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Prigionieri di noi stessi: Il totalitarismo nella vita di ogni giorno
Prigionieri di noi stessi: Il totalitarismo nella vita di ogni giorno
Prigionieri di noi stessi: Il totalitarismo nella vita di ogni giorno
E-book325 pagine3 ore

Prigionieri di noi stessi: Il totalitarismo nella vita di ogni giorno

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Info su questo ebook

Definito dal Nobel Orphan Pamuk "lo spirito più libero della prosa turca", Gündüz Vassaf in questo libro ci conduce in un viaggio che smaschera acutamente la prigionia della vita di ogni giorno. In bilico fra saggistica e narrativa, il testo, forse il più significativo dell’intrigante produzione di Vassaf, demolisce con un rigoroso procedimento dialettico gli innumerevoli luoghi comuni su cui si fonda la nostra convivenza, smontando i miti della nostra presunta libertà. Perché la libertà è un’illusione, che si nasconde dietro prediche e finte credenze, in attesa che la notte arrivi per inebriarci dei nostri peccati, dimenticare i nostri doveri e liberarci delle identità che appesantiscono la nostra anima.
Un libro duro, che tocca l’anima, soprattutto quella dei ribelli e degli uomini liberi. Un viaggio, quello di Vassaf, appassionato quanto spietato che non conduce all’inferno, ma alla ricerca di una libertà vera.
LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2014
ISBN9788868990657
Prigionieri di noi stessi: Il totalitarismo nella vita di ogni giorno
Autore

Gündüz Vassaf

Gündüz Vassaf (Boston, 1946), scrittore e psicologo di spicco, è una figura di primo piano nella vita culturale turca. Si è formato in America, dove è nato, e in Turchia dove attualmente vive (Istambul). Ha lavorato dapprima come psicologo clinico, poi ha insegnato all’Università di Boğaziç da cui si è dimesso dopo il colpo di Stato militare del 1980, in segno di protesta contro la legge che abrogava l’autonomia accademica e la libertà. La sua ricerca è centrata sull’analisi della psicologia di ogni giorno con l’obbiettivo di sviluppare la riflessione sulla libertà individuale. Ha pubblicato 30 libri, di cui molti tradotti in diverse lingue. Fra gli altri: Prisoners of Ourselves (1992), Depths of Heaven (1996), My Mother Belkıs (2000); We Have Yet To Be Heard (1983/2003), 40 Years On: America and Russia (2006), The Levant Chronicle, (2009), Judging History Judging Us (2007), Mostari: The Diary of a Bridgekeeper (2013), Günlüğü, Bosphorus Fish (2014), Istanbul Cats (2014). // Gündüz Vassaf (Boston, 1946), writer and psychologist, is a leading figure in Turkish intellectual life. He was educated in U.S. and Turkey. Having first worked as a clinical psychologist, he taught at Boğaziçi University until the Turkish military coup of 1980, and was subsequently visiting professor in universities in Germany and a Fellow at the Institute of Advanced Studies in Vienna, before turning to full time writing. He has published thirteen books in Turkish, with editions in six languages. Focusing on the psychology of everyday life with an overarching theme of the quest for freedom, his writing weaves philosophy, psychology, literature and anecdote. Between the others: Prisoners of Ourselves (1992), Depths of Heaven (1996), My Mother Belkıs (2000), We Have Yet To Be Heard (1983/2003), 40 Years On: America and Russia (2006), Judging History Judging Us (2007), The Levant Chronicle, (2009), Mostari: The Diary of a Bridgekeeper (2013), Günlüğü, Bosphorus Fish (2014), Istanbul Cats (2014) and Fish of the Bosphorus (in press).

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    Anteprima del libro

    Prigionieri di noi stessi - Gündüz Vassaf

    Qualche notizia su di me

    Ero piccolo. Un giorno gli adulti non credettero in qualcosa che io avevo sperimentato e mi resi conto che mia madre poteva essere nel torto. Non riuscii a trattenermi. Ebbi un attacco di risate.

