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Betty Gount e il libro enigma
Betty Gount e il libro enigma
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E-book511 pagine7 ore

Betty Gount e il libro enigma

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Info su questo ebook

Betty Gount è una giovane ragazza come tante altre, immersa in una vita regolare ma spesso monotona e insoddisfacente. Il giorno del suo tredicesimo compleanno però la sua vita cambia. Una strana visione le appare nel cielo stellato e da quel momento, inesorabilmente, è costretta ad abbracciare il suo destino: il padre le racconta di essere il frutto di un amore proibito tra lui e la sua compianta moglie, Margie, scomparsa quando Betty aveva solo tre anni. Margie era una fata e Betty, la discendente diretta, non poteva più ignorare la sua natura.
I poteri ereditati dalla madre e le responsabilità di cui è costretta a farsi carico la condurranno a vivere esperienze fantastiche insieme ai suoi compagni di avventure, fino a essere catapultati tutti assieme nell'eterna lotta tra il bene e il male...
Betty Gount e il libro enigma è una storia di sogni, sogni che diventano realtà e realtà che somigliano a sogni.
La descrizione meticolosa, quasi onirica degli eventi, diventa l'ambientazione perfetta per una storia fantasy nella quale ricorrono temi importanti come il valore dell'amicizia, della famiglia e delle radici. Accettare il proprio destino e ciò che ne consegue è quello che trasforma una ragazza normale in un'eroina.
"Qui.. dove tutto è iniziato!" Prese atto. Il libro le aveva mostrato fase dopo fase la genesi, l’avvento della vita in quelle terre, attraverso un susseguirsi di riti scanditi i cui effetti si sarebbero ripercossi nell’avvenire. Betty si sentì finalmente appagata, in quella dimensione astratta aveva trovato se stessa. Il libro si chiuse silenzioso e lei si ritrovò nuovamente ad attraversare il Bosco Grigio”.
LinguaItaliano
Data di uscita8 lug 2013
ISBN9788867930340
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    Anteprima del libro

    Betty Gount e il libro enigma - Alessandra Spinello

    Spinello

    PROLOGO

    Intrappolato in una spirale monotona, il tempo sembrava non passare mai, e nel loro accavallarsi i giorni venivano intaccati da una lenta e inesorabile patina di malinconia, tipica del freddo e grigio mese di novembre. Con una sola eccezione.

    Per la famiglia Gount, della contea di Killah situata nella periferia a nord di Edimburgo, quel giorno d’autunno apparentemente anonimo sarebbe rimasto memorabile per gli anni avvenire.

    Il più naturale al mondo degli eventi stava per compiersi in casa Gount. Un evento che però aveva una peculiarità in più rispetto a tutti gli altri: non trascurabile, inimitabile. Perché il suo avverarsi avrebbe cambiato il destino di molti, per non dire di un intero mondo.

    Il travaglio iniziò alle prime luci dell’alba del 30 novembre. Al piano superiore della modesta villetta di Mountain Street, la signora Gount, tra dolori e affanni, stava per dare alla luce il suo terzo figlio. Contrariamente ai primi due, aveva imposto espressamente che quel parto avvenisse in casa, fuori dalle mura dell’ospedale, giungendo al compromesso col marito Carl di farsi assistere da Miss Pepper, l’ostetrica che l’aveva aiutata a far nascere Mark e Nat.

    Per anni la signora Gount aveva aspettato quel momento, fin da quando suo padre Candor, signore di Tonen, nonché il più potente mago del mondo parallelo, le aveva rivelato che da lei sarebbe discesa Erash, la prescelta dalle stelle.

    L’aveva raggiunta nel gazebo del giardino, rimanendo per un po’ assorto a osservarla carico d’orgoglio. Provò una punta di dispiacere nel doverla interrompere: Perdonami, Margie, ma non posso più rimandare. In tutta onestà non so se tu sia pronta... Forse per questo genere di cose non lo si è mai abbastanza. Come un fulmine a ciel sereno, quelle parole squarciarono l’azzurro della quiete interiore di Margie. La ragazza aveva intuito che quella frase appena accennata, lasciata a metà, non era che il preludio a qualcosa di ben più serio cui suo padre la stava preparando.

    Ti sembrerà incomprensibile ciò che sto per dire, ma è giunto il momento che tu sappia quanto è importante la tua vita, non solo per te stessa e per tutti coloro che ti amano, ma per tutti gli abitanti di questo mondo.

    Margie, iscritta all’ultimo anno dell’accademia di magia di Hannon, smise di colpo di esercitarsi. Si fregò le mani incandescenti sul grembiule ancora intatto, brevettato appositamente dal padre con il solo scopo di proteggerla da se stessa.

    Margie era facile preda della noia e Candor sapeva quanto la figlia fosse incauta e sprezzante del pericolo quando si cimentava in incantesimi sempre nuovi e complessi che assimilava con la massima naturalezza. Margie detestava con tutte le forze essere considerata la secchiona della classe, tanto meno ne aveva l’aspetto. Rappresentava l’eccezione alla regola. Genio e beltà in lei non andavano a braccetto, ma si amalgamavano alla perfezione.

    Un velo greve cancellò lo sguardo da furbetta dai suoi grandi occhi grigi, su cui risaltavano vivaci pagliuzze verde-oro. Segni poco incoraggianti anche se non fisicamente tangibili ai più si stanno manifestando in tutto il regno, inclusa Tonen, creando al loro passaggio una sorta di scia negativa che li accomuna. Margie era fin troppo sveglia e acuta per non comprendere che Candor stava aggirando abilmente l’ostacolo. Aveva già tratto la sua conclusione: Echog, l’incarnazione del male stava tornando dal baratro dove era stato rinchiuso.

