La prova del nove del Commissario Giannetti
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La prova del nove del Commissario Giannetti - Roberto Bologna
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Capitolo 1
MOLTI ANNI PRIMA, Lunedì 18 marzo 1985, ORTONOVO - località Luni Scavi, via San Pero, area esterna all’abitazione proprietà Bianchini, Ore 7 e 30 circa
Luciano Bianchini esce di casa molto presto. Deve andare al lavoro. Sono le prime ore del mattino e il cielo tende al blu. L’aria è ancora pungente. La primavera è alle porte ma fuori, nei prati della campagna che si estendono intorno alla sua abitazione, c’è ancora la brina. L’inverno vuole dire ancora la sua. Non gliene frega niente se il sole che sta per sorgere dietro le colline di Ortonovo, verso Carrara, ha raggi più caldi del giorno prima. Almeno per ora governa ancora lui. La sua Ritmo blu è parcheggiata appena davanti a casa, nell’aia in mattoni recentemente risistemata. Non la può tenere nel garage attiguo, al di là del giardino ben curato, perché lì sono ancora ammucchiate tutte le attrezzature della ditta edile che da poco ha finito i lavori di ristrutturazione della sua casa. C’è del ghiaccio sul parabrezza della Ritmo e Luciano, come ogni altra mattina, si appresta a riempire un secchio con dell’acqua e, dopo aver azionato i tergicristalli dell’auto, a gettarla poco alla volta sopra al vetro. Ormai è un automatismo. All’inizio, da quando l’estate scorsa la sua Ritmo è stata sfrattata dal garage per far posto all’attrezzatura edile delle ditta, in vista dell’inizio dei lavori di ristrutturazione della sua casa, non è stato facile. Più volte, con le prime ghiacciate notturne, era dovuto rientrare in casa, a cambiarsi d’abito, per via dell’acqua che i tergicristalli gli avevano letteralmente rovesciato addosso. Una cosa che piace a Luciano è vedere l’erba del suo giardino pietrificata dalla brina. Ma questa mattina qualcuno l’ha calpestata. Ciò è alquanto strano. Sembrano impronte di passi, ma di primo acchito i suoi pensieri sono attratti dal fatto che il secchio non si trova.
-Dov’è? Dove l’ho messo ieri mattina?-
E’ strano, Luciano usa quel vecchio secchio solo per quel motivo e lo ripone sempre nello stesso posto. L’automatismo sembra di colpo interrotto. I tergicristalli sono già in funzione. Le palette vanno avanti ed indietro e la gomma delle loro spatole comincia a fare attrito con il ghiaccio. Se continua così rischiano seriamente di rovinarsi e dovranno essere sostituite. L’autoradio è accesa e Cristiano De Andrè canta Bella più di me
presentata all’ultimo Festival di Sanremo appena conclusosi. L’auto è già in moto e la sua accensione ha già portato alla giusta temperatura l’olio nel motore. A quest’ora l’operazione di routine che prevede la rimozione dal ghiaccio sul parabrezza dovrebbe essere già conclusa e lui dovrebbe già trovarsi sulla strada all’altezza del passaggio a livello di Piazzagrande. Luciano sa benissimo cosa vuol dire uscire di casa prima delle 7 e mezza. Vuol dire evitare l’ingorgo che si crea ogni giorno dal lunedì al venerdì sulla variante Aurelia di Sarzana davanti alla Stalla Toscana. Per evitarla, e questo Luciano lo sa bene, è sufficiente passare di lì cinque o dieci minuti prima delle 7 e mezza, dopo di che sul quel tratto di strada ci sarà il finimondo: autobus che portano gli alunni a scuola, pulmini, furgoncini, camion, moto ed una frotta di auto in colonna. Sono solo cinque minuti. E quei cinque minuti stanno scorrendo velocemente. E dopo ne passano ancora altri. Altri cinque durante i quali Luciano continua a fare avanti ed indietro fra l’auto, il garage e la tettoietta dietro casa, caso mai inavvertitamente la sera prima l’avesse riposto lì, il secchio. A quest’ora sarebbe già dovuto essere nei pressi del bivio di via San Pero con l’Aurelia dopo il passaggio a livello della ferrovia. Invece no. Luciano sta ancora cercando il secchio e non lo trova. Inoltre il suo pensiero è infastidito da tutta quell’erba schiacciata. Piegata. Uccisa. Chi sarà stato? E mano a mano che va avanti ed indietro fra l’auto ed il garage, dove dovrebbe essere il secchio, l’erba schiacciata aumenta sempre di più. Il fastidio cresce e il nervosismo sale.
