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La voce della farfalla
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E-book285 pagine4 ore

La voce della farfalla

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Info su questo ebook

Nicolas, Coach, Ciccio e Paolo sono quattro ragazzi che condividono uno straordinario destino. Infatti, una profezia li identifica come gli Attesi, destinati a proteggere il magico mondo dell’Erm, popolato da creature fantastiche. Il terribile signore degli elfi, l’Urna Fiorita, minaccia di prendere il controllo sia dell’Erm che della Terra, arrogandosi il diritto di vita e di morte sui loro abitanti. I quattro Attesi, grazie ai loro poteri, sono riusciti a infliggergli una prima sconfitta e a svelare la sua identità, ma hanno solo ottenuto di farlo incattivire ancora di più. La vera guerra inizia ora. I quattro, insieme a un’alleanza dei popoli dell’Erm, dovranno combattere con tutte le loro forze per adempiere al loro destino e salvare così entrambi gli universi.
LinguaItaliano
EditoreBookRoad
Data di uscita18 mag 2022
ISBN9788833226385
La voce della farfalla

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    Anteprima del libro

    La voce della farfalla - Luca Lodi

    Non voglio parlare con te

    «Non voglio parlare con te» ripeté. «Sono il più grande lepricauno che tutto l’Erm abbia conosciuto e tu osi pormi una domanda?»

    Si girò, sputò la presa di tabacco, stappò la bottiglia con i denti e iniziò a ingurgitare whisky. La bevanda gli colava lungo la barba, ma pareva non accorgersene.

    «Come? Cosa vuol dire cos’è un lepricauno?» Quasi si strozzò. «Io sono un lepricauno, guardami.»

    Alto quindici centimetri, ghigno malevolo, viso rugoso contornato da chiazze di barba bianca. Dita scarne con ossa evidenti; unghie lunghe, sporche e sgradevoli. Una addirittura rotta. Puzzo di bestiame. Vestito con tricorno bucato, gilet consunto marrone, così come i pantaloni con vistose toppe alle ginocchia, calze bicolori a strisce alternate. Solo su una scarpa rimaneva una stanca fibbia penzolante.

    «Tu che stai leggendo, non sai proprio nulla, vero? Ti prego, togliti quella smorfia di disgusto e piantala di fissarmi in quel modo. Nemmeno l’ultimo caprone che ho cavalcato aveva un’espressione come la tua.» Ricominciò a bere e solo sazio riprese. «Ascolta, ma non metterti troppo comodo. Sono in vena di parlare e questa per te è una fortuna, credimi. Tutto iniziò con un tiro maldestro di Ciccio. Il pallone finì nel cortile del Vecchio e da lì gli eventi precipitarono.

    «Come chi è Ciccio? È uno dei quattro! Che diamine, ma non sai proprio nulla? Nicolas e Coach, Ciccio e Paolo sono due coppie di fratelli inseparabili, legati da un’amicizia che ne fa da sempre un gruppo a sé, compatto e affiatato. Quattro personalità diverse che, per qualche assurda alchimia, riescono a completarsi… E senza whisky!

    «Certo, da qui a scoprire di essere la chiave per la salvezza di un altro mondo, il mio, ce ne passa. C’è voluto il giusto tempo affinché entrassero in quest’ottica. Così parte la loro avventura: nella totale inconsapevolezza, mentre si imbattono nell’inquietante figuro da tutti chiamato il Vecchio.

    «Da tempo immemore confinato dentro casa, nessuno sa quanti anni abbia, e voci indiscrete sostengono che viva in compagnia di una creatura mostruosa. Quando il pallone con cui stavano giocando finisce nella recinzione della sua casa, i ragazzi non hanno il minimo sospetto che la loro vita sia in procinto di cambiare per sempre.

    «Il fortuito incontro-scontro con il Vecchio e le sue parole sconnesse sono il preludio all’inevitabile. Nicolas, il più intuitivo del gruppo, è il primo a varcare la soglia dell’ignoto, risucchiato negli ingranaggi di una singolare pendola che lo trasporta nell’Erm.

