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Il giorno delle pietre rosse
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E-book138 pagine1 ora

Il giorno delle pietre rosse

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Info su questo ebook

Fantasy - romanzo (100 pagine) - Jaun Zuria, un’eroe dimenticato dalla storia d’Europa, ma vivo nelle leggende del popolo basco. Colui che venne dal Nord per soccorrere i baschi nell’estremo pericolo, in alleanza con le antiche divinità di Euskadi.


Il popolo basco ha sempre difeso la sua libertà, sia dai franchi cristiani che dagli arabi andalusi, ma nell’alto medioevo corse il rischio di essere conquistato e asservito al potente regno spagnolo delle Asturie. Narra la leggenda che un eroe gaelico, figlio del Re di Scozia, si mise a capo della resistenza dei baschi e sconfisse gli invasori in una grande battaglia ricordata come il giorno delle pietre rosse. Ma per diventare Jaun Zuria, il liberatore di Euskadi, il giovane Alasdair mac Alpin dovrà ricorrere alle antiche divinità e ai geni della mitologia basca, una delle più ricche e meno conosciute d’Europa, che l’autore Gianmaria Ghetta illustra in tutta la sua varietà.


Gianmaria Ghetta (Trento, 1977), vive a Rimini. Laureato in Storia Contemporanea, lavora nel marketing. Sposato, ha due figli. Appassionato del fantastico in ogni sua forma, di cinema e montagna, e studioso di storia militare, scrive narrativa fantastica, con particolare attenzione al fantasy-storico. Ha pubblicato racconti fantastici in antologie per Letterelettriche, Italian Sword&Sorcery Books, Les Flaneurs Edizioni, Watson. Ha partecipato all’antologia Sword&Sorcery curata da Alessandro Forlani, Fiamme Corrusche (2023). Per Delos Digital ha pubblicato i romanzi brevi L’eredità (2020), La Voce Nera (2020), La Spina di Poitiers (2021), Ombre di Cenere (2022) e, insieme a Giorgio Smojver, Tenebre sull’Impero (2022). Per Watson Edizioni ha pubblicato nella collana Ritratti il romanzo Pelle Rossa (2022). Con L’ultimo sacrificio, pubblicato nell’antologia Aspettando Mondi Incantati 2020 (Associazione Rill, 2020) e nel numero 17 della rivista Dimensione Cosmica (Tabula Fati, 2022) è stato finalista al trofeo Rill 2020.

LinguaItaliano
Data di uscita5 dic 2023
ISBN9788825427226
Il giorno delle pietre rosse

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    Il giorno delle pietre rosse - Gianmaria Ghetta

    Ombre e fulmini

    La donna urlò.

    Il tuono rispose con un brontolio cupo, che rotolò tra le nubi nere che si intrecciavano sotto la sferza del vento.

    Murchadh scrutò con occhi ansiosi il tumulto della tempesta che si avvicinava.

    La donna urlò di nuovo. Più forte. Più a lungo.

    La guardò con preoccupazione, cercando di soffocare la paura che gli cresceva dentro. Sentì le viscere accartocciarsi.

    – Mia signora, resistete. E cercate di spingere, se potete. Vedrete che finirà presto.

    La ragazza gemette a denti stretti. Gocce di sudore le imperlavano l’attaccatura dei lunghi capelli biondi, scintillando alla luce tremolante del camino, prima di scivolare lungo le tempie pallide. Stesa a terra, su una pelliccia, appoggiava la testa su un mucchio di coperte accatastate alla rinfusa, sorreggendosi sugli avambracci; il viso, di rara bellezza, era stravolto per la fatica e il dolore.

    – Qualcosa non va, Murchadh… – mormorò. La voce tradiva una nota di disperazione. – Qualcosa non va… lo sento… il bambino…

    Il guerriero sussultò, ruotò la testa a destra e a sinistra, frenetico come un topo in trappola. Si accovacciò accanto a lei, le spalle rivolte al focolare, un’ombra bassa e robusta.

    – Murchadh… fa così male…

    L’uomo si alzò di scatto e indietreggiò verso il camino, quasi volesse sottrarsi alla sua impotenza.

    Il riverbero delle fiamme rivelò un intreccio di tatuaggi blu che ricopriva gli avambracci e i polpacci scoperti.

    Tuffò le mani nel catino pieno d’acqua posato sul tavolo e ne trasse una pezzuola poi, dopo averla strizzata per eliminare il liquido in eccesso, con tutta la delicatezza concessagli dalle mani ruvide, andò a posarla sulla fronte rovente della donna.

