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Moon & Ishan - Ritorno ad Arual
Moon & Ishan - Ritorno ad Arual
Moon & Ishan - Ritorno ad Arual
E-book264 pagine3 ore

Moon & Ishan - Ritorno ad Arual

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Info su questo ebook

Moon e Ishan, due adolescenti all’apparenza normali, alle prese con i problemi tipici della loro età, con l’amicizia e con i primi amori. Eppure dentro di loro si cela un’energia misteriosa, destinata a salvare l’universo.
di Maria Rosaria Ferrara
Moon, erede al trono del Regno di Arual, viene portata sulla Terra alla sua nascita per essere protetta dalla strega nera Laikiria, che vuole ucciderla per conquistare il potere. Nel paese di Crépuscule, ormai adolescente incontra Ishan, umano a lei legato dal destino poiché nato nel suo stesso istante. I due ragazzi sono anime gemelle e condividono l’uno la natura dell’altro, acquisendo così poteri soprannaturali con i quali saranno in grado di comandare gli elementi della natura. Prima di scoprire cosa il destino riserva loro, la loro vita scorre in una quotidianità fatta di amici, della passione per lo snowboard, pronti a battibeccare su ogni questione e segretamente coinvolti in un corteggiamento letterario grazie a uno scambio di libri anonimo. Una volta rivelata la propria identità, Moon e Ishan saranno protagonisti di una battaglia il cui esito è totalmente nelle loro mani. L’interferenza delle forze del male mette in discussione valori come amicizia e lealtà, in cui entrambi credono, e i segreti che si svelano strada facendo metteranno a dura prova le loro certezze. Questa prova insegnerà loro a fidarsi delle proprie capacità e del potere del sentimento che li lega. Insieme impareranno che restando uniti possono sconfiggere qualunque pericolo.
LinguaItaliano
Data di uscita24 ago 2019
ISBN9788833283203
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    Anteprima del libro

    Moon & Ishan - Ritorno ad Arual - Maria Rosaria Ferrara

    momento.

    Prologo

    Avevano sognato quella scena così tante volte da sapere esattamente quali movimenti avrebbero compiuto. Tuttavia nessuno dei due osava spostarsi, perché erano sicuri che, nel preciso istante in cui avessero allungato la mano per sfiorarsi, il sogno si sarebbe dissolto e loro si sarebbero risvegliati nei rispettivi letti, ancora una volta senza riuscire a scorgere il volto l’uno dell’altra a causa della fitta coltre di nebbia.

    Anche quella volta tutto appariva come al solito, eppure tutto era differente. Le sensazioni erano più intense, ogni cosa tangibile: l’aria, resa densa dalla nebbia, entrava pesante nei polmoni; l’umidità ricopriva loro il viso con un leggero strato di goccioline d’acqua; il freddo penetrava attraverso gli abiti. Questo non era mai accaduto prima.

    La notte si fece più fitta; la luce della luna filtrava decisa attraverso le nuvole, squarciando la nebbia. Anche questo era diverso, entrambi ne erano consapevoli.

    Passarono pochi istanti di immobilità. Erano ansiosi di procedere, eppure intimoriti. Avevano capito che era giunto il momento in cui si sarebbero visti per la prima volta, finalmente si sarebbero conosciuti. Non potevano aspettare più a lungo. La nebbia iniziò a dissolversi e i due ragazzi si abbandonarono all’istinto. Era come se la luna avesse ordinato loro di agire.

    La ragazza prese fiato, decisa a compiere il primo passo. Nel momento in cui iniziò a camminare notò che il suo braccio si sollevava, come rispondendo a un richiamo inudibile. Il ragazzo che le stava di fronte si muoveva verso di lei con la sua stessa indecisione, con i suoi stessi timori. Deglutì, spaventato ed eccitato allo stesso tempo, e la sua mano si aprì, pronta a sfiorare quella di lei.

    Quando riuscirono a vedersi ebbero conferma di ciò che in cuor loro già sapevano e fu naturale appoggiare il palmo della mano dell’uno contro quello dell’altra.

    Quella volta il sogno non si dissolse. Per un istante si sentirono colmi di immensa felicità: si erano finalmente trovati!

