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La centesima finestra
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E-book339 pagine5 ore

La centesima finestra

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Info su questo ebook

“La centesima finestra è quella che si apre all’improvviso sullo schermo del pc ed è la finestra attraverso cui entra un ospite inatteso, o inopportuno. Un ospite che cambierà il tuo pc. O la tua vita.”
Tre amici dai tempi dell’università si ritrovano tutti insieme dopo molti anni e trascorrono tre giorni in un paese della Liguria. Il loro affetto è tanto forte da spingerli a stare insieme in un modo che non avevano mai osato negli anni di gioventù. Quando si salutano Annalisa comunica loro che non si rivedranno più. Sarà davvero così? È possibile dimenticare tre giorni di perfezione, di distacco dal mondo? Ogni evento trascina e porta lontano una parte di loro, fino a farli diventare ‘diversi’. Ma, dopo qualche settimana, dopo avvicinamenti e qualche circostanza taciuta, la situazione precipita. È in quel momento che ognuno di loro dovrà accettare una parte di sé che non credeva di possedere.
LinguaItaliano
Data di uscita19 giu 2012
ISBN9788863699340
La centesima finestra

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    La centesima finestra - Morena Fanti

    La centesima finestra

    Morena Fanti

    ISBN: 9788863699340

    Progetto grafico e immagine di copertina © Arthur

    foto: Cento finestre a Cordova.

    La centesima finestra

    Morena Fanti

    A chi non ci credeva

    La telefonata

    Solo cinque passi dividevano la scrivania dalla finestra: cinque passi per colmare gli occhi del blu del mare, sentire il cuore calmarsi e cancellare il senso d’oppressione al petto. Fabio si alzò e misurò per l’ennesima volta quella distanza. Il sole era brillante e scaldava l’aria come se fosse estate, lo sentiva anche attraverso la finestra, mentre ammirava lo spettacolo del Golfo e del mare illuminato da quel calore senza ombre. Fece un respiro profondo. Il golfo era il motivo per cui aveva preso quell’ufficio in via XXVII Marzo, la strada che portava in collina e al Castello San Giorgio, al quinto piano di un palazzo antico pieno di studi tecnici e legali.

    Era costretto a stare spesso a Milano, la città dove si sentiva pulsare il denaro, e dove aveva, vicino a Piazza Affari, un ufficio enorme – un intero piano di un palazzo – e una dozzina di collaboratori fidati. Quando era là, però, sentiva la mancanza del mare; si era creato, quindi, quel buen retiro completo di panorama. Appena poteva, scappava e tornava a La Spezia, la città dov’era nato e dove ancora abitava, in quell’ufficio dove non riceveva mai nessuno. Sedeva a lavorare nel silenzio attutito dai doppi vetri, cosciente che il mare era là fuori.

    Certe giornate hanno in sé tutta la potenzialità di una vita intera. La frase gli arrivò improvvisa, con una sensazione di pericolo. Si domandò chi facesse vibrare le cose e intrecciare gli eventi. Era un’idea ancora velata, come una conchiglia sommersa dalla sabbia, che l’onda scopre arrivando a riva e poi ricopre ritornando sui suoi passi. È una mossa del destino decidere quando scoprire le conchiglie sommerse e c’è chi si affida all’oroscopo per sapere come sarà la sua giornata. Fabio De Santis no, lui non credeva all’oroscopo; credeva nel lavoro individuale e nelle scelte consapevoli ed era convinto che il destino fosse racchiuso nelle mani delle persone e che tutto si potesse guidare verso la direzione scelta.

    In quell’istante, guardando quell’immensa distesa d’acqua, intuì la grandezza di ciò che stava fuori, e sentì la presenza minuscola dell’uomo, il suo ininfluente potere sul mondo. Questo pensiero lo infastidì. L’uomo può dominare ogni cosa se non delega il suo ruolo di attore nella vita.