    Iniziava a disperare.

    Il travaglio proseguiva ormai da ore. Non serviva essere una levatrice per capire che le cose non stavano andando per il verso giusto.

    La stai perdendo!

    Il pensiero lo colpì con la violenza di un pugno in faccia. Boccheggiò, stordito.

    La stai perdendo, imbecille! Stai perdendo la figlia del tuo signore! E stai perdendo il nipote del tuo re!

    La mano sottile gli afferrò il polso, con forza sufficiente a strapparlo dai suoi incubi.

    – Murchad, il bambino… non riesce a uscire… non permettere che muoia!

    – Non vi preoccupate… – La voce di lui fu un sussurro malfermo. – Starete entrambi bene… manca solo un piccolo sforzo.

    – Non sai mentire, amico mio. Hai vissuto troppi anni al fianco di mio padre per…

    Le parole le morirono in gola. Dalle labbra contratte scaturì un grido così forte da sovrastare per un istante il fragore della tempesta.

    Murchadh corse verso la porta.

    Non poteva sopportare oltre. Non sapeva come aiutarla ma avrebbe trovato qualcuno in grado di farlo, a costo di passare a fil di spada ogni anima del villaggio.

    – Murchadh! Non lasciarmi sola! Murchadh!

    Le grida della ragazza lo inseguirono oltre la soglia, prima di essere spazzate via dalla collera dei venti.

    Stringendosi il cappuccio del mantello intorno alla testa, nel patetico tentativo di proteggersi dalle raffiche di pioggia, il guerriero si precipitò verso il pugno di misere abitazioni che costituivano il villaggio di Mundaka. La casupola fatiscente che si era lasciato alle spalle, un tempo appartenuta a qualche pescatore, sorgeva a circa duecento braccia dal centro abitato, all’estremità di un’esile penisola rocciosa che si staccava dalla costa per protendersi nelle acque inquiete del Golfo di Biscaglia.

    Le onde di burrasca che si infrangevano minacciavano di spazzarlo via. Procedette a capo chino, imprecando a ogni passo contro gli elementi scatenati. Quando raggiunse la base della lingua di terra, si ritrovò presso il capanno dove gli uomini di Mundaka erano soliti conservare le attrezzature per la pesca. Sollevando la testa per asciugarsi la fronte gocciolante, incrociò lo sguardo di un vecchio pescatore.

    Non era certo di conoscerlo, ma d’altro canto la gente di quella terra maledetta appariva tutta uguale ai suoi occhi. Squadrò la barba bianca e la maschera di rughe con un certo fastidio.

    – Cos’hai da guardare? – sibilò.

    – Questa notte Bizkaiko Golkoa è in collera… – esclamò il vecchio di rimando, gli occhi persi in sella ai cavalloni che investivano la costa con furia crescente. – Non l’avevo mai visto così. Questa non è una notte come tutte le altre. Qualcosa sta per accadere.

    Una folgore squarciò il cielo con una ragnatela luminosa, prima di colpire l’estremità del promontorio, oltre la baia.

    – Sì, è così, senza dubbio. – proseguì. – Non sono fulmini normali questi. Mari stessa percuote cielo e terra con la sua ira.

    Si volse verso Murchadh, svelò una chiostra di denti giallastri e scheggiati.

    – Affrettati uomo del nord, qualunque cosa tu stia cercando. Questa è una notte di sventura… o di prodigi. Chi può saperlo se non il fato?

    Murchadh imprecò di nuovo, affidando all’oscurità una sequela di bestemmie, che bersagliavano senza distinzioni il dio cristiano e le divinità dei suoi antenati. Non aveva capito granché delle parole pronunciate dalla mummia rinsecchita; i mesi trascorsi su quelle coste maledette non erano stati abbastanza da consentirgli di padroneggiare l’Euskera, la stranissima lingua parlata dai nativi baschi, gli Euskaldunak.

    Il vecchio rise sguaiatamente, forse consapevole delle sue difficoltà, o magari soltanto divertito dai bizzarri giochi di luce che la tempesta creava tra gli ammassi nuvolosi. Lontano, in direzione del mare, per un momento sembrò echeggiare una voce femminile. Parlava di dolore e paura. Riportò Murchadh alla spaventosa realtà.

    Con il volto deformato da una collera improvvisa, si scagliò addosso al pescatore e lo afferrò per la gola. La schiena del vegliardo urtò con violenza la parete del capanno, le assi incurvate dall’umidità e rose dalla salsedine scricchiolarono insieme alle ossa decrepite.