Luciano non si accorge di nulla. Non sente alcun dolore. Non fa neanche in tempo a provarlo. Non saprà mai dove è finito il secchio. Non verrà mai a sapere che gli è stato nascosto apposta, per farlo distrarre. Tutto avviene in una frazione di secondo. Le sue orecchie non possono nemmeno udire il colpo sordo del mattone in cotto, di quelli che si usano per costruire le case, di quelli pieni e pesanti, che gli fracassa la testa all’altezza della nuca. Il dolore non fa in tempo a propagarsi nel resto del corpo. Nello stesso momento in cui dovrebbe partire si ferma. Coincide con il suo tempo ed il tempo di Luciano è finito in quello stesso istante. Il suo corpo, ancora pieno di rabbia per non aver trovato il secchio, si affloscia a terra, accanto alla sua auto. Le ultime immagini riflesse nei suoi occhi sono quelle dell’erba piegata, a pochi centimetri dalle sue pupille, dilatate, padrone assolute dei suoi iridi celesti. Come fari fissi sugli abbaglianti, dove le palpebre non calano alcuno scuro. Nessun lamento da Luciano.
Luciano ora è un sacco vuoto. Trascinato via, lungo il suo prato, autore inconsapevole anch’esso di una strage di erba ghiacciata che si piega sotto il suo corpo che scivola via e che il sole, ormai prossimo, non sarà in grado di raddrizzare più. E per un po’ il suo giardino lo ricorderà così. Luciano se ne va, qualcuno lo sta portando via. Nessuno se ne accorge. La sua casa è isolata. E’ al limite della zona archeologica di Luni e l’edificio più vicino è il suo museo, ma ora è ancora chiuso. Cristiano De Andrè intanto ha terminato la sua canzone. Subito dopo le notizie delle sette e trenta annunciano l’inizio di una nuova giornata alla quale Luciano non prenderà parte. L’inviato di Radio Uno dagli esteri annuncia che tutti si interrogano in ordine a quale politica intenderà assumere nei confronti dell’occidente il nuovo segretario del partito comunista russo, tal Mikhail Gorbaciov, subentrato a Cernienko, a pochi giorni dalla sua morte, anche se gli esperti di strategie internazionali esprimono il loro più vivo pessimismo, sposando la tesi che anche quella testa macchiata di rosso
passerà ben presto alla storia senza apportare alcun rilevante scossone, così come già accaduto ai suoi più recenti predecessori. Dall’Italia, in collegamento da Castellaneta, in provincia di Taranto, un inviato informa che tutto il paese, sconvolto, piange ancora i 34 morti sepolti sotto il crollo di un palazzo costruito chissà con quali materiali e forse in spregio alle più comuni normative edilizie, mentre dalla politica arriva la notizia che è stata definitivamente approvata la nuova legge urbanistica che prevede anche, ma solo in via straordinaria, l’istituto del condono edilizio che si spera possa portare nelle casse dello Stato le necessarie risorse per ovviare ad ulteriori manovre economiche. L’inviato sportivo invece evidenzia come tutte le attenzioni del momento siano concentrate sulla sfida di domenica fra la Juventus di Platini e Boniek e l’Inter di Rummenigge e Brady; se la Juve perde è fuori dai giochi per l’assegnazione dello scudetto. L’erba piegata si interrompe dove inizia l’aia in mattoni rossi. Un rumore di un altro motore di auto si è messo in moto ed allontanandosi si ode sempre meno, fino a scomparire del tutto. La Ritmo di Luciano invece è ancora col motore acceso e con la radio sintonizzata sul suo programma preferito. I tergicristalli continuano nel loro moto pendolare di andata e ritorno, ma il ghiaccio non ne vuol sapere di staccarsi dal parabrezza. Ci penserà il sole, fra qualche minuto. Il motore invece si spegnerà da solo, forse fra qualche ora, dipende dalla benzina che c’è ancora nel serbatoio. Le voci che intonano una nuova canzone finora sconosciuta, We Are The World
, si diffondono lentamente nell’aria circostante, e dopo quella altre ancora, e questo per molto tempo.
