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Un'epoca raccontata attraverso una pista da ballo: Biografia del Maestro Walter Santinelli
Un'epoca raccontata attraverso una pista da ballo: Biografia del Maestro Walter Santinelli
Un'epoca raccontata attraverso una pista da ballo: Biografia del Maestro Walter Santinelli
E-book213 pagine2 ore

Un'epoca raccontata attraverso una pista da ballo: Biografia del Maestro Walter Santinelli

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Info su questo ebook

Scopri la storia di Walter Santinelli, pioniere del ballo nato nel 1932 da una famiglia di ballerini. Attraverso la sua vita, viaggia nel ‘900, un secolo di trasformazioni sociali e progressi, esplorando le mode, le musiche e le danze che hanno segnato quel tempo. Dal Tango in Sud America al Ragtime e al Jazz negli USA, passando per il Fox Trot, il Charleston, il Boogie Woogie, il Rock 'n' Roll, Il bebop ed il bughi bughi, Il twist, la Rumba, il Cha Cha Cha, il Paso Doble, la Samba, il Mambo, la Disco Dance e molto altro. Esplora i gusti estetici, le mode, le passioni, tutte accumunate da un unico fattore: la voglia di divertimento che attraversa trasversalmente tutte le generazioni. Nel libro attraverso la vita del maestro potrai rivivere momenti della storia di Roma e d’Italia dal fascismo, all’occupazione tedesca, alle azioni partigiane, alla liberazione fino ai nostri giorni. Rivivrai le emozioni di Cinecittà, l’incontro con Renato Rascel, e Little Tony, il mito della vespa e della lambretta, e la sigaretta come uno Status Symbol del dopoguerra. Il viaggio procede con gli spostamenti urbanistici voluti dal fascismo, da via della Conciliazione alla Garbatella, così come la evoluzione della società industriale con le sue mode e i suoi miti. Un viaggio nella storia vissuta affiancata dai ritmi e dai balli che si sono susseguiti come testimonianza di una società in crescita e in evoluzione.
“Leggere questo libro vi farà innamorare del ballo, della scrittura e della storia d’Italia. Pagina dopo pagina, Sponzilli ci trasporta in un mondo dove inseguire le proprie passioni diventa la cura, e, attraverso il racconto di una vita esemplare, ci insegna ad usare gli ostacoli come trampolini e a trasformare i limiti in orizzonti”. Eugenia Romanelli, Scrittrice
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2019
ISBN9788835344360
Un'epoca raccontata attraverso una pista da ballo: Biografia del Maestro Walter Santinelli

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    Un'epoca raccontata attraverso una pista da ballo - Osvaldo Sponzilli

    Santinelli

    1. I miei primi anni di vita

    Nacqui in un borgo della Roma papalina che non esiste più, era un freddo inverno del 1932, un martedì di febbraio. Lì trascorsi i miei primissimi anni. Ero in piazza Scossacavalli, al centro una fontana marmorea. Lì intorno mossi i primi passi, lì i miei giochi con i bimbi del borgo.

    Ma fu per poco tempo. Correva voce che volessero abbattere la casa di mio nonno dove abitavamo, non ci credevano fino in fondo i miei genitori, ma venne un giorno in cui ci obbligarono ad andarcene. Nonno Paolo abitava lì da sempre, a poche strade dal suo lavoro di decoratore in Vaticano.

