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La prova del nove del Commissario Giannetti
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E-book543 pagine5 ore

La prova del nove del Commissario Giannetti

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LA PROVA DEL NOVE DEL COMMISSARIO GIANNETTI. Il Commissario Leonardo Giannetti, attraverso il suo misterioso passato, si ritrova ad affrontare un omicida seriale che compie i suoi delitti ogni 9 anni, preannunciandoli con biglietti indecifrabili. Perché? Lo aiutano nell'indagine i suoi fedeli ispettori, Nicola e Laura, l'amico giornalista, Oscar, attraverso un viaggio nel tempo e lungo gli antichi luoghi e misteriosi della Lunigiana storica. Tutto inizia nel 1985 quando un suo compagno di Liceo ritrova un misterioso biglietto affisso nella bacheca della scuola. Chi lo ha scritto? E che collegamenti ha con la morte dell’anonimo Bianchini Luciano che abita a due passi dal Museo Archeologico dell’antica LUNI? Il secondo biglietto sarà rinvenuto 9 anni dopo, nel 1994, il terzo nel 2003, e l’ultimo nel 2012. Ad ogni biglietto segue un omicidio. Qual è il filo conduttore che accomuna tutte le vittime? E perchè tutte vengono uccise con del materiale edilizio proveniente dalla loro abitazione? Ma la serialità, a quanto pare, non è una prerogativa dell’omicida, che si ritrova, suo malgrado, a dover necessariamente intervenire “per necessità istituzionali”. L’avvenente dottoressa Matrilloni, il Pubblico Ministero della Procura del Levante, sembra perennemente contrastare le ipotesi investigative del Commissario e dei suoi collaboratori, ma forse la sua è solo una reazione all’indifferenza di Leonardo nei suoi confronti. La soluzione ogni volta sembra sfuggire di mano al Commissario, senza immaginare che la stessa è molto più evidente di quanto possa sembrare. Sullo sfondo una donna dai contorni indefiniti: Elena, il passato ed il presente di Leonardo. Il passato torna, torna sempre, e le cose che non si vedono alla fine sono le più evidenti. La risposta è nei luoghi. Il delitto può scaturire da come e da quanto questi vengono trasformati in negativo, ma ci vorranno 27 lunghi anni per poter conoscere la verità.
LinguaItaliano
Data di uscita22 nov 2013
ISBN9788868559427
La prova del nove del Commissario Giannetti

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    Anteprima del libro

    La prova del nove del Commissario Giannetti - Roberto Bologna

    INTERNET

    Capitolo 1

    MOLTI ANNI PRIMA, Lunedì 18 marzo  1985, ORTONOVO  - località Luni Scavi,  via San Pero,  area esterna all’abitazione proprietà  Bianchini, Ore 7 e 30  circa

    Luciano Bianchini esce di casa molto presto. Deve andare al lavoro. Sono le prime ore del mattino e il cielo tende al blu. L’aria è  ancora pungente. La primavera è alle porte ma  fuori, nei prati della campagna che si estendono  intorno alla sua abitazione, c’è ancora la brina. L’inverno vuole dire ancora la sua. Non gliene frega niente se il sole che sta per sorgere  dietro  le colline  di Ortonovo,  verso  Carrara, ha raggi più caldi del giorno prima. Almeno per ora governa ancora lui. La sua Ritmo blu è parcheggiata appena davanti a casa, nell’aia in mattoni  recentemente  risistemata. Non la può tenere  nel garage attiguo, al di là del giardino ben curato, perché lì sono ancora ammucchiate tutte le attrezzature della ditta edile che da poco ha finito i lavori di ristrutturazione della sua casa. C’è del ghiaccio sul parabrezza  della Ritmo e Luciano, come ogni  altra mattina,  si appresta a riempire  un secchio con dell’acqua e, dopo aver azionato i tergicristalli dell’auto, a gettarla  poco alla volta sopra al vetro. Ormai è un automatismo. All’inizio, da quando l’estate scorsa la sua Ritmo è  stata sfrattata dal garage  per far posto all’attrezzatura edile delle ditta,  in vista dell’inizio dei lavori di ristrutturazione della sua casa,  non è stato facile. Più volte, con le  prime ghiacciate notturne, era dovuto rientrare in casa, a  cambiarsi d’abito, per via dell’acqua che i tergicristalli gli avevano letteralmente rovesciato addosso. Una cosa che piace a Luciano è vedere  l’erba del suo giardino pietrificata dalla brina. Ma questa  mattina qualcuno l’ha calpestata. Ciò è alquanto strano. Sembrano impronte di passi, ma  di primo acchito i suoi pensieri sono attratti dal fatto che il secchio non si trova.