Capitolo 2
Sempre Lunedì 18 marzo 1985, SARZANA, Liceo Scientifico T. Parentucelli, Intervallo, Ore 10 e 05
La Quinta D ha appena terminato l’ora di educazione fisica. La partita di basket si è conclusa con la solita vittoria dei blu di Giorgio sui rossi di Giulio. Troppa accentuata la differenza fra le due squadre. Giorgio vincerebbe anche da solo, se non fosse per quella stupida nuova regola, che impone il passaggio ad un altro compagno entro pochi secondi dal ricevimento della palla, potrebbe giocare da solo contro tutti. Ma il basket è un gioco di squadra e si vince e si perde sempre insieme, ma mai da soli. Leonardo però non vince e non perde, semplicemente non gioca. Nessuno sa perché ha chiesto l’esonero dalle lezioni per tutto l’anno. Però nessuno si pone il problema e nessuno gli ha mai chiesto perché. Si dice sia per via di un episodio accaduto quando era ancora piccolo, quando abitava ancora a Parma, altri invece dicono che abbia un problema al cuore. Un soffio o una cosa del genere. Che Leonardo sia strano è cosa risaputa. Ma in fondo non è poi così diverso da tutti gli altri. Solo che non fa ginnastica. Tutto lì. Gli altri giocano a basket o si arrampicano sulla corda, mentre lui se ne sta seduto sulle tribune con quelli che per esigenze solo temporanee hanno richiesto a loro volta la dispensa o con chi, come Claudio, ci terrebbe a giocare con gli altri, ma non può farlo perché da qualche anno sta seduto su una sedia a rotelle.
-Vieni da me oggi pomeriggio? Facciamo analisi! Ho una dispensa di mio fratello che contiene alcune funzioni logaritmiche ed esponenziali. Dice che l’esame di Analisi I di Architettura a Firenze è quasi identico al nostro programma e le funzioni che sta facendo sono solo un po’ più complesse delle nostre. Potremo tentare di risolverne qualcuna. Del resto sono programma d’esame. Che ne dici?- gli chiede Claudio.
-Oggi non posso!- gli risponde categorico Leonardo.
Leonardo è fatto così. La sua frase ricorrente è: oggi non posso! Punto e basta. Dice così e poi se ne sta zitto. Non si giustifica. E’ essenziale. A domanda risponde. Se si vuol sapere perché una cosa non può farla bisogna ulteriormente chiederglielo. Leonardo è fatto così.
