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Il mio nome è scritto nel libro della vita: Autobiografia
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E-book107 pagine1 ora

Il mio nome è scritto nel libro della vita: Autobiografia

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Info su questo ebook

Trattasi dell’autobiografia di una donna emigrata che ripercorre la sua esistenza imparando ad esprimersi attraverso la scrittura, al fine non solo di raccontare, riordinare e meditare, ma di testimoniare facendo luce sul proprio caso che in passato fu giudicato “clinico”.
Attraverso queste pagine si intuiscono la necessità e l’impegno a spezzare la catena della sofferenza, imparando a coltivare autostima e rispetto, indispensabili per la realizzazione di sè.

Solo l’amore guarisce la ferita del non essere amati.
LinguaItaliano
Data di uscita3 feb 2014
ISBN9788868856557
Il mio nome è scritto nel libro della vita: Autobiografia

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    Anteprima del libro

    Il mio nome è scritto nel libro della vita - Antoaneta Simionescu

    Prefazione

    La scrittura è uno strumento terapeutico, i pensieri si fermano in frasi, i ricordi si organizzano in modo da essere comunicati.

    Anche se siamo soli, quando scriviamo, immaginiamo sempre un lettore, anche solo noi stessi che rileggiamo quello che abbiamo scritto.

    Questa operazione, inoltre, serve a prendere distanza da quello che è scritto; anche se in un’autobiografia, il soggetto che scrive la propria storia per così dire oggettiva (se stesso), crea un personaggio di un romanzo, anche se il romanzo è quello della propria vita, si dice appunto: la mia vita è un romanzo!

    A volte ci illudiamo di essere noi a scrivere quel romanzo, a volte ci rendiamo conto che gli eventi che ci hanno intercettato nella nostra traiettoria di vita non sempre li abbiamo determinati noi.

    Così la storia di Antoaneta, che ora, con una lingua non sua ma lingua materna, ripercorre la sua biografia cercando un significato a tutti gli eventi che le sono occorsi.

    C'è un interrogativo che apre il racconto: chi sono io? Un interrogativo gigantesco, perché apparentemente ciascuno di noi ha una risposta superficiale: sono il tal dei tali, sono nato nel tal luogo dal sig. X e dalla signora Y ma più profondamente chi siamo non lo sappiamo. Così Antoaneta sa che è stata trovata in una stazione.

    Il Poliziotto Lenta Costantin trova una bambina di 10/11 mesi con pelle olivastra fra stracci sporchi sostenuti da una corda. Sotto la corda un biglietto di entrata nella stazione, con la scritta Margaret Antoaneta. Questa vicenda personale esemplifica che la vita è essere gettati nel mondo come dice Heidegger e non possiamo scegliere come e dove, ma questa bambina ha un plus di sofferenza, accanto al trauma della nascita, subisce il trauma dell'abbandono. Questo trauma la accompagnerà costantemente, attraverso le vicende dell'istituzione totale per bambini.

    L'orfanotrofio della Romania socialista. I medici interpretano tutto attraverso la biologia, Spiz e i suoi studi sulla deprivazione materna c'erano già stati, ma in quell'Istituto no.

    Come si sopravvive all'abbandono in età infantile? Si può, ma tutta una costruzione di possibilità, di mondi possibili, che non sono reali, ma vivere l'impossibile, vivere il fantastico, vivere nel sogno, permette di sopravvivere, questo un po' quello che ci racconta Antoaneta, e parla di se in terza persona, parla di Gabi, e vede quello che fa Gabi nell'istituzione, cosa sente Gabi quando viene adottata e così via.

    Anche la vita nella famiglia borghese di adozione viene vista attraverso gli occhi di Gabi, soprattutto il rapporto con la mamma adottiva che risulta essere problematico. La mamma che viene vissuta come troppo attenta alla forma e poco affettiva. È interessante anche l’interrogativo intorno all’origine gitana di Gabi ed anche ai pregiudizi che si vivevano in quella famiglia e in quel quartiere sugli zingari.

    Terribile il momento del ricovero con la puntura lombare, il lettore vive totalmente l'abbandono, il terrore della bambina che non sa cosa sta succedendo.

    E così via le descrizioni della crescita delle passeggiate nei parchi, o le vacanze in montagna con gli sci, rivelano una Romania sconosciuta agli occhi di chi viveva, come si diceva allora, al di là della cortina di ferro.

