Di morire libera: La vita ardente di Michelina Di Cesare, briganta
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Di lei si tramandano foto false realizzate in studio con una modella, a soddisfare la famelica curiosità voyeuristica del tempo, che con triste ironia diventano – e restano fino a oggi – il simbolo di una rivolta in chiave femminile agli abusi sabaudi. Ma l’unica vera foto di Michelina è un’immagine terribile, che la ritrae dopo l’uccisione, a seno scoperto e incinta.
Ma chi era davvero questa donna? Qual è la sua parabola e perché è necessario salvarla dall’oblio?
Monica Mazzitelli ricostruisce la storia epica e vera di una donna memorabile, in un romanzo incalzante, modernissimo, a tratti sanguinoso e lurido, femminista e anarchico, potente e scritto «con le lacrime sempre in tasca».
Introduzione di Vincenzo Di Brango
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Anteprima del libro
Di morire libera - Monica Mazzitelli
Indice
Introduzione (di Enzo Di Brango)
Premessa dell’autrice
PARTE PRIMA ≈ PRIMAVERA
Vienna 5 ottobre 1860
Caspoli – Terra di Lavoro (attuale zona dell’Alto Casertano) 5 ottobre 1860
Vienna Due ore più tardi
Caspoli – Terra di Lavoro 16 ottobre 1860
Roccamonfina – Terra di Lavoro 30 marzo 1862
Frignano – Terra di Lavoro Il giorno dopo, 31 marzo 1862
Caspoli – Terra di Lavoro Stesso giorno, 31 marzo 1862
Roccamonfina – Terra di Lavoro Stesso giorno, 31 marzo 1862
Caspoli – Terra di Lavoro 28 aprile 1862
Comunicazione segreta del 29 aprile 1862
Caspoli – Terra di Lavoro 11 maggio 1862
Mignano – Terra di Lavoro Il giorno successivo, 12 maggio 1862
Galluccio – Terra di Lavoro La stessa sera, 12 maggio 1862
Caspoli – Terra di Lavoro 16 luglio 1862
Mignano – Terra di Lavoro Stessa sera, 16 luglio 1862
Caspoli – Terra di Lavoro Il giorno dopo, 17 luglio 1862
Comunicazione segreta del 16 agosto 1862
Vienna 18 marzo 1863
Vallemarina, Roccamonfina – Terra di Lavoro 22 agosto 1863
Caspoli –Terra di Lavoro 26 agosto 1863
Mignano – Terra di Lavoro 27 agosto 1863
Terra di Lavoro Stesso giorno, 27 agosto 1863
Caspoli – Terra di Lavoro Cinque ore dopo
Conca della Campania – Terra di Lavoro 30 agosto 1863
Terra di Lavoro Stesso momento
San Clemente – Terra di Lavoro Un’ora più tardi
Campo – Terra di Lavoro Il giorno dopo, 31 agosto 1863
Mignano – Terra di Lavoro 12 ottobre 1863
Mignano – Terra di Lavoro 22 ottobre 1863
Mignano – Terra di Lavoro Stesso momento, 22 ottobre 1863
Caspoli – Terra di Lavoro 28 ottobre 1863
Vienna 29 ottobre 1863
Bosco del Torcino – Terra di Lavoro 31 ottobre 1863
Baia – Terra di Lavoro 10 novembre 1863
Dintorni di Caspoli – Terra di Lavoro 16 dicembre 1863
Comunicazione segreta del 21 dicembre 1863
Veroli – Stato Pontificio 22 dicembre 1863
Vienna 22 dicembre 1863
Bosco di Misurso, dintorni di Mignano – Terra di Lavoro 11 gennaio 1864
San Biagio – Terra di Lavoro 14 febbraio 1864
Matese – Terra di lavoro 2 marzo 1864
Mainarde – Terra di Lavoro Stesso giorno, 2 marzo 1864
Matese – Terra di lavoro Pomeriggio
Dintorni di Mignano – Terra di Lavoro 15 aprile 1864
Picinisco – Terra di Lavoro 17 aprile 1864
Comunicazione segreta del 19 aprile 1864
Tuoro – Terra di Lavoro 19 aprile 1864
PARTE SECONDA ≈ ESTATE
Monte Cesima – Terra di Lavoro 25 aprile 1864
Monte Morrone – Terra di Lavoro 26 aprile 1864