-Perché oggi non puoi?-
-Perché oggi viene Elena!-
-Elena? E quando l’hai sentita?-
-Non l’ho sentita!-
-Uffa, e allora quando l’avresti vista?-
-Non l’ho vista!-
-Cazzo! Se non l’hai sentita e non l’hai nemmeno vista, come cazzo fai a sapere che oggi viene da te?-
-Lo so e basta! Tutto qua! Lo so!-
-Vaffanculo Leo!-
Leonardo Giannetti. 19 anni. Quinta Liceo Scientifico. Buoni risultati a scuola. Così così nelle materie umanistiche. Non eccellenti, ma discreti in quelle scientifiche. Matematica e fisica, in particolare, ovvero in quelle materie dove c’è un nesso diretto e consequenziale fra causa ed effetto. Si potrebbe dire che anche la poesia è un effetto dell’amore. Ma non sempre l’amore produce quale effetto una poesia. Non sempre chi ama scrive poesie. Chi ama produce effetti disparati, a volte incredibili, disarmanti, impensabili, ma a volte non produce alcun effetto. Ma i sentimenti sono un cosa, mentre gli elementi fisici invece sono un’altra. Se piove e non apri l’ombrello o non ti metti al riparo subito l’effetto è assicurato: ti bagni. A Leonardo piace un mondo regolato dal principio causa - effetto. Ad ogni azione corrisponde un effetto. Ed ogni effetto è frutto di una precedente azione. Un mondo dove uno dei fondamentali principi della termodinamica è sempre dimostrato o dimostrabile ed il caso è inteso come entropia e disordine. Nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Nulla nasce dal niente. Tutto quello che c’è ora c’è da sempre. Solo la forma di aggregazione cambia. I suoi atomi, quelli che componevano il cervello di Michelangelo o la cima di una montagna erosa, esistono da sempre, ed in questo momento alcuni miliardi e miliardi di essi stanno formando lui, fino a quando avranno la forza di stare insieme, uniti, in un gioco di squadra. Anche se non gioca a basket con i suoi compagni non è vero che Leonardo non fa alcun gioco di squadra. Lo fanno i suoi atomi per lui. E lui gioca così, vince e perde così. Partecipa anche lui al gioco della vita. Solo in un modo diverso. Ha una sua logica. La logica dell’essenziale. Ed oggi per lui l’essenziale è Elena. La sua Elena, che nessuno oltre lui conosce. Che nessuno dei suoi compagni ha mai visto. Che lui non ha mai presentato a nessuno. Elena, aggregato di cellule come lui, che vivono in forma contorta solo nella sua mente. Elena, che oggi Leonardo incontrerà ancora una volta. Lui lo sa che sarà così. E’ così da molto tempo ormai, ed ormai se ne è fatto una ragione. Ma a lui quella ragione piace. A lui Elena piace e di quella ragione crede di esserne innamorato.
Capitolo 3
Mercoledì 20 marzo 1985, ORTONOVO, località Luni Scavi, via San Pero, area esterna all’abitazione proprietà Bianchini, Ore 10 e 30
I Carabinieri della piccola stazione di Ortonovo stavano compiendo gli ultimi rilievi. Secondo quanto riferito al Maresciallo Cosimo Grandazzi, comandante della omonima stazione, da Giuseppe, il contadino che si è trovato a passare da quelle parti con la sua bicicletta verso le 17 e 30 della sera prima, lo stesso era rimasto colpito dai fari accesi dell’auto del signor Bianchini Luciano, che lui conosceva bene, e da una specie di musichetta che proveniva dal suo interno. Ma non ci aveva dato troppo peso. Aveva pensato che Luciano stesse cambiando qualche pezzo alla sua auto e che nel farlo ascoltasse la musica dell’autoradio e così aveva proseguito per la sua strada. Stamani presto, però, quando si era ritrovato a passare dallo stesso luogo della sera prima ed aveva risentito l’autoradio dell’automobile di Luciano ancora accesa, si era preoccupato e, con la bicicletta, aveva imboccato la stradina che si diparte da via San Pero fino a raggiungere l’aia in mattoni dove era parcheggiata la Ritmo. E lì giunto si era accorto che, oltre all’autoradio, in funzione c’erano ancora i due braccetti dei tergicristalli, seppur con un moto rallentato e diacronico, uno dei quali era ormai completamente fuori