    In un baleno, nella mano di Murchadh comparve un coltellaccio, la lama sfiorò la gola flaccida dell’uomo.

    – La tua pelle per me vale meno della merda di porco, vecchio! – urlò con quanto fiato aveva in gola. – La mia padrona muore… e suo figlio con lei! Testimoni tutti i Santi del Paradiso, farò a pezzi ogni uomo, donna e bambino di questo porcile se dovesse accadere!

    Il vecchio balbettò, sgomento. – La levatrice fa il giro dei villaggi. Qui viene due volte al mese, ora è lontana.

    – Se non vuoi crepare adesso, dimmi se in questo posto dimenticato da Dio c’è qualcuno in grado di aiutarmi!

    Una mano tremante si sollevò, indicò il cerchio di megaliti che sormontava la bassa collina alle spalle del paese.

    – Il cromlech? Che vuoi dire? – sbraitò Murchadh. La sua impazienza crebbe, e così la pressione delle sue dita. Il collo del vecchio minacciava di spezzarsi da un momento all’altro come un ramo secco.

    – Non riesco… a respirare…

    La stretta si allentò. Il pescatore si accasciò, tossendo e massaggiandosi la gola.

    – Parla! Chi c’è lì? – lo incalzò il guerriero.

    – Solo un uomo vive lassù, straniero… chi altri oserebbe farlo? Tutti lo considerano un veggente, qualcuno mormora che sia vecchio quanto le pietre tra le quali si aggira. – Tossì ancora, sputò a terra un grumo di catarro e saliva. – Se c’è qualcuno a Mundaka che può salvare la tua padrona, quello è proprio Bikendi.

    I menhir contornavano la sommità della collina, distanziati tra loro di una decina di passi, formando una struttura circolare di sorprendente precisione geometrica. Visto da lontano, il cromlech che formavano assomigliava a una corona, posta sul capo di qualche titanico re del passato; o almeno tale parve a Murchadh, mentre si inerpicava lungo le pendici erbose.

    La salita si era rivelata molto più faticosa del previsto; la pioggia si riversava in piccoli torrenti lungo i fianchi della collina, trasformando il suolo in un impasto scivoloso e tenace, nel quale i calzari venivano risucchiati a ogni passo.

    Un incubo di fango e fatica.

    Quando raggiunse la cima, stremato, Murchadh si appoggiò alla superficie di uno dei megaliti. Si concesse qualche istante di riposo per recuperare il fiato, illuminato dal balenio quasi ininterrotto delle folgori.

    Ora il cerchio di pietre non gli sembrò più una corona ma colossali fauci spalancate, appartenenti a qualche mostro emerso dalle viscere della terra per assalire i cieli, e lì pietrificato per sempre, forse dalla collera di quegli stessi dèi che aveva tentato di rovesciare dai loro troni tra le stelle.

    – C’è qualcuno qui?

    La domanda morì tra gli scrosci di pioggia.

    – Sto cercando Bikendi, il veggente!

    Di nuovo, le parole evaporarono tra le pietre ricoperte di muschio.

    – Non avere paura… non voglio farti del male!

    Murchadh si rese conto di stringere l’ascia nella mano destra. Le dita erano strette intorno all’impugnatura ma non ricordava di aver sfilato l’arma dalla cintura.

    Qualcosa lo aveva messo istintivamente in allarme?

    Il silenzio iniziò a farsi minaccioso. I grandi menhir, lucidi di pioggia, emanavano bagliori sinistri alla luce dei fulmini.

    Provò una sensazione di paura strisciante.

    Si spostò verso il centro del cromlech, allontanandosi dai colossi granitici. Se una minaccia fosse emersa da quelle pietre avrebbe almeno avuto il tempo di mettersi in guardia.

    Immobile, scrutò le tenebre, pronto ad affrontare qualsiasi cosa i lampi di luce bianca avessero potuto rivelare.

    Nessun movimento, nessun rumore. Niente.

    Trascorsi alcuni minuti, si risolse ad abbandonare quel luogo.

    Il cerchio di pietre sembrava abbandonato. Forse il vecchio pescatore gli aveva propinato una storia assurda per salvare la pelle. Oppure il racconto era fin troppo vero e il misterioso Bikendi, realmente vecchio come si diceva, aveva semplicemente tirato le cuoia, lasciando Mundaka priva del suo veggente.

    A quel

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