    Ritornò alla scrivania e si sedette. Stava sorvegliando le azioni della Saipem, aspettava che il valore scendesse e arrivasse il momento giusto per l’acquisto. Il gruppo Eni gli procurava sempre ottimi profitti, e i profitti erano una cosa che Fabio De Santis aveva imparato a non sottovalutare. Si preparò per una videochiamata con Galloni, il suo braccio destro, l’uomo che guidava il gruppo di assistenti che aveva a Milano.

    Il viso della moglie, che gli sorrideva dalla foto posata sulla scrivania, gli ricordò la discussione della sera prima: Laura si opponeva da mesi alla sua richiesta di avere un figlio e inventava sempre nuovi pretesti per giustificare la sua decisione. Fabio trovava la faccenda molto irritante.

    Tentò di concentrarsi sulla Saipem. Allungò la mano per chiamare Giovanni Galloni. Il telefono suonò, bloccandolo a metà del gesto.

    Non riconobbe subito la voce che esordì senza perdersi in formalità: Ciao Fabio. Quanti anni sono passati dall’ultima volta che ci siamo visti? Dieci? E Dario? Saranno dodici anni che non lo vedo. È ora di fare una bella rimpatriata, ma dopo queste frasi sparate a raffica non ebbe dubbi. Quella voce decisa e piena d’energia poteva essere solo sua: Annalisa? chiese, ma era solo una formalità. Lei non rispose e proseguì: Sarò in Liguria la settimana prossima, per un corso ai responsabili locali. Pensavo di fermarmi qualche giorno in più e andare in un paese che mi hanno raccomandato per la sua bellezza. Conosci Cervo?. Annalisa fece una pausa e lui replicò: No, non lo conosco.

    Lei riprese subito a parlare: Allora è tempo che tu lo conosca. Che ne dici se ci troviamo tutti e tre? Da venerdì a domenica. Tre giorni fuori dal mondo. Annalisa parlava velocemente, come se volesse sbrigarsi e accantonare l’argomento. Cellulari spenti e nessuna interferenza. Ti va?.

    A lui andava molto, se ne rese conto mentre le diceva . Promise che avrebbe chiamato Dario: Tranquilla, ci penso io. Poi prenoto le camere, certo. Lei gli diede il nome dell’albergo da chiamare, un B&B molto carino con vista mare trovato sul web, e l’orario d’arrivo del treno. Lo salutò con le ultime raccomandazioni: Ci vediamo venerdì alle dieci alla stazione d’Imperia. Io arrivo da Sanremo, dove ho il corso. E mi raccomando, lascia a casa quei completi da mille euro e il cellulare. Solo noi tre, come una volta.

    La comunicazione si chiuse all’improvviso. Fabio rimase un momento immobile, con il telefono in mano e gli occhi fissi sulla scrivania.

    Annalisa era l’amica del cuore ai tempi dell’università a Bologna. Amica sua e di Dario. Andavano sempre in giro insieme, anche se frequentavano facoltà diverse: economia e commercio per lui, scienze politiche per Annalisa, mentre Dario, che aveva iniziato con ingegneria ma si era stancato subito, studiava architettura a Firenze: Ma non ci penso nemmeno a trasferirmi là, non vi lascio qui da soli, aveva detto quando aveva comunicato il cambio di facoltà.

    Erano sempre insieme, tutti e tre; la conoscenza, nata per caso, era diventata una parte essenziale delle loro vite. I primi tempi alternavano le serate tra l’appartamento di via Petronio Vecchio, il bilocale dove abitavano Dario e lui, in una casa dove le scale avevano odori ormai stagionati, come il colore che si sfaldava dai muri, e l’appartamento di via Massarenti, che Annalisa divideva con due ragazze. La famiglia di Annalisa abitava a Reggio Emilia, ma lei preferiva stare a Bologna – città dove aveva poi trovato lavoro e dove ancora abitava – e rientrava a casa solo per le vacanze. Dopo pochi mesi avevano trovato, in via Giuseppe Petroni, un appartamento più grande in cui stare tutti insieme.