asse, con i gommini divelti ed in balia del movimento del braccetto che grattava con uno stridio fastidioso sul ghiaccio che la notte aveva nuovamente ridepositato sul parabrezza. Aveva subito provato a chiamare Luciano, ma non aveva avuto risposta. Aveva poi accertato che la porta di casa era chiusa e si era persuaso che comunque dentro non ci fosse nessuno. Sapeva che Luciano abitava da solo in quella casa e quindi era inutile sincerarsi se all’interno vi fosse qualcun altro. Tuttavia aveva suonato il campanello di casa ed aveva più volte bussato alla porta, sempre senza alcun esito. Inoltre gli era anche sembrato di udire suonare almeno in due occasioni il telefono di casa, anche a lungo, senza però che nessuno rispondesse. Ed anche se aveva avuto l’impressione che le chiavi di casa fossero le stesse che insieme ad altre stavano raccolte ad anello con quelle che erano ancora inserite nel cruscotto della vettura, non si era azzardato a usarle per entrare in casa. Anzi, non si era azzardato a fare più niente dopo che i suoi occhi erano caduti, quasi per caso, su un particolare che fino a quel momento gli era sfuggito. Sul lato sinistro dell’auto delle macchie rosse cristallizzate sulla brina avevano conferito al giardino le sembianze di un lenzuolo bianco imbrattato di rosso scuro con tante altre piccole macchioline tutt’intorno, come schizzate su una tela astratta. Da quel lenzuolo macchiato di rosso e tutto sgualcito si dipartiva per qualche metro una specie di corsia avvallata, come quelle che i ragazzini, tirandosi a turno per le gambe e tenendo il sedere sulla sabbia, fanno in spiaggia per costruirsi la pista per le biglie di plastica che contengono i nomi e le foto dei ciclisti famosi. Una scia nel cui centro correva simmetricamente una sottile linea rossastra che terminava sull’aia in mattoni con una forma più arrotondata, come quando dopo aver tracciato una linea con la biro di colore rosso non stacchi subito la penna dal quaderno e si forma un piccolo grumo di inchiostro. Più di questo Giuseppe non aveva saputo dire. Condotto in caserma non aveva fatto altro che ripetere all’infinito quanto già ripetuto fino a quel momento: -Come volete che lo ripeta? Ho bussato, ribussato! Non ha risposto nessuno. Ho suonato anche il campanello più volte. Nessuno ha risposto. Poi sono tornato alla macchina perché mi era sembrato che ci fossero le chiavi su. Stavo per prenderle. Poi però mi sono accorto di quelle macchie di sangue per terra ed allora ho solo spento la radio. No! Anzi! L’autoradio l’avevo già spenta prima. No, cazzo! Ora non me lo ricordo! Non penserete mica che sia stato io? Luciano era un brav’uomo ed io lo conoscevo appena! Io ho subito chiamato il Maresciallo Grandazzi! E voi siete venuti giù subito. Tutto qua!-
-Senta Giuseppe! Ascolti bene! Un’ultima volta! Può ricominciare nuovamente dall’inizio, ancora un’ultima volta? Perché forse siamo noi che non riusciamo a capire bene. Lei si spiega benissimo. Siamo noi che non capiamo!-
-Cosa non capite? Cosa? Vi ho già detto tutto! Cos’è che non capite?- aveva risposto esausto il signor Giuseppe.
-Ad esempio, non capiamo perché lei la sera prima non si è fatto alcun scrupolo di controllare meglio la situazione. Ecco cosa non capiamo!-
-Ma come non lo capite? Cosa avrei dovuto fare? Avrei dovuto farmi i cazzi degli altri? Non c’avevo mica tutta quella confidenza con Luciano. Ci salutavamo quando passavo davanti a casa sua o quando lui mi vedeva lavorare nei campi. Forse negli ultimi tempi un po’ di più, per via degli operai che aveva in casa. L’estate scorsa aveva ristrutturato la casa. Aveva fatto dei lavori. E si era preso molti giorni di ferie. Era spesso a casa. E ci si incontrava un po’ di più.-
Il Maresciallo Grandazzi si era consultato a voce bassa con il suo collega che insieme a lui stava conducendo l’interrogatorio, poi, dopo un breve borbottio, aveva ripreso a rivolgersi al signor Giuseppe.