    Fu un istante troppo breve: un turbinio di terribili immagini scoordinate li scosse in modo violento e smisero entrambi di respirare.

    Parte Prima

    Capitolo 1

    Un lampo squarciò il cielo notturno, reso ancora più oscuro dalle nuvole grigie che il circolo di megere aveva chiamato a raccolta. La grande sala dove il re e la regina erano riuniti con l’intera corte venne illuminata a giorno per un istante. Seguì immediato il rombo di un tuono, che risuonò potente nel castello facendo tremare i vetri.

    I presenti sussultarono, spaventati più dal presagio che dal temporale.

    La megera si girò verso l’altare dove sedevano i reali, protetti dalla fata dai capelli rossi e l’abito color indaco. Parlò e le sue parole risuonarono tenebrose. Il re e la sua regina si sentirono impotenti, incapaci di reagire.

    «È giunto il tempo in cui questo regno in mio potere cadrà. Mio caro sire, senza eredi la tua stirpe finirà!»

    Da anni la strega aspettava di conquistare il regno di Arual e infine le si stava presentando l’occasione giusta. Dopo tanta attesa, sembrava evidente l’incapacità della regina di generare un erede, cosa che avrebbe messo in pericolo la sopravvivenza della stirpe e del reame.

    A risponderle non fu il re, bensì la sua fata. Arual, come tutti i regni della Terra Incantata, aveva la sua fata protettrice, incaricata di garantirne cura e benessere.

    «Ti sbagli, strega maligna, la stirpe vivrà ancora», annunciò a gran voce. «Nel suo ventre la regina custodisce l’erede che porterà ancora in alto il nome di questo regno. Arrenditi! Il male non vincerà mai!»

    «Cosa mi dici, cara fatina? La nostra incantevole regina è in dolce attesa?» farfugliò la strega, camminando da una parte all’altra della grande sala. Col suo vestito nero sfiorava i sudditi presenti. Percepire il loro spavento le dava forza, la faceva eccitare. «Quindi il regno avrà una nuova mocciosa da crescere», continuò.

    Stava di sicuro macchinando qualcosa, lo si capiva dalla lentezza con cui parlava, dai silenzi che rendevano ancora più sinistri i tuoni nella notte. Le alte vetrate che costituivano il perimetro della sala del trono tremavano, come l’animo dei presenti. Fuori da lì, i boschi innevati erano scossi e gli animali della foresta si lamentavano impauriti, irrequieti. Arual, il quarto dei regni che si nascondono in una dimensione parallela al pianeta Terra, era minacciato dall’ombra di un destino ignoto e buio: la regina delle streghe era venuta a lanciare la sua sfida.

    La megera si girò verso la fata. «Ti sbagli, cara!» gridò. Tese il braccio fasciato dal tessuto nero e lanciò la sua maledizione:

    «La regina darà alla luce una bambina e tutti i suoi poteri di saggio angelo saranno votati al male. Finché vivrà, il regno non avrà pace. Guerre, lotte e carestie saranno all’ordine del giorno. Io sola potrò spezzare questa maledizione! Il vostro amato sole tornerà a splendere solo per mia volontà, ma state pur certi che non annullerò mai questo incantesimo, mai finché il re non cederà a me il suo trono! A quel punto le tenebre avvolgeranno ogni cosa e Arual potrà dire addio alla luce… alla vita!» disse, e scoppiò in un’agghiacciante risata.

    Il sortilegio era stato lanciato contro un essere ancora invisibile, ancora incapace di difendersi. La fata sapeva che per proteggere la piccola avrebbe dovuto agire alla svelta, prima che le nuvole si dissolvessero.

    «Questo regno non sarà mai tuo, megera! Va’ via adesso e non tornare più!» urlò.

    «Tornerò, non temere, verrò a controllare che il mio regno sia pronto per essermi consegnato! Tornerò quando sarà nata la mocciosa e a quel punto non ci sarà alcun incantesimo che potrà fermarmi», urlò la strega, facendo stridere ancora la sua malvagia risata. «Andiamo, lasciamoli nella loro disperazione. Presto torneremo a prendere ciò che è nostro, allora saranno felici di consegnarcelo», gridò. Poi, insieme alle sue seguaci, sparì in una voragine di fuoco che si era aperta al centro della sala.