Vicinanze di S. Castrese – Terra di Lavoro 30 aprile 1864
Monte Morrone – Terra di Lavoro 8 maggio 1864
Sant’Ambrogio sul Garigliano – Terra di Lavoro, confine con lo Stato Pontificio 20 maggio 1864
Comunicazione segreta del 23 maggio 1864
Mignano – Terra di Lavoro 15 giugno 1864
Lettera della baronessa Longsite a Gaetano de Vendittis Vienna, 15 giugno 1864
Bando pubblico del 25 giugno 1864
Mainarde – Terra di Lavoro 29 giugno 1864
Cervinara – Terra di Lavoro 30 giugno 1864 Verbale dell’interrogatorio di Maddalena Cioffi
Caspoli – Terra di Lavoro 30 giugno 1864
Mignano – Terra di Lavoro Il giorno dopo, primo luglio 1864
Monte Cesima – Terra di Lavoro Stesso giorno, primo luglio 1864
Lettera di Mario Coraglia alla fidanzata Claudia Bevione
Roccamonfina – Terra di lavoro 15 luglio 1864
Veroli – Stato Pontificio 25 agosto 1864
Roccaguglielma (attuale Esperia) – Stato Pontificio 24 settembre 1864
Comunicazione segreta del 25 settembre 1864
Dintorni di Sora – Terra di Lavoro 4 ottobre 1864
Dintorni di Sangermano (attuale Cassino) – Terra di Lavoro Il giorno dopo, 5 ottobre 1864
Bosco delle Mainarde – Terra di Lavoro 7 ottobre 1864
Vienna 7 ottobre 1864
Bosco delle Mainarde – Terra di Lavoro 8 ottobre 1864
Galluccio e Caspoli – Terra di Lavoro 7 novembre 1864
Lettera di Mario Coraglia alla fidanzata Claudia Bevione
Comunicazione segreta del 15 novembre 1864
San Biagio – Terra di Lavoro 10 dicembre 1864
Mignano – Terra di Lavoro 18 dicembre 1864
Comunicazione segreta del 22 dicembre 1864
Santa Francesca – Stato Pontificio 25-26 dicembre 1864
Grotte di Picinisco – Terra di Lavoro 31 gennaio 1865
Campo – Terra di Lavoro 7 marzo 1865
PARTE TERZA ≈ AUTUNNO
Dintorni di Veroli – Terra di Lavoro 9 aprile 1865
Dintorni di Veroli – Terra di Lavoro La mattina dopo, 10 aprile 1865
Dintorni di Veroli – Terra di Lavoro La mattina dopo, 11 aprile 1865
Vienna Stesso giorno, 11 aprile 1865
Teano – Terra di Lavoro 30 aprile 1865
Comunicazione segreta del 30 aprile 1865
Prefettura di Terra di Lavoro – Telegramma Circolare del primo maggio 1865
Dintorni di Sora – Terra di Lavoro 4 maggio 1865
Picinisco – Terra di Lavoro 5 maggio 1865
Pozzilli (Matese) – Terra di Lavoro 17 maggio 1865
Mignano – Terra di Lavoro 24 maggio 1865
Picinisco – Terra di Lavoro 26 maggio 1865
Mignano – Terra di Lavoro 28 maggio 1865
Comunicazione segreta del 16 giugno 1865
Picinisco – Terra di Lavoro 26 giugno 1865
Telegramma ufficiale del 16 luglio 1865
Telegramma ufficiale del 24 luglio 1865
Santa Francesca – Stato Pontificio 27 agosto 1865
Comunicazione segreta del 2 settembre 1865
Mignano – Terra di Lavoro 6 settembre 1865
Grotte di Cauto – Stato Pontificio Stesso giorno, 6 settembre 1865
Grotte di Cauto – Stato Pontificio 24 settembre 1865
Colleberardi – Stato Pontificio 7 ottobre 1865
PARTE QUARTA ≈ INVERNO
Mignano – Terra di Lavoro 23 agosto 1868
Lettera di Mario Coraglia alla fidanzata Claudia Bevione Mignano, 23 agosto 1868
Pozzilli – Terra di Lavoro 25 agosto 1868
Caspoli – Terra di Lavoro 30 agosto 1868
Rapporto del comando generale delle truppe per la repressione del brigantaggio nelle province di Terra di Lavoro, Aquila, Molise e Benevento
Lettera della baronessa Longsite al marchese Vincenzo di Brango
Non sono quella della foto in posa
Ringraziamenti
Buck è la collana di narrativa di Lorusso Editore.