-E cosa ci dice, Giuseppe, di quel contenzioso per la definizione di quel confine di proprietà che aveva con il signor Luciano?-
La domanda aveva fatto saltare dalla seggiola il signor Giuseppe.
-Lo sapevo! Lo sapevo che andavate a parare lì. E’ tutto finito! E’ tutto finito da un bel pezzo! Si! La causa è ancora in corso, ma è colpa dei tempi del giudice. Abbiamo fatto una conciliazione. Potete chiedere al CTU del Tribunale! E’ un geometra di Sarzana. Ha fatto lui il verbale. Lo abbiamo anche pagato. Metà ciascuno. Chiedete anche all’avvocato Borsoni. Il mio avvocato! C’ho il numero. Chiedete a lui! Il geometra ha fatto il rilevamento e tutto quello che sta oltre il vecchio filare di vite è mio. Il resto è del signor Luciano. Sono 3 mesi che abbiamo conciliato. C’ho rimesso solo dei soldi e ora va a finire che ci rimetto anche la salute!-
-Senta Giuseppe. Ora ci ascolti bene! Lei ieri sera ha colpito il signor Luciano. Poi lo ha trascinato via e lo ha portato da qualche parte. Quello che lei ha fatto non ci interessa. A noi interessa solo ritrovare Luciano, possibilmente ancora in vita. Per il bene di Luciano ed anche per il suo. Forse è ferito ed ha bisogno di cure. Ci dica dove lo ha portato. Solo questo. Al resto pensiamo noi. Solo noi. E per lei tutto sarà molto più semplice. Non le direi queste cose se non ne fossi sicuro. Uno sbaglio si può fare, Giuseppe. Una discussione, una litigata e poi tutto finisce nel peggiore dei modi. Il giudice capirà e con lei sarà clemente. Ma due errori di seguito no! Due errori non sono più ammissibili! Perseverare oltre conduce solo a consolidare delle responsabilità che invece non si hanno. Lei mi sembra una brava persona Giuseppe. Ha capito cosa sto cercando di dirle? Ha capito ora Giuseppe?-
Il Maresciallo Grandazzi aveva compreso che era il momento di tentare l’affondo finale e nel farlo aveva deciso di assumere un tono conciliante e protettivo. Cosa che, nei casi di omicidi accidentali, frutto di una scatto d’ira o di una fortuita colluttazione, aveva sempre dato i suoi buoni frutti.
-Ma siete voi che non volete capire! Io non ho fatto niente! Oh Dio! Dio mio! Ma cosa ho fatto? Cosa ho fatto di male? Lo volete capire? Maresciallo! Lo vuole capire che non ho fatto niente di male, ma che vi ho solo avvisato! Solo avvisato!-
E l’interrogatorio sarebbe andato avanti così per parecchie ore se non fosse arrivata la telefonata dal laboratorio medico che faceva riferire il sangue rappreso e congelato del signor Luciano Bianchini ad una emorragia avvenuta da più di 24 ore, ciò escludendo di fatto che il presunto delitto fosse stato compiuto la sera prima. Quindi quando Giuseppe era passato da via San Pero ed aveva scorto i fanali accesi della Ritmo e sentito la musica dell’autoradio erano già trascorse ben 12 ore dal presunto evento criminoso che aveva determinato una copiosa fuoriuscita di sangue probabilmente dal corpo appartenuto al signor Bianchini Luciano, successivamente scomparso, forse rapito o addirittura ucciso e nascosto chissà dove.