    La ragazza cresce fra ulteriori traumi, come ad esempio gli aborti o le relazioni sentimentali e sessuali che la fanno entrare nelle contraddizioni della vita con lo sguardo innocente e meravigliato della bambina abbandonata nella stazione. Non si sente odio o risentimento nel racconto, non si percepisce una volontà di vendetta per i torti subiti o per le violenze passate, si sente forte un desiderio di raccontare la vita perché si sappia quello che successo, un desiderio che il soggetto che scrive sia riconosciuto nella sua totalità, non solo perché una brava bambina, ma troppo olivastra, o perché una brava amante, o una brava infermiera e così via. Tutte le parti della storia devono essere riconosciute, debbono potere essere narrate e lette perché si sappia che chi le ha scritte esiste.

    Anche se non si sa chi sia la sua mamma, la sua mamma c'è stata. Questo scritto mi sembra l'ingresso nel mondo simbolico per chi ne era stata esclusa ed io credo che l'apertura di questo varco produrrà nuove soggettività che prenderanno coscienza di sé.

    Leonardo Montecchi

    Psichiatra Psicoterapeuta, Direttore della scuola di ricerca Jos Bleger

    La mia città

    Fui un cercatore e ancora lo sono, ma non cerco più negli astri e nei libri; incomincio a udire gli insegnamenti che fervono nel mio sangue. La mia storia non è amena, non è dolce e armoniosa come le storie inventate, sa di stoltezza e confusione, di follia e sogno come la vita di tutti gli uomini che non intendono più mentire a se stessi

    Herman Hesse

    La mia città

    Durante le mie recenti ricerche scopro che Bucarest, la mia città natale, è attualmente tra le più popolose d’Europa: conta infatti oggi 1.944.367 abitanti. È il centro commerciale più importante della Romania, per via dei suoi snodi stradali, ferroviari e aerei. Il suo nome, deriva dalla parola rumena bucurie, che significa felicità, gioia. La giusta traduzione sarebbe quindi, in lingua rumena: la città della gioia.

    Ogni quartiere ha un suo parco, verde, rigoglioso con alberi secolari, fiori dai vari colori che circondano laghi inseriti in un suggestivo paesaggio, con battelli che li attraversano, ponticelli, fontane e statue di scrittori e artisti rumeni. Il suo clima è assai rigido d’inverno e molto caldo in estate. L’architettura prevalente è d’ispirazione francese, all’ambiente culturale cosmopolita dell’epoca; le diedero l’appellativo di Piccola Parigi. Un terzo della città, infatti, fu ricostruito a seguito di un forte terremoto avvenuto negli anni ’70 nel quale morirono molte persone. Furono poi costruiti molti quartieri di tipici stilemi comunisti: il Palazzo del Popolo, infatti, è secondo per estensione solo al Pentagono. Bucarest ha avuto un incremento economico rilevante dopo il 2005, grazie a investimenti immobiliari e centri commerciali. A convivere qui, soprattutto per via del regime, solo due principali ceti: il più ricco e agiato e quello molto povero.

    Bucarest ha sofferto grosse perdite e distruzioni durante la Seconda Guerra Mondiale. Il 30 dicembre del 1947, i comunisti, giunti al potere con l’appoggio dell’URSS, abolirono la monarchia instaurando la dittatura, che gravitava nell’orbita sovietica. Siamo a fine anni ’70, al termine della dittatura di Nicolae Ceausescu, Presidente di Stato della Repubblica Socialista. Personaggio che dapprima divenne una figura popolare grazie alla sua politica di rifiuto della sovranità limitata (che sfidava la supremazia dell’Unione Sovietica e condannava lo sfruttamento di tipo neo-coloniale subìto dalla Romania) ma che in seguito rifiutò qualsiasi ipotesi di forma liberale; l’evoluzione del regime così seguì il tracciato stalinista. La polizia segreta mantenne un controllo assoluto sui media e su qualsiasi tipo di discorso e non tollerò più nessun tipo di opposizione interna. Ceausescu presentò un programma di demolizione, ristrutturazione e costruzione della città, iniziando dalle campagne con l’intenzione di distruggere con dei bulldozer i villaggi esistenti per trasferire gli abitanti in condomini, come programma di urbanizzazione e industrializzazione, cosa che fu alquanto discussa e non gradita per via del rischio di perdita del patrimonio rurale e culturale antico del paese e per la possibilità che la popolazione venisse in seguito sfruttata, non essendo un piano di tipo governativo. Il dominio fu sempre più totalitario; negli anni ’80, in seguito all’esportazione della maggior parte di produzione alimentare del paese per far fronte al debito pubblico, la popolazione fu costretta al razionamento obbligato con conseguenze disastrose: non soltanto razionamento del cibo, ma anche mancanza di riscaldamento, penuria di benzina, interruzioni di corrente, furono la regola.

    Si diceva che tutto sarebbe durato per un breve periodo. La gente iniziò a chiedere spiegazioni, il popolo scrisse numerose lettere a Ceausescu, cercò di far presente che nonostante la buona volontà, non ce la faceva più a resistere. In seguito, non essendo

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