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Jane l'americana
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E-book180 pagine2 ore

Jane l'americana

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Info su questo ebook

Sintesi di presentazione
Jane non è una persona ma una vecchia e pesante motocicletta americana.
L’incontro con l’anziano biker è casuale, un incontro di quelli che il destino, quando è benevolo, mette sul nostro cammino.
Il motociclista, ormai ammorbidito dalle comodità e dall’efficienza delle motociclette moderne, si ritrova alle prese con un mezzo meccanico e un modo di viaggiare d’altri tempi con imprevisti, problemi tecnici e ritmi che aveva ormai dimenticato.
Proprio i tempi lenti del viaggio e del battito del grosso e rumoroso motore di Jane consentono al vecchio motociclista di godere del bel paesaggio francese dall’Atlantico alle Alpi, di concedersi qualche nostalgia, qualche riflessione e qualche momento umoristico.
Non c’è bisogno di andare a Capo a Nord o attraversare i deserti dei cinque continenti su di una moto per godere di un viaggio, delle persone che si incontrano e riflettere.
I luoghi descritti e la moto Jane sono ben conosciuti dall’autore e gli episodi narrati sono stati realmente vissuti anche se in tempi e con motociclette differenti.
La storia del viaggio, temporalmente collocata nella seconda metà di settembre 2012, invece, è di fantasia così come i personaggi ed ogni riferimento a persone realmente esistenti è da considerarsi puramente casuale.
Un ringraziamento particolare per l’impegno dimostrato và a San Colombano, patrono dei motociclisti, che ha patrocinato questa avventura mentre, mi spiace comunicarlo ufficialmente, una nota di demerito và al cane Tilou per il suo comportamento poco collaborativo.
LinguaItaliano
Data di uscita7 mar 2014
ISBN9788868857707
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    Anteprima del libro

    Jane l'americana - Marco Broglio

    mondo.

    CAPITOLO I Verso Ovest per un capriccio del destino.

    Gli ultimi chilometri della Route Départementale 739 verso Rochefort scorrono via veloci sotto le ruote della moto che mi ha affidato Henry, una pesante Harley Road King bianca.

    Il suo grosso motore da 1600 cc romba e borbotta tenendomi compagnia in questo viaggio solitario e improvvisato.

    Vado verso ovest

    Il sole di un terso e ventoso pomeriggio di fine settembre mi riscalda e mi abbaglia.

    Nonostante le lenti scure, i miei occhi hanno sollievo solo quando una delle nuvolette, che percorrono il cielo azzurro al galoppo, proietta la sua ombra sulla strada.

    E’ un cielo a cui non sono abituato.

    Normalmente, per me, il cielo è una caratteristica del paesaggio confinata dalle montagne e dai boschi , da alte pareti rocciose e punte innevate, non come questo piatto e sconfinato lenzuolo azzurro.

    Anche il mio cielo è blu, spesso anche più blu, ma questo vento teso, le piccole nuvole che corrono sulla pianura immensa, mi sono estranei e mi mettono un pò a disagio.

    E’ un’immensità a trecentosessanta gradi che mi dà alternativamente sensazioni di libertà infinita e di oppressione.

    Percepisco chiaramente che la mia corsa sotto questo tetto di cielo smisurato non potrà che arrestarsi di fronte a qualcosa di altrettanto grande.

    Sto già respirando l’oceano.

    Oggi le cose sono andate molto meglio di ieri.

    Ero partito baldanzoso da Aosta con un tempo discreto ma, appena sceso in Francia dal passo del Piccolo San Bernardo, grossi e scuri nuvoloni si erano profilati all’orizzonte togliendomi ogni speranza che la giornata sarebbe stata asciutta.

    Il venticello del mattino, sul valico, mi aveva dato una gelida sveglia e la temperatura alquanto bassa mi aveva invogliato a proseguire e perdere quota il più rapidamente possibile.

    La cosa era filata liscia per poco, poi si erano aperte le cateratte del cielo.