    Non chiedermi quando e in che modo sia stato possibile, ti deluderei. Scioccamente pensavo che quel triste capitolo fosse morto e sepolto il giorno in cui l’imprigionammo nelle viscere della Montagna Incantata. Mi sbagliavo, tutti ci sbagliavamo! Avevamo vinto solo una battaglia, non la guerra!. Candor parve di colpo affranto e stanco.

    Più che una rivelazione, la sua ammissione, da cui traspariva un senso di sconfitta, fece affiorare in Margie una crescente paura mista a impotenza. Incapace di continuare a reggere il suo sguardo penetrante, abbassò gli occhi e soffocando un sospiro andò in cerca della prima distrazione che la portasse altrove pur di cancellare quegli ultimi minuti.

    Non voglio spaventarti più del dovuto, dopo tutto la Montagna Incantata è una vera fortezza!.

    Situata nella Landa della Sabbia ai confini con il Bosco Grigio, la Montagna Incantata era a tutti gli effetti una roccaforte inespugnabile, resa impenetrabile grazie a molteplici e sofisticati incantesimi di sbarramento messi a punto da Candor e dai maghi più abili e destri di quel tempo, tali da rendere vano ogni tentativo di fuga.

    La pronta rassicurazione con cui il padre cercò di addolcire l’amara realtà giunse a Margie come una striminzita consolazione. Allora perché ti preoccupi tanto?, chiese con tono quasi supplichevole.

    Un’imperdonabile leggerezza che tutti, io per primo, commettemmo fu di sottovalutare i discepoli di Echog che scamparono allo scontro. Rifugiati nei più sperduti angoli del regno hanno tramato sotto mentite spoglie ed escogitato ogni possibile stratagemma per poterlo liberare. Maghi scaltri e senza scrupoli pronti a tutto, mossi da un unico obiettivo: impadronirsi di questo mondo e sottomettere quello parallelo!.

    È terribile, padre! Cosa possiamo fare per evitare tutto questo? Per impedire il suo ritorno?.

    Candor le afferrò saldamente le mani e assunse un tono più morbido: Figlia cara, un giorno incontrerai un umano di cui ti innamorerai…. Quella premessa le fece accapponare la pelle, le cattive notizie sembravano non aver fine quel giorno; istintivamente Margie ritrasse le mani con un motto di stizza. Candor non si perse d’animo, sapeva che se si fosse fermato non avrebbe più trovato il coraggio di affrontarla a viso aperto.

    Farai la tua scelta, che sarà quella di condurre la tua vita accanto a lui, rinunciando a questo mondo e alla tua natura magica. Avrete dei figli, ma è solo alla venuta del terzogenito che la profezia si avvererà.

    La parte più difficile era superata, allora Candor si prese una pausa per sondare la reazione della figlia. Margie si era chiusa in un silenzio ostile, il volto imperturbabile.

    Per questo la tua vita è tanto importante!. Con la mente che fino ad un attimo prima rimbalzava tra le ghiotte alternative che il futuro aveva da offrirle, le mani costantemente messe a dura prova nel testare la propria destrezza, Margie vide improvvisamente tutto il suo mondo, quel mondo che si stava costruendo a piccoli passi ma con tanta passione, sgretolarsi irrimediabilmente come un castello di sabbia.

    Sconvolta e perplessa tornò a fissare il padre, faticando a mettere una parola dietro l’altra: Perché proprio io?, si ribellò. I lunghi capelli ondulati dai riflessi dorati come il grano le sfioravano il volto quasi a volerlo accarezzare conferendole un che di ultraterreno.

    Travolto da un’ondata di compassione Candor l’attirò a sé abbracciandola: Mi dispiace averti spaventata, ma sarò sempre franco con te, sei la mia unica figlia e ti voglio troppo bene per nasconderti la verità! Nessuno può sottrarsi al proprio destino, nemmeno la figlia di Candor. Cogliendo la buona fede che traspariva dalla sua ammissione accorata, l’ira sfumò all’istante. Margie provò ad autoconvincersi, inseguendo le buone ragioni che avevano spinto il padre.

    Ma puoi fare in modo di piegare il destino a tuo favore!. Nel pronunciare queste parole Candor abbozzò un sorriso di incoraggiamento.

    Malgrado lo sforzo e l’impegno, Margie arretrò spaventata: era troppo per lei, non si sentiva pronta. Non per vigliaccheria o menefreghismo, aveva sempre agito secondo coscienza, assumendosi le proprie responsabilità. La ragione era ben diversa: in fondo, dietro la facciata esuberante e spavalda, covava tanta insicurezza.

    Al momento non c’è un reale pericolo, perlomeno fino a quando il mio cuore malandato non deciderà di andarsene in pensione! Ti prego solo di fare attenzione, tagliò corto il mago dandole un buffetto affettuoso sulla guancia.

    Era tipico di Candor alleggerire anche la più difficile e insostenibile delle situazioni. Margie lo conosceva bene, addirittura meglio della madre. Se ne stette l’intero pomeriggio a rimuginare, con la certezza in cuor suo che tutto si sarebbe avverato: Echog sarebbe tornato. Travolta da un’inaspettata ondata di terrore, temé per il futuro dei suoi futuri figli.

    Questi ricordi ormai lontani, eppur così nitidi, si erano visualizzati nella mente della signora Gount, facendola sobbalzare sul letto.

