Micol fa pace col passato
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Anteprima del libro
Micol fa pace col passato - Mariella Lajolo
coincidenza.
Introduzione
Questo testo ha l’intenzione di contrastare il lasciarsi vivere. Attraverso la scrittura di proprio pugno della sceneggiatura della propria vita, la protagonista fa della propria esistenza una biografia. Trasformare il proprio essere nel mondo in una biografia, vuol dire innanzi tutto farsi attori, impegnarsi nell’attività dello scrivere, rendendosi autori, il più liberi e consapevoli possibile della propria esistenza.
La vita, nel momento in cui viene scritta, si trasfigura e da nudo accadimento naturale, acquisisce valore propriamente umano, da semplice cumulo di eventi casuali, si ordina in una costellazione di senso, da puro evento biologico muta in una storia degna di essere vissuta,
La versione della storia che viene narrata dal punto di vista della bambina e della donna, poi, è certamente veritiera, ma forse può non corrispondere alla