    «Coach, Ciccio e Paolo lo seguiranno poco tempo dopo, sbalzati, spaesati e senza punti di riferimento, se non per gli assurdi discorsi del Vecchio. La storia a questo punto è bipartita. Vuol dire che si divide. Da una parte le vicissitudini di Nicolas; dall’altra le avventure dei tre, uniti da un unico imperativo: ritrovare il loro amico e portarlo in salvo.

    «Nicolas, perso nei meandri boscosi della Barba Sempiterna, si imbatte in una fata in pericolo di vita, minacciata da piccoli e impertinenti ominidi chiamati grugn. Il ragazzo riesce a salvarla, scoprendo di trovarsi di fronte nientemeno che a Gladis: la Regina delle fate in persona.

    «Il primo incontro di Coach, Ciccio e Paolo non è certo da meno. Rinvenuta la via per una bettola chiamata locanda Irsuta, in balia di un feroce orco, vengono salvati dal provvidenziale intervento di Drumma, un nano coraggioso, la cui figura si rivelerà cruciale nel corso della loro permanenza in questa realtà per loro impensabile.

    «Ed è solo il principio di un’avventura pazzesca che lascerà a bocca aperta quelli come te, perché è a questo punto che devi riprendere contatto con la fantasia. Sarai costretto a lucidare la tua immaginazione, offuscata dalla razionalità di tutti i giorni.

    «I ragazzi scoprono presto una verità inconcepibile: la salvezza in gioco non è solo la loro, ma quella dell’intero regno in cui sono precipitati, con il quale risulteranno legati a doppio filo. Il destino dell’Erm, celato in arcane rime, cantato da anni in versi sibillini, di bocca in bocca, di razza in razza, diventa il bene più prezioso. La strenua lotta per la pace e la giustizia portata avanti da Nicolas, Coach, Ciccio e Paolo, presto prende il sapore del cammino cruciale.

    «Riescono a guadagnare la via di casa e solo allora si rendono conto di come sia triste non poter tornare nell’Erm. Uh, Nicolas nel frattempo si è anche innamorato di Elira, una giovane maga, ma queste cose non sono argomenti da lepricauni.

    «Gladis la fata raggiunge Nicolas ormai senza speranze di riguadagnare la strada per l’Erm. È lei a guidarlo nuovamente nella casa del Vecchio. Qui trovano Drumma, il nano che si è occupato dei tre.

    «Tornano nell’Erm per trovarsi in una guerra. Una sanguinosa guerra tra orchi e draghi. Invischiati fino al collo, riescono a sopravvivere. Ma non è tutto così facile. Nicolas ha tra i draghi diverse amicizie, tra cui il Saggio, un grande drago femmina di nome Filitosa, e suo nipote Egar.

    «Alla fine su indicazione del Vecchio, ucciso dall’Urna Fiorita, riescono a penetrare nel palazzo di Almon per… Ancora? Chi è l’Urna Fiorita? Ma non sai proprio nulla? L’Urna è un essere meschino che desidera il potere quanto io agogno il whisky. Vuole unire il mio mondo con il tuo, con la tua Terra. È l’unica entità che si arroga diritto di vita e di morte su tutto l’Erm. A lei si contrappongono la Signora e i suoi paladini. Nessuna l’ha vista, ma in molti la servono.

    «I quattro ragazzi sono la speranza dell’Erm. Ma torniamo a noi. Sono entrati nella grande sala di Almon, dove si radunano i potenti di questo mondo. Lì la pietra è tornata a parlare, rivelando l’identità dell’Urna Fiorita. Come faccio a sapere tutto questo? Ti basti conoscere il mio nome… Chomp. Chomp Plug.»

    Plok.

    Nell’istante in cui termina di parlare, sparisce.

    Lo schiaffo

    Lo schiaffo le arrivò in pieno volto, spostandole gli occhialini. Questi non caddero, ma le rimasero in obliquo sul naso. Ci vollero altri ceffoni per avere la sua totale attenzione. Sbatté gli occhi, frastornata. Non era abituata a essere trattata in quel modo. Nella Corte Alata era rispetta e persino temuta. Le guance le dolevano, però ancor di più gridava il suo orgoglio di fata.