    -Dov’è?  Dove l’ho messo ieri mattina?- 

    E’ strano, Luciano usa  quel vecchio secchio solo per quel motivo e lo ripone sempre nello stesso posto. L’automatismo sembra di colpo interrotto. I tergicristalli sono già in funzione. Le palette vanno avanti  ed indietro e la gomma  delle loro spatole comincia a  fare attrito con il ghiaccio. Se continua così  rischiano seriamente di  rovinarsi e dovranno essere sostituite. L’autoradio è accesa e  Cristiano De Andrè canta Bella più di  me  presentata all’ultimo Festival di Sanremo appena conclusosi. L’auto è già in moto  e la sua accensione ha già portato alla giusta temperatura l’olio nel motore. A quest’ora l’operazione di routine che prevede la rimozione  dal ghiaccio sul parabrezza dovrebbe essere già conclusa e lui dovrebbe già trovarsi sulla strada all’altezza del passaggio a livello di Piazzagrande. Luciano sa benissimo cosa vuol dire uscire di casa prima delle 7 e mezza. Vuol dire evitare  l’ingorgo che si crea ogni giorno dal lunedì al venerdì sulla  variante Aurelia di Sarzana davanti alla Stalla Toscana. Per evitarla, e questo Luciano lo sa bene, è sufficiente passare di lì cinque  o dieci minuti prima delle 7 e mezza, dopo di che  sul quel tratto di strada ci sarà il finimondo: autobus che portano gli alunni a scuola, pulmini,  furgoncini,  camion, moto  ed una frotta di auto  in colonna. Sono solo cinque minuti. E quei cinque minuti stanno scorrendo velocemente. E dopo ne passano ancora altri. Altri cinque durante i quali Luciano continua a fare avanti ed indietro fra l’auto, il garage e  la tettoietta dietro casa, caso mai inavvertitamente la sera prima l’avesse riposto lì, il secchio. A quest’ora sarebbe già dovuto essere nei pressi del bivio di via San Pero con  l’Aurelia  dopo il passaggio a livello della ferrovia.  Invece no.  Luciano sta ancora cercando il secchio e non lo trova. Inoltre il suo pensiero è infastidito da tutta quell’erba schiacciata. Piegata.  Uccisa. Chi sarà stato? E mano a mano che  va avanti ed indietro fra l’auto ed il garage, dove dovrebbe essere il secchio, l’erba schiacciata aumenta sempre di più. Il fastidio cresce  e il nervosismo sale.

    Luciano non si accorge di nulla. Non sente alcun dolore. Non fa neanche in tempo a provarlo. Non saprà mai dove è finito il secchio.  Non  verrà mai a sapere che  gli è stato nascosto apposta, per farlo distrarre. Tutto  avviene in una frazione di secondo. Le sue orecchie non possono  nemmeno udire il colpo sordo del mattone in cotto, di  quelli che si usano per costruire le case, di quelli pieni e pesanti,  che gli fracassa la testa all’altezza della nuca.  Il dolore non fa in tempo a propagarsi  nel resto del corpo. Nello stesso momento in cui dovrebbe partire si ferma. Coincide con il suo tempo ed il tempo di Luciano è finito in quello stesso istante.  Il suo corpo, ancora pieno di  rabbia per non aver trovato il secchio,  si affloscia a terra, accanto alla sua auto. Le ultime immagini riflesse  nei suoi occhi  sono quelle dell’erba piegata, a pochi centimetri dalle sue pupille, dilatate, padrone assolute dei suoi iridi celesti.  Come fari  fissi sugli  abbaglianti, dove le palpebre non calano alcuno scuro.  Nessun lamento da Luciano.