    Ricordo quando a cavacecio del mio papà andavamo a piazza San Pietro. Era vicino a casa nostra, attraversate due anguste strade si giungeva in quella piazza maestosa. Avevo la sensazione di entrare in un mondo fantastico. Dai vicoli bui di quella che poi seppi chiamarsi la Spina di Borgo si entrava in un tumulto di luci, un grande uovo avvolgente: il cielo in alto, un cerchio di colonne marmoree, un riflesso abbagliante, un pavimento di lucidi sanpietrini. Al prolungarsi dello sguardo, si stagliava nel cielo un’enorme cupola. Spesso chiudevo gli occhi per non essere travolto da tutta quella luce. Volli ripetere molto spesso il percorso, era per me come un gioco uscire da quell’ultimo muro di una vecchia casa per sentirmi come aspirato in una meraviglia fiabesca. Ricordo che un giorno, approfittando della distrazione del mio papà che parlava davanti casa con lo spazzacamino, presi a correre per i vicoli verso il mio mondo fatato e giunto all’ultimo muro dell’ultima casupola, non trovavo il coraggio di far capolino oltre. Poi dopo un profondo respiro sporsi lo sguardo, subito lo ritrassi, così come in un gioco dove ci si nasconde e poi si riemerge. Un signore che era sulla piazza si accorse del mio divertimento ed entrò in scena anche lui nel fare capolino. Poi mi chiese: dov’è il tuo babbo? Si rese conto che ero da solo, mi prese per mano chiedendomi dove abiti? In quel mentre la voce di mio padre echeggiava tra i vicoli: Walter, Walter dove sei? Il signore mi accompagnò verso mio padre che mi fulminò con lo sguardo, era molto arrabbiato.

    Davanti casa quasi tutti i giorni mi vedevo con due bambine, Anna e Laura, giocavamo a Campana. Con un gessetto, che portava sempre Laura, grazie al padre che insegnava alla vicina scuola Pontificia Pio IX, disegnavamo le dieci caselle, poi via con il lancio del sassolino. Bisognava saltellare con un solo piede di casella in casella, senza mai entrare in quella occupata dal sassolino. Quando due caselle erano affiancate si poteva atterrare con entrambi i piedi. Giunti alla decima senza errori ci si girava per tornare indietro con le stesse regole. Io vincevo quasi sempre con rabbia delle due amichette. Quando il tempo era bello passavamo così diverse ore delle nostre giornate.

    Di lì a poco dovemmo andar via da quella casa. Era il tempo della guerra e le uniche cose che si trovavano erano le camere ammobiliate. Ci spostammo molto lontano dai borghi di San Pietro e dai rioni alla ricerca di affitti accessibili. Trovammo una camera in periferia estrema, al di là di Porta Furba, tra orti e marane, in una zona di recente edilizia popolare. Si chiamava Torpignattara.

    Torpigna, come la chiamano gli abitanti, si raggiungeva con un trenino che esiste tuttora. Lo prendevamo di lato alla stazione Termini. Era un viaggio ogni volta che dovevamo andare in centro. Il quartiere oltre che da sfollati come noi era abitato da molti emigrati meridionali che lavoravano in zona per la Pantanella e la Snia. Era una zona rossa, roccaforte della resistenza antifascista. Sebbene mio padre fosse un antifascista, non ci sentivamo a nostro agio nella camera di Torpignattara, così che di li a poco trovammo un’altra sistemazione che ci riportò verso San Pietro: via dell’Argilla.

    Ricordo poco di quel periodo, a parte che un giorno il mio papà mi portò a Cinecittà. Fu un viaggio arrivarci, ma poi il divertimento fu grande. Un mare di persone, dirette da alcuni signori in pantaloni corti e berretto, dovevano spostarsi su delle scene molto particolari, sembrava un gioco. Eravamo sul set di Giovanni Serra Pilota. Noi tra le comparse, un mare di gente che si dirigeva esultante verso un aeroplano appena atterrato. Poi, a fine giornata, tutti in fila, io compreso, di soli quattro anni e mezzo, per essere pagati. Pensavo che mio padre mi prendesse in spalla, ero distrutto e sudato da tutto quell’andirivieni, invece disse, mettiti dietro me che mo ce pagano. Intravedevo un signore dietro un banchetto di legno, sopra piccole torri di monete, che distribuiva a ciascuno, di soldi di carta neanche l’ombra. Ci vollero circa quaranta minuti per riscuotere e andar via, ma furono i primi soldi guadagnati nella mia vita, anche se poi il mio papà me li chiese. Erano tempi in cui il denaro serviva per le prime necessità. Tanta gente era in difficoltà economica e si faceva qualsiasi tipo di lavoro per riuscire a campare.

    @La Spina di Borgo

    Roma ora viene vista come una città per ricchi, ma attraverso i secoli è stata sempre una città di poveri, se escludiamo il papato e le grandi famiglie nobiliari.