    La fata attese che si fosse chiuso il vortice per appoggiare le sue mani sul ventre della regina. Nella sala tutti erano sconvolti, trattenevano il fiato in attesa che lei facesse un cenno.

    «Dimmi, fata, esiste un modo per contrastare questa maledizione?» chiese il re preoccupato.

    «Il male si nutre di paura, mio sire, e questa notte ne è colma… Io non posso annullare la maledizione che è stata lanciata, ma posso invocare un incantesimo per ostacolarne l’adempimento», disse. Quando le sue mani sentirono il piccolo cuore che batteva nel ventre della regina, confermò abbattuta: «La vostra amata aspetta una bambina…»

    A questa notizia, ripensando alle parole pronunciate dalla strega, la regina svenne. In tutta la sala si alzarono sospiri di paura e terrore.

    «Cosa dobbiamo fare? Non posso permettere che questa figlia sia una disgrazia per il regno, quando per me è una gioia immensa!» gridò il re, portandosi le mani al volto disperato.

    «Mio sire, vostra figlia non sarà causa di morte e distruzione. Esiste un modo per impedire alla maledizione di essere letale e permettere al regno di restare saldo nelle mani del suo legittimo sovrano. Per far sì che questo accada, però, è necessario che la piccola venga allontanata», spiegò la fata.

    «Cosa intendi dire, fata? Devo forse rinunciare alla mia stirpe? Alla mia dolce figlia?» domandò perplesso l’uomo.

    «Mio signore, la maledizione che è stata lanciata questa sera è troppo forte per essere contrastata senza l’ausilio e i poteri della bambina stessa. Dobbiamo permetterle di crescere forte nello spirito e di diventare potente in vista dello scontro con la strega nera. Dobbiamo proteggerla e per farlo dobbiamo tenerla lontana da Arual.»

    «Come faremo? Cosa possiamo fare?» domandò il re, sempre più disperato e confuso, le dita a tormentare la fronte, lo sguardo perso, disorientato.

    La fata volse il viso al cielo, dove un raggio di luna si era fatto strada tra le nuvole nere evocate dalle streghe; in quell’istante le tornò alla mente una premonizione che aveva avuto secoli prima, il giorno in cui le era stato affidato il regno di Arual. Così come in quel tempo lontano aveva capito che il momento sarebbe giunto, adesso era consapevole che non sarebbe stato possibile tornare indietro.

    «Mio re, esiste un modo per aggirare il male. Avremo bisogno dell’anima gemella di vostra figlia.» Il re la guardò incredulo, incapace di parlare, ansioso di scoprire quale fosse il piano suggerito dalla guardiana. La fata continuò: «A ogni spirito di questo, come di qualunque regno dell’universo, è destinata un’anima gemella, una persona alla quale si è legati dall’istante della nascita, che avviene contemporaneamente ma su pianeti che viaggiano sospesi su orbite distanti. Ecco, noi troveremo il bambino il cui spirito è gemello di vostra figlia. Scambieremo i due bambini e faremo credere alla strega che la regina abbia partorito un maschio. Si convincerà che il suo maleficio non potrà mai realizzarsi.»

    «Cosa dici fata, come è possibile tutto questo? Come potremo mai prenderci gioco delle streghe? Non ci crederanno mai!»

    «Mio signore, abbiate fiducia in me! La luna veglierà su di noi e permetterà lo scambio. La congiunzione delle stelle e dei pianeti nasconderà la verità alla strega e le impedirà di vedere che la vostra regina terrà un umano tra le braccia», spiegò la fata.

    «Un umano?» chiese spaventato il re, mentre nella sala del trono i sudditi si stringevano terrorizzati l’uno all’altro. Sapevano tutti che aprire le porte che collegavano alla Terra la dimensione astrale di Arual significava pericolo, se non morte.

    «Sire, questo è l’unico modo per permettere al nostro regno di resistere fino a che la vostra bambina sia cresciuta e possa sconfiggere il male, assicurando il futuro del regno!»

    Il re si accasciò sul trono, rendendosi conto in quel momento che la regina giaceva ancora priva di sensi, accudita dalle sue ancelle. Era una pazzia, eppure sapeva che sarebbero diventati vittime di un destino di tenebre e dolore se non avessero seguito i saggi consigli della fata.