    Luciano ora è un sacco vuoto. Trascinato via, lungo il suo prato, autore inconsapevole anch’esso di una strage di erba ghiacciata  che si piega  sotto il suo corpo che scivola via e che il sole,  ormai  prossimo,  non sarà in grado di  raddrizzare più. E per un po’ il suo giardino lo ricorderà così. Luciano se ne va, qualcuno lo sta portando via. Nessuno  se ne accorge.  La sua casa è isolata. E’ al limite della zona archeologica di Luni e l’edificio più vicino  è il suo museo, ma ora è ancora chiuso. Cristiano De Andrè intanto ha terminato la sua canzone. Subito dopo le notizie delle sette e trenta annunciano l’inizio di una nuova giornata alla quale  Luciano non prenderà parte.  L’inviato di Radio  Uno dagli esteri annuncia che  tutti si interrogano in ordine  a quale politica  intenderà assumere nei confronti dell’occidente il nuovo segretario del partito comunista russo, tal Mikhail Gorbaciov, subentrato  a Cernienko,  a pochi giorni dalla sua morte,  anche se  gli  esperti di strategie  internazionali esprimono  il loro più vivo pessimismo, sposando la tesi  che anche quella testa macchiata di rosso passerà ben presto alla storia senza apportare alcun rilevante scossone,  così come  già accaduto ai suoi più recenti predecessori. Dall’Italia, in collegamento da Castellaneta, in provincia di Taranto,  un inviato informa che tutto il paese, sconvolto,  piange ancora i 34 morti sepolti sotto il crollo di un palazzo costruito chissà con quali materiali e  forse in spregio alle più comuni normative edilizie, mentre dalla politica arriva la notizia che è stata  definitivamente approvata la nuova legge  urbanistica  che prevede anche, ma solo  in via straordinaria, l’istituto del condono edilizio che si spera possa portare nelle casse dello Stato le necessarie risorse per ovviare ad ulteriori manovre economiche. L’inviato sportivo invece evidenzia come  tutte le attenzioni del momento  siano concentrate sulla sfida di domenica fra la Juventus di Platini e Boniek e l’Inter di Rummenigge  e Brady;  se la Juve perde è fuori dai giochi per l’assegnazione dello scudetto. L’erba piegata  si interrompe  dove  inizia  l’aia in mattoni  rossi.  Un rumore di un altro motore  di auto si è messo in moto ed allontanandosi  si ode  sempre meno, fino a scomparire del tutto. La Ritmo  di Luciano invece è ancora col motore acceso e con la radio sintonizzata sul suo programma preferito. I tergicristalli continuano nel loro moto pendolare di andata e ritorno,  ma il ghiaccio non ne vuol sapere di staccarsi dal parabrezza.  Ci penserà il sole, fra qualche minuto. Il motore  invece si spegnerà da solo, forse  fra qualche ora, dipende dalla benzina che c’è ancora  nel serbatoio. Le voci che intonano una nuova canzone finora sconosciuta, We Are The World, si diffondono lentamente nell’aria circostante, e dopo quella altre ancora, e questo  per molto tempo.

    Capitolo 2

    Sempre Lunedì 18 marzo  1985, SARZANA, Liceo Scientifico T. Parentucelli, Intervallo, Ore 10 e 05

    La Quinta D  ha appena terminato l’ora di educazione fisica. La partita di basket si è conclusa con la solita vittoria dei blu di Giorgio sui  rossi  di Giulio. Troppa accentuata la differenza fra le due squadre.  Giorgio vincerebbe anche da solo, se non fosse per quella stupida nuova regola, che impone il passaggio ad un altro compagno entro  pochi secondi dal ricevimento della palla, potrebbe giocare da solo contro tutti.  Ma il basket è un gioco di squadra  e  si vince e si perde  sempre  insieme, ma mai da soli. Leonardo però non vince e non perde, semplicemente non gioca. Nessuno sa perché  ha chiesto l’esonero dalle lezioni per tutto l’anno. Però nessuno  si pone il problema e nessuno gli ha mai chiesto perché.  Si dice sia  per via  di un episodio accaduto quando era  ancora piccolo, quando abitava ancora a Parma, altri invece dicono che abbia un problema al cuore. Un soffio o una cosa del genere. Che Leonardo sia strano è cosa risaputa.  Ma in fondo non è poi così diverso da tutti gli altri. Solo che non fa ginnastica. Tutto lì.  Gli altri giocano a basket o  si arrampicano sulla corda, mentre lui  se ne sta seduto sulle tribune con quelli che per esigenze solo  temporanee hanno richiesto a loro volta  la dispensa o con chi, come  Claudio, ci terrebbe a giocare con gli altri, ma non può  farlo perché da qualche anno sta seduto su una sedia a rotelle.

    -Vieni da me oggi pomeriggio? Facciamo analisi!  Ho una dispensa di mio fratello che contiene alcune funzioni logaritmiche ed esponenziali. Dice che l’esame di Analisi I di Architettura a Firenze  è  quasi identico al nostro programma e le funzioni  che sta facendo  sono solo un po’ più complesse delle nostre.  Potremo tentare di risolverne qualcuna. Del resto sono programma d’esame.  Che ne dici?- gli chiede Claudio.