    E così avevo deciso di viaggiare sull’autostrada.

    Alle cinque del pomeriggio ne avevo ormai veramente abbastanza di prendere acqua e avevo imboccato la prima uscita per Clermont Ferrand, spinto dal desiderio di trovare al più presto un posto qualunque dove passare la notte e aspettare che la fortuna mi sorridesse.

    Il bilancio della giornata non poteva dirsi positivo avendo percorso quasi tutta la tappa sotto la pioggia ed essendo finito in una zona industriale, a sud della città, in un albergo di quelli senza alcun fascino, evidentemente destinato a chi viaggia per lavoro ed ha ben altro per la testa che vecchie moto, paesaggi, storia e sogni.

    Mi ero immaginato di arrivare in una bella serata, in una graziosa cittadina dell’Auvergne, trovare sistemazione in centro e andarmene a cena in qualche locale caratteristico.

    Sapevo che Clermont Ferrand poteva offrire un bel centro storico ma ero piuttosto cotto e mancava quella spinta che sicuramente ci sarebbe stata se avessi viaggiato in compagnia.

    La mia giornata dunque si era chiusa nel ristorante dell’albergo deserto, davanti ad una steak frites senza fantasia e una birra servite da una ragazza magra, bionda, lentigginosa, con gli occhi di un grigio slavato e un paio di occhiali con montatura in plastica trasparente celeste tipica delle donne francesi, anziane di campagna.

    Ero rimasto lì seduto al tavolo per un pò guardando distrattamente il muro dove era appeso uno di quei quadri di arte moderna, per me incomprensibili, mentre il mio pensiero vagava tra un inutile calcolo approssimativo di quanti milioni di queste montature fossero state prodotte per caratterizzare la Francia occhialuta dalle Alpi al mare e sul come io debba sempre arrivare ad essere irrimediabilmente disperso prima di decidermi ad usare il navigatore.

    Il fido Tom Tom, che occhieggiava dal tavolo tra un pezzo di baguette e la moutarde, mi ricordava in modo irritante ed inequivocabile che ero chilometri fuori dal percorso.

    Con la coda dell’occhio avevo notato che la ragazzetta mi osservava con un’espressione dove il compatimento traspariva evidente e sembrava chiedersi chissà cosa ci fà quì questo vecchio tipo italiano in moto sotto l’acqua....

    O forse, più probabilmente, era solo lo sguardo di una cameriera che deve ancora pulire e riordinare la sala prima di finire il servizio e non vede l’ora che l’ultimo cliente alzi i tacchi.

    L’unica decisione che mi era parsa sensata era stata di andare a dormire.

    La moto era sistemata bene al coperto e potevo stare tranquillo.

    Prima di addormentarmi, rigirandomi nel letto, anch’io come forse la cameriera, mi ero chiesto cosa diavolo ci facevo lì, nel cuore della Francia, solo, con la moto di un’altro e in un clima autunnale.

    Avevo ripensato a quella sera di agosto quando si erano concretizzate dal nulla le ragioni del mio viaggio.

    Rivedevo l’amico Henry, seduto dall’altra parte del tavolino del bar dei motociclisti, con il suo panachè nel bicchiere, un intruglio di origine francese, preparato con birra e gazzosa, abbastanza comune in Valle d’Aosta.

    - Porca puzzola – diceva – proprio ora che mio zio ha finalmente deciso di vendermi il suo vecchio catenaccio, io non posso andare a prenderlo.

    - Ci andrai quando potrai – gli avevo risposto - magari in primavera. Tanto, per una moto che ha più di 50 anni non cambierà poi molto -.

    - Và ancora a finire – diceva stizzito Henry – che quel diavolaccio ci ripensa e perdo questa occasione.... merde!

    Bisogna sapere che il mio amico Henry era nato a Rochefort, l’antica cittadina, porto militare francese sull’Atlantico, essendo la sua famiglia emigrata in Francia alla fine dell’800.