    «D’accordo fata, fai ciò che devi! Cerca questo figlio della Terra. Che sia forte e coraggioso, perché ciò che lo attende è un destino difficile e impervio. E fa’ che la mia dolce figlia vada in un luogo sicuro e pieno di pace, che non debba soffrire mai!» disse il re, poi scoppiò in un pianto disperato.

    La fata sollevò il braccio per afferrare la luce lunare, che ora brillava intensa nella stanza. Ne raccolse un raggio dal cielo e lo posò sul ventre della regina ancora priva di sensi.

    «Vieni, raggio di luna. Illumina il cammino di questa bambina, perché la attende un destino da grande regina. Donale forza e guidala nella crescita. Dovunque essa fiorirà, tornerà a salvare il suo regno e a prendersi ciò che è suo di diritto. Veglia su di lei fino a quel momento e veglia sul bambino che nascerà con lei!» pregò con dolcezza la fata.

    Si alzò, poi scomparve, muovendosi leggiadra e come fluttuando a pochi millimetri dal pavimento, pronta ad affrontare la ricerca dell’anima gemella della principessa.

    Capitolo 2

    Un altro spostamento, una nuova città, una nuova vita.

    Era stanco di ricominciare ogni volta tutto daccapo: altri compagni, altra scuola e mai veri amici. Non riusciva proprio a capire perché sua madre lo costringesse a cambiare vita in maniera quasi sistematica, come se avesse deciso di impedirgli di mettere radici e iniziare ad avere una vita normale come tutti i ragazzi della sua età.

    Da qualche tempo era irrequieto ed era sicuro che sua madre fosse consapevole che traslochi e trasferimenti continui non giovavano al suo umore. A volte pensava che lei fosse addirittura più tormentata di lui: lo portava in giro per il mondo come fosse alla ricerca di qualcosa e che non si sarebbe fermata finché non l’avesse trovato.

    Dalla Scozia, dove era nato e aveva vissuto parte dell’infanzia, erano passati in Francia, poi in Spagna e infine in Italia, dove vivevano da un anno. Ogni volta erano costretti a ricominciare. Lui non si sentiva più a proprio agio con niente e nessuno, ma in fondo non importava, perché non viveva mai abbastanza a lungo in un luogo da doversi giustificare con chi incontrava.

    Ora avevano raggiunto un paese sperduto sulle montagne al confine tra Italia e Francia, una cittadina dall’improbabile nome di Crépuscule, e lui era rassegnato a vivere un’adolescenza da eremita. Perché poi scegliere un posto così freddo, non l’aveva ancora capito, tuttavia non gli era possibile essere davvero arrabbiato con sua madre. Provava, invece, una forte tenerezza per lei, che si era presa cura di suo figlio da sola, senza marito e senza una famiglia a sostenerla. Era stata coraggiosa e lui non aveva mai fatto troppe domande, temendo di risvegliare in lei dolori sconosciuti.

    Era consapevole di aver acquisito dal suo ignoto padre molti tratti fisici: somigliava proprio poco a sua madre. Aveva gli occhi color nocciola scuro e capelli neri e spessi, mentre lei aveva capelli ramati e profondi occhi azzurri, grandi e trasparenti come il ghiaccio. Lui era già alto e robusto, con spalle forti e larghe, lei invece aveva un corpo esile, in contrasto con la forza interiore che la rendeva capace di andare sempre avanti con coraggio, un’espressione buffa quando sorrideva e si stupiva di tutto. Era sicuro di avere ereditato almeno questo da lei. Peccato solo che negli ultimi tempi non riuscisse a trovare molto su cui ridere.

    Era settembre. Faceva già freddo e tra qualche mese avrebbe compiuto diciassette anni. Insomma, una tragedia. Non c’era nulla di cui gioire.

    Nei suoi diciassette anni di vita aveva visto sì diverse parti del mondo, ma non aveva fatto molte esperienze: non aveva mai avuto una ragazza, non aveva mai avuto una comitiva con cui uscire di nascosto per ubriacarsi, non aveva amici, non era stato mai in campeggio né aveva gareggiato in uno sport. Si sentiva fuori dal comune, ma non gli piaceva distinguersi per essere una nullità.