    -Oggi non posso!- gli risponde categorico Leonardo.

    Leonardo è fatto così.  La sua frase ricorrente è: oggi non posso! Punto e basta.  Dice così e poi se ne sta zitto.  Non si giustifica. E’ essenziale. A domanda  risponde. Se si vuol sapere perché una cosa non può farla bisogna ulteriormente  chiederglielo. Leonardo è fatto così. 

    -Perché oggi non puoi?-

    -Perché oggi viene Elena!-

    -Elena?  E quando l’hai sentita?-

    -Non l’ho sentita!-

    -Uffa, e  allora quando l’avresti  vista?-

    -Non l’ho vista!-

    -Cazzo! Se non l’hai sentita e non l’hai nemmeno vista, come cazzo  fai a sapere che oggi viene da te?-

    -Lo so e basta! Tutto qua! Lo so!-

    -Vaffanculo Leo!-

    Leonardo Giannetti. 19 anni. Quinta Liceo Scientifico. Buoni risultati a scuola. Così così nelle materie umanistiche. Non eccellenti, ma discreti in quelle scientifiche.  Matematica e fisica, in particolare,  ovvero in quelle  materie dove  c’è  un nesso  diretto e consequenziale fra causa ed effetto.  Si potrebbe  dire  che  anche la  poesia è un effetto dell’amore. Ma non  sempre l’amore produce  quale effetto una poesia.  Non sempre chi ama scrive poesie.  Chi ama produce effetti disparati, a volte incredibili, disarmanti,  impensabili,  ma a volte non produce alcun effetto. Ma i sentimenti sono un cosa, mentre gli elementi fisici invece sono un’altra. Se piove e non apri l’ombrello o non ti  metti al riparo subito l’effetto è assicurato: ti bagni. A Leonardo piace un mondo regolato dal principio causa - effetto.  Ad ogni azione corrisponde  un effetto. Ed ogni effetto è frutto di una precedente azione.  Un mondo dove uno dei fondamentali principi della termodinamica è sempre dimostrato o dimostrabile ed il caso è inteso come entropia e disordine. Nulla si crea e nulla si  distrugge, ma tutto si trasforma.  Nulla nasce dal niente. Tutto quello che c’è ora c’è  da sempre. Solo la forma di aggregazione cambia. I suoi atomi, quelli che componevano il cervello di Michelangelo o la cima di una montagna erosa, esistono da sempre,  ed in questo momento  alcuni miliardi e miliardi di essi stanno formando lui, fino a quando avranno la forza di stare insieme, uniti,  in un gioco di  squadra. Anche se non gioca a basket  con i suoi compagni non è vero che Leonardo non fa alcun gioco  di squadra. Lo fanno i suoi atomi per lui.  E lui gioca così, vince e perde così.  Partecipa anche lui al gioco della vita. Solo in un modo diverso.  Ha una sua logica. La logica dell’essenziale. Ed oggi per lui l’essenziale è Elena. La sua Elena, che nessuno oltre lui conosce. Che nessuno dei suoi compagni ha mai visto. Che lui non ha mai presentato a nessuno. Elena, aggregato di cellule come lui, che vivono in forma contorta  solo nella sua mente.  Elena,  che oggi  Leonardo incontrerà ancora una volta. Lui lo sa che sarà così. E’ così da molto tempo ormai, ed ormai se ne è fatto una ragione.  Ma a lui quella ragione piace. A lui Elena piace e di quella ragione crede di esserne innamorato.

    Capitolo 3

    Mercoledì  20 marzo  1985, ORTONOVO, località Luni Scavi,  via San Pero, area esterna all’abitazione proprietà  Bianchini, Ore 10 e 30