    Era stato un periodo fantastico, Fabio lo ricordava bene e a volte ne aveva nostalgia. Tra loro c’era molta complicità; si confidavano ogni cosa, condividevano tutto ed erano sempre pronti ad aiutarsi. Eppure, nonostante un’amicizia così forte, erano anni che non si vedevano. Fabio si domandò cosa avrebbe detto Dario.

    Lui fu sorpreso ma accettò subito: «Sono in un momento di superlavoro; stare qualche giorno senza telefono e senza gente che chiede sempre qualcosa mi sembra un regalo di Natale fuori stagione». E aggiunse: «Ho voglia di vedervi. Ma sono davvero tanti anni che non ci troviamo tutti e tre?».

    Prima di salutarsi si accordarono per fare il viaggio insieme: Fabio disse che sarebbe passato a prenderlo a Genova, dove Dario abitava, per proseguire poi verso Imperia e andare a prendere Annalisa.

    Si domandava come fosse diventato Dario. L’ultimo incontro era di almeno sette anni prima. Si sentivano ogni tanto al telefono, per un saluto, e si erano scambiati qualche messaggio con la posta elettronica, ma sembrava non ci fosse mai il tempo di vedersi.

    Si alzò per avvicinarsi di nuovo alla finestra. Il sole ora colpiva il vetro con raggi obliqui e lui ci vide un’immagine distorta del proprio viso. Si guardò come se fosse davanti a uno specchio; si conosceva bene e non aveva bisogno di conferme. Era soddisfatto del suo aspetto: un quarantasettenne in gran forma, fisico asciutto e il viso senza rughe. I capelli biondo scuro, corti e sempre perfettamente pettinati, erano ancora folti e avevano solo qualche filo grigio alle tempie. Aveva l’aspetto sano di chi fa sport, anche se in verità si limitava a due ore di palestra a settimana e a una partita a squash con il cognato, partita che vinceva regolarmente, anche se il fratello di Laura aveva dodici anni in meno e più tempo da dedicare allo sport.

    Il completo che indossava, di un impeccabile tessuto cucito su misura, costava più dei mille euro ipotizzati da Annalisa. Avrà letto l’articolo su Forbes del mese scorso. La rivista aveva dedicato un servizio agli uomini della finanza italiana e lui era tra i primi dieci: nell’articolo si parlava della sua cura maniacale dell’abbigliamento e degli accessori.

    Fabio tornò verso la scrivania per chiamare Galloni ma la voce di Annalisa continuò a ronzargli nella mente anche mentre discuteva di azioni e valute.

    Dario era rimasto con il telefono in mano e lo sguardo perso nel vuoto. La telefonata di Fabio e la proposta dell’incontro con Annalisa lo avevano sorpreso. Dopo tanto tempo… tre giorni solo per noi. Come una volta.

    Un colpo di tosse seguito da un raschiare di gola richiamarono la sua attenzione. Aprì gli occhi e guardò Marco, al tavolo di fronte, e poi Alberto, che gli stava di fianco, i due colleghi con cui divideva il lavoro. Lo fissavano con ostilità, in quel silenzio irreale che aveva riempito la stanza allo squillo del telefono. Gli sembrarono due sconosciuti. Non si sentiva di chiamarli amici come aveva sempre fatto, considerando che poco prima gli avevano urlato che era un incompetente e che stava rovinando la reputazione dello studio. I clienti se ne stanno andando ed è tutta colpa tua!, aveva urlato Marco. E Alberto aveva rincarato la dose: Sei inaffidabile. Hai due progetti da consegnare e non hai ancora fatto un disegno. Ci stai rovinando!.

    Lo squillo del telefono li aveva zittiti; pensavano che fosse un cliente e non volevano farsi sentire. Dario era tentato di lasciarli in attesa ancora un po’. Li guardò senza espressione, come se non capisse cosa volevano da lui. Provava il bisogno di vendicarsi: si sentiva una vittima e pensava che lo accusassero senza motivo. Se il lavoro era fermo che colpa ne aveva lui? Se la sua creatività era come morta, non poteva farci niente, non era mancanza di volontà. È che non aveva idee; si sentiva vuoto e secco. Ma ora, dopo la telefonata, si sentiva quasi allegro.