    Brava Margie!, da un punto imprecisato udì la voce lontana dell’ostetrica Pepper. La vedo! Coraggio, ormai ci siamo!, la incoraggiò la stessa voce ora più vicina. Voltandosi lievemente, allo stremo delle forze, Margie mise a fuoco il marito Carl dall’altra parte della barricata, preso a tamponarle la fronte e le guance bagnate su cui scorrevano rivoli di lacrime, come fosse lo scopo fondamentale della sua vita.

    In quell’istante un timido raggio di sole fece capolino nella stanza, intrufolandosi fra le candide tende. La luce fioca del mattino venne ammantata da un soffuso alone dorato che rincuorò gli animi.

    Fu così che la piccola Elizabeth emise il suo primo vagito di protesta.

    PLANETARIO

    Era il suo tredicesimo compleanno. Elizabeth trepidava facendo avanti e indietro nel soggiorno di casa, dilaniata dall’attesa verso il resto della famiglia che doveva accompagnarla al planetario. Era immancabilmente la prima a essere pronta quando si trattava di uscire.

    Di bell’aspetto, con un portamento innaturale, poco le interessava di mostrarsi carina o di apparire alla moda, evitando così di trascorrere un sacco di tempo in futili sciocchezze.

    Elizabeth era abituata a sentire il proprio nome abbreviato in Betty, e gradiva essere chiamata solo in questo modo; lo trovava meno pomposo e molto più consono alla sua personalità.

    Quel giorno erano tutti in casa in suo onore. I compleanni in casa Gount erano una delle rare occasioni in cui la famiglia si riuniva durante l’anno, ed erano giunti al tacito accordo di dedicarsi esclusivamente al festeggiato per l’intera giornata. Inoltre il clima di quel periodo non invogliava a ficcare il naso fuori dall’uscio.

    Sbirciò il piccolo orologio a bracciale stretto all’esile polso, ma ciò non fece che accentuare il suo nervosismo e uno sfogo di rabbia le fece ribollire il sangue.

    Si diresse di corsa in cucina, in cerca di un’occupazione che colmasse l’attesa, e la trovò. Suo padre Carl, nonché il pasticciere più noto e apprezzato di tutta Killah, aveva preparato dietro sua esplicita richiesta un dolce particolare.

    La costante goffaggine e i movimenti maldestri del signor Gount, dovuti in parte alla sua notevole stazza, svanivano inspiegabilmente quando si trovava nel suo habitat naturale: la cucina. Alle prese coi fornelli, circondato da pentole e tegami, si destreggiava con una tale disinvoltura da apparire un fuscello.

    Con il dito indice puntato verso l’oggetto del desiderio Betty stava per cedere alla tentazione, quando fece irruzione Mark, il fratello maggiore. Ehi, cosa stai facendo? Papà si arrabbierà di fronte allo ‘scempio’ che stai per compiere!.

    Mark, vuoi farmi prendere un colpo!? Sei sempre il solito guastafeste… Beh, non mi fai gli auguri?.

    Ma certo! Cento di questi giorni, sorellina!. Il fratello le schioccò un sonoro bacio sulla guancia, poi la sollevò da terra e la fece roteare per la stanza.

    Ok, può bastare!, lo richiamò con un sorriso tirato.

    Senza ombra di dubbio Mark era il fratello con cui andava più d’accordo. Non si somigliavano affatto: Betty era la prova vivente e inconfutabile dell’esistenza terrena di Margie Gount. Lo stampo era lo stesso della madre, morta quando lei aveva tre anni: corporatura esile e slanciata, pelle olivastra su cui spiccavano gli occhi grigioverde che apportavano un tocco esotico, capelli castano mogano che si srotolavano fino a metà schiena in ondulate ciocche.

    Mark aveva ereditato il DNA del padre, in particolare per le mani e i piedi sproporzionati che suscitavano nel prossimo un’immediata simpatia, ma che infondevano in Betty un innato senso di protezione.

    Nat, il maggiore dei tre, era considerato l’ambizioso di casa e mostrava una preoccupante tendenza al narcisismo. Schivo e di poche parole, non poteva definirsi un campione di simpatia. Per il quieto vivere dedicava quasi tutto il suo tempo libero allo studio, barricandosi nella propria stanza mosso dall’unico obiettivo, divenuto poi un’ossessione, di raggiungere un futuro prestigioso, accessibile a pochi. Questo però non faceva di lui un cattivo ragazzo; a suo modo era affezionato alla famiglia, come continuava a ripetersi Betty nel debole tentativo di giustificarlo.

    Dopo qualche minuto costui scese col padre.

    Un mondo di auguri alla mia figlia femmina preferita!. Il signor Gount andò incontro a Betty con le braccia spalancate.

    Grazie! Papà, ti prego, soffoco!, disse lei sottoposta alla sua stretta.

    Oh, perdonami!.

    Si dà il caso che io sia la tua unica figlia femmina, papà!.

    Lo so, ma suonava così bene!.

    Betty non aveva badato a Nat, immobile ai piedi delle scale con un braccio appoggiato al corrimano pronto per uscire, la mano libera in tasca. Sembrava un manichino, impeccabile come sempre, non una piega o un capello fuori posto. Fu lei ad andargli incontrò.

    Auguri.

    Grazie, Nat!. Era il massimo che poteva aspettarsi da lui.

    Nel frattempo il padre aveva indossato in tutta fretta il cappotto, lanciando un rapido sguardo generale per sincerarsi che fossero tutti pronti ai blocchi di partenza. Era ora, mancavi solo tu!, ironizzò Betty.