    La vita si svolgeva tra i Borghi ed i Rioni, di qua verso San Pietro i borghi occupavano lo spazio tra Castel Sant’Angelo e l’Area Vaticana, di là del Tevere i Rioni.

    Il regime fascista fece delle scelte architettoniche che stravolsero varie aree della città, così come la creazione di via dei Fori Imperiali che implicò vaste demolizioni. Altrettanto avvenne per le zone dei borghi di San Pietro. In realtà già dall’inizio dell’Ottocento Giuseppe Valedier aveva previsto l’abbattimento di quella che veniva etichettata come la spina di borgo. Si trattava di due strade con dei caseggiati che nel loro insieme disegnavano una spina con apice verso il Tevere e Castel sant’Angelo. Il tempo si fece maturo quando in ballo entrò la riconciliazione con la Santa Sede. Aprire un varco che collegasse la Roma antica rappresentata da Castel Sant’Angelo e la meraviglia architettonica di Piazza San Pietro era d’obbligo. La firma dei Patti Lateranensi dell’11 febbraio del 1929 prevedeva questa rivoluzione architettonica. Nel 1935 Marcello Piacentini e Attilio Spaccarelli furono incaricati di studiare le possibilità dell’intervento. E in un solo anno, tra il 29 ottobre 1936 e l’8 ottobre 1937, la spina fu cavata. Mussolini in persona, dal tetto di una di quelle case medioevali, affondò la prima picconata. Così nacque via della Conciliazione.

    Quest’opera però stravolse il tessuto urbano dei borghi tradendo l’intenzione del Bernini che voleva far tuffare lo sguardo dello spettatore su San Pietro come scenario improvviso di incomparabile bellezza che si apriva dietro le quinte di vecchie costruzioni di epoca medioevale. La Spina era appunto l’insieme di vicoli che si dipanavano da piazza Scossacavalli e portavano verso lo scenario della piazza.

    @Cinecittà

    Fu il simbolo dell’impulso cinematografico che Mussolini volle dare all’Italia in contrapposizione alla cinematografia americana. Carlo Ronconi, proprietario della SAISC (Società Anonima Italiana Stabilimenti Cinematografici), che nel 1935 aveva rilevato la società cinematografica CINES, i cui studi erano stati distrutti da un violento incendio, comprò in zona tuscolana 6000mq. di terreno su cui, nel 1936, in soli undici mesi nacque Cinecittà. Dopo soli due anni Ronconi morì e gli stabilimenti in deficit di bilancio furono rilevati dallo Stato.

    Durante la guerra la produzione cinematografica che era anche strumento di propaganda del regime, continuò fino al 1943 quando, con la nascita della Repubblica Sociale Italiana, il cinema fascista si trasferì a Venezia nei padiglioni della Biennale. Nel dopoguerra l’attività di Cinecittà riprese lentamente fino al suo culmine negli anni Cinquanta con le produzioni americane. Con la nascita della televisione negli anni sessanta e la crisi dell’industria cinematografica italiana Cinecittà si avviò verso un veloce declino.

    @Il film: Giovanni Serra Pilota

    Amedeo Nazzari è stato l’autore che più di qualunque altro si è identificato con il ventennio fascista ed il suo cinema di propaganda. La sua corporatura alta e possente fu sfruttata dal regime per celebrare i trionfi coloniali e bellici. Attore di teatro fu notato da Anna Magnani moglie del regista Goffredo Alessandrini, che gli diede un ruolo di protagonista nel film Giovanni Serra Pilota girato a Cinecittà tra il 1937 e ‘38. È la saga di un ex pilota della Grande Guerra che lasciando moglie e figlio cerca gloria in sud America, ma scompare durante una trasvolata oceanica. Anni dopo, arruolatosi sotto falso nome nell’esercito, salverà in Etiopia la vita al figlio nel frattempo divenuto ufficiale pilota.