    I Carabinieri della piccola stazione di Ortonovo stavano  compiendo gli ultimi rilievi. Secondo quanto riferito  al Maresciallo Cosimo Grandazzi, comandante della omonima stazione, da Giuseppe, il contadino che si è trovato a passare da quelle parti con la sua bicicletta verso  le  17 e  30 della sera prima, lo stesso  era rimasto  colpito dai fari accesi dell’auto del signor Bianchini Luciano, che lui conosceva bene, e da una  specie di musichetta che proveniva  dal suo interno.  Ma non ci  aveva dato troppo peso. Aveva pensato  che Luciano stesse  cambiando qualche pezzo alla sua  auto e che nel farlo ascoltasse la musica dell’autoradio  e così aveva proseguito per la sua strada. Stamani presto, però, quando si era ritrovato a passare dallo stesso luogo della sera prima ed aveva risentito l’autoradio dell’automobile di Luciano ancora accesa, si era    preoccupato e,  con la bicicletta, aveva imboccato la stradina  che si diparte da via San Pero  fino a raggiungere l’aia in mattoni  dove era parcheggiata la Ritmo. E lì giunto si era accorto che, oltre all’autoradio, in funzione c’erano ancora i due braccetti dei tergicristalli,  seppur  con un moto rallentato e  diacronico,  uno dei quali  era ormai completamente fuori asse,  con i gommini  divelti  ed in balia del movimento del braccetto che grattava  con  uno stridio fastidioso sul ghiaccio che la notte aveva nuovamente  ridepositato sul parabrezza. Aveva subito provato a chiamare  Luciano, ma non aveva avuto risposta. Aveva poi accertato che la porta di casa era chiusa e si era  persuaso che  comunque dentro non ci fosse nessuno. Sapeva che Luciano  abitava da solo in quella casa e quindi era inutile  sincerarsi  se all’interno vi fosse  qualcun altro.  Tuttavia  aveva suonato il campanello di casa ed aveva più volte bussato alla porta, sempre senza alcun esito. Inoltre gli era anche sembrato di  udire  suonare almeno in due occasioni il telefono di casa,  anche a lungo, senza però che  nessuno rispondesse. Ed anche se  aveva avuto  l’impressione che  le chiavi di casa  fossero  le stesse che insieme ad altre stavano  raccolte  ad anello con quelle che erano  ancora inserite  nel  cruscotto della vettura, non  si era azzardato a usarle per entrare in casa. Anzi, non si era azzardato  a fare più niente dopo che i suoi occhi erano caduti, quasi per caso,  su  un particolare che fino a quel momento  gli era sfuggito. Sul lato sinistro dell’auto  delle macchie rosse cristallizzate sulla brina  avevano conferito al giardino  le sembianze di un lenzuolo bianco imbrattato di rosso scuro con tante altre piccole macchioline  tutt’intorno, come  schizzate su  una tela  astratta. Da quel lenzuolo macchiato di rosso e tutto sgualcito si dipartiva per qualche metro una specie di corsia avvallata, come quelle che i ragazzini, tirandosi a turno per  le gambe e tenendo  il sedere sulla sabbia,  fanno  in spiaggia per costruirsi la pista per le biglie di plastica che contengono i nomi e le foto dei ciclisti famosi. Una scia nel cui centro correva simmetricamente una sottile linea rossastra  che  terminava  sull’aia in mattoni  con una  forma più arrotondata, come quando dopo aver tracciato una linea con la biro di colore rosso non stacchi  subito la penna dal quaderno e si forma un  piccolo grumo di inchiostro. Più di questo Giuseppe non aveva saputo  dire. Condotto in caserma  non aveva fatto altro che ripetere all’infinito quanto già ripetuto  fino  a quel momento: -Come volete che lo ripeta?  Ho bussato, ribussato! Non ha risposto nessuno. Ho suonato anche il campanello più volte. Nessuno ha risposto. Poi sono tornato alla macchina perché mi era sembrato che ci fossero le chiavi su. Stavo per prenderle.  Poi però mi sono accorto di quelle macchie  di sangue per terra  ed allora ho solo  spento la radio. No! Anzi! L’autoradio  l’avevo già spenta prima. No, cazzo! Ora non me lo ricordo! Non penserete mica che sia stato io? Luciano era un brav’uomo ed io lo conoscevo appena! Io  ho subito chiamato il Maresciallo Grandazzi!  E voi siete venuti giù subito.  Tutto qua!-

    -Senta Giuseppe! Ascolti bene!  Un’ultima volta!  Può ricominciare nuovamente dall’inizio, ancora un’ultima volta? Perché forse  siamo noi che non riusciamo a capire bene. Lei si spiega benissimo.    Siamo noi che non capiamo!-

    -Cosa non capite? Cosa? Vi ho già detto tutto! Cos’è che non capite?- aveva risposto  esausto il signor Giuseppe.