    Alzò gli occhi e li guardò con fermezza: Un amico, disse accennando al telefono. Venerdì prossimo non verrò allo studio. Un impegno. Andare via mi farà bene. E ora mi metto al lavoro.

    Marco e Alberto lo guardarono in silenzio. Lui si voltò con decisione verso il tavolo; riordinò alcuni documenti, li mise nelle loro cartelle e consultò l’agenda per organizzare le scadenze. Fece una scaletta e si mise al computer, fingendo di non vedere che i colleghi lo stavano ancora guardando.

    Si sentiva sereno come non gli succedeva da mesi. Basta poco, pensò. Anche se un incontro tra lui, Annalisa e Fabio non era certo possibile definirlo poco. Un bella svolta alla giornata. A volte la mattina leggeva il giornale al bar, mentre beveva il caffè prima di recarsi al lavoro. La pagina dell’oroscopo non la saltava mai: non che ci credesse davvero, ma gli piaceva l’idea che bastasse interpretare qualche ‘segno’ per conoscere in anticipo gli eventi. Era curioso di sapere se l’oroscopo aveva predetto quella telefonata inattesa.

    Il pensiero si cullò sull’idea del viaggio a Cervo, poi scivolò fino alla moglie. Stasera le devo dire che venerdì partirò con Fabio. Prima di rientrare a casa mi fermo dal fiorista all’angolo. In quel periodo le sue azioni nell’azienda famiglia erano in ribasso. Tra lui e Rita c’era poco dialogo; le preoccupazioni sul lavoro lo rendevano irritabile e questo contribuiva a peggiorare la situazione. Dopo l’ultima discussione, avvenuta due giorni prima, Rita gli parlava solo davanti ai figli. Ma Luca e Sofia avevano capito che qualcosa non andava, Dario ne era sicuro.

    Lo sfondo del desktop mostrava una Rita sorridente abbracciata ai figli. Quando lo screensaver dissolse l’immagine, Dario si riscosse per concentrarsi sul lavoro.

    Annalisa era ancora seduta alla scrivania, lo sguardo fisso sulla parete bianca dove l’orologio continuava a scandire il passare del tempo. Di fianco, sul muro di sinistra, il calendario dell’azienda indicava che era il penultimo venerdì del mese.

    Sulla sedia di fronte alla scrivania, dove l’aveva buttato entrando, c’era il giornale che comprava tutte le mattine prima di salire in ufficio. Nella rubrica dell’oroscopo avrebbe trovato queste frasi, riferite al suo segno: Giornata di decisioni improvvise. Non tutte le decisioni, però, portano a bei risultati. Pensa prima di agire. Se l’avesse letto, forse non avrebbe telefonato. Ma lei non leggeva mai l’oroscopo; non le interessava sapere cosa dicevano le stelle. Le piaceva decidere da sola della sua vita.

    Ripensò alla telefonata e risentì la voce di Fabio, con quella nota attenta che aveva sempre avuto per lei. Non aveva fatto tante domande e lei non gli aveva lasciato il tempo di farle. Pensò a Fabio e a Dario, alla loro amicizia. Come saranno? Ci sarà la stessa intesa? E se non avessimo più niente da dirci? Si fissò le mani, osservò le dita, lunghe e sottili, e le unghie corte. Le toccò: erano gelide. Se non va bene si salta sul primo treno in partenza e si ritorna a casa. Nessun problema, pensò passandosi le mani sui pantaloni blu. Le cosce erano calde e le sue mani si fermarono a sentire il calore. È che Fabio su quel giornale aveva gli occhi così tristi. All’improvviso ho avuto voglia di vederlo. Di vederli tutti e due.

