Il processo a Carmela
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Anteprima del libro
Il processo a Carmela - Licio Di Biase
crederci.
1^ PARTE
Castellamare era una cittadina rimasta inerpicata per secoli nell’ampia collina a nord del fiume Pescara e che, negli ultimi decenni dell’ottocento, si era ormai estesa anche nella zona pianeggiante. Castellamare e Pescara erano due città divise dal fiume, con due storie diverse ed erano state a volte unite, altre volte separate. Dal 1807, infatti, erano due Comuni autonomi, e lo erano da quando la cittadina collinare, sfruttando la riforma amministrativa del Regno attuata dai francesi, si volle emancipare e staccare dalla più famosa sorella, non volendo più essere succube della forza politica di Pescara, chiusa sì, nella piazzaforte, da oltre tre secoli, ma forte e potente sotto l’aspetto politicoistituzionale per la costante presenza dei militari.
Pescara dalla metà del 1500 e fino al 1863 era stata racchiusa in una delle più importanti piazzeforti
del Regno di Napoli, a forma di pentagono e a cavallo del fiume e quindi, per tre secoli, la vita della cittadina era stata condizionata dalla presenza di questa struttura e dei tanti militari che ci vivevano.
La città non aveva potuto svilupparsi, dunque, fin quasi alla fine dell’Ottocento, chiusa dalle mura, mentre Castellamare aveva avuto una forte espansione, soprattutto in campo agricolo, ma dopo gli anni ’60, anche nel movimento turistico e commerciale. Infatti, la cittadina collinare era considerata lussureggiante, con un’aria fine, gradevole, salubre, ed era vivibile, contrariamente a Pescara, la cui aria era irrespirabile, perché i terreni circostanti la piazzaforte erano stati, fino alla metà dell’Ottocento, paludosi ed insalubri, provocando febbri malariche.
Con l’abbattimento delle mura, le cose stavano cambiando. A fatica e tra mille contrasti.
Infatti, dopo che nel 1863 la piazzaforte fu smilitarizzata, iniziò il suo graduale abbattimento, così come aveva presagito Vittorio Emanuele II quando, il 16 ottobre del 1860, in occasione di una sosta, durante il suo viaggio da Ancona a Chieti, dal bastione della stessa piazzaforte denominato della Bandiera o del Telegrafo pronunciò, rivolgendosi all’abate pescarese De Marinis, la frase: Oh che bel sito per una città! Bisogna abbattere queste mura, e costruire su questo fiume un porto. Pescara in men di un secolo sarà la più grande Città degli Abruzzi
.
Profetiche parole, presagio, però, della totale scomparsa di ogni simbolo di una importante storia. La soppressione della piazzaforte venne ufficializzata dallo stesso Vittorio Emanuele II il 30 dicembre 1866. Ci vollero, però, altri anni prima che la lunga e travagliata procedura potesse giungere a conclusione.
Il graduale abbattimento della piazzaforte rappresentò per Pescara una novità rivoluzionaria; infatti, ne stava cambiando, in questo fine secolo, l’articolazione, il volto, la stessa natura. La città si aprì verso sud, verso quelle aree una volta paludose e impraticabili, che erano state bonificate e divenuti nuovi territori per l’espansione.
Questo fu, dunque, un fatto rivoluzionario, così come furono per Castellamare nel 1863 l’avvento della ferrovia e la realizzazione della stazione, elementi di sviluppo e di totale cambiamento della fisionomia della cittadina caratterizzata, fino alla metà dell’Ottocento, da case sparse sull’ampia collina. La zona pianeggiante, chiamata Selva delli chiappini
, che era una immensa area boschiva, con dune e piante di liquirizia e di mirto, i cui terreni, molte volte, sottratti alla boscaglia per le coltivazioni e per il pascolo, fu interessata da un forte processo di crescita, di urbanizzazione, di sviluppo.
E questo nuovo clima aveva cambiato il comportamento delle due città e aveva alimentato nei Castellamaresi la voglia di vivere, di lasciarsi alle spalle l’immagine di contadini
retrogradi, di aprirsi alle novità andando speditamente verso il nuovo secolo che si avvicinava.
Ma non tutto girava per il verso giusto. C’erano le esagerazioni.
E la vicenda di questo delitto passionale, ne fu una riprova. Il processo giunse in un clima infuocato. La cittadina era incuriosita e, come al solito, subito si divise tra gli innocentisti e i colpevolisti.
Ma cos’era successo?
Il 16 settembre del 1888 Luigi Agresta aveva sposato la bella Domenica Consorte, conosciuta come Carmela, castellamarese purosangue. Agresta era nato a Moscufo ma, qualche tempo prima di sposarsi, si era trasferito a Castellamare dove svolgeva l’attività di sarto. Carmela Consorte aveva svolto saltuari lavori come domestica in alcune famiglie importanti della zona, tra cui quella dei Fracchia, dei Pomarici e dei Ferrara, e inoltre si era occupata dei lavori nella campagna paterna, come era consuetudine per tutte le donne della cittadina collinare.
Infatti, i lavori nei campi erano un impegno degli uomini, ma le donne accudivano gli animali da cortile, si occupavano degli orti e, nei periodi di raccolta dei prodotti, nel periodo della vendemmia e della raccolta delle olive, erano impegnate in prima linea.
Carmela era bellissima. Era l’atroce desiderio nascosto di ogni castellamarese. Alta, forme perfette, capelli neri e lunghi, sguardo atrocemente provocatorio, camminata ondeggiante, carnagione colorita dal sole. I due avevano una vita tranquilla e regolare, come tranquillo era il ritmo della vita nella collina castellamarese, immersa nella vasta campagna tra vigneti, oliveti e case sparse.
L’unico vero borgo era quello intorno alla Chiesa della Madonna dei Sette Dolori, sempre importante nella vita religiosa e sociale della zona, sin dal 1665, quando venne realizzata la Chiesa ed istituita la Parrocchia. Fino ad allora, questa funzione era stata svolta dalla Chiesa della Madonna del Carmine, racchiusa nel lato chiamato Rampigna
della Piazzaforte, scomoda da raggiungere per la comunità di contadini che si stava insediando nella collina castellamarese. Infatti, gli abitanti della collina si dovevano recare per le funzioni religiose in questa chiesetta, tenuta dal Curato di Pescara. Quando nevicava, quando pioveva, era irraggiungibile. Oppure, la notte per qualche estrema unzione, diveniva un’impresa rintracciare il Curato dentro la Piazzaforte che, tra l’altro, non era di facile accesso, perché continuamente sorvegliata.
Negli ultimi anni dell’Ottocento, nella zona collinare si erano create delle aggregazioni anche a Colle di Mezzo, a Colle Marino e a Colle Consorte, le più alte colline della zona, dove, erano state istituite delle scuole per i bambini e da lì a qualche anno, sarebbero sorte due piccole chiese per le funzioni domenicali. Perché, era pur vero che la città si espandeva e che cresceva sull’onda della modernità, ma la zona collinare era sempre condizionata dalle ripide strade in terra che, soprattutto in inverno, diventavano lingue di fango impercorribili nelle contrade più inerpicate.
Vennero quindi realizzate qui due piccole chiese: l’Immacolatella
, a Colle Marino, e S. Giovanni
, a Colle Consorte, poi chiamato Colle Innamorati, non in onore degli innamorati ma di un prete evirato durante i moti carbonari della prima metà dell’ottocento e rimasto nella memoria della cittadina.
Ma Castellamare non era più solo la zona collinare.
Gli ultimi decenni dell’Ottocento furono, dunque, gli anni in cui la cittadina si diffuse a macchia d’olio anche nell’ampia pianura, intorno alla stazione e verso nord, verso Montesilvano, cioè verso le proprietà della famiglia Muzii e dei loro amici. Questa crescita fu, sicuramente, una conseguenza dell’avvento della ferrovia e della realizzazione della stazione, ma ci fu un’altra grande novità, l’approvazione del Piano regolatore di ampliamento di Castellamare Adriatico
, voluto nel 1882 da Leopoldo Muzii quando era Sindaco e che aveva dato alla zona pianeggiante una fisionomia di città modernamente organizzata, salvaguardando, beninteso, gli interessi degli amministratori.
Tutte strade ben disegnate, con una disposizione ortogonale e con il baricentro spostato verso nord.
Castellamare aveva cambiato fisionomia. La cittadina collinare, nella quale tutti erano legati alle attività agricole, con una grande produzione di olio e vino, di grano e granoturco, ortaggi e prodotti vari stava facendo posto alla cittadina diffusa su tutto il territorio che, pur conservando una importante attività agricola, si stava legando alle nuove attività del terziario e al turismo.
Però, gli abitanti della collina non avevano accettato di buon grado lo scivolamento a valle del perno vitale della comunità, con lo spostamento nel 1883 anche del Municipio che da dietro la Chiesa della Madonna dei Sette Dolori, era stato trasferito a nord della stazione, sempre verso le proprietà dei Muzii. E ci furono aspre polemiche tra la collina e la pianura, come avrebbe ricordato Garibaldo Bucco, nel 1902: la collina vibrò la minaccia di separazione dalla spiaggia; ma fu vano, e non tardò l’ora consigliera… Tuttavia, ai protestanti si diede un’artistica fontana nel largo della Chiesa della Madonna
.
Infatti, l’abile ed intelligente Sindaco Leopoldo Muzii, per attenuare le proteste degli abitanti della collina fece la concessione, tra le altre cose, dell’artistica fontana dë lë cinquë cannëllë
, collocata dinanzi alla Chiesa.
Ma le polemiche più dure si ebbero quando si dovette approvare il Piano regolatore
.
Leopoldo Muzii aveva messo tutta la sua autorevolezza per approvare il primo Piano
nella storia di Castellamare. L’idea della sua maggioranza era sì di determinare lo sviluppo della cittadina nell’area pianeggiante, ma verso nord. Questa scelta andava in controtendenza rispetto alla logica di avvicinamento di Castellamare a Pescara in una prospettiva di riunificazione, argomento oggetto di molte riflessioni e confronti. Le proteste furono tante, lo scontro feroce si concentrò sugli organi di stampa e toccò asprezze mai viste da quelle parti. Ma gli interessi in gioco erano tanti. Si costituì, infatti, un Comitato
per protestare contro il Piano
e, agli attacchi giornalistici organizzati da questi oppositori, Leopoldo Muzii replicò convocando una riunione del Consiglio Comunale per il 15 aprile 1884, e fece pubblicare e diffondere la copia della delibera, approvata all’unanimità, in cui erano contenute le risposte.
Così Leopoldo Muzii concluse il suo intervento in quella seduta del Consiglio Comunale, in una sala piena all’inverosimile, con quasi tutti i consiglieri presenti… … A voi, o Signori, che siete i rappresentanti reali e legali del paese, dal quale foste eletti con maggioranze schiaccianti a fronte dei comuni avversari, spetta il giudicare il nostro operato, e vi preghiamo di farlo, come di consueto, con la coscienza libera ed indipendente di Magistrati Amministrativi. La vostra parola suoni conforto per chi con voi si è dedicato all’opera ardua, e spesso ingrata, del pubblico bene; essa ci riaffermi a preservare nell’indirizzo, che dal vostro voto ricevemmo, e che proseguiremo costanti, senza audacia, come senza titubanza; essa serva infine a smascherare le ipocrisie, comunque larvate, e a dire al paese che il suo bene non si procura con le declamazioni e con le agitazioni infeconde, ma con la sagace intelligente operosità, che è uno dei motti della nostra bandiera…
.
Successivamente, il Comitato
replicò con un documento dal titolo Tenebre e luce
, anche questo ampiamente diffuso, ribadendo le accuse al Sindaco e ai suoi amici di aver stravolto il Piano
, che inizialmente prevedeva uno sviluppo della città verso il fiume, unicamente per salvaguardare i propri interessi. Il Piano
era stato redatto dall’Ing. Tito Altobelli che, smentito dall’Amministrazione, si schierò con il Comitato
.
Quindi, da una parte tutta l’Amministrazione Comunale, a fianco del Sindaco, e dall’altra, una fetta di cittadini, rappresentanti delle famiglie più potenti che, però, erano fuori dal Consiglio Comunale: fu uno scontro epico.
Tante parole, tante polemiche, ma Leopoldo Muzii era lì, e lì continuò