Evento criminoso che in ogni caso non si poteva imputare di certo a Giuseppe, il contadino, dato che, alla presunta ora del presunto delitto, lui era nella sala d’attesa dell’ambulatorio medico dell’ospedale di Sarzana per fare un prelievo del sangue, come prescrittogli dal suo medico di fiducia e come in seguito avrebbe confermato la data sul referto. Oltre quello che riferì loro il signor Giuseppe i Carabinieri della stazione di Ortonovo non seppero mai più altro. Luciano Bianchini probabilmente era stato aggredito il mattino presto di due giorni prima mentre si apprestava a recarsi al lavoro. Le macchie di sangue rinvenute a terra erano le sue, come confermarono le successive analisi di laboratorio. Come erano suoi alcuni capelli rinvenuti insieme alle macchie di sangue. Così come anche alcune minuscole schegge di osso cranico rinvenute attaccate agli stessi capelli. E questo, per quanto non si sapesse che fine avesse fatto il signor Luciano, non lasciava presagire nessuna ottimistica ipotesi sulle sue effettive condizioni fisiche, fatto peraltro confermato anche dal rapporto del medico legale, redatto dopo qualche giorno, che lasciava ben poche speranze all’eventualità che Luciano fosse sopravissuto al trauma che gli aveva di fatto procurato la rottura della scatola cranica, anche se, fra i reperti organici rinvenuti sulla scena del crimine, non era stata ritrovata alcuna traccia di materia cerebrale. Nel sangue rappreso furono inoltre rinvenute anche delle schegge di materiale in cotto, distaccatesi, probabilmente, a causa dell’impatto con il cranio del signor Luciano, dal mattone utilizzato per colpirlo. I Carabinieri di Ortonovo furono delegati dalla Procura del Levante quale organo di Polizia Giudiziaria per svolgere tutte le necessarie indagini. Come di rito era stato aperto un procedimento contro ignoti per il presunto reato di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Il rapporto definitivo fu depositato sul tavolo del Pubblico Ministero della Procura del Levante dopo tre mesi di indagine, senza alcun riscontro e nessun indizio significativo che lasciasse presagire la risoluzione del caso. Nel rapporto finale, sebbene ciò trovasse conferma in alcuni verbali redatti dagli stessi Carabinieri di Ortonovo resi all’atto dei molteplici sopralluoghi accorsi nell’abitazione del signor Bianchini Luciano, non si fece alcun cenno al fatto che dall’abitazione dello scomparso erano stati sottratti, o meglio materialmente divelti dalle nuove pareti recentemente realizzate nella stessa, alcuni mattoni pieni in cotto, uno dei quali si riteneva potesse essere stato utilizzato allo scopo di colpire lo stesso Bianchini. Furono sentiti ed interrogati gli amici più intimi e quelli meno significativi, i colleghi di lavoro, i parenti (pochi per la verità), i vicini di casa ed anche il personale del vicino Museo Archeologico di Luni, ma non emerse alcun indizio che potesse fare individuare una pista da seguire. Furono fatti fonogrammi in tutta Italia con le fotografie del signor Luciano Bianchini e la sua immagine fu pubblicata più volte sulla stampa locale e nazionale. Nell’ipotesi poco accreditata che quella mattina il signor Bianchini Luciano si fosse involontariamente ferito da solo ed avesse in seguito perduto la memoria fu interessata anche una nota trasmissione televisiva, ma senza alcun esito. Il fascicolo consegnato al Pubblico Ministero dopo tre mesi di indagini serrate conteneva un nulla di fatto. Solo una serie di rapporti redatti dai Carabinieri, tutti i verbali degli interrogatori intervenuti nel corso delle indagini ed una innumerevole serie di fotografie scattate sul luogo del presunto delitto, nel garage e all’interno della casa di Luciano e nulla più. Il procedimento fu archiviato nell’ottobre successivo dello stesso anno. I sigilli all’abitazione erano di fatto spariti sin dall’estate precedente, ma formalmente furono rimossi solo qualche giorno dopo l’archiviazione del procedimento. Da quel giorno del signor Bianchini Luciano non si parlò più e non si seppe più nulla.