    Fuori dal mondo

    venerdì

    Sul tabellone, il treno da Sanremo era indicato in arrivo alle ore 10,35, sul binario tre. Dario e Fabio aspettavano dietro la riga gialla, come ricordava la voce all’altoparlante, camminando avanti e indietro. Ogni tanto si fermavano a fissare il punto da cui sarebbe sbucato il treno. Pantaloni sportivi e maglione per Fabio – un bel cambiamento dai completi su misura e le cravatte in pura seta di Marinella –, jeans di velluto e polo a righe per Dario. Avevano lasciato la giacca sull’auto. Fa più fico, aveva detto Dario e Fabio l’aveva guardato come avrebbe guardato un adolescente in jeans con il cavallo basso e le mutande a vista.

    Durante il viaggio da Genova a Imperia avevano parlato di Annalisa. Dario continuava a fare domande e ipotesi sul motivo della sua proposta, ma Fabio aveva troncato subito il discorso: «Ha voglia di rivederci e basta». Dopo questa risposta, Dario era rimasto in silenzio: aveva capito che l’amico si era irritato.

    Fabio non sopportava chi faceva troppe domande. Dario è ancora insicuro: sembra un ragazzo mai cresciuto. Ma gli voglio bene anche per questo. Guardò l’amico: il viso era magro ma non scavato e il suo sorriso era sincero e spontaneo come sempre. I capelli scuri erano un po’ lunghi sul collo ma nel complesso aveva un’aria curata, anche se era più basso di lui e meno ricercato nell’abbigliamento.

    «Sei in gran forma. Per essere uno che sta tutto il giorno a un tavolo da disegno non te la cavi male».

    «Anche tu non sei male. Per essere un milionario non sembri tanto stronzo». Dario rise mentre lo guardava dalla testa ai piedi, come soppesandolo. Fabio stava per replicare, ma il passaggio di una ragazza fasciata in un paio di pantaloni così stretti da sembrare dipinti li bloccò. Si girarono per seguirne il cammino.

    «Un bel sedere sa fermare ogni conversazione» disse Dario. Quando lei sparì alla loro vista, proseguì: «E Liz come sarà? Magari è brutta e grassa».

    «Non riesco a immaginare Lisa diversa da com’era». Fabio aveva sempre chiamato Annalisa con quel diminutivo e l’aveva usato senza pensarci, come aveva fatto Dario dicendo Liz. Era sempre stato un loro modo per pensare ad Annalisa come se fosse una proprietà privata e la sua amicizia non fosse una condivisione totale.

    Dario controllò l’orologio e poi guardò di nuovo verso il binario. Fabio mise la mano in tasca e prese il cellulare.

    La protesta di Dario fu immediata: «Ma non si era detto niente cellulari?».

    «Non essere pedante. Verifico come sta andando la Borsa. Ho in ballo un affare».

    «Tu hai sempre in ballo qualcosa. Dai, spegni quel telefono».

    In quel momento il treno comparve in fondo al binario. Fabio spense il cellulare e Dario si passò le mani sui capelli, raddrizzò le spalle e respirò a fondo.

    Lei scese per prima, davanti a tutti, in giacca azzurra, jeans e stivaletti, capelli legati e trucco leggero, uguale a come la ricordavano e a come avevano desiderato.

    Dario si fece avanti per primo: «Sei bellissima. Che bello vederti», le disse mentre l’abbracciava. Era commosso e non si decideva a farsi da parte.

    «Lasciala respirare. Devo ancora salutarla». Fabio la prese tra le braccia spingendo da parte Dario. «Sei stupenda». La baciò sulle guance e la guardò soffermandosi su ogni particolare del suo volto.

    «Anche voi non siete male» replicò lei fingendo uno sguardo ammiccante che li fece sorridere. «Andiamo, togliamoci da qui».

    In macchina parlarono di tante cose, ma alcuni argomenti furono evitati come per un tacito accordo: forse fu per questo che raccontarono poco delle loro vite e delle famiglie che avevano lasciato a casa. Con un breve accenno, alcune parole in mezzo ad altri discorsi, si dissero i nomi dei rispettivi compagni di vita: Laura, Rita e Paolo, il nuovo compagno di Annalisa. Toccarono velocemente anche l’argomento figli: Dario disse dei suoi due bambini, di sette e dodici anni, Sofia e Luca, Fabio rivelò di non avere figli e Annalisa raccontò sorridendo della sua bambina di dieci anni, Erica, che era dalla nonna e perciò in ottime mani.