    -Ad  esempio, non capiamo perché lei la sera prima  non  si è fatto alcun scrupolo di controllare meglio la situazione. Ecco cosa non capiamo!-

    -Ma come non lo capite? Cosa  avrei dovuto fare? Avrei dovuto  farmi i cazzi degli altri?  Non  c’avevo mica tutta quella confidenza con  Luciano. Ci salutavamo quando passavo davanti a casa sua o quando lui mi vedeva  lavorare nei campi. Forse negli ultimi tempi un po’ di  più, per via degli operai che aveva in casa. L’estate scorsa aveva ristrutturato la casa. Aveva fatto dei lavori. E si era preso molti giorni di ferie. Era spesso a casa. E ci si incontrava  un po’ di più.-

    Il Maresciallo Grandazzi si era consultato  a voce bassa con il suo collega  che insieme a lui stava conducendo l’interrogatorio,  poi, dopo un breve borbottio, aveva ripreso a rivolgersi al signor Giuseppe.

    -E cosa ci dice, Giuseppe,  di quel contenzioso per  la definizione di quel  confine  di proprietà  che aveva con il signor Luciano?-

    La domanda aveva fatto  saltare dalla seggiola il signor Giuseppe.

    -Lo sapevo! Lo sapevo che andavate a parare lì.  E’ tutto finito! E’ tutto finito da un bel pezzo! Si! La causa è ancora in corso, ma  è colpa dei tempi  del giudice. Abbiamo fatto una conciliazione.  Potete chiedere al CTU del Tribunale! E’ un geometra di Sarzana.  Ha fatto lui il verbale.  Lo abbiamo anche pagato. Metà  ciascuno. Chiedete anche all’avvocato Borsoni. Il mio avvocato! C’ho il numero. Chiedete a lui!  Il geometra ha fatto il rilevamento e  tutto quello che sta oltre il vecchio filare  di vite è mio. Il resto è del signor Luciano. Sono 3 mesi che abbiamo conciliato. C’ho rimesso solo dei soldi e ora va a finire che ci rimetto anche  la salute!-

    -Senta Giuseppe.  Ora ci ascolti  bene! Lei ieri sera  ha colpito    il signor Luciano.  Poi lo ha trascinato via e lo ha portato da qualche parte.  Quello che lei ha  fatto non ci interessa.  A noi interessa solo  ritrovare Luciano, possibilmente ancora  in vita. Per il bene di Luciano ed anche per il suo.  Forse è ferito ed ha bisogno di cure.  Ci dica dove lo ha portato. Solo questo. Al resto  pensiamo noi.  Solo noi.  E per lei tutto sarà molto più semplice. Non le direi queste cose se non ne fossi sicuro. Uno sbaglio si può fare,  Giuseppe. Una discussione, una litigata e poi tutto finisce nel peggiore dei modi.  Il giudice capirà e  con lei sarà clemente.  Ma due errori di seguito no! Due errori non sono più ammissibili! Perseverare oltre conduce solo  a consolidare delle responsabilità che invece non si hanno. Lei mi sembra una brava persona Giuseppe. Ha capito cosa sto cercando di dirle? Ha capito  ora Giuseppe?-

    Il Maresciallo Grandazzi aveva  compreso che era il momento di tentare l’affondo finale e nel farlo aveva deciso di assumere un tono conciliante e protettivo. Cosa che, nei casi di omicidi  accidentali,  frutto di una scatto d’ira o di una fortuita colluttazione,  aveva  sempre dato i suoi buoni frutti.

    -Ma siete voi che non volete capire! Io non ho fatto niente!  Oh Dio! Dio mio! Ma cosa ho fatto? Cosa ho fatto di male? Lo volete capire? Maresciallo! Lo vuole capire che non ho fatto niente di male, ma che vi ho solo avvisato! Solo avvisato!-

    E l’interrogatorio sarebbe andato avanti così per parecchie ore se non fosse  arrivata  la telefonata dal laboratorio medico che faceva riferire il sangue rappreso e congelato del signor Luciano  Bianchini ad una emorragia avvenuta da  più di 24 ore, ciò escludendo di fatto che  il presunto delitto  fosse stato compiuto  la sera prima. Quindi quando Giuseppe  era  passato da via San Pero ed aveva  scorto i  fanali accesi della Ritmo e sentito la musica  dell’autoradio erano già trascorse ben 12 ore dal presunto evento  criminoso che aveva determinato una copiosa fuoriuscita di sangue probabilmente dal corpo appartenuto al signor  Bianchini Luciano, successivamente scomparso, forse rapito o addirittura ucciso e  nascosto chissà dove.