Capitolo 4
Sempre Mercoledì 20 marzo 1985, SARZANA, Liceo Scientifico T. Parentucelli, Lezione di Disegno Tecnico, Ore 11 e 15
Il professore di disegno leggeva la Gazzetta Sportiva. Il giornale aperto occupava tutta la cattedra. Domenica scorsa la sua Inter non era riuscita a vincere il derby anche se era stata in vantaggio sul Milan fino a 5 minuti dalla fine. Il Verona aveva così mantenuto la testa della classifica di serie A. Il professor Filazzi stava leggendo a fondo l’articolo che descriveva minuziosamente l’azione del gol di Altobelli che aveva riportato in vantaggio l’Inter quasi alla fine dell’incontro e che aveva lasciato ben sperare i tifosi interisti sul buon esito della gara. Ma Verza, uno che non segna quasi mai, nell’arco di pochi minuti aveva pareggiato nuovamente. Risultato finale: 2 a 2! Ma che in testa al campionato ci fosse il Verona, anzi che qualsiasi altra squadra maggiormente blasonata, al professore interista andava più che bene. Prima o poi sarebbe crollato. Quando mai il Verona aveva vinto qualcosa, tanto più lo scudetto? La storia insegna il futuro ed il Verona non aveva alcuna speranza di arrivare fino in fondo e prima o poi l’Inter avrebbe assestato la zampata giusta ed avrebbe rivinto l’ennesimo scudetto. Di questo il professor Filazzi era assolutamente certo. Era questo che interessava al professor Filazzi, la sua squadra del cuore, l’Inter. Del compito di disegno che invece stavano facendo i suoi allievi non gliene fregava niente, e comunque veniva senz’altro dopo la sua Inter. I ragazzi della Quinta D, intanto, mentre il professore leggeva la gazzetta, stavano finendo il compito loro assegnato, ignari di non essere al centro dell’attenzione del proprio insegnante. Il compito era quello di disegnare prima a matita e poi a china una prospettiva centrale di una piazza a scacchiera da terminare con le cartine adesive colorate. Leonardo aveva già finito da un pezzo. Claudio, invece, da molto prima.
-Leo, Leo, … se potessi gli spaccherei la mia carrozza in testa! Non si vergogna neanche un po’!- la voce appena accennata è quella di Claudio. Ma non è una domanda quindi Leonardo non risponde a Claudio.
-Ieri l’altro come è andata con Elena? Vi siete visti? Quando me la presenti?-
Tre domande in una sola volta. Almeno ad una bisognava dare una risposta.
-Si, ci siamo visti!-
-E quando me la presenti?-
-Non credo che ti voglia conoscere.-
-Glielo hai già chiesto?-
-No! E non glielo chiederò! Perché come ti ho detto non credo che voglia conoscerti.-
Leonardo Giannetti e Claudio Rossigni si erano conosciuti all’inizio del nuovo anno scolastico nel settembre 1984. Leonardo proveniva da un Liceo di Parma, la città dove aveva abitato con i suoi genitori. Quasi tutti sapevano che suo padre era un noto ingegnere tecnico, quasi nessuno che sua madre era morta due anni prima e nessuno sapeva come ciò fosse avvenuto. Claudio invece abitava dalla nascita a Sarzana e percorreva da qualche anno le sue strade su una sedia a rotelle, spinta dalle sue braccia o da braccia amiche.
Capitolo 5
QUALCHE TEMPO PRIMA, Lunedì 17 settembre 1984, SARZANA, Piazzale antistante il Liceo Scientifico T. Parentucelli, (primi giorni di scuola), Ore 7 e 50 circa
All’inizio dell’anno scolastico Claudio e Leonardo, dopo aver trascorso i primi giorni di lezione come ambientamento, non si erano ancora conosciuti. Per motivi di logistica Claudio in classe aveva una postazione vicino all’ingresso, mentre Leonardo si era seduto dalla parte opposta, vicino alle finestre, in ultima fila. Forse avrebbero continuato a non conoscersi se non fosse accaduto un episodio che Claudio non avrebbe dimenticato per il resto della sua vita. Andrea, il bullo della classe, quel giorno, poco prima che suonasse la campanella che avrebbe annunciato l’inizio delle lezioni, notando che Grazia, la più carina della sua classe, stava parlando con Claudio, si