    Questi discorsi non avevano nessuna importanza in quel venerdì di sole e vento leggero mentre la Liguria correva sotto i loro piedi. La Maserati Quattroporte GTS di Fabio – Un’auto di gran lusso. Chissà quanto costa, aveva pensato Dario che andava spesso a piedi e non amava guidare. Una meraviglia. Fabio ha sempre avuto classe, era stato il pensiero di Annalisa, che di auto non capiva molto ma sapeva notare le cose belle – era comoda e aveva finiture eleganti. Mentre si godevano il viaggio, Annalisa raccontò di come aveva scoperto l’esistenza di Cervo, il paese verso cui stavano viaggiando. Dario continuava a interromperla chiamandola Liz e lei gli dava secchi colpi sul braccio sporgendosi verso il sedile posteriore, mentre Fabio guidava nelle stradine strette e piene di ombre – s’intravedeva il mare, laggiù, sulla destra –, schivando le altre auto e i rari pedoni.

    Passarono in mezzo a paesi che conservavano una bellezza d’altri tempi, da cartoline invecchiate per i troppi passaggi di mani, con quelle case colorate e le colline sullo sfondo. In certi tratti la strada costeggiava il litorale, una spiaggia senza sabbia, dove l’acqua, inondata dal sole, mandava riflessi brillanti. Il mare era calmo e liscio, come certe giornate in cui non si fa nulla e non si ha neppure voglia di rammaricarsene.

    Finalmente, dopo una curva, sulla sinistra, videro Cervo: un quadro rosa, giallo e bianco, un ammasso di case inglobate nella collina, che culminavano con il campanile e la facciata in stile barocco di quella che sembrava una cattedrale.

    «Non è una meraviglia?». Annalisa richiamò la loro attenzione. «Quella è la chiesa di San Giovanni Battista, ma è meglio conosciuta come dei Corallini perché è stata eretta anche grazie ai proventi della pesca del corallo che i cervesi praticarono per secoli nei mari di Corsica e Sardegna. Che cultura eh?».

    «Sì, certo, con Internet tutti sanno tutto, cioè non sanno niente» affermò Dario, che non era molto amante del web.

    «Invece di continuare questa discussione, vorrei che mi diceste dove devo andare» intervenne Fabio. Dario non rispose, scrutò il viso dell’amico riflesso nello specchietto retrovisore. La praticità fatta persona, pensò.

    «Andiamo prima in paese, poi scendiamo al lungomare e cerchiamo un ristorante» disse Annalisa.

    Le auto non potevano entrare nel centro storico; lasciarono la Maserati nel parcheggio e si avviarono a piedi. Dario mise il suo borsone a tracolla e trascinò il trolley di Annalisa.

    «Ma che ci hai messo? Viaggi ancora con i libri nella borsa?».

    «Mica posso andare in giro senza».

    «Ma io non ti lascerò il tempo per leggere. Voglio sapere tutto di te e di Fabio. Dobbiamo recuperare».

    «Non voglio parlare di ciò che ho fatto o dei vecchi tempi, di quando eravamo giovani di belle speranze. Non mi piace rimpiangere le cose».

    Ora procedevano in silenzio, nei vicoli stretti, nessuno pianeggiante: o si sale o si scende in questi paesi in mezzo alle colline, ma pari non si sta mai. Annalisa si teneva al braccio di Fabio, Dario era più indietro e li guardava camminare davanti a sé. Niente nostalgie, aveva detto lei, ma a lui si era riaccesa la memoria e stava ricordando tutte le volte in cui erano andati insieme in un ristorante o a qualche concerto. Allora frequentavano le osterie, avevano pochi soldi, e ora Fabio era milionario e anche lui non se la passava male. Di Annalisa non sapeva molto, ma – valutò con un’occhiata veloce – aveva accessori dall’aspetto costoso e indossava jeans firmati. La osservò mentre camminava, confrontandola con l’immagine che aveva di lei, di tanti anni prima. Non sembra siano passati tanti anni, ma non è solo per il suo aspetto fisico. È giovane dentro, piena di idee e di cose da fare. Ha la stessa risata di allora. Si fermò di colpo. Ero innamorato o no?

