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The Lady who flies
The Lady who flies
The Lady who flies
E-book152 pagine2 ore

The Lady who flies

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Info su questo ebook

The Lady who flies narra la storia di una ragazza, della sua passione per il volo e del desiderio di farne una professione. Siamo agli inizi degli anni ’90, sono ancora poche le donne pilota d’aereo professioniste. Con grande determinazione la protagonista decide di cogliere un’occasione e raggiungere la Tanzania. 
Volerà sui cieli africani con un piccolo Cessna. L’autrice ci dona un racconto di viaggio che appassiona, può far riflettere sulla questione della parità di genere e ammalia per la sua forza evocativa, visioni e sensazioni che solo da quel continente possono giungere.


Julia Della Putta è di Udine, ha sempre amato volare e viaggiare e ha conseguito la prima licenza di pilotaggio nel 1984, ancora minorenne. Dal 1992 ha lavorato come pilota nella stessa compagnia aerea - dal 2000 con il grado di Comandante - fino al 2021, anno in cui la compagnia ha cessato l’attività.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2022
ISBN9788830672505
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    Anteprima del libro

    The Lady who flies - Julia Della Putta

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    Julia Della Putta

    The Lady who flies

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-6395-4

    I edizione ottobre 2022

    Finito di stampare nel mese di ottobre 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    The Lady who flies

    A Piero e Nicola

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Capitolo 1 - L’arrivo

    Mi sveglio improvvisamente, l’aereo ha iniziato una lenta discesa.

    È stata una notte tranquilla, trascorsa velocemente. Un breve pasto dopo il decollo, un rapido sguardo alla rivista di bordo e poi, con la testa abbandonata sul cuscino appoggiato al finestrino, ho cercato subito di dormire per arrivare riposata a destinazione.

    Guardo fuori ma il cielo è oscurato da una fitta foschia e la luce dell’alba non è ancora abbastanza chiara per permettermi di distinguere il terreno. Continuiamo a scendere, gli assistenti di volo preparano la cabina per l’atterraggio e il responsabile di cabina annuncia che tra pochi minuti atterreremo. Sarà una breve sosta tecnica per il rifornimento carburante. Chi non terminerà qui il suo viaggio dovrà restare seduto, non ci vorrà molto per la ripartenza.

    Guardo ancora dal finestrino e, finalmente, comincio a scorgere il terreno che ora si staglia nitido sotto di me, regalandomi la vista di qualche grande albero e di sparsi sentieri in terra battuta. Ora vedo anche delle capanne. Sì, sono delle capanne circolari con il tetto in paglia che prima compaiono distanti qua e là, poi si fanno più fitte. Il mio sguardo diventa più attento, così cerco di non perdere nessun particolare di ciò che vedo scorrere sotto di me. È tutto nuovo: ora sì che è vero, sto proprio arrivando in Africa.

    Ieri mi sono fermata parecchie ore in transito a Il Cairo. Atterrare in Egitto, però, non mi ha fatto la stessa impressione. Ho intravisto da lontano le Piramidi, poi subito una grande città che mi pareva di sabbia, con case inizialmente basse che lasciavano poi il posto a palazzi moderni, come a formare una cornice lungo il corso del Nilo. Sono poi giunta in un aeroporto grande, vecchio, molto affollato, qualcosa di totalmente nuovo rispetto a ciò che avevo avuto modo di vedere e di conoscere fino a quel momento.

    Tutto sommato, ero in un altro continente ma non percepivo ancora l’Africa.

    Ora invece la sento e la assaporo, viva e tangibile. Vedo capanne di paglia, addirittura scorgo delle persone scure, nerissime, indaffarate nelle prime faccende del mattino. C’è chi si occupa di tenere acceso il fuoco, chi spazza intorno a casa, chi si è messo già in cammino con una cesta sulla testa. Non ho dubbi ora, sto arrivando proprio lì dove il mio destino mi sta accompagnando in modo così inaspettato. Poco prima di atterrare, mi sembra di sorvolare il mare ma so benissimo che no, non è possibile, siamo quasi al centro dell’Africa, so che davanti a me ci può essere solo lui, il Lago Vittoria.

    Tocchiamo terra e mi sento felice. Il mio viaggio non è ancora terminato, ma sono a buon punto e mi rincuora sapere che mancano solo poche ore per arrivare alla mia meta.

    Sono appena atterrata ad Entebbe, in Uganda. È il mese di Maggio del 1991; l’Uganda non è un luogo di villeggiatura, è un Paese molto instabile dove guerre e rivoluzioni, purtroppo, non sono rare.