    Avendo ancora delle proprietà in Valle d’Aosta, Henry era rientrato in Italia da parecchi anni e aveva intrapreso l’attività di albergatore su quel pezzo di terra che in passato non era bastato a sostentare la sua famiglia e poche mucche obbligando i suoi bisnonni a cercare fortuna altrove.

    Proprio gli impegni di queste attività lo bloccavano ora in Valle ed era furioso.

    Temeva che lo zio, un tipo piuttosto bizzarro, facesse marcia indietro sulla decisione di vendergli la sua vecchia moto.

    Questo zio, Gérard, era emigrato, praticamente in fasce, dalla Francia negli Stati Uniti, a metà degli anni trenta, e ci era rimasto per parecchio tempo.

    Finita la scuola, aveva lavorato prima come bracciante agricolo nelle coltivazioni di mele in California riuscendo poi a mettere a frutto le sue qualità di meccanico in una officina di riparazioni per auto e autocarri Ford a Los Angeles.

    Era ritornato con un discreto gruzzoletto che gli aveva consentito di avviare una sua attività commerciale a Rochefort e si era portato con sè anche la sua adorata moto americana.

    Una moto che in Europa e per l’epoca, era una cosa rara, costosa e particolare: una Harley Davidson Duo Glide del 1960.

    Lo zio Gérard, ormai da anni, non usava più la moto ed Henry lo corteggiava senza tregua ogni volta che tornava a Rochefort a trovare la famiglia.

    Nonostante l’età, lo zio era ancora un omone da un metro e novanta, piuttosto corpulento, con una barbona bianca che era stata rossa e un carattere assolutamente in linea con quello che la tradizione attribuisce ai pel di carota.

    Dicevano che in gioventù, in America, non si tirasse indietro in caso di menar le mani e che avesse frequentato ambienti portuali e individui ben conosciuti presso la Polizia di Los Angeles.

    Insomma un tipo un pò losco anche se, a parte qualche notte in cella per rissa o ubriachezza molesta, in prigione veramente non c’era mai stato.

    Il fatto che questa motocicletta appartenesse ad un tipo come lo zio, un biker probabilmente di quelli da film di Marlon Brando, rendeva quell’Harley ancora più desiderabile per Henry che aveva una vera passione per l’America anni 50 60.

    Le ipotesi nefaste che lo zio cambiasse idea sulla decisione di cedere la moto erano tutt’altro che campate in aria e Henry era terribilmente in ansia.

    - Ma perchè non te la fai spedire per treno ... - avevo suggerito.

    - La spedizione internazionale di una moto d’epoca richiede pratiche lunghe e, forse la radiazione dal registro delle immatricolazioni – aveva ribattuto Henry - e per evitare complicazioni, la voglio acquistare con targa francese e poi portarla quì.

    Inseguito vedrò il da farsi ma voglio portare via la moto da là al più presto.

    - E un camioncino? – avevo azzardato.

    - Andandola a prendere con un furgone, – aveva proseguito - sarebbe, oltrechè costoso, rischioso. Le probabilità di farsi beccare ad esportare una moto d’epoca in modo irregolare ed inequivocabile, essendo caricata su di un mezzo di trasporto, sarebbero elevate. -

    - E allora come pensi di fare ... – avevo chiesto con curiosità.

    - Con i documenti di circolazione in ordine, vorrei portarla quì per strada. –

    - Oh Gesù – mi era sfuggito

    - In caso di controllo non avrei problemi perchè sarebbe come se io stessi facendo un giro in moto in Francia – aveva proseguito Henry – e il rischio sarebbe solo al momento di attraversare il valico e, forse, anche lì non potrebbero contestarmi niente se dico che faccio un giretto in Valle d’Aosta e poi torno in Francia. –

    - Gendarmérie a parte, mi sembra che la fai un pochino facile trattandosi di un vecchio ferro che sarà un fortuna se và ancora in moto – avevo obiettato.