    A nove anni, cominciai ad avere paura degli altri. Mentre io e mia madre guardavamo di nascosto attraverso una fessura della persiana, un gruppo di cinquanta o sessanta persone era sul punto di attaccare la nostra casa. Prima di ciò, quel giorno, la maestra ci aveva insegnato uno slogan nazionalista, che io poi scrissi col gesso sulla nostra macchina parcheggiata di fronte al giardino. Notarono la scritta. Il pogrom in città durò per tutta la notte.

    Quando, pochi mesi dopo essere andato in collegio, ricevetti la notizia che il mio gatto, Tarzan, era morto, compresi che si può morire per solitudine e per mancanza d’amore.

    Il capo del dipartimento di psicologia disse che il linguaggio utilizzato nella mia tesi doveva essere purificato. Non feci obiezioni. Questa fu l’iniziazione alla mia auto-censura. Adesso ho una tesi che non riesco a comprendere.

    Lavoravo come tirocinante nella clinica psichiatrica dell’ospedale universitario, quando una madre vi portò il figlio con l’hashish che aveva trovato nelle sue tasche. Quando, quella notte, il capo dell’unità, il nostro professore, fece girare l’hashish durante una festa a casa sua, ero diventato un collega.

    Solo dopo il colpo di Stato militare, al fine di rimanere nell’università e di assecondare la giunta, alcuni professori tagliarono la barba. Alcuni censurarono il loro passato. Quelli che non lo fecero, si dimisero. Io ero uno di loro. Ho nostalgia dei miei studenti.

    Un giorno mi servii della mia influenza perché mio figlio potesse ottenere la cittadinanza. Il consolato rifiutò perché io non ero sposato. A un bastardo non si può dare la cittadinanza, dissero. Poi disapprovarono anche il mio nome di famiglia, dicendo che era contro la legge perché di origine straniera. Il console mi chiese: Come hai ottenuto un nome simile?. Io indicai il gigantesco ritratto del presidente fondatore del paese. È parente di mio padre. Dev’essere stata opera sua, dissi. Mio figlio divenne cittadino.

    Alcuni anni fa, dopo averci pensato a lungo, giunsi alla conclusione che essere un vigile del fuoco fosse la meno dannosa di tutte le professioni. Non è così, disse un amico. In Francia, i pompieri appiccano fuoco segretamente per diventare eroi.

    In anni recenti, mi sono dedicato soprattutto a me stesso. Di tanto in tanto mi capita di non riuscire a smettere di scrivere. Se mi avessero chiesto cosa si sarebbe dovuto fare della prigione appena chiusa, io avrei risposto: Fatene un museo che abbia dentro solo specchi.

    In memoria di Giordano Bruno (1548-1600)

    che rifiutò il paradiso del papa

    A Çalıkuşu 11 e ai suoi residenti

    Ciò che è assurdo è che qualche filosofo ha già detto qualcosa anche di più assurdo.

    Cicerone

    Ciò che veramente deve essere spiegato non è perché chi è affamato ruba o perché chi è sfruttato sciopera, ma per quale motivo la maggior parte degli affamati non ruba e la maggior parte degli sfruttati non sciopera.

    Wilhelm Reich

    Introduzione

    Questo libro parla di libertà.

    Della libertà che noi evitiamo. Della libertà che temiamo di avere nella nostra vita di ogni giorno. Persino con le nostre semplici azioni quotidiane ci sottomettiamo a un ordine totalitario della nostra creazione e subordinazione.

    La mia idea originaria era quella di scrivere un libro sulla nostra arrendevolezza nei confronti di regimi totalitari. Lungo tutto il corso della storia milioni di persone di tutto il mondo hanno sperimentato cambi di regime da uno Stato relativamente democratico a un ordine totalitario.

    Col passar del tempo finiamo per adeguarci a questi regimi. Assimiliamo le nuove leggi. I pochissimi che non lo fanno, diventano martiri, pazienti sconosciuti di ospedali psichiatrici, prigionieri di coscienza dimenticati.

    Non ho scritto un libro su quanto detto sopra, poiché mi sono reso conto che anche in regimi democratici diventiamo prigionieri di noi stessi.

    I saggi qui proposti sono osservazioni sul modo in cui imprigioniamo noi stessi nella nostra vita quotidiana.

    Nessuno offre soluzioni a questo.