    Evento criminoso che in ogni caso non si poteva imputare di certo a Giuseppe, il contadino, dato che, alla presunta ora del presunto delitto, lui era nella sala d’attesa dell’ambulatorio medico dell’ospedale di Sarzana per  fare un prelievo del sangue, come prescrittogli dal suo medico di fiducia e come  in seguito avrebbe confermato  la data sul  referto. Oltre  quello che riferì loro  il signor Giuseppe  i Carabinieri della stazione di Ortonovo  non seppero mai  più altro. Luciano Bianchini  probabilmente era stato aggredito  il mattino  presto  di due giorni prima mentre si apprestava a recarsi al lavoro. Le macchie di sangue  rinvenute a terra  erano le sue, come confermarono le successive analisi  di laboratorio.  Come erano suoi alcuni capelli rinvenuti  insieme alle macchie di sangue.  Così come anche alcune minuscole schegge di osso cranico  rinvenute attaccate  agli stessi capelli.  E questo, per quanto non si sapesse che fine avesse fatto il signor  Luciano,  non lasciava presagire  nessuna  ottimistica ipotesi sulle sue effettive condizioni fisiche, fatto peraltro  confermato anche  dal  rapporto del medico legale,  redatto dopo qualche giorno, che lasciava ben poche speranze  all’eventualità che Luciano fosse sopravissuto al trauma che gli aveva  di fatto procurato la rottura della scatola cranica, anche se,  fra i reperti organici rinvenuti sulla scena del  crimine, non  era stata  ritrovata alcuna traccia di  materia cerebrale. Nel sangue rappreso  furono inoltre rinvenute  anche delle schegge di materiale in cotto,  distaccatesi, probabilmente, a causa dell’impatto  con il cranio del signor Luciano, dal mattone utilizzato per colpirlo. I Carabinieri di Ortonovo furono delegati dalla Procura  del Levante quale organo di Polizia Giudiziaria  per svolgere tutte le necessarie indagini.  Come di rito  era stato aperto un procedimento contro ignoti per il  presunto reato di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Il rapporto  definitivo fu depositato sul tavolo del Pubblico Ministero della Procura  del Levante dopo tre mesi di indagine, senza alcun  riscontro e nessun  indizio  significativo che lasciasse presagire la risoluzione  del caso.  Nel rapporto finale, sebbene  ciò trovasse  conferma in alcuni verbali redatti dagli stessi Carabinieri di Ortonovo resi all’atto dei molteplici sopralluoghi accorsi nell’abitazione del signor  Bianchini Luciano,  non si fece alcun cenno al fatto che  dall’abitazione dello scomparso erano stati  sottratti, o meglio materialmente divelti dalle nuove pareti  recentemente realizzate nella stessa,  alcuni mattoni pieni in cotto,  uno dei quali  si  riteneva potesse essere stato utilizzato allo scopo di colpire lo stesso Bianchini. Furono sentiti ed interrogati  gli amici più intimi e  quelli  meno significativi, i colleghi di lavoro, i parenti (pochi per la verità),  i  vicini di casa ed anche il personale del vicino Museo Archeologico di Luni, ma non emerse alcun indizio che potesse fare individuare una pista da seguire. Furono fatti fonogrammi in tutta Italia con le fotografie del signor Luciano Bianchini e la sua immagine fu pubblicata  più volte sulla stampa locale e nazionale. Nell’ipotesi poco accreditata che  quella mattina il signor Bianchini Luciano si fosse involontariamente ferito  da solo  ed avesse in seguito perduto la memoria  fu interessata anche una nota trasmissione televisiva,  ma senza alcun esito. Il fascicolo  consegnato al Pubblico Ministero  dopo tre  mesi di indagini serrate conteneva  un nulla di fatto.  Solo una serie di rapporti  redatti  dai Carabinieri, tutti i verbali degli interrogatori  intervenuti  nel corso delle indagini ed una innumerevole serie di fotografie scattate sul luogo del presunto delitto, nel garage e all’interno della casa di Luciano e nulla più. Il procedimento fu archiviato nell’ottobre  successivo dello stesso anno. I sigilli all’abitazione erano di fatto spariti sin dall’estate precedente, ma formalmente furono rimossi solo  qualche giorno dopo l’archiviazione del procedimento. Da quel giorno del signor Bianchini Luciano  non si parlò più e  non si seppe più nulla.