    Riuscì a focalizzare il lurido grugn che si allontanava. Un viscido ominide appartenente alla foresta. Troppo sudicio per essere apprezzato e inequivocabilmente troppo stupido per agire da solo. Aveva parlato un dialetto incomprensibile, fatto più di sputi che di parole. Sapeva che presto sarebbe tornato in compagnia.

    Il bavaglio non le permetteva di evocare nemmeno il più semplice incantesimo e le rudimentali cinghie la costringevano in una posa immobile. Chiuse gli occhi e pensò a quello che era accaduto.

    Era atterrata con sicurezza, nonostante la notte coprisse da ore l’intera foresta. Con leggiadria, aveva fatto pochi passi per riprendere il volo. Le piaceva affondare i piedi nell’erba umida, lo faceva sin da piccola. L’effimera felicità si era spenta al pari del sorriso. Uno stato di inadeguatezza mista a disagio si era impossessato del suo animo. Stava volteggiando in una zona sconosciuta, ma promettente per la ricerca.

    Il volo era durato pochi minuti. Poi aveva visto il fiore che cercava ed era atterrata. L’alone che sprigionava era abbastanza forte perché lei lo vedesse con discreta chiarezza. Aveva preso la pianta, annusato il fiore dai lunghi petali e, disgustata, l’aveva allontanato.

    Erano cadute alcune foglie, rovinando irrimediabilmente la pianta. Non sapeva se era più infastidita dal non trovare una rosa di Almon degna del suo nome o dal continuare a reagire in quel modo sopra le righe. Non era da lei danneggiare un fiore.

    Lo stava cercando da qualche ora, pur sapendo che la foresta non amava concedere spazi a fiori così belli da apparire eccessivi. Si era guardata la mano. Il profumo aveva intriso le dita grassocce. Dita abituate alla fatica, al duro lavoro e a indicare agli altri cosa fare. Si era imposta la calma e, dopo un profondo respiro, aveva annusato nuovamente a occhi chiusi.

    L’aroma l’aveva colpita con un verdetto inaspettato: era un profumo intenso e gradevole. Forse non era così al di sotto delle aspettative; forse era lei a non essere nel giusto. Aveva pensato di tornare sui suoi passi, ma aveva continuato con lento incedere. Era agitata. Cercava la solitudine e si allontanava sovente. Non trascurava i doveri, anzi, le sue puntualità e precisione erano ammirevoli. Però amava ritagliarsi ampi spazi di isolamento.

    Era un groviglio di emozioni e di sensazioni che la spaventava. Sapeva che ben presto nuovi e improvvisi accadimenti si sarebbero riversati su di lei. Questo era un dato di fatto. Quello che non capiva era la loro natura e perché, pur avvertendoli, non riuscisse a comprenderli totalmente.

    Aveva sorvolato diversi rami, tenendosi in alto, con la speranza di scorgere un’altra rosa di Almon. Cosa di cui dubitava. Trovare un fiore raro capita una sola volta al giorno e lei aveva sprecato la sua possibilità.

    Vista a distanza, la fata appariva come una grande palla luminosa, saettante, con una scia dorata tutta particolare. La scia racchiudeva, a livello tridimensionale, tutte le sue preoccupazioni. Il suo subconscio materializzava le sue visioni, creando una coda dorata di palpabile nervosismo. Rapita da profondi pensieri, non si era avvista della rete stesa tra le fronde. Aveva impattato, finendo in una posa scomposta. Era stato allora che l’avevano colpita alle spalle, tramortendola.

    Non ebbe tempo per altri pensieri, stavano tornando. Riconobbe l’insolente che aveva avuto l’ardire di schiaffeggiarla. Si accompagnava a colui che pareva il capo dell’immonda delegazione.

    Non erano molti, ma sapeva bene che nei paraggi dovevano celarsi altri grugn. Nasi pronunciati, piccole zanne, piedi grossi e poco acume. Operavano in gruppo e questo era più che risaputo.