    La proprietaria del B&B disse che non c’erano altri ospiti oltre a loro e li fece scegliere le camere. La prima che videro, tutta decorata in arancione, dalle pareti al copriletto e agli accessori, era molto luminosa e ad Annalisa piacque subito: «Bella, la prendo io». Fabio e Dario scelsero quella a fianco, tutta in blu e azzurro.

    «Il tempo di rinfrescarci e scendiamo. Non voglio perdermi nemmeno un minuto» affermò Annalisa mentre chiudeva la porta.

    Andarono a piedi. Il mare era di sotto e a ogni curva sembrava allontanarsi, ma il paese era così bello che la camminata non fu faticosa. Respirarono l’aria leggera e profumata: un misto di resina e salsedine.

    In fondo al paese c’era la provinciale e un’altra discesa per andare in spiaggia. Si fermarono, appoggiati a un muretto di mattoni scaldati dal sole, a guardare il panorama: in tutta la spiaggia e per strada non si vedeva nessuno. Chi abitava lì era a casa a preparare il pranzo o forse era tanto abituato al mare che non lo guardava più. E turisti non ce n’erano a fine gennaio.

    Molti ristoranti erano chiusi, ma uno aperto lo trovarono proprio davanti al mare: Da Rosa – pesce sempre fresco. L’insegna era pitturata a mano su una tavola di legno colorato d’azzurro intenso; le lettere erano rotonde e semplici, scritte in rosso con una grafia infantile. Fabio entrò per chiedere se potevano pranzare. L’aria era tiepida, quasi primaverile, e li invogliò a fare un giro sulla spiaggia. Annalisa lasciò la sciarpa e la borsa su una sedia all’interno e Dario si tolse la giacca.

    Passeggiarono mentre la signora Rosa, grembiule legato in vita e maniche rimboccate ai gomiti, preparava la tavola e faceva aprire i molluschi per il sugo. La riva era molto sporca, come sempre fuori stagione, ma il mare sembrava pulito: l’acqua era trasparente e scivolava piano verso i loro piedi.

    Rimasero in silenzio. Ognuno di loro pensò alle vacanze e ad altre giornate al mare.

    Le vacanze per Dario erano spesso motivo di ansia: di colpo si trovava in un ambiente diverso, con lo spazio ristretto e il tempo dilatato. I primi giorni non erano mai sereni; gli sembrava di non riuscire a gestire il brusco cambio di abitudini e la libertà che si trovava tra le mani. Rita, di solito molto equilibrata, in vacanza si trasformava in una donna piena di richieste e di bisogni. In certi momenti – nonostante l’amore che aveva per la moglie – pensava di non sopportare di averla sempre accanto, in un gomito a gomito che pareva limitargli i pensieri.

    Dario sentiva che a volte il matrimonio gli stava stretto, come fosse un ring in cui ci si misurava a ritmo di pretese e richieste. Il matrimonio, però, aveva portato anche molta gioia nella sua vita, compreso i figli che lui adorava. Forse l’insofferenza che provava dipendeva da un suo modo di essere, da un malessere interno che lo faceva vivere male o, forse, non sapeva ancora cosa voleva dalla vita. Era un’idea fastidiosa e, quando si affacciava, Dario la scacciava.

    Per Fabio le vere vacanze erano le giornate che trascorreva al mare da solo con Laura: due o tre giorni che ‘rubava’ al lavoro. Sceglievano mete poco frequentate e alla sera andavano in piccoli ristoranti dove si gustavano un’intimità strana a cui non erano addestrati. Quelle erano le giornate che lui gradiva, non le vacanze fasulle che passavano in barca con coppie di amici che spesso erano persone con cui aveva rapporti di lavoro e con cui finiva per parlare di denaro e affari. Il mare era il suo elemento favorito e questa era l’unica cosa che lo consolava di quelle vacanze con una compagnia imperfetta.