    Capitolo 4

    Sempre Mercoledì 20 marzo  1985, SARZANA, Liceo Scientifico  T. Parentucelli, Lezione di Disegno  Tecnico, Ore 11 e 15

    Il professore di  disegno leggeva  la Gazzetta Sportiva. Il giornale aperto occupava  tutta la cattedra. Domenica scorsa la sua Inter  non era  riuscita a vincere il  derby  anche se era stata  in vantaggio  sul Milan fino a 5 minuti  dalla fine. Il  Verona  aveva  così  mantenuto  la testa della classifica di serie A. Il professor Filazzi stava leggendo  a fondo l’articolo che descriveva  minuziosamente  l’azione del gol di Altobelli che aveva riportato in vantaggio  l’Inter  quasi alla fine dell’incontro e  che aveva lasciato ben sperare i tifosi interisti sul buon esito della gara.  Ma Verza, uno che non segna quasi mai,  nell’arco di pochi  minuti aveva  pareggiato nuovamente. Risultato finale: 2 a 2!  Ma che in testa al campionato  ci  fosse il Verona, anzi che qualsiasi altra squadra maggiormente blasonata, al professore interista andava più che bene. Prima o poi sarebbe crollato. Quando mai il Verona  aveva vinto  qualcosa, tanto più lo scudetto?  La storia insegna il futuro ed il Verona non aveva alcuna speranza di arrivare fino in fondo e prima o poi l’Inter avrebbe assestato la zampata giusta ed avrebbe rivinto  l’ennesimo scudetto. Di questo il professor Filazzi era assolutamente certo. Era questo che interessava al professor Filazzi, la sua squadra del cuore, l’Inter.  Del compito di disegno che invece  stavano facendo i suoi allievi  non gliene fregava niente, e comunque  veniva senz’altro dopo la sua Inter. I ragazzi della Quinta D,  intanto, mentre il professore leggeva  la gazzetta,  stavano  finendo il compito  loro assegnato, ignari di non essere al centro dell’attenzione del proprio insegnante. Il compito era  quello di  disegnare  prima a matita e poi a china  una prospettiva  centrale  di una piazza a  scacchiera da terminare con le cartine adesive  colorate. Leonardo aveva  già finito da un pezzo. Claudio, invece, da molto prima.

    -Leo,  Leo,  …  se potessi gli spaccherei la  mia carrozza in testa! Non  si vergogna neanche un po’!-  la  voce  appena  accennata è  quella di Claudio.  Ma non è  una domanda quindi Leonardo non risponde a Claudio.

    -Ieri  l’altro come è andata con Elena? Vi siete visti? Quando me la presenti?-

    Tre domande  in una sola volta. Almeno ad una  bisognava  dare  una risposta.

    -Si, ci siamo visti!-

    -E quando me la presenti?-

    -Non credo che ti voglia conoscere.-

    -Glielo hai già chiesto?-

    -No! E non glielo chiederò! Perché  come ti ho detto  non  credo che voglia conoscerti.-

    Leonardo Giannetti e Claudio Rossigni si erano conosciuti all’inizio del nuovo anno scolastico  nel settembre 1984. Leonardo proveniva da un Liceo di Parma, la città dove aveva abitato con i suoi genitori. Quasi tutti sapevano che suo padre era un  noto ingegnere  tecnico, quasi nessuno che sua madre era morta  due anni prima e nessuno sapeva come ciò fosse avvenuto. Claudio invece abitava dalla nascita a Sarzana e percorreva da qualche anno le sue strade su  una sedia a rotelle, spinta dalle sue braccia o da  braccia amiche. 

    Capitolo 5

    QUALCHE TEMPO PRIMA, Lunedì  17 settembre 1984, SARZANA, Piazzale antistante il  Liceo Scientifico T. Parentucelli, (primi giorni di scuola), Ore 7 e  50 circa

    All’inizio dell’anno scolastico Claudio e Leonardo, dopo aver trascorso i primi giorni di lezione come ambientamento, non  si erano ancora conosciuti.  Per motivi di logistica Claudio  in classe aveva  una postazione vicino all’ingresso, mentre Leonardo si era seduto dalla  parte opposta, vicino alle finestre, in ultima fila.  Forse avrebbero continuato a  non conoscersi  se non fosse accaduto un episodio che Claudio non avrebbe dimenticato per il resto della sua vita. Andrea, il bullo della classe, quel giorno, poco prima che suonasse la campanella che avrebbe annunciato l’inizio delle lezioni, notando che Grazia, la più carina della sua classe,  stava parlando con Claudio, si

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