    Controllò per l’ennesima volta l’orologio, potevano ancora farcela. Era il quinto anno di fila che chiedeva lo stesso regalo. Se avesse potuto, ci sarebbe andata tutti i giorni; sfortunatamente il planetario di Edimburgo distava circa sessanta miglia, così Betty doveva accontentarsi di quell’ unica occasione. Per lei era come recarsi nel paese dei balocchi.

    Non sapeva perché l’affascinasse tanto, ma ogni volta che nel buio della stanza fissava in alto la moltitudine di puntini luminosi che formavano le varie costellazioni, avvertiva uno strano formicolio allo stomaco e, rapita da quella visione, cadeva in uno stato contemplativo che la estraniava da tutto e tutti. Provava una tale sensazione di libertà e un irrefrenabile desiderio di volare su ognuna di quelle stelle. Era felice…

    La giornata grigia e piovosa e il traffico impazzito con intasamenti e interminabili colonne resero il viaggio più noioso del previsto.

    Betty chiese al padre di alzare il riscaldamento. Presa dall’eccitazione, non si era preoccupata di coprirsi in modo adeguato e aveva indossato il primo paio di jeans che aveva trovato nell’armadio e una t-shirt in cotone leggero, premunendosi per la pioggia solamente con la giacca a vento del suo colore preferito, quello che per eccellenza risaltava il suo incarnato olivastro: il rosso.

    Malgrado la noia dell’attesa, nessuno manifestò il proprio disappunto.

    Soprattutto Mark non intendeva farglielo pesare, l’avrebbe mortificata. Ragazzi, che ne dite di fare un gioco per ingannare il tempo?, aveva proposto mascherandosi dietro un tono vivace.

    È un’idea!, si finse entusiasta Betty, anche se non pensava che alla destinazione finale. Raccontiamo una barzelletta a testa e la più originale e divertente sarà premiata con una fetta extra di dolce direttamente dal re dei pasticcieri in persona: mister Carl Gount!, annunciò indicando il padre col braccio teso a mo’ di celebrità. Nat puntò lo sguardo sprezzante fuori dal finestrino: non aveva però fatto i conti con la pronta reazione del padre, che con un’occhiataccia eloquente lo convinse a cambiare atteggiamento all’istante. D’accordo…, fu quindi la risposta di Nat.

    Grazie a Mark l’atmosfera all’interno dell’abitacolo si alleggerì, portando con sé un po’ di sole e di buon umore che resero meno sgradevole l’arrivo a Edimburgo.

    Betty giunta nel luogo dei suoi sogni, rivolse euforica il mento all’insù.

    Pensò di avere le traveggole quando fissò la costellazione del Sagittario: i punti luce da cui era composta si erano messi a vibrare. All’inizio in modo impercettibile, poi sempre più violentemente.

    Incredula, serrò gli occhi, li strofinò per bene e quando li riaprì si concentrò per prima cosa sulle facce dei vicini: avevano un’espressione serena.

    Senza indugiare rialzò la testa e si pizzicò il fianco quando vide le stelle che, come schegge impazzite, uscivano dalla propria collocazione per dar vita a costellazioni ignote assai più complesse. Quello non fu che l’inizio: una pioggia di stelle cadenti riempì la volta notturna illuminandola a giorno, come nelle notti di Capodanno. Stava impazzendo.

    Fissò allora una grassa signora impellicciata che, senza accorgersene, la stava urtando coi gomiti, intenta a indicare al marito una stella piuttosto che un’altra; a parte l’entusiasmo e un moderato stupore non appariva per nulla scioccata dallo strano fenomeno che aveva stravolto l’ordine iniziale. Che accidenti mi prende!. Allibita e sconvolta Betty faticò a mantenere una posa composta mentre il cielo andava a fuoco. Un fiume di brividi le corse giù dal collo lungo la schiena.

    Per quanto bizzarra e straordinaria potesse essere non riuscì più a sopportare quella vista, o avrebbe dubitato della sua lucidità.

    Fissò la punta delle sue scarpe presa da un’ irrefrenabile curiosità. Cercò disperatamente il padre tra il mare di teste ignare. Per poco non si scontrarono, ma lui l’afferrò prontamente per un braccio; Betty non si era accorta che le stava già accanto.

    Si è fatto tardi!. Una nota di preoccupazione alterò il tono calmo del padre.

    In quel mentre Mark e Nat fecero per avvicinarsi. Che succede?. Mark era stranamente scocciato, mentre Nat si guardava attorno con aria insofferente. Torniamo a casa!, dichiarò con più risolutezza il signor Gount.

    Incapace di metabolizzare quell’ assurda situazione, Betty

    s’ irrigidì come uno stoccafisso.

    Mi dispiace, Betty, non mi sento tranquillo a lasciarti qui! Allora l’hai visto anche tu?, gli chiese sussurrando per non farsi sentire dai fratelli. Visto?… Sì, ti ho vista pallida e sconvolta! Sembravi lì lì per svenire, così sono accorso subito! A dire il vero anche adesso non hai una bella cera, meglio se andiamo.

    Mentiva, ne era certa, ma per non peggiorare ulteriormente l’atmosfera lo assecondò.

    Nonostante il viavai di gente attraverso la grande sala, Betty riuscì ad aggrapparsi allo stipite della porta. Si fece coraggio e lanciò una fugace occhiata alla striminzita riproduzione dell’universo, ora buia e taciturna. A vederla così, le sembrò impossibile credere che l’istante prima si fosse scatenato un tale sconvolgimento.