Il richiamo delle storie, una foresta di idee.
Monica Mazzitelli
DI MORIRE LIBERA
La vita ardente di Michelina Di Cesare, briganta
Introduzione di Enzo Di Brango
2019, Lorusso Editore
Quest’opera è stata rilasciata sotto la licenza Creative Commons.
Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 3.0 Unported.
Licenza consultabile in rete sul sito www.creativecommons.org
COPERTINA: Sabrina Ramacci
EBOOK: Giovanni Caprioli
ISBN 978-88-94442-72-4
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Luigi Lorusso Editore
Via Enzo Benedetto 18
00173 Roma
info@lorussoeditore.it
www.lorussoeditore.it
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Introduzione
di Enzo Di Brango[1]
Parlare di brigantaggio è stata, per molti anni, una impervia sfida storiografica che lentamente, se non è stata vinta, è stata almeno foriera di nuove opportunità che storici ostinati e caparbi, variamente controcorrente, hanno saputo cogliere per ricostruire un quadro che si è tramandato monco con la complicità di quei custodi di sepolcri imbiancati del potere che ogni epoca ha prodotto in quantità industriale. E, tuttavia, credo che ci sia ancora molto da profondere in impegno e ricerca perché ogni tessera di questo complicato puzzle possa ritrovare il suo incastro naturale.
Questo perché un certo modo predefinito per imporre (e non per fare) cultura ha artefatto, falsificato l’immaginario collettivo della quasi totalità delle persone che, davanti a un libro, a un racconto, rimanda il pensiero meccanicamente a stereotipi che spesso non ci aiutano, moltiplicando luoghi comuni dei quali sarebbe bene liberarsi definitivamente.
Già solo pensando alla nostra storia recente, se parliamo di guerra ci vengono in mente, come prima immagine, i nostri soldati nelle trincee; se parliamo di Biennio Rosso è immediata l’immagine dei picchetti con gli operai sventolanti rosse bandiere; se parliamo dell’Unità d’Italia è impossibile non avere come riferimento Garibaldi e i suoi Mille giovani in camicia rossa. E le donne? Non ci corre per la mente, almeno come impatto immediato, che il mondo tutto, senza le donne non esisterebbe?
«Parlando delle donne e della loro storia» ha asserito Arlette Farge «non si tratta neppure di riempire uno spazio bianco perché non c’è nessuno spazio bianco da riempire: bisogna solo ripassare con la matita nera i segni cancellati il cui tracciato è, però, ancora bene individuabile, di un disegno di cui nessuno si è preoccupato mai»[2].
Mi piace pensare che Monica, con questo romanzo, abbia iniziato a ripassare con la matita nera i segni cancellati
da una storia di parte e da una storiografia incline alla cancellazione di genere. Certo, non siamo di fronte a un’incursione violenta del tema donna
come soggetto storico, più semplicemente Di morire libera è il racconto di donne e uomini che, insieme, vivono, combattono, uccidono e muoiono in una relazione naturale e così poco attenzionata nelle forme sociologiche più coerenti: i rapporti di potere interno, il lavoro e la sua necessaria divisione e condivisione e le stesse forme di riproduzione della specie che il lettore troverà ben descritte nel romanzo. Insomma, anche sul brigantaggio le consuete forme di vita quotidiana, fatte di attività primarie come mangiare, dormire, giocare, amare, ecc. rispondono allo schema immaginario del barbuto in ciocie, con moschetto, pugnale e il cervone ben calato sulla testa, riservando alla donna il ruolo che la storiografia per troppo tempo ha tentato di assegnarle: nella migliore delle ipotesi obbediente servitrice, nella maggioranza degli altri casi prostituta e assatanata di sesso.
Sfido qualunque storico, qualunque appassionato ricercatore a fornire notizie, informazioni e documenti sulla condizione femminile (e non solo dell’Ottocento ma anche dei secoli precedenti) derivanti da testimonianze dirette delle donne.
«Sui tentativi di organizzazione autobiografica della propria esistenza da parte delle donne» sostiene, a ragione, Marina Vitale «[…] continua a gravare una doppia interdizione: di sesso, oltre che di classe; un’interdizione profondamente interiorizzata dalle donne stesse, un’inibizione psicologica che agisce più e prima dell’incapacità tecnica di scrivere o anche solo di ordinare materialmente la propria storia»[3].