    2. Un trasloco continuo

    Da via dell’Argilla a piedi col mio papà in cinque minuti eravamo al borgo dove avevamo abitato per i miei primi tre anni di vita. Era tutto diventato irriconoscibile, un enorme cantiere con camion militari che portavano via macerie di case demolite. La mia non c’era più! Le stradine delle meraviglie che avevano visto la mia gioia di bimbo, così come la piazza e la chiesa, il nulla del nulla, tutto scomparso, meno la fontana che era sotto un ammasso di stracci e giornali impolverati. Mio padre chiese a degli operai se avrebbero distrutto anche quella: dissero di no e che probabilmente sarebbe rimasta lì al centro della via che stavano costruendo. Quanto piansi per aver perso quei posti della memoria! Mi feci promettere che mi avrebbe portato a rivedere la fontana quando i lavori sarebbero finiti.

    Alla piazza di San Pietro si arrivava attraverso lo squarcio di tutta quella demolizione, stavano costruendo un’enorme strada. Purtroppo mio padre non poté mantenere la promessa, perché quando, dopo qualche anno ritornammo, la fontana era scomparsa, era stata messa nei magazzini del Comune. Ho potuto rivederla solo a 26 anni in Piazza Sant’Andrea della Valle.

    Quando abitavo a via dell’Argilla, a due pasi dalla stazione ferroviaria di San Pietro, un giorno mi svegliai e vidi tutta la nostra strada bianca: la neve cadeva fittissima, era febbraio, la vigilia del mio compleanno. Avevamo finito il carbone per la cucina economica e per il braciere, faceva molto freddo. Mio padre era andato a Cinecittà insieme a mio zio per i soliti lavori generici di comparsa con cui sbarcare il lunario, mia madre soffriva di geloni ed aveva difficoltà a muoversi quel giorno, per cui mi diede l’incarico di andare dal carbonaio a fare rifornimento. Mi vestii pesante e scesi. La neve picchiava forte, lungo la strada una palla mi prese in piena nuca, era un ragazzo del vicinato con cui mi vedevo a volte ai giardinetti di Piazza Adriana. Mi girai e nacque una piccola battaglia. Poi iniziai con lui a fare un bellissimo pupazzo. Mi ero completamente dimenticato del mio incarico, finché una vicina di casa passò di là e mi resi conto che era trascorsa quasi un’ora. Via dal carbonaio. Quando entrai non c’era nessuno, ma dopo un attimo comparve da dietro il negozio sporco in volto di polvere di carbone. Entrambi ci riconoscemmo: era il signore che qualche anno prima avevo incontrato a piazza San Pietro quando, scappato dal controllo di mio padre, mi ero avventurato per i vicoli del borgo.

    Fu molto gentile e mi accompagnò con il carico di carbone fin sotto il portone di casa.

    Trovai mamma un po’ preoccupata per tutto quel tempo trascorso, non ricordo che scusa inventai.

    Il giorno dopo era il mio compleanno, zio Carlo arrivò col suo furgone pieno di tanti giocattoli. Lavorava alla Upim e quelli che mi regalava venivano da lì, erano gli scarti.

    Non so se me ne rendessi conto, certo è che mi divertivo a romperli e buttarli dal balcone.

    La primavera di quell’anno andavo con mamma spesso alla Mole Adriana ai giardinetti sotto Castel Sant’Angelo. Sono su due livelli, uno più alto e poi in basso un fossato, che nell’antichità, inondato di acqua serviva per la difesa del castello. Lì giocavo con altri bambini e mi divertivo a infilarmi nei sottopassi che congiungevano il fossato esterno da quello che faceva da cinta al castello, entrambi trasformati in giardini con panchine. Lì mia madre conobbe una signora che un giorno presentò a zio Carlo. Si innamorarono e si sposarono, cosicché diventò per me zia Pina. Giocavo spesso con suo fratello piccolo Tonino, era del ‘32 come me.

    Anche via dell’Argilla fu per poco, il nostro giro delle sette chiese continuò. Ora ospiti da un amico di papà a Trastevere in vicolo del Cinque, ora da una mia zia in piazza San Salvatore in Lauro. Finché finalmente arrivammo ad avere una casa tutta per noi in pieno centro, via della Vetrina, una

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