    Il ritorno non fu affatto all’acqua di rose: Mark non la smetteva di tormentarsi e di tormentare tutti per un incontro andato a monte all’interno del planetario con una sconosciuta che dipingeva come il grande amore della sua vita. Betty invidiò Nat, seduto davanti serio e taciturno, intento a fissare la striscia gialla dell’asfalto. Con uno sforzo Betty ricostruì i fatti in modo razionale.

    Dopo mezz’ora di macchina e di ipotesi assurde, non venne a capo di nulla e capì che non vi era una spiegazione logica all’accaduto.

    Di una sola cosa era certa: suo padre le nascondeva qualcosa. Una volta rimasta sola con lui a casa l’avrebbe affrontato.

    LA SVOLTA

    Betty non amava i tipici festini in cui gli invitati finivano per baciarsi al primo lento, o dove si faceva a gara a chi si ubriacava di più.

    Non perché si atteggiasse a ragazza seria e bacchettona, semplicemente non li trovava divertenti. Per evitare che ciò accadesse, aveva saggiamente optato per festeggiare il resto della giornata con le stesse persone con cui l’aveva iniziata.

    Il quadro della cena si dipinse di un misto tra il comico e l’imbarazzante. Mark e Nat enfatizzarono il proprio atteggiamento: il primo sparando una raffica di parole a vanvera che finivano per cozzare contro il muro di silenzio del secondo.

    Il signor Gount era indaffarato a servire a tavola, ma quando i suoi occhi inciampavano in quelli di Betty le sorrideva imbarazzato, e celava il proprio disagio rimpinzandosi di cibo.

    Il dessert fu il secondo momento della giornata a cui Betty dedicò anima e stomaco in santa pace: strati di crema mascarpone con scaglie di cioccolato fondente, alternati da strati di biscotti imbevuti di caffè. La ricetta era italiana, e per lei non esisteva dolce più prelibato e succulento del tiramisù.

    A ogni cucchiaiata, Betty socchiudeva le palpebre assaporandolo lentamente sotto gli occhi divertiti di Mark e Nat.

    Compiaciuto, il padre realizzò quanto poco bastasse per renderla felice.

    A fine serata, quando ognuno si defilò per i fatti propri, Betty afferrò la palla al balzo per interrogare suo padre:

    Cos’è successo oggi? So che l’hai visto anche tu!.

    Lo seguì mentre riordinava la cucina strofinando ogni singola mattonella un milione di volte e riponendo ogni oggetto con precisione maniacale. La domanda di Betty accentuò la sua inquietudine, tanto che inciampò distrattamente sul tappetino, saltellando con un equilibrio precario per tutta la cucina con il piatto del tiramisù avanzato tra le mani.

    Un sorriso le uscì spontaneo perché riconobbe in quella scena la costante goffaggine del padre. Provò l’impulso di abbracciarlo e di dirgli quanto gli volesse bene, ma si trattenne; piazzatasi di fronte a lui rimase in attesa di una risposta convincente.

    Assomigli tanto a tua madre!, le disse in tono affettuoso, attenuando per un attimo la tensione accumulata.

    Lo so, papà, me lo ripeti spesso, purtroppo non ho molti ricordi di lei...

    Il signor Gount le accarezzò amorevolmente una guancia. Per l’ennesima volta stava deviando il discorso su un binario diverso.

    Smettila!, reagì bruscamente la ragazza.

    Ho avuto la sensazione di esserne stata la responsabile, anche se non capisco come!.

    Ci fu una pausa prima che il padre si decidesse:

    Ecco il momento che tanto temevo!

    In preda a una dura lotta interiore, aveva l’aria di chi vuole togliersi dalla coscienza un peso che lo opprime da troppo tempo.

    Vedi, quando dico che assomigli a Margie, non intendo solo nell’aspetto. L’ho conosciuta che eravamo così giovani e sprovveduti! Ci innamorammo subito, di quegli amori che capitano una sola volta nella vita. Ma partiamo dall’inizio…. Ti basta tutta la notte?, disse Betty mentre cercava la posizione più comoda sullo sgabello.

    Suo padre prese un po’ di coraggio e si addentrò nel racconto: Era piena estate e mi trovavo al parco con i miei amici. La giornata particolarmente afosa ci invogliò a fare un tuffo nel lago. Non so il perché, ma quando organizzavano degli scherzi, la vittima sacrificale era sempre il sottoscritto!.

    Per Betty non fu altrettanto difficile da capire.

    Dopo aver sguazzato per tutto il pomeriggio, mi fecero uscire dall’acqua per ultimo e, quando arrivò il mio turno, scapparono tutti a gambe levate. Sghignazzavano così forte! Ancora adesso mi sembra di sentire le loro risate… Mangiai subito la foglia: avevano appeso i miei vestiti in cima a un ramo. Mi prese il panico! Come potevo recuperarli senza essere notato?.

    Il ricordo di quell’episodio gli suscitò un moto di stizza.

    Prima di proseguire inspirò a fondo: Non sono mai stato un tipo atletico. Quella volta superarono davvero il limite!.

    Immagino, papà, non si sia trattato certo di quel genere di scherzi che finiscono tanto facilmente nel dimenticatoio….

    "Feci l’unica cosa sensata che mi venne in mente: invocare aiuto, sperando che qualche buonanima passasse da quelle parti. Fortunatamente andò meglio del previsto.

    Da un cespuglio lontano intravidi sbucar fuori qualcuno. Quando fu abbastanza vicino, capii che si trattava di una ragazza. Sorrideva. Sicuramente aveva assistito alla scena… E prova a indovinare cosa reggeva tra le mani?".