    Due basette incolte di uno sfacciato rosso si accompagnavano a un viso butterato. L’abbigliamento, ricavato da quanto offriva la foresta, sembrava scelto tra gli scarti di qualche animale. Cappelli di ghiande, aghi secchi e pezzi di corteccia componevano il discutibile vestiario. Unghie nere, macchie di cibo e un funghetto che spuntava dalla corteccia usata come panciotto completavano la descrizione. Arrivò a un palmo dal suo viso, osservandola con curiosità. Parlò al suo seguito in una lingua gutturale, sgradevole. Si alzarono risa sguaiate.

    Il fiato iniziò a mancarle e, mentre rallentava, aveva la percezione che le sue preoccupazioni la stessero raggiungendo. Arrendersi non era nemmeno contemplabile. Doveva solo trovare il modo. Una sola, semplice occasione.

    I polsi le dolevano, il bavaglio pareva farsi più stretto, ma il suo sguardo era determinato. Pensò ai quattro ragazzi e alla loro stupefacente intesa. Le apparve Edros, la grande fata reggente che l’aveva voluta come mentore per la nipote Gladis, ora sua Regina. Mancava da tempo e non passava secondo che non pensasse a lei.

    Aveva combattuto con l’intera Corte Alata per proteggere i quattro ragazzi venuti secondo la Profezia della Signora. Aveva sentito il richiamo dell’Adunata. La sua Regina, la sua bambina, e i quattro ragazzi avevano rischiato insieme la vita per servire la Signora, con la viva speranza di annientare l’Urna Fiorita, il solo essere che si arrogava il diritto di vita e di morte in modo subdolo su tutto l’Erm. Uccideva e spariva senza lasciare tracce, come la temibile pianta velenosa che, una volta toccata, spariva nella terra.

    La vide, come una presenza oscura, mentre la indicava con mano deforme. La voleva, desiderava prenderla. Aprì gli occhi. Due luride mani tentavano di raggiungerla. Unghie spezzate e annerite avanzavano smaniose.

    Non ci volle molto e una fetida unghia raschiò una falda del suo vestito. Aveva un grazioso corsetto con gonna a balze sovrapposte e sfalsate, che ricordava una corolla di rosa rovesciata. D’altronde era l’unica fata che vantava il titolo di Maestra Suprema di Fine Sartoria su Commissione.

    Era troppo: scagliò un incantesimo, ritenendo quel semplice tocco al pari di un’aggressione. Provò a mugugnare una sequenza magica e il grugn dalle basette rosse si trovò a gambe all’aria. Nessuna fata può attaccare se non per difesa, pena la perdita dell’alone dorato e, di conseguenza, quella di ogni potere.

    Non ebbe il tempo di complimentarsi con se stessa, che due braccia ossute l’afferrarono per il collo. La presa dell’infimo grugn, che aveva osato toccarla, non accennava a diminuire. Poteva sentirne il puzzo e questo alimentava la sua ira. Il fetido essere, euforico per aver neutralizzato la fata, serrava le mani con più ardore.

    Venne centrato da una saetta dorata. Il cielo si punteggiò di aloni aurei; più vicini e lucenti delle stelle. Altri colpi allontanarono il ridicolo numero di grugn che ancora offendeva la sua vista.

    Venne raggiunta da due giovani fate, che la liberarono. Cadde, impreparata a un così celere intervento. Si alzò e si ricompose, spazzando a due mani il bel vestito cremisi. Aveva in bocca un sapore acre e avrebbe volentieri addentato un proiettile dei fiori bombarda. Il disgusto che sentiva passò in secondo piano alla vista di un nugolo di grugn in avvicinamento. Neri e veloci, parevano tanti insetti lanciati sulla preda.

    Piccole fiaccole punteggiavano la foresta. In diversi si erano radunati, pronti a usare frombole e fionde. Erano state preparate persino alcune reti per ostacolare ogni tentativo di fuga, alcune ancora tese tra gli alberi posti nelle vicinanze, altre pronte a terra.