    Le soluzioni possono solo condurre ad altre forme di totalitarismo. Al contrario, il pensiero critico e il dubbio promuovono la libertà. Come tutte le altre, la nostra specie si estinguerà.

    Se essere prigionieri o liberi, la scelta spetta a noi.

    Marburg, 1988

    I

    IN LODE DELLA NOTTE

    Bottiglia, René Magritte, 1945.

    Bottiglia, René Magritte, 1945.

    Ero spaventato e guardai la luna lassù. Gridai e le mie urla raggiunsero Dio. O Sin, Dio della luna, proteggimi.

    Gilgamesh

    I

    Di notte le forze dell’ordine dormono. La burocrazia, l’esercito, le scuole, la polizia, ossia tutti coloro che danno ordine alle nostre vite, dormono, fuorché la polizia notturna che pattuglia le strade. Di tutte le persone al mondo, i primi ad andare a dormire sono i soldati. La più oppressiva di tutte le istituzioni, le forze armate, va a letto per prima. Infatti, in tutte le istituzioni totalitarie, vale a dire in tutte le istituzioni (non sono forse tutte totalitarie?), si deve sempre andare a letto presto: collegi, monasteri, famiglia, carceri, ospedali… Non conosco alcuna istituzione che difenda il diritto, la libertà di una persona di andare a dormire a qualunque ora le piaccia. Persino nel matrimonio, un’istituzione determinata dal libero desiderio di due persone e basata sull’amore (?), sorgono problemi non appena entrambi non vanno a letto alla stessa ora, quando uno dei due va a letto più tardi, vive di più la notte. L’istituzione biasima sempre chi rimane in piedi fino a tardi, non chi va a letto presto. Nella società feudale europea tutte le persone in città erano costrette a spegnere le luci alla stessa identica ora tranne durante le feste. È nella natura delle forze dell’ordine e dell’oppressione che ci debba essere un orario fisso per dormire. È nella loro natura anche che l’orario stabilito sia sempre presto.

    II

    Lungo il corso della storia e in tutte le culture siamo stati costretti ad associare l’oscurità alle forze del male. Ci è stato insegnato a temere la gente notturna, la gente della notte, la gente di notte. Ma la gente diurna e quella notturna è sempre la stessa. Eccetto il fatto che mentre il giorno fa venir fuori la conformità in noi, la notte fa venir fuori la libertà. Le forze dell’ordine ci hanno addestrato a evitare la notte per evitare la libertà.

    L’istituzione, sia essa la religione, la famiglia o lo Stato, guarda la gente di notte con paura. Poiché soprattutto durante la notte non riesce a controllare i propri sudditi. La gente notturna è considerata sospetta. Nessuno può restare in piedi a quell’ora per qualcosa di buono. Le forze dell’istituzione che governa durante il giorno giustificano la propria esistenza e oppressione tramite i nemici della notte, che noi non vediamo mai, ne sentiamo solo parlare in termini astratti.

    Anche i governanti ci vengono sempre mostrati o ci si mostrano sempre come parte del giorno. Un presidente, un generale o il vescovo possono essere rappresentati nella bellezza della natura con un sole che splende dietro di loro, ma mai sullo sfondo della notte.

    III

    Il giorno è un processo monotono che appare come progresso. Il cambio della luce dalla luminosità del giorno all’oscurità della sera ci suggerisce un senso di progresso, la sensazione che stiamo procedendo in una determinata direzione. Raramente ci fermiamo a pensare all’artificiale relatività del tempo. Il passaggio dalla luce al buio durante il giorno, ogni giorno, ci fa andare avanti. Ma, per tutto il giorno, che siano le dieci del mattino o le tre del pomeriggio, siamo tutti schiavi dell’ordine del giorno, delle forze del sistema. Sono solo il passar del tempo e la promessa di liberazione della notte che ci mantengono vivi, perché sappiamo che finalmente ci sarà la notte e che (rispetto al giorno) avremo l’opportunità di fare ciò che ci piace.

    I libri si leggono di notte. Gli spettacoli cinematografici, teatrali e musicali ci sono di notte. Ci ubriachiamo di notte. Giochiamo d’azzardo di notte.