    Non è stata una mia scelta prendere un volo dell’Egyptair con scalo a Il Cairo e ad Entebbe, ma da Roma non ci sono molte opzioni per la mia destinazione e così ora i miei occhi sono spettatori di una realtà sconosciuta e solo distrattamente ascoltata durante le notizie di qualche telegiornale.

    Mentre facciamo rifornimento, alcuni passeggeri scendono, altri salgono a bordo. Sono seduta sul lato sinistro dell’aeromobile; vedo il movimento di chi va e chi viene, vedo che sul piazzale di sosta degli aerei ci sono molti militari armati che scortano i passeggeri verso il terminal. Non sono mai stata testimone di scene di questo tipo.

    Non conosco questo Paese né conosco, per la verità, molto di ciò che succede fuori dall’Italia e dall’Europa. So solo quelle poche cose che i notiziari italiani ci raccontano; sicuramente troppo poco riguardo il resto del mondo. Sono giovane, sono sempre stata molto impegnata nello studio ma ora voglio viaggiare, voglio imparare, non ho paura di essere da sola, non ho paura di vivere questa avventura tutta mia.

    Il transito sta per finire e l’aereo è quasi pronto per la partenza. L’equipaggio è cambiato, vedo dei volti nuovi tra gli assistenti di volo ed ho visto il Comandante affacciarsi da dietro la tenda divisoria della prima classe, per un veloce sguardo alla cabina di economica.

    La passeggera ugandese che condivideva la fila di sedili con me ha terminato il suo viaggio; ci siamo scambiate un cenno di saluto alla sua discesa e ora il suo posto di corridoio è occupato da un distinto signore anche lui africano. Penso abbia circa quarant’anni, ma è sempre stato molto difficile per me dare l’età alle persone di colore: alcune di esse raggiungono l’età adulta smettendo poi di invecchiare, mentre altre hanno il corpo già vecchio pur essendo anagraficamente giovani. Mi saluta, mi chiede da dove vengo e se sto viaggiando da sola. Gli rispondo che sono italiana e viaggio da sola, ma la mia timidezza, che per fortuna con gli anni diventerà un lontano ricordo, non mi permette di andare oltre nella conversazione. Gli vorrei chiedere dove stia andando, se sia in viaggio per affari, visto che porta con sé una classica valigetta 24 ore, da quale città provenga e, invece, non riesco a farmi coraggio e così il viaggio prosegue in silenzio, lui con lo sguardo incollato su quelli che a me sembrano documenti ed io intenta a registrare ogni minimo particolare di ciò che mi accade attorno. Faccio un rapido giro per andare in toilette e sgranchirmi un po’ le gambe e percepisco per la prima volta molti sguardi su di me. Mi accorgo che gli altri passeggeri sono quasi tutti uomini ed in maggioranza africani. È anche ovvio, visto che stiamo volando in mezzo all’Africa. Penso mi guardino perché viaggio da sola, sono bianca, ho poco più di venti anni e sembro molto più giovane della mia età. Sono sguardi solo un po’ curiosi, mi sembrano tutte persone molto tranquille e assorte nei loro pensieri. Il volo sarà breve, nemmeno due ore e, finalmente, sarò a destinazione.

    Io stessa mi chiedo cosa ci faccio qui. Fino a pochi mesi fa studiavo e volavo quasi quotidianamente per conseguire la licenza di volo commerciale e in questo momento avrei dovuto essere a Roma, al simulatore di volo, per addestrarmi sull’aereo su cui iniziare la mia professione. Invece sono partita in tutta fretta per la Tanzania, senza neppure sapere esattamente cosa mi aspetta. Non ho timore, mi sento forte e ho voglia di esplorare nuove opportunità. I miei genitori, sempre molto partecipi alla vita dei loro figli, mi hanno lasciata andare senza discutere la mia scelta. Se sono preoccupati, non lo danno a vedere. Il papà mi ha addirittura regalato una macchina fotografica per immortalare i momenti più memorabili del mio viaggio.

    Inizia di nuovo la discesa. Ora riconosco il paesaggio sotto di me. Anche qui ci sono capanne di terra con tetti di paglia, ma questa volta l’aereo fa un giro attorno alla città e mi accorgo che le capanne lasciano il posto a delle vere e proprie case di cemento con i tetti di lamiera.

    Un piccolo sobbalzo sulla pista, una lunga frenata e, finalmente, atterro a Dar es Salaam che significa casa della pace, dove resterò per i prossimi mesi.

    Espleto le formalità doganali, aggiungo qualche timbro sul mio passaporto e, dopo aver pazientemente atteso i bagagli, mi avvio raggiante verso l’uscita sperando di incontrare subito Piero.

    Siamo all’inizio degli anni Novanta, cellulari ed internet non esistono ancora per come ci abitueremo a conoscerli nel giro di pochi anni e non è facile né rapido comunicare da un

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