    I tuoi vestiti?.

    Risposta esatta! Controllai il ramo dove li avevo visti non più tardi di un secondo prima: spariti! Mi chiesi come accidenti avesse fatto! Poi la vergogna prese il sopravvento su tutto e mi dimenticai persino di ringraziarla.

    Era la mamma!. Betty ebbe un tuffo al cuore per l’emozione. "Sì, una visione che mi lasciò senza fiato: era radiosa, ma non mi stava deridendo. Il suo era un sorriso gentile, emanava una tale bontà d’animo che mi rincuorò all’istante. Da allora non la persi più di vista: ci davamo appuntamento nel parco, dove trascorrevamo interi pomeriggi a chiacchierare.

    A volte ce ne stavamo zitti, abbracciati stretti l’uno all’altra. Noi due soli a confortarci in balia del mondo intero. Ricordo ancora la frase che mi ripeteva spesso nei primi tempi: ‘Dal primo istante che ti ho visto ho abbracciato il mio destino con gioia!’. Un po’ enigmatica ma d’effetto. Decisi allora di portarla in città, desideravo far sapere a tutti che l’amavo, orgoglioso nel dimostrare che anche una persona anonima come me poteva conquistare una ragazza del genere".

    Non sei anonimo, papà! Tanto per cominciare sei l’artista dei dolci, tutti lo pensano qui in città, e poi sei così… Alto!. Betty sapeva di aver sparato una stupidaggine, ma in quel momento era a corto di idee.

    Dici che non passo tanto inosservato, vero?, e le arruffò i capelli con tenerezza. Anche se la incuriosiva parecchio conoscere la storia dei suoi genitori, Betty per il momento non trovava alcun nesso con quanto accaduto al planetario. Superato il blocco iniziale, il signor Gount aveva mutato il proprio atteggiamento e più si addentrava nel racconto più si rasserenava.

    Margie si era opposta; mi ripeteva che il suo unico desiderio era di stare insieme a me, che il resto non contava. Anche se non la capivo, rimasi così lusingato che lasciai perdere. Dopo un po’ tornai sui miei passi. Litigammo, nessuno dei due voleva cedere. Betty lo osservò incassare la testa nelle spalle come una testuggine, l’aria rassegnata, gli occhi annacquati dalle prime lacrime.

    "Margie non faceva che cambiare argomento, o peggio ancora mi ignorava. Avevo capito la sua tattica, ma l’ultima volta fui così determinato che dovette cedere. Fino ad allora mai un accenno alle nostre famiglie, poco importava a entrambi, ma quello che tua madre mi rivelò quel giorno mi tolse il fiato.

    Era così assurdo e inverosimile! Giunsi addirittura a ritenerla una pazza. Nel dirlo scosse ripetutamente il capo ripensando agli errori commessi e cadde in uno stato di grande sconforto. Ti prego, papà, vai avanti!", lo incoraggiò Betty.

    In quell’istante Mark si affacciò alla soglia, con l’aria assonnata e la bocca spalancata in uno sbadiglio. Sbaglio o c’è aria di grandi discorsi qui dentro?, esordì mezzo scompigliato.

    Chiacchiere e pettegolezzi, reagì il signor Gount con noncuranza.

    Gente, il sottoscritto si ritira ai piani alti!. Per precauzione Betty evitò di dargli la buonanotte, nel caso il fratello cambiasse idea.

    C’è mancato poco, Mark e Nat non devono sapere!.

    Non ti preoccupare, papà!.

    Il giorno in cui tua madre mi soccorse, era in visita nel nostro mondo, ‘il mondo parallelo’ lo chiamava lei.

    È pazzesco, io figlia di una…!.

    Il signor Gount scoppiò a ridere: Già… Di una fata!. Ecco l’aveva detto, era ufficialmente impazzito anche lui. Betty si afflosciò sullo sgabello priva di forze e senza alcuna percezione della realtà: non era più nella cucina di casa sua, attorno a lei tutto aveva perso consistenza diventando incolore e inodore. Una stretta alle braccia la fece rinvenire.

    Betty! Ti prego, reagisci!. Carl la stava scuotendo con gli occhi fuori dalle orbite.

    Sto bene, è tutto a posto!.

    Perdonami, non dovevo essere così diretto…Ti ho sconvolto! Meglio fermarci per stasera.

    No, continua! Va tutto bene, te lo giuro, assicurò Betty, sfoderando il più convincente dei suoi sorrisi.

    Dopo un attimo di esitazione Carl si arrese: Va bene, dopo tutto, lo scoglio più difficile l’hai appena superato, ora rimane quello più semplice. Betty serrò le dita sul bordo dello sgabello.

    All’epoca Candor era il mago più potente di tutto il regno. Presiedeva il Senato Magico, l’organo di governo più influente di quelle terre, ma soprattutto era il padre di Margie.

    Quella notizia, seppur pazzesca e fuori da ogni rigor di logica, l’aveva elettrizzata anziché sconvolgerla.

    Sì, Betty, hai capito bene, Candor è tuo nonno!, concluse con tono fermo ma calante. La temperatura nella cucina si fece incandescente, Betty iniziò a sudare. Le mani madide di sudore non facevano più presa sullo sgabello, continuavano a scivolare e per poco non cadde.

    L’unica volta che lo vidi fu al mio matrimonio, dopo di allora io e tua madre perdemmo ogni sua traccia. Betty si rese conto che quella era la più dolce e confortante di tutte le verità che aveva appreso. Volle credere che Candor fosse ancora vivo, in fondo se lo sentiva. All’apice della felicità corse ad abbracciare il padre.