    Chissà come sarebbe stata la sua vita a Crépuscule!

    Il giorno successivo avrebbe incominciato a frequentare la scuola ed era un po’ preoccupato per l’ennesimo primo approccio con dei nuovi compagni. Erano arrivati da poco in città e la tensione lo irrigidiva. Sua madre se n’era accorta e lo aveva spronato a fare un giro per il paese mentre lei avrebbe sistemato le sue cose.

    Nonostante avesse tentato di opporsi a quella proposta, alla fine non era riuscito a rifiutare: in fondo era meglio sondare il terreno e cercare di familiarizzare con il luogo.

    A noi due allora, si disse appena messo piede fuori dall’uscio di casa, e iniziò la sua esplorazione.

    Il paese, ai piedi delle Alpi, era piccolo e rustico. Le case, con i tetti spioventi e le spesse mura di mattoni, erano addossate le une alle altre. Sembravano volersi trasmettere calore l’un l’altra e pensò che sarebbe stato bello far parte di una grande famiglia, assieme alla quale raccogliersi al tepore del fuoco di un camino.

    Se alzava lo sguardo al cielo, riusciva a vedere la neve sulle altissime vette dei monti e questo gli faceva percepire di più il freddo. Non voleva pensarci. Si strinse nella felpa e continuò a passeggiare. Giunse nella piazza principale, al centro della quale sorgeva una grossa fontana circolare. La temperatura non era ancora scesa così tanto da far ghiacciare il getto, lo zampillo creava dei bellissimi giochi d’acqua.

    Su un lato della piazza, su cui si affacciavano alcune case, una chiesa e il municipio, c’era anche un piccolo chiosco di legno, al riparo del quale un’orchestra jazz stava suonando. In giro c’era gente di tutte le età: un gruppo di bambini giocava, sotto gli occhi attenti di due ragazze brune e molto carine; i genitori si rilassavano sulle panchine o seduti ai tavolini dei bar; coppie di innamorati passeggiavano scambiandosi parole dolci; un gruppo di ragazzi correva sugli skateboard.

    Lo avevano puntato. I ragazzi con gli skateboard lo avevano puntato. Era palese che parlassero di lui perché lo fissavano, intuì uno scambio di battute, poi li sentì ridere. Lui si sentì a disagio e decise di incamminarsi verso casa. No, non sarebbe stato facile ricominciare, ma per amore di sua madre si sarebbe impegnato a dare il meglio di sé.

    Lei si rendeva conto di averlo costretto a vivere un’adolescenza caotica, ma non poteva fare altrimenti.

    Amber McClair aveva preso l’impegno di accudire e crescere quel bambino fino al momento in cui avrebbe dovuto mandarlo ad affrontare il suo destino. Non credeva che avrebbe mai provato la stessa apprensione di tutte le madri, che devono farsi forza quando i loro figli si preparano ad abbandonare il nido, eppure adesso sentiva forte il desiderio di trattenerlo, di proteggerlo il più a lungo possibile.

    Come aveva fatto tante volte in passato, prima di quest’ultimo viaggio aveva consultato le stelle, e le sue sorelle le avevano intimato di condurre il ragazzo al luogo dell’incontro e di spronarlo ad abbracciare la sua sorte. L’ora era giunta, non poteva più evitarlo.

    Nella camera da letto che aveva scelto per sé, Amber provò a calmare l’animo tenendo occupato il corpo con le fatiche del trasloco. Legno e pietra erano gli elementi che costituivano la struttura e la mobilia della loro nuova casa, perché legno e pietra pulsavano di vita e avrebbero costituito un ottimo scudo nei confronti di ogni pericolo. I colori che aveva scelto per le coperte e per alcuni oggetti dell’arredamento erano caldi, come le sfumature dei suoi capelli. Infine, la cittadina si trovava a un’altitudine abbastanza elevata da farla sentire prossima al cielo, a contatto con le costellazioni da cui si faceva guidare.

    Amber si sedette sulla sponda del letto. Di fianco a lei la luce entrava da una finestra. Dalla scatola più piccola tra quelle ammonticchiate intorno a lei estrasse un medaglione. In effetti era la metà di un medaglione

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