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La pietra al collo
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La pietra al collo
E-book196 pagine2 ore

La pietra al collo

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Info su questo ebook

"A Palermo ad agosto non succede mai niente". Il commissario Mancuso della Omicidi ne è convinto, ma deve ricredersi quando nella chiesa delle Anime Purganti viene trovato il corpo di un uomo nudo con una pietra al collo, ucciso con un colpo alla nuca. In pochi giorni gli omicidi con lo stesso rituale si moltiplicano. Le indagini si snodano fra istituzioni caritative, palazzi lussuosi e cassonetti dell'immondizia, chiavi che tutti potevano prendere ma che nessuno può avere preso; intuizioni e depistaggi, passi avanti e "passi di lato". Un puzzle che Mancuso ricomporrà per un finale inatteso e ad alta tensione. Il primo degli intriganti casi di Mancuso, già pubblicato da Todaro (Lugano) e IlSole24Ore (Noir Italia). "Tutti quegli scheletri, in parte mummificati, con le bocche aperte sghignazzanti, non erano solo corpi senza vita, erano l'oscena essenza stessa della morte. I cadaveri che vedeva sul lavoro erano di morti, come dire... freschi. Sì, cadaveri freschi di persone che fino a poco tempo prima erano state vive e ora erano solo casi isolati nella quotidiana normalità fatta di una moltitudine di vivi. Morti in rassicurante minoranza. Fenomeni troppo isolati per scalfire la nostra illusione di eternità. Qui invece la situazione si ribaltava rivelando la verità. Quelle bocche urlavano in silenzio: "Guarda che siamo più noi che voi, qui ti aspettiamo, stronzo, dove scappi".
LinguaItaliano
Data di uscita4 lug 2022
ISBN9791221414165

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    Anteprima del libro

    La pietra al collo - Carlo Barbieri

    12 AGOSTO, DOMENICA

    Un altro che dice le stesse cose.

    Il commissario Mancuso della Omicidi fece un’orecchia alla pagina, appoggiò il libro sul tavolo, si alzò e andò ad affacciarsi al balcone del suo ufficio al secondo piano della Questura Centrale.

    In fondo alla piazza, oltre la foresta di palme, in posizione dominante e isolata, la mole massiccia del Palazzo della Regione cuoceva sotto il sole.

    Palazzo della Regione, Palazzo Reale, Palazzo dei Normanni. Nomi diversi per un luogo di potere ininterrotto da duemilacinquecento anni. Quand’era alla scuola media, il professore di lettere aveva accompagnato la classe a visitarlo e, a un certo punto, aveva detto: Ragazzi, questo palazzo ha radici sotterranee. Radici che si infilano dappertutto, sotto la città, dentro le case, nella testa della gente e arrivano a Roma, e magari in America. Radici vecchie, eterne, che si incontrano sotto terra con radici di altre male piante con cui si toccano, si riconoscono, si intricano.

    Era simpatico il professore Runfola e quando aveva parlato sottovoce, con un tono da cospiratore, avevano pensato che volesse scherzare. Solo molto tempo dopo avevano capito che non scherzava affatto. Il professore li aveva poi portati al centro della piazza e aveva chiesto:

    Secondo voi com’è che nella stessa piazza ci sono il Palazzo della Regione, l’Arcivescovato, la Questura Centrale e la Legione dei Carabinieri? Un compagno aveva risposto: Così si parlano meglio, un altro aveva detto: Così ognuno controlla gli altri e lui aveva sparato: Perché è il posto più di lusso di Palermo.

    Il professore aveva riso e aveva risposto: Forse avete ragione tutti e tre.

    Mancuso tornò alla scrivania, si allungò sulla poltroncina con le mani dietro la nuca e i piedi sul tavolo e chiuse gli occhi soddisfatto. Anche quest’anno aveva chiesto di rimanere in servizio ad agosto, e ora se la stava scialando. Perché a Palermo ad agosto non succede mai niente di grosso.

    I ricchi veri e quelli finti, che si impegnavano pure le mutande allo scopo di sembrarlo, e cioè la maggior parte dei palermitani, sgombravano il campo, rimandando ferimenti e ammazzatine al momento del ritorno. Magari con qualche prova in più delle corna e un’abbronzatura pronta a essere valorizzata dalla foto segnaletica. Certo, se criminali e aspiranti criminali di casa se ne andavano da qualche altra parte, c’erano pure criminali e aspiranti criminali che arrivavano a Palermo in trasferta: ma anche loro erano in vacanza, e poi faceva caldo, un caldo che levava lo spinno di agitarsi. Insomma si comportavano bene. Pure i mafiosi da qualche tempo tenevano un profilo più basso del solito e, comunque, le vacanze ormai se le facevano anche loro, anzi, se le facevano belle lunghe, visto che di soldi da spendere ne avevano più degli altri.