    Il corpo nudo, scoperto, appartiene alla notte. I corpi si toccano, si uniscono di notte. Ciò che viene trattato dal punto di vista clinico nelle lezioni universitarie durante il giorno, ciò di cui si discute in società e che si lascia intendere nelle riunioni tra amici di sera finalmente avviene in segreto nell’oscurità della notte. La nudità è con la notte. Non con il giorno (il contrario, ovvero la condizione naturale della nudità sotto il sole, può avvenire pubblicamente solo con la fine dell’oppressione).

    Ci innamoriamo, dichiariamo il nostro amore a un altro di notte.

    Il giorno ci richiama alla nostra ragione, alla nostra prigione. Durante il giorno le forze di oppressione lavorano contro la libertà dell’amore. Solo di notte ci innamoriamo ancora una volta e diciamo Ti amo. I ti amo del giorno si riferiscono alla notte.

    IV

    Accettiamo di essere prigionieri durante il giorno lavorativo a tal punto che le ore rimanenti sono definite il nostro tempo libero. Tuttavia non abbiamo mai consciamente realizzato che l’opposto del tempo libero è il giorno, quando la maggior parte di noi è al lavoro.

    Le guerre in genere cominciano all’alba. Lo Stato uccide, compie esecuzioni durante il giorno. Le sepolture e le cremazioni appartengono al giorno. Cerchiamo di sopravvivere durante il giorno e di vivere la notte. Durante il giorno paghiamo la bolletta dell’elettricità, ripariamo l’auto, facciamo la spesa, andiamo dal dottore, e facciamo lavori che non ci piacciono o cerchiamo lavori che non vorremmo fare ma che ci servono.

    Durante il giorno siamo irreggimentati e ci vengono impartiti ordini in tutti i nostri incarichi. Persino andare alla toilette ha le sue rigide limitazioni e regole. Sul posto di lavoro, a scuola, nell’esercito… non ci si può andare quante volte e per quanto si preferisce. Non solo non si può andare quando si vuole, ma potrebbero essere registrate la frequenza e la durata. Ancora, se si vuole andare al di fuori degli orari istituzionalmente stabiliti, si deve chiedere il permesso. Non siamo neanche liberi di andare alla toilette quando vogliamo durante il giorno, perché il giorno non ci appartiene. Chi ha mai sentito di un operaio che legge il giornale nella toilette?

    I rapporti tra le persone durante il giorno sono imposti. Nelle scuole i ragazzi finiscono per stare nelle stesse aule con le stesse persone anno dopo anno solo perché hanno la stessa età. Quelli di otto anni nell’aula sei, quelli di dieci nell’aula quindici e così via. E poi c’è anche un ordine permanente nella disposizione dei banchi. È solo alla fine della giornata scolastica e con l’arrivo della sera che si può scegliere con chi si vuole stare. Se sei un soldato trascorri quasi tutto il giorno con quelli che sono i più vicini a te in altezza. È solo di sera e di notte che una persona alta un metro e settantadue può stare con un amico di un metro e novantacinque.

    V

    La rigidità delle classi sociali crolla di notte. Gli operai passeggiano per le strade della borghesia. La borghesia va nei ristoranti della zona degli operai. Prostitute, preti, studenti, soldati, casalinghe, medici e stranieri, tutti quanti vanno a spasso per la stessa strada, mentre guardano, pensano, si parlano e forse alla fine fanno persino l’amore. Il mondo diventa vivo di notte con il curioso spirito libero della gente che si mescola. Ciò che si evita durante il giorno diventa allettante di notte. La persona razionale del giorno indietreggia e ne prende il posto la ricerca dei sensi.

    Persino gli oppressori, sebbene anche la loro libertà sia limitata dall’atto di opprimere, hanno una maggiore libertà di notte. I governanti del sistema, generali e re, presidenti di compagnie e di paesi, i ricchi e famosi vivono la notte. Quando le istituzioni totalitarie dormono, sono state messe a dormire, essi hanno la libertà di essere ciò che sono veramente. Come genitori che hanno messo a letto i loro bambini, hanno ora la libertà di mostrare i loro visi scoperti senza cerimonie o censura.

