che la notizia della sua paternità l’avesse fatto uscire dal proprio labirinto personale, come fece Arianna con Teseo- era partita da Grosseto la settimana precedente con l’intento di raggiungere Lecco, sua città natale, in bicicletta. Aveva capelli biondi tagliati all’altezza del collo, occhi castani e grandi come quelli dei cartoni animati giapponesi.
Non era solita a maratone ciclistiche: a dir la verità non ricordava di aver mai percorso più di venti chilometri in una giornata, ed era accaduto comunque molto raramente.
Il cartello luminoso indicava che il tempo di attesa per entrare poteva protrarsi per un’ora, ma lei non aveva particolare fretta: questa visita era l’unico appuntamento della giornata, così si rifugiò nei suoi pensieri, con gli occhi fissi in un punto lontano dietro gli occhiali da sole.
Lei finì di riempire la valigia e cercò qualcosa con lo sguardo per ritardare il momento in cui avrebbe dovuto guardarlo negli occhi. Lui le si avvicinò e quando fu di fronte a lei, le prese le mani tra le sue e la implorò di nuovo di ripensarci, di aspettare, di parlare, di valutare. Era sicura di voler buttare via dieci anni così? Lui aveva fatto