    - La moto è meccanicamente in buone condizioni – aveva ribattuto deciso Henry - e può fare il viaggio in un paio di giorni...e se avessi il tempo ci andrei di corsa dato che vorrei anche portare a Rochefort una delle mie moto e averla là quando andrò a Pasqua in auto con la famiglia –

    Un lungo silenzio aveva seguito le parole di Henry e tutti i presenti sembravano convinti che la cosa si potesse fare, con un pò di fortuna.

    - E se ci andassi io ? -

    Le parole mi erano uscite così, senza convinzione.

    Non sò cosa mi avesse preso perchè era un’idea assurda ma qualcosa era brillato in un angolino del mio cervello e qualcosa era brillato anche negli occhi di Henry che mi aveva guardato maliziosamente.

    Il destino mi aveva messo di fronte ad una possibilità e l’istinto mi aveva suggerito di coglierla.

    In realtà mi ero morsicato la lingua e mi ero già pentito di aver dato la disponibilità alla cosa.

    Forse avevo abboccato come un ghiozzo ad un’esca furbescamente tesa.

    Ero in una di quelle situazioni che gli appassionati di montagna conoscono bene.

    Davanti ad una birra e nel comfort del bar si fanno progetti assurdi lanciando proposte di ascensioni che nel caldo del locale e tra gli amici sembrano attuabili ma poi, quando qualcuno concretizza la proposta con un allora ci andiamo domenica ?, la realtà si ripresenta nuda e cruda e ci si pente di essere stati troppo faciloni.

    L’idea di andare personalmente a prelevare la moto era poi ulteriormente azzardata perchè era possibile che le sospensioni d’epoca, probabilmente irrigidite dai decenni, ne più ne meno che le mie giunture, avrebbero reso il viaggio molto faticoso e doloroso.

    - Se sei disposto a farlo e te la senti ,vista la tua avanzata età – aveva detto Henry con un sorrisetto sarcastico - io cerco di concludere al volo la vendita per procura e poi a metà settembre procediamo.

    Và bene – avevo risposto con finta sicurezza e deglutendo in modo innaturale – fammi sapere...

    La serata di mezza estate era calda ma in quel momento avevo avvertito un sottile brivido percorrermi la schiena.

    E così a metà settembre Henry mi aveva puntualmente chiamato dicendomi che era tutto a posto ed era meglio andare a prendere questa benedetta vecchia Harley prima che lo zio facesse qualche stranezza.

    Alea iacta est!

    Ecco perchè sono quì, nel bel mezzo della Francia con la moto di un’altro in un viaggio iniziato nel peggiore dei modi sotto un vero diluvio.

    Eh, sì, la mia moto, chissà quanto me la farà pesare e cosa avrà da dire quando tornerò, se tornerò, sul fatto che sono stato in giro per la Francia con altre motociclette.

    Perchè non ho insistito per andarci in treno o in aereo?

    Anche questo sconfina nell’irrazionale ma, quando nel cranio sognatore del motociclista si insinua l’idea di una bella avventura, e quell’avventura si sovrappone a pennello su sogni a lungo coltivati, molte sinapsi si interrompono e le ipotesi più improbabili appaiono come la soluzione migliore.

    Si dice in gergo di avere la scimmia sulla spalla, una presenza continua ed invadente che ti impedisce di ragionare razionalmente e ti fà desiderare svisceratamente qualcosa.

    Nel nostro mondo di motociclisti, sognatori e spesso un pò infantili, la scimmia sulla spalla è una moto nuova, un capo di abbigliamento, un casco, un accessorio, spesso il più inutile e pacchiano che esista sulla faccia della terra, o un viaggio come in questo caso.

    Sugli approcci diplomatici, le acrobazie oratorie, la scelta dei tempi giusti e su quanto mi sia costato l’accordo di mia moglie , taccio.

    L’unica cosa che mi sbilancio a dire è che mi è parso vedere sul viso della mia santa donna lo

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