    VI

    Di notte la calca del giorno non c’è più. Siamo più o meno stabili. Non ci sarà nulla a ostacolare la nostra iniziativa per ben dieci ore. Cominciamo con lo scegliere e il creare ciò che mangiamo. Il cibo consumato di giorno per molti è istituzionale e standardizzato. Di notte abbiamo più scelta non soltanto di cosa mangiare ma anche di come prepararlo. Inoltre non buttiamo giù di corsa un pasto. Ciò che viene chiamato fast food appartiene alle forze di oppressione che dominano il giorno. In quanto consumatori di fast food, siamo parte della megamacchina totalitaria che ci governa. Di notte, in qualità di cuochi del nostro cibo, diamo un ordine tutto nostro allo spazio e al tempo.

    VII

    La luce del giorno è un’esca. La luce ci acceca. È di notte che i nostri occhi sono completamente aperti. Anche tutti gli altri nostri sensi sono più solleciti, dal momento che le forze dell’ordine hanno spento le loro macchine. Di notte ascoltiamo il silenzio, vediamo nell’oscurità, diamo libero regno ai nostri corpi, oltreché all’immaginazione.

    Di notte non siamo più i fruitori degli innumerevoli messaggi che tentano di imprigionare i nostri sensi durante il giorno. Il costante ronzio della megamacchina si è fermato. Ora la fonte d’energia è all’interno. È la notte che fa da sfondo alla performance della mente dell’uomo. Durante il giorno assistiamo allo spettacolo della luce, del colore, del movimento. E ciò di cui ci occupiamo è programmato dalle forze dell’ordine. Nel migliore dei casi siamo osservatori della magia della vita nell’intricato disegno delle ali di una farfalla. Il verde e il rosso regolano persino quando possiamo attraversare la strada. Di giorno assistiamo. Di giorno siamo dipendenti.

    VIII

    Dato che la notte è il tempo per dormire, è anche il tempo dei sogni. Lingue, forme, modi di comportamento, paradigmi percettivi che limitano ciò che vediamo, sentiamo, annusiamo e pensiamo non si applicano alla struttura del sogno, che ha la sua propria e specifica lingua e forma. Colori, immagini, persone, emozioni, pensieri sono liberi di mescolarsi e di creare in una maniera unica. Infatti, i sogni sono talmente liberi da non poter essere raccontati, spiegati attraverso le rigide strutture che regolano la mente e il corpo dell’individuo durante il giorno.

    Coloro che non riescono a dormire, che soffrono d’insonnia, sono anche coloro che non riescono ad affrontare l’illimitata libertà e verità che l’oscurità porta. Durante il giorno si dedicano all’assistere. Di notte non c’è più niente a cui assistere. Solo la voce distinta della vita viene dall’interno. L’assurdità, distratta dal giorno, non si tiene più nascosta. L’individuo è più consapevolmente attento al fatto che sta vivendo e anche che c’è la morte. Il senso della vita è avvertito e voluto di notte. Nessuno ne parla a pranzo. La vita è un argomento della notte.

    Marburg, 15 ottobre 1986

    II

    LA LIBERTÀ ALL’INFERNO

    Il diavolo, Cattedrale di Autun, Francia, XII secolo.

    Il diavolo, Cattedrale di Autun, Francia, XII secolo.

    Il diavolo: Meglio regnare all’Inferno che servire in Paradiso.

    John Milton

    I

    Accadde tutto mentre ero in visita alla cattedrale di Toledo. Richard Crosfield mi portò vicino ai banchi e mi disse che dovevo dare un’occhiata sotto i posti a sedere, forse sessanta in tutto, ripiegati in modo che nessuno potesse vederne la base. Qui c’erano varie rappresentazioni dell’inferno. L’artista (o gli artisti) aveva dato libero sfogo alla sua fantasia e immaginazione. C’erano mostri e gargoyle di ogni tipo in diversi scenari. Sui posti a sedere erano intagliati i santi. Sopra i santi, vari avvenimenti biblici. E, in cima a qualunque altra cosa, la Vergine e il Santo Figlio. Tutto ciò che c’era sopra i sedili lo si può vedere nelle chiese e nei dipinti di tutto il mondo. Possono cambiare la qualità e l’arte del maestro, ma quel

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