Sul fenomeno del brigantaggio post-unitario se solo avessimo potuto fruire di note autobiografiche avremmo potuto meglio precisare un quadro che di per sé, grazie agli accurati e minuziosi studi di genere, è già abbastanza definito[4].
Anche per questo motivo, con Valentino Romano, in un recente saggio abbiamo potuto sostenere che
L’irrompere delle donne in maniera massiccia e diretta nella rivolta contadina post-unitaria, assegna alla rivolta una connotazione generalista, dove, almeno per tutta la durata della guerra, le differenze di genere si assottiglieranno sensibilmente, a tratti scomparendo dal contesto sociale, sottraendo così l’esclusiva di avanguardia al sesso maschile. Partendo da un’originaria funzione di supporto meramente logistico alle varie reazioni dell’universo contadino maschile […] le donne del brigantaggio
giungono ad elaborare un ruolo autonomo di partecipazione diretta alle reazioni stesse. È un ruolo assolutamente inedito che trova i suoi naturali presupposti nella pulsione ad agire l’odio all’esterno del focolare domestico, l’odio di classe e di condizione maturato all’interno della situazione esistenziale delle classi subalterne, nella condivisione delle motivazioni e delle modalità della lotta, insomma nell’identificazione con il pensiero contadino ribelle[5].
Un odio sedimentato nel tempo, iscritto per secoli nel DNA delle donne, che si alimenta gradualmente nella quotidianità famigliare. Scrive Pani-Rossi a proposito della donna di quei tempi:
non cemento della famiglia, ma innocente cagione o pietra di discordie. S’adagia così a non avere mai voleri, all’oblio, allo sfregio d’ognuno: le rimane solo fibra a patire strazio pe’ figliuoli suoi i quali le sfuggono da ogni tutela, appena grandicelli: usansi a dimenticarla, anch’essi. A imitazione del genitore del quale prima fu arnese di voluttà, poi madre e mucca de’ figli: per breve ora massaia: da ultimo ancella. […] Queste infelici da sempre abituate a mangiare in disparte e mai nel desco comune, pane inferrigno od ammuffito, cipolla od erbe fetulenti, e che erano seconde anche al porco, allevato con cura sotto gli amorosi sguardi del padre-famiglia, del quale [era] la sola gioia, il solo tesoro, anzi il sostegno[6].
Perché il contesto possa essere ben presente al lettore sarà necessario, prima di tutto, dare un quadro del brigantaggio post-unitario che insanguinò le regioni meridionali all’indomani della realizzata unità della nazione da parte di Garibaldi prima e dell’esercito piemontese immediatamente a seguire.
Gli storici sogliono, nella quasi totalità, dividere il fenomeno in due grandi momenti di fatto in continuità, se non addirittura sovrapposti tra la fine del primo e l’inizio del secondo. Abbiamo una prima grande reazione, tra l’autunno del 1860 e l’inverno del 1861, che si manifesta quasi esclusivamente nelle zone di confine tra il Regno delle due Sicilie e lo Stato Pontificio.
È il cosiddetto Brigantaggio politico che assume un dichiarato carattere legittimista anche se, come ammonisce Molfese, bisogna «in questo quadro stabilire in qual misura i piani della reazione
borbonico-clericale si sovrapposero agli spontanei movimenti contadini»[7].
Tale reazione si esaurirà con la cattura e la fucilazione (dicembre 1861) del generale carlista Josè Borges, che aveva tentato di unificare le bande che si erano man mano formate in diversi territori del meridione. Resterà, per il tempo a seguire (più o meno un decennio), come ricorda Molfese: «il fondamento psicologico di massa» di una reazione politica nella «violenza delle successive reazioni
, del conseguente sviluppo della protesta armata e del brigantaggio»[8] che, in realtà, non avranno più nulla a che vedere con il legittimismo borbonico se non come giustificazione anti-sabauda.
Già in coincidenza della proclamazione dello Stato unitario (17 marzo 1861), si cominciano a evidenziare i prodromi della seconda fase, quella detta del Grande Brigantaggio:
tutto il mondo contadino è ormai in rivolta, i cafoni scendono direttamente in campo, anche con connotazioni politiche opposte e sfumature diverse […], ma sempre e soprattutto animati dalla medesima ansia di riscatto e di riappropriazione delle terre: nella Calabria silana, negli Abruzzi, nel Cilento, nella Daunia, nel Beneventano, in Terra di Bari, in Irpinia, nel Sannio, in Sicilia e nella Basilicata divampa il fuoco della rivolta cafona che lotta per la sua terra e che, per conquistarla, non si cura più di tanto di doverla bagnare del suo sangue[9].