    Sapeva che il volo non rappresentava un’opzione. Si preparò alla battaglia, evocando il potere e l’ira. Era madida di sudore, un sudore freddo generato dalla tensione. Si avvicinavano, correndo addirittura a quattro zampe.

    Fu allora che vide una rete dei grugn fluttuare e cadere sopra la prima fila. La fata si staccò in volo e venne affiancata da due aloni dorati. Erano coloro che l’avevano liberata. Facevano parte della Corte Alata, le conosceva ma non si era mai intrattenuta con loro.

    Erano due sorelle abili nel fioretto. La più grande si chiamava Gaialy e aveva capelli castano chiaro. Era decisa e schietta. La più piccola, Gynes, si riconosceva per essere bionda e per prediligere abiti viola. Credeva di aver ottenuto un fioretto magico, con il potere di allontanare il male. Nessuno osava dirle che era una convinzione insensata, ma forse ora al cospetto dei grugn poteva dar prova della sua ferma credenza. In fondo la magia non era altro che un insieme di tre elementi: credere, concentrarsi, fare.

    «Signorina Flura, la stavamo cercando…» disse Gaialy tutto d’un fiato.

    «Già e, visto il trambusto in questa zona di foresta, è stato abbastanza semplice trovarla» aggiunse Gynes. «Abbiamo con noi gran parte della Corte Alata.»

    I grugn non demordevano e un proiettile pregno di resina per poco non le raggiunse. Si separarono per ricongiungersi dopo due bordate, lanciate dall’unico grugn dotato di mira. Schermi fatus, le barriere magiche in uso al loro popolo, le proteggevano solo parzialmente.

    Decisero di cambiare tattica e attaccare. Sguainarono i fioretti mentre venivano raggiunte da altre fate. Erano talmente belle da vedere in formazione, che solo il cuore indurito di un grugn non poteva cogliere tale magia. Erano così pronte a seguire le direttive della signorina Flura, Maestra Suprema di Fine Sartoria, che si stupirono a sentire le sue parole.

    «Non posso tornare con voi. Devo andare dove si trova la mia serenità.»

    Dopo che si furono guardate sorprese, fu Gynes a rispondere, a nome di tutte le fate intervenute per salvarla. «Se deve andare, allora ci pensiamo noi. Cioè, pensiamo noi a loro, intendevo dire.»

    La sorella annuì di rimando, sorridendo per la confusione sintattica. Fu allora che quello che poteva sembrare un cielo stellato crollò sull’immondo popolo. Centinaia di fate intrecciarono la loro scia luminosa, creando un effetto visivo spettacolare. I grugn non ebbero tempo per alcuna contromossa e l’ultima cosa che videro fu la faccia concentrata di due giovani fate che attaccavano a fioretto teso, guidando la carica.

    La signorina Flura le ringraziò mentalmente. In particolare le due sorelle. Da quel momento le avrebbe trattate con rispetto. Si sentiva meglio e tutto iniziava ad avere un ordine. Sapeva che il posto in cui era diretta le avrebbe ridonato la serenità che cercava. Volava veloce, libera e leggera, del tutto estasiata dal potere dell’aria che rinfrescava il volto, al punto che non vide un bellissimo fiore dai lunghi petali profumati.

    Uno dei pochi rimasti in quella foresta.

    Profumo di fluossilla

    Si aggiustò la manica, che terminava con un elaborato ricamo a forma di germoglio. Vestiva una tunica turchese con guanti abbinati. Sapeva che era stata violata la sala del Gran Consiglio, ma non comprendeva bene ancora la precisa dinamica.

    Ai suoi piedi giaceva un folletto del pensiero su cui aveva riversato gran parte della sua arte nel torturare. Era difficile vedere in quel corpicino, dalle ali bucherellate, una forma definita. Si era accanito anche dopo la sua morte.

    Riacquistò una compostezza impeccabile, classica caratteristica elfica. Dentro di lui rancore e vendetta sobillavano azioni deprecabili. Non era l’unico a muoversi nell’ombra. Troppi fatti non riconducibili alla sua volontà stavano accadendo e questo non poteva permetterlo.