    Annalisa fissava l’acqua e ne ammirava la trasparenza. Le era venuta voglia di togliersi le scarpe e immergerci i piedi. Sulla riva c’erano dei sassi, ciottoli tondi levigati dal mare, grigi e bianchi, e altri dalle forme strane, quasi geometriche, rossi e porosi. I sassi creavano dei disegni sul fondo e lei ne osservò le forme. Quando sono bagnati diventano lucidi e i colori sono più vivi. Come quello che ho preso a Rimini: sembrava un piccolo cuore di vetro azzurro, ma una volta asciutto è ritornato un sasso grigio e opaco. Il sasso era finito nella ciotola di fiori secchi che teneva sulla scrivania. La visione della scrivania e delle cose che la circondavano le fece stringere le labbra.

    La voce di Dario ruppe il silenzio: «Andiamo a vedere se la signora Rosa ha già fatto il sugo?».

    Si avviarono a passi lenti, un po’ svogliati: ogni tanto facevano una pausa, respiravano l’aria marina e guardavano l’orizzonte. Annalisa si fermò per raccogliere alcune conchiglie – piccole cose rugose di sabbia e dall’odore pungente – da portare a Erica. Le mise nella tasca dei jeans e rincorse gli altri.

    La signora Rosa era pronta. Disse che avevano solo il tempo di lavarsi le mani. Il tono che usò fece ridere Dario che si chinò verso Annalisa: «È un generale. Il signor Rosa dove sarà? Forse in cucina a pelare patate e a sbattere i tacchi».

    «Non fare il furbo: voi uomini siete tutti uguali. Parlate tanto, poi quando trovate una che vi tiene in pugno siete contenti» rispose Annalisa.

    «Non sei cambiata affatto, sai, Liz?».

    «Spero per te che sia un complimento».

    «Certo». Dario sorrideva mentre la spingeva verso il bagno: «Sbrighiamoci, se non vogliamo che il Generale Rosa venga a prenderci».

    Annalisa rise e si avvicinò al lavandino per lavarsi le mani. Il contenitore del sapone non funzionava e lei armeggiò con il dosatore. Non vide gli occhi di Dario che la scrutavano dallo specchio. Si erano detti che non avrebbero parlato di ciò che avevano lasciato a casa, ma si conoscevano troppo bene e lui aveva capito che era turbata. L’aveva guardata mentre erano in riva al mare e le aveva visto quello sguardo di chi sta facendo i conti con se stesso; uno sguardo che lui conosceva bene.

    «Avete finito?». Fabio li spinse da parte per entrare e loro uscirono ridendo dal piccolo locale. Il momento era passato.

    Un minuto dopo erano tutti seduti intorno al tavolo. Fabio aprì la bottiglia di Pigato di Albenga. Il vino profumava di frutta e di muschio, aveva un gusto deciso con un lieve fondo amarognolo. Lo assaporarono lentamente, ammirandone il colore. Rosa arrivò con i piatti; iniziarono a mangiare subito, attaccando gli spaghetti con determinazione.

    «… mmmmm… buoni. Cavolo, da quanto non mangiavo degli spaghetti così buoni. Chissà come li fa Rosa? C’è qualcosa di insolito ma non riesco a capire». Dario era sempre stato un mangiatore, una buona forchetta. Anche ai tempi dell’università era quello che ripuliva i piatti e gli avanzi. Mezza pizza rimasta? Nessun problema, lui se la faceva per colazione. Una fetta di crostata del giorno prima? Serviva per i suoi spuntini notturni. Nonostante il cibo che ingurgitava, Dario era sempre stato magro e anche ora manteneva lo stesso fisico asciutto.

    Annalisa lo guardava in silenzio. Vedere Dario mangiare con tanto gusto la metteva di

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