Michelina Di Cesare agirà nei territori che per primi si rivoltano contro il nuovo ordine, in quella zona dell’alta provincia di Caserta che sarà una polveriera per tutto un decennio.
La nostra imbocca un percorso ribelle ancor prima che il brigantaggio stesso la fagociti. Monica ne delinea sapientemente il carattere, come solo una donna può descrivere un’altra donna; non trascura la storia, anzi approfondisce i fatti negli archivi e nelle biblioteche pubbliche e private, ne lascia prova a ogni capitolo, citando date, fatti e personaggi che realmente sono attori e comprimari della storia sanguinosa che racconta. E ne parla e si confronta costantemente con me e con altri scrittori che del Meridionalismo hanno fatto ragione di vita e che da sempre sono a distanza di sicurezza da quelle posizioni posticce che, soprattutto negli ultimi anni di recrudescenza della destra populista, tentano di spacciare quella terribile rivolta contadina per una santa guerra per il trono e per l’altare
. E di Michelina coglie gli aspetti fondamentali, lascia intendere al lettore quella veloce progressività che assume la sua indole, esterna
alle convenzioni già dall’adolescenza.
Umanizza anche l’immagine di Ciccio Guerra e Domenico Fuoco che non furono teneri agnellini ma nemmeno solo rabbia e ferocia. Ricorda che Michelina impara a leggere e scrivere – cosa rara in quegli anni per le donne di popolo – e, nel contempo, si dedica a piccoli furtarelli per necessità, quelli che, alcuni anni dopo, verranno catalogati da una corrente anarchica come teoria e pratica del bisognismo
e che, ai nostri tempi, potremmo tranquillamente definire come piccoli espropri proletari dettati dalla necessità di sopravvivere.
Una sorta di Antigone protomoderna che, autoespulsasi dall’ordine sociale stabilito, non avverte più alcun dovere di rispettare le leggi di uno Stato che non riconosce. Obbedirà ad altre leggi, Michelina, alle leggi degli affetti e del bisogno che ha alimentati nel cuore ma che collidono, inesorabilmente, non solo con le leggi scritte e in vigore ma, proprio perché vigenti, con l’intero sistema di giustizia. Un’anarchia intima, probabilmente mai percepita, ma assolutamente evidente anche nel suo ultimo atto che Monica definisce, con sottile paradosso, atto di libertà. Non è un caso che l’Antigone stessa, come dramma di Sofocle, abbia avuto numerosi rifacimenti in chiave libertaria contro i regimi.
La libertà non consiste tanto nel fare la propria volontà quanto nel non essere sottomessi a quella altrui
ha scritto Rousseau e, di fatto, se i bersaglieri ubbidirono a un ordine e l’uccisero, a Michelina fu concessa una libertà di scelta: quella di morire libera.
Quando morto sarò una sera / nessuno mi piangerà / non rimarrò sotto terra / son vento di libertà, recita un verso di Ernesto Che Guevara e Monica Mazzitelli ci lascia una Michelina Di Cesare immortale, non un’eroina né una rivoluzionaria, ma un vento ribelle, un vento che soffia libertà e di cui sentiamo tanto il bisogno in questi tempi.
Roma, 22 agosto 2019
[1] Enzo Di Brango è romanziere e saggista. Tra le sue opere, L’Italia si cerca e non si trova (Qualecultura, 2012), Brigantaggio e rivolta di classe (Nova Delphi, 2017) scritta a quattro mani con Valentino Romano e Con le migliori intenzioni (Nova Delphi, 2019). Il suo romanzo L’arca della salvezza (2015) è stato finalista al Premio letterario Mario Luzi nel 2015. Collabora, come recensore editoriale, con l’edizione italiana di Le Monde diplomatique.
[2] Arlette Farge, La storia senza qualità, Essedue edizioni, Verona, 1981, p. 17.
[3] Marina Vitale, Una donna dalla memoria lunga: la scrittura autobiografica dal basso, in A. Arru e M. T. Chialant, Il racconto delle donne. Voci, autobiografie, figurazioni, Liguori, 1990, p. 93.
[4] Sul brigantaggio al femminile si veda l’autorevole saggio di Valentino Romano Brigantesse: donne guerrigliere contro la conquista del Sud (1860-1870), Controcorrente, 2007 e il più agile Maurizio Restivo Ritratti di brigantesse: il dramma della