    Lo vide solo quando fu nella stanza. Non era passato dall’ingresso principale in cui pendeva la fluossilla, pianta simile alla campanula che rilascia un gradevole profumo. Era un fiore antico, di notevoli dimensioni, che aveva preso dimora attorno all’ingresso decenni prima. A ogni visitatore donava una gradevole essenza. Amava il profumo che rilasciava.

    Gran parte del mondo arboreo conosciuto era stato invitato a decorare la mirabile stanza. Intrecci di rampicanti aprivano finestre a volta. L’aula appariva imponente e luminosa, pur celando le ombre più oscure di tutto l’Erm. L’arredamento era studiato con dovizia di particolari, creando un gioco pensato per stupire e accogliere. Corolle meravigliose, grandi e colorate, tempestavano come gioielli floreali la grande sala.

    L’essere, colto sovrappensiero, alimentò l’ira che covava. Sorrise e con un’espressione conciliante fece accomodare l’insolente ospite. Il silenzio che albergava nella stanza era un urlo di tensione. Lesse paura negli occhi dell’interlocutore e questo gli piacque. Sorrise nuovamente, più convinto. Chi si era presentato era al suo soldo da diverso tempo. Finora non aveva mai avuto nulla da ridire sul suo operato, ma adesso era latore di pessime notizie.

    Rampin Fluoser, dal canto suo, guardava con una fievole speranza il suo signore. Era un elfo più basso rispetto alla media, però, nonostante la statura, aveva ottenuto l’incarico di segretario del Quercus, la massima autorità elfica cui si poteva aspirare.

    Una vesta candida lo connotava inequivocabilmente. Il bianco era il suo segno distintivo, insieme a enormi petali della stessa fattura, che usava quando presenziava a una cerimonia. Veniva chiamato l’Elfo bianco e questo gli piaceva. Naso pronunciato e capigliatura intrecciata con rametti candidi, simili a legno di betulla, erano altri tratti tipici. Oltre naturalmente al suo amore per i gioielli. In particolare quelli che ricordavano l’eterea luce lunare. Era impossibile non notargli indosso orecchini pendenti e un caratteristico collare.

    Wicken Aloe, Quercus degli elfi, lo invitò a parlare. Non era per nulla impressionato dal suo sottoposto. Anzi, con voluta malizia calpestò il corpicino del folletto. Il messaggio era chiaro.

    «Mio signore, hanno violato la sala del Gran Consiglio…»

    Wicken, sempre sorridendo, gli fece cenno di continuare.

    «Hanno sbaragliato tutti coloro che avete mandato. Avevano un drago e nemmeno il leone alato ha potuto nulla contro di lui. I quattro ragazzi hanno una magia potente…»

    «Chi altri era con loro?» La voce era calma, rassicurante.

    Rampin deglutì e riprese a parlare in tono incerto, temendo l’ira del suo signore.

    «C’era un nano… Drumma, il fuggitivo di mastro Dumg. Una giovane maga e un arciere che ha fatto strage dei nostri da una posizione sopraelevata. Ah, e c’erano un paio di fate!» Sembrava teso, sapendo di non aver raccontato tutto. Si sistemò alla ricerca di una posizione più comoda, che non poteva esistere. Almeno non di fronte a Wicken Aloe.

    «È tutto?»

    Rampin deglutì, prima di parlare nuovamente. «No, signore…»

    I pochi secondi di silenzio diedero a Wicken la corretta percezione che quello che avrebbe sentito non gli sarebbe piaciuto.

    «Hanno scoperto l’identità che finora siete riuscito a celare: sanno che siete l’Urna Fiorita.» Rampin si accorse troppo tardi di aver usato una forma troppa diretta. Deglutì di nuovo rumorosamente. «Mastro Gunda, il nano di pietra, l’ha rivelato loro. La pietra ha parlato e io ne sono stato testimone. Ero nella sala quando sono entrati, e ho assistito al risveglio della scultura. Non solo! Mastro Gumdram ha donato la sua ascia al nano. Sembra che voglia radunare tutti i clan sotto un unico vessillo.»

    I

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