    Speravo tanto che la prendessi così!, esclamò Carl con un tono rinfrancato. Se accettare l’esistenza di una realtà diversa significava ricevere in cambio un dono così grande, l’avrebbe fatto senza indugio.

    Quando si sciolsero dall’abbraccio Carl riprese più disinvolto: Fin da bambina Margie desiderava soccorrere i bisognosi, anche con un semplice incoraggiamento. Era intenzionata a divenire una fata dei sogni, prima di incontrarmi.

    Pazzesco! Sembra la trama di uno di quei libri che mi leggevi da bambina!.

    Già, infatti era un modo per prepararti a questo momento… Devi sapere che sono le creature come tua madre a ispirare i grandi poeti, musicisti, scrittori, beh… La lista sarebbe infinita!. Betty ce la stava mettendo tutta per digerire quelle incessanti stranezze.

    Tua madre mi spiegò che noi umani da bambini riusciamo a sentirle quando sogniamo, poi crescendo la maggior parte di noi viene sopraffatta da mille pensieri, il più delle volte futili; inevitabilmente finiamo per non credere che da qualche parte ci sia qualcuno che vegli su di noi, ma soprattutto di sperare che ci sia sempre una via d’uscita. Quest’affermazione la punse sul vivo, perché era esattamente così che si sentiva lei da un po’ di tempo. I suoi dubbi iniziarono a barcollare e abbracciò l’idea che in quel racconto ci fosse del vero.

    Fissò il buio fuori dalla finestra e si estraniò dalle proprie emozioni, lasciando che naufragassero alla deriva. Suo padre abbassò lo sguardo e assecondò il suo silenzio.

    Sono stata io oggi a causare tutto quel trambusto al planetario, non è vero?.

    .

    Ma tu come hai fatto ad accorgertene?.

    Vivere con tua madre mi ha reso ‘sensibile’ alla magia. Perché me l’hai tenuto nascosto?. Betty avvertì una rabbia improvvisa dentro di sé.

    Col trascorrere degli anni mi ero convinto giorno dopo giorno che non ti sarebbe accaduto nulla, e più il tempo passava più questa convinzione si radicava in me, scacciando ogni dubbio e paura. Fino a oggi perlomeno.

    Perché sono l’unica ad aver ereditato i suoi poteri?. Betty serrò istintivamente le mani a pugno, protendendosi verso il padre.

    "Questo non lo so, tua madre non volle dirmelo, e a essere sincero preferii non chiederglielo; meno ero al corrente di tutta questa vicenda meglio stavo. So solamente che il giorno in cui sei nata disse: ‘La profezia si è avverata’.

    Quando si riprese dal parto, mi confidò che una volta raggiunta la maturità, saresti divenuta come lei. Ebbene, oggi hai compiuto tredici anni, e questo fa di te una signorina! Da oggi comincia la trasformazione!", trovò la forza di scherzare.

    Non so bene come funzionino queste cose, ma presumo che la grande emozione che hai provato nel fissare le stelle abbia sbloccato i tuoi poteri!.

    Possibile che la mamma non ti abbia spiegato mai nulla?. I sensi di colpa contrassero il volto del padre in una smorfia di dispiacere.

    Ti ho detto tutto, tesoro mio… Esiste un altro mondo, un mondo diverso, fatto di magia. Da lì proveniva tua madre, è lì che è nata. Non si stancava mai di parlarmi di Tonen, la città in cui era vissuta. La descriveva continuamente, soprattutto la sua natura lussureggiante e selvaggia; da bambina amava correre attraverso le sconfinate pianure che si protendevano oltre l’orizzonte. Ci metteva un tale fervore nel raccontarlo che appassionava pure me!, affermò con un lieve tremore nella voce.

    Tonen…, ripeté Betty in un sussurro. È un bel nome, imperioso, senza tempo.

    Sì, è così. Non poteva essere altrimenti. Stavolta toccò a Betty ricacciare indietro le lacrime.

    Purtroppo c’è un dettaglio fondamentale di cui sono completamente all’oscuro: il modo per arrivarci!, ammise il padre in palese difficoltà. In effetti era ciò che Betty stava per chiedergli, e Carl glielo lesse negli occhi.

    Ho sbagliato, solo adesso me ne rendo conto. Non ho voluto sentire ragioni, avevo deciso che se mai fossi divenuta come lei, se ne sarebbe occupata Margie in persona. Su questo fui irremovibile.

    Betty si stupì che proprio lui fosse stato tanto ottuso e testardo: Non posso far finta di niente, papà! Possibile che nessuno sappia aiutarmi?.

    Carl inspirò profondamente prima di rispondere: Immagino quello che provi, hai tutte le ragioni del mondo per avercela con me…, e le afferrò le mani per darle coraggio, ma quel gesto era rivolto più a se stesso che a lei.

    Frastornata, Betty decise di andarsene a dormire. Lo abbracciò lasciandolo solo in cucina.

    La profezia si è avverata, rimuginò tra sé brancolando nel buio mentre saliva le scale. Ripensando a Tonen ne pronunciò il nome a bassa voce. Trascinò il più a lungo possibile la sillaba finale fino a che non le morì tra le labbra. Non appena appoggiò la schiena sulla superficie fredda della porta si sentì stranita, come se non si trovasse più nella sua stanza, ma in un posto sconosciuto da esplorare.

    Poi inspiegabilmente la stanchezza svanì e un forte impulso la fece sobbalzare.

    La confessione del padre l’aveva messa sottosopra; eppure, nonostante quel subbuglio interiore, avvertiva l’impellente necessità di mettersi all’opera, di fare qualcosa.

    Si osservò le mani: le dita fremevano, andavano su e giù come se stesse suonando un pianoforte invisibile. Atterrita dalla paura, mise le mani in tasca: Basta o rischio di ammattire sul serio!. Decisa a darci un taglio si abbandonò sul letto.

    S’impose di restare calma trattenendo il proprio corpo che opponeva resistenza, come se rispondesse a una volontà diversa dalla sua.

    Le palpebre abbassate, le gambe incrociate, i battiti del cuore rallentati, attese che il sonno avesse il sopravvento. Ma quando si ritrovò a fissare la parete del soffitto rischiarata dal cono argentato della luna, l’istinto misterioso l’assalì con un impeto maggiore. Rassegnata all’evidenza Betty ingoiò il groppo alla gola e affrontò la situazione.

    Si alzò dal letto e si diresse al centro della stanza, gli occhi sgranati e attenti. Le mani però erano di nuovo libere e le dita avevano ripreso a muoversi contro la sua volontà. Eppure, ripensando al planetario, concluse che la dinamica che aveva scatenato quel caos stellare aveva seguito un binario completamente diverso. Lì non aveva provato quel turbinio di sensazioni che ora la stava attanagliando.

    Riprese a guardarsi attorno, nella speranza di cogliere quel richiamo ignoto e misterioso che l’aveva colta appena entrata nella stanza.

    Per caso prese di mira la scrivania, scorrendo le schiere di libri e quaderni sparpagliati un po’ ovunque e ammassati uno sopra l’altro in pile traballanti; quindi distolse quasi subito lo sguardo, per ritrovarsi faccia a faccia col suo cantante preferito, protagonista assoluto della parete dietro il letto: Lui non si tocca!.

    Fu poi la volta delle scarpe da tennis ormai logore, dimenticate in un angolo. Provò imbarazzo per la montagna di vestiti buttati alla rinfusa sulla poltrona, sintomo della poca femminilità che dimostrava in quelle tipiche cose da ragazza, come avere una camera rosa shocking sempre in ordine, con tanto di diario segreto nascosto in fondo al cassetto.

    Decise di non essere troppo dura con se stessa, dopotutto era cresciuta con tre maschi in casa.

    Continuò la sua caccia personale soffermandosi su ogni singolo oggetto, anche insignificante, ma le speranze si stavano affievolendo. Fu allora che maturò di essersi data a una ricerca inutile: non era la stanza che la stava chiamando a sé, ma tutto era partito da lei, dalla sua testa.

    Doveva accettare la realtà: dopo l’episodio del planetario qualcosa in lei era cambiato per sempre, forse in meglio, scongiurò. Nel frattempo le sue dita avevano ripreso quell’assurda danza. Determinata scacciò ogni timore e ritentò: stavolta le dita ubbidirono al suo comando!

    Fu allora che la vide: stesa sul tappetino, una scimmietta di peluche era spuntata da sotto il letto con il muso rivolto al soffitto, l’eterno sguardo cristallizzato nel vuoto.

    Perché non tu?, si rivolse al pupazzo quasi potesse sentirla. Non ci fu bisogno di chiederlo esplicitamente perché le dita riprendessero a vibrare, così le indirizzò con fermezza verso il pupazzo. I minuti passarono in fretta senza che accadesse nulla. Presa dallo sconforto, l’entusiasmo scemò.

    Concentrati, Betty!, e tentò per un’altra strada, rammentando le parole del padre Carl circa la forte emozione che aveva sbloccato i suoi poteri.

    Arrotolò le maniche fino all’avambraccio e visualizzò la volta stellata per ritrovare la gioia e la spensieratezza di quel pomeriggio.

    E finalmente accadde: le dita si contrassero come percosse da una scarica elettrica e i palmi si spalancarono.

    Ad un tratto la scimmia sbucò dalla penombra stiracchiandosi per il troppo riposo accumulato. Il pupazzo si esibì in una serie di acrobazie degne di un circense. Superato lo spavento, l’euforia prevalse su tutto. Presa dalla foga Betty mirò l’attaccapanni, i cui ganci iniziarono ad allungarsi diramandosi in tante piccole appendici fitte di foglioline, invogliando la sua nuova mascotte a balzarci sopra. Ignorava del tutto le proprie potenzialità, ma i risultati appena ottenuti avevano superato le sue aspettative. Non si era mai sentita tanto viva in vita sua.

    Il momento fu rovinato da Nat, che bussò alla porta. Presa alla sprovvista, la prima cosa che le venne in mente fu di spalancare la finestra. Una folata d’aria fresca attraversò la stanza, facendola rabbrividire. La scimmia interpretò quel gesto come un vero e proprio invito, e senza troppi preamboli finì con un agile salto sul ramo dell’olmo le cui fronde frusciavano sul davanzale. Da lì balzò sul ramo più in alto, continuando le sue peripezie notturne.

    In quell’istante la porta venne spalancata bruscamente e comparve Nat.

    Che accidenti succede qui dentro?. Era stordito, Betty lo aveva interrotto nel bel mezzo del sonno. Ho sentito delle voci, anzi somigliavano più a dei versi!. Gli occhi indagatori del fratello scannerizzavano ogni angolo della stanza.

    Come vedi sono sola, anzi se non ti dispiace stavo andando a dormire. Piazzata davanti all’ex attaccapanni

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