    Gli scappò uno sbadiglio.

    Tre quarti del personale della Omicidi era in ferie, inclusi gli ispettori, e lui era venuto a dare un’occhiata, solo un’occhiata. Ripensò al libro che aveva cominciato a leggere.

    – Palermo non è solo nera, caro cometichiami – ragionò sottovoce. – Semmai è come… come una scacchiera. Quadratini bianchi e quadratini neri. Tutto all’eccesso. Non ci cercare i grigi che non li trovi. Per quelli devi andare in Svizzera.

    Aprì gli occhi, guardò l’orologio sulla parete di fronte e li richiuse.

    Adorava quello speciale silenzio di agosto, spesso come i muri dell’antico palazzo. Si era fatto un panino, un’arancina e due bottigliette di birra, e ora sentiva il desiderio di lasciarsi sprofondare dolcemente. Magari cinque minuti, solo cinque, il tempo di…

    Il tempo di mettere la camicia rossa e radunare i suoi, sfoderare la sciabola e guidare la carica giù per le scale e fuori dal portone della Questura, di corsa, attraverso la foresta di palme sempre più fitta, verso il Palazzo della Regione da cui arrivavano fucilate. Correva urlando: Avanti, avanti, per la libertà! Viva l’Italia, catturiamoli tutti quei maledetti. Ma le palme non finivano mai e il palazzo rimaneva lontano, irraggiungibile. Si rese conto che non ce l’avrebbe fatta, allora piegò a destra senza smettere di correre, verso il severo palazzo arcivescovile che occupava parte della stessa piazza, di fronte alla Questura. Le gambe gli diventavano sempre più pesanti e ogni passo gli costava una fatica immensa. Si fermò e guardò indietro ansimando. Era rimasto solo. Riprese ad avanzare, intanto che sentiva la voce del professore Runfola che gridava: Mancuso non hai studiato? Ti spiego di nuovo! La Questura da una parte, il potere politico da un’altra e quello religioso da un’altra ancora. Il potere religioso sta fra gli altri due ma un poco più in là, come per dire ci sono, sono importante ma faccio finta di starmene per i fatti miei. Però sono qui. Qui per che cosa? Per separare, per mediare, per unire? E tre punti non fanno un triangolo? Mancuso, non ti applichi! Mancuso!

    Il portone del palazzo arcivescovile sulla piazza era sbarrato come lo aveva sempre visto, e lui cominciò a bussare furiosamente con il pugno chiuso urlando: Aprite! Aprite!. Dal balcone si affacciò un uomo in tonaca, di cui non riusciva a vedere la faccia, che prese a battersi il petto e a gridare: Miserere nobis! Miserere nobis! mentre dalla balaustra cominciava a colare sangue sulla sua faccia e lui bussava, bussava. Toc, toc, toc… toc… TOC TOC…

    – Dottore. Dottore Mancuso!

    Il commissario Mancuso spalancò gli occhi, li richiuse, se li stropicciò con un gesto che si concluse con una furiosa grattata della testa e guardò l’orologio. – Minchia, davvero cinque minuti soli ho dormito – si lamentò intanto che buttava giù i piedi dalla scrivania e andava ad aprire la porta.

    – Che c’è Tranchina, che è successo?

    Tranchina aveva il dono di portargli sempre le male notizie, e non si smentì. – Un omicidio ci fu dottore!

    Per Mancuso fu come una timpolata in piena faccia.

    – Ma come? Il dodici di agosto? Di domenica? Ma quando fu? Dove?

    – Commissario quando non si sa e forse neanche dove, si sa solo che il corpo l’hanno trovato in buona compagnia.

    – Come in buona compagnia? Omicidio plurimo?

    – No, omicidio singolo con contorno di morti già sepolti e stagionati.

    Mancuso l’avrebbe preso a boffe. Non si era riavuto dal sonno troppo breve né dal brutto sogno, era nervoso per la notizia e ora doveva sopportarsi pure Tranchina che faceva lo spiritoso. Si passò la mano sulla faccia e indicò la sua scrivania. – Senti Tranchina, io ora mi siedo là, tu ti siedi di fronte a me e mi racconti tutto senza metterci neanche una virgola di tuo che sono già incazzato. Forza.

    Il commissario Mancuso tornò alla sua poltroncina e

    Tranchina gli si sedette di fronte rigido rigido.

    – Allora?

    – Allora dottore, il cadavere è di un uomo morto sparato. È stato trovato circa due ore fa nel sotterraneo della chiesa della congregazione delle Anime Purganti. Lo sa qual è? – Mancuso lo guardava con la faccia inespressiva.

    – Quella piccola dottore, sempre chiusa, nella stratuzza che scende verso Ballarò…

    Mancuso sembrava di sale.

    – Insomma quella chiesa là. L’hanno scoperto due impiegati della Sovrintendenza ai Beni Culturali che erano venuti per un normale controllo, dovevano fare un inventario.

    Altra gente che si dava da fare d’agosto. Mancuso finalmente reagì: – Un inventario in agosto? Ma come è possibile, impiegati della Regione che fanno un inventario in agosto, e pure di domenica?

    – E che ne so, dottore. Forse gli pagano straordinari festivi di superlusso, o forse sono appassionati che lavorano magari gratis. Insomma, questi appena sono entrati nella chiesa hanno sentito una strana puzza. Guarda qui, guarda là, alla fine hanno pensato che fossero problemi di fognatura intasata e si sono preoccupati che alle prime piogge si sarebbe allagato tutto e addio beni culturali. Allora hanno pensato: Dove saranno le fognature? Certamente di sotto, e così sono andati a ispezionare il sotterraneo, dove sono seppelliti i confrati.

    – E lì hanno trovato il cadavere.

    – Esatto. L’hanno trovato lì.

    – E di chi è?

    – Dottore pure questo non si sa. Dice che è il cadavere di un uomo nudo sparato in testa, alla nuca per la precisione.

    – E chi lo dice, quelli dei Beni Culturali?

    – No, lo dicono la Scientifica e il medico legale che sono già sul posto.

    – Ah, la Scientifica e il medico legale che sono già sul posto! E magari sul posto sono confluiti pure carabinieri, giornalisti, e magari pure una delegazione del Circolo Canottieri e finalmente qualcuno dice: Che ne dite, avvertiamo pure il commissario Mancuso della Omicidi, aaah? Ma sì, avvertiamolo tanto per rompergli i coglioni, dai.

    – Commissario io non c’entro, a me ora ora l’hanno detto.

    – Va bene, va bene, sul posto arriva subito pure il commissario Mancuso. Di’ a Lo Presti che prenda la macchina che andiamo.

    – Lo Presti è in ferie dottore. Ma che ci deve fare con la macchina, non ce n’è bisogno, qua vicino è.

    – Ah vero è, me lo ero scordato, la chiesa delle Anime Purganti è quella qua vicino – mentì Mancuso che era famoso perché prendeva la macchina pure per fare cento metri. – Va bene, ci vado a piedi. Però prima mi piglio un caffè, aggiunse mentalmente alzandosi ed evitando di guardare Tranchina che se ne stava serio ma era chiaro che se la rideva sotto sotto.

    Imboccò le grandi scale del vecchio palazzo nobiliare che ospitava la Questura Centrale accolto dal caldo soffocante delle due del pomeriggio. Non incontrò nessuno a parte quelli di guardia alla porta. Un minuto dopo svoltava in corso Vittorio Emanuele ed entrava nel bar Marocco, proprio dietro l’angolo, di fronte alla maestosa cattedrale normanna.

    – Buon giorno Mimmo, un caffè per favore.

    – Buon giorno commissario, com’era l’arancina?

    – Un poco ammataffata Mimmo, ma che era di ieri?

    – Ma che dice commissario? E anche quando, gliela andavo a dare proprio a lei un’arancina di ieri? Che dice, se la fa una iris digestiva? Ce ne do una bella calda? Ora ora i niscivu.

    – Digestive, sì, proprio – sorrise Mancuso intanto che abbassava gli occhi sul vassoio con le iris fritte e al forno che scoppiavano di crema di ricotta. Lui lo sapeva benissimo che le avevano appena fatte, il profumo lo aveva sentito appena aveva svoltato l’angolo. Le iris del Marocco erano squisite. Si passò una mano sulla pancia, fece il conto delle calorie ingerite fino a quel momento e decise di barare. – E va bene Mimmo, però dammela al forno che quella fritta è pesante. Il caffè fammelo dopo.

    La vera verità era che il commissario Mancuso sentiva di avere diritto a un risarcimento per essere stato ingiustamente strappato alla calma agostana che aveva tanto sospirato. In altre parole: Debbo andare per forza a vedere un cadavere? E allora mi mangio prima un’iris.

    Al primo morso la crema, profumata e ancora tiepida straripò inondandogli la bocca e costringendolo ad aiutarsi con il tovagliolino di carta che alla fine leccò coscienziosamente.

    Mimmo lo teneva sotto controllo. – Posso andare con il caffè, commissario?

    – Vai Mimmo.

    Altro capolavoro del bar Marocco. Se lo godette a piccolissimi sorsi fermo dietro la porta a vetri del bar, chiusa per non disperdere l’aria condizionata intanto che, come faceva spesso, si ripassava con gli occhi la cattedrale alla ricerca di un particolare di cui non si era mai accorto prima. Ci riuscì, se lo ammirò, posò la tazzina, pagò e uscì soddisfatto intanto che una coppia inglese di minimo ottant’anni l’uno faceva capire a segni a Mimmo che pure loro volevano una iris.

    La chiesa delle Anime Purganti era una delle tantissime costruite a Palermo fra il Seicento e il Settecento ed era sfuggita, a differenza di altre, ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Anche per questo conservava intatto il sotterraneo che ospitava i corpi degli appartenenti alla confraternita che le dava il nome.

    Fuori c’era una volante del commissariato Porta Nuova con un agente a bordo che scriveva e, davanti alla porta della chiesa, un altro agente giovanissimo in compagnia di tre persone che lo guardarono speranzosamente. Si capiva che aspettavano tutti lui. L’agente lo salutò con un:

    – Buon giorno dottore, mi chiamo Sammartano. – Condito con un sospiro e una taliata speciale che volevano dire Giusto le pare dottore che mi è toccato di farmi tutto agosto in servizio? e aggiunse: – Ci sono quelli della Sovrintendenza ai Beni Culturali e il parroco.

    Il commissario tirò dritto senza fermarsi. – Buon giorno Sammartano, buon giorno a tutti, scusatemi solo qualche minuto. – Ed entrò segnandosi come faceva fin da bambino tutte le volte che entrava in un luogo sacro.

    Dentro c’era caldo esattamente come fuori, i vecchi muri avevano ormai perso la battaglia contro il calore estivo, l’avevano assorbito e lo avrebbero mantenuto fino a settembre inoltrato. L’interno era come se lo ricordava. Barocco, letteralmente coperto di stucchi e marmi mischi, due piccole cappelle laterali e pochi quadri alle pareti di cui uno, molto grande, dietro l’altare principale, raffigurava una folla di gente seminuda fra le fiamme, con gli occhi rivolti in alto verso un Cristo benedicente. Dovevano essere le Anime del Purgatorio.

    Come si andava nel cimitero sotterraneo? Medico legale e Scientifica erano sul posto, ma lui non sentiva nessuna voce. C’era solo una puzza inconfondibile.

    Le cappelline laterali erano protette da belle cancellate in ferro battuto. Quella di destra era spalancata, e Mancuso entrò. Sul lato sinistro del piccolo altare, sormontato da un crocefisso, c’era un altro cancelletto di ferro dorato aperto su una scala. Cominciò a scendere facendo molta attenzione. L’illuminazione, assicurata da rade lampadine a incandescenza, era scarsissima e il fetore sempre più insopportabile. Adesso si sentiva bene la voce rauca della dottoressa Martorana, medico legale come suo padre e suo nonno, grande fumatrice e notoriamente interessata più alle poliziotte che ai poliziotti.

    – Io ho finito, la saluto e me ne ritorno a Mondello, visto che il nostro carissimo… Ah qui è, commissario, proprio di lei si parlava, eravamo in pensiero, le abbiamo disturbato il pranzo? Se deve ancora digerire qui c’è l’amaro. – E indicò una massa scura sul pavimento dietro di lei. Mancuso si avvicinò, salutato con un moscissimo: – Commissario… – E un ancor più moscio cenno della mano dal giovane collega della Scientifica che stava già sbaraccando.

    – Buon giorno dottoressa. Buon giorno Gambino. Allora che mi dite?

    – Le diciamo che per quanto mi riguarda ne ho abbastanza di stare qua dentro, carissimo commissario Mancuso. Ci vediamo fuori – rispose la Martorana acida.

    – Guardi che qui sotto è più fresco dottoressa… Già, dimenticavo che lei ha il vizio del fumo e senza non ci sa stare neanche cinque minuti. Come, un medico che di cadaveri ne vede tanti… Ma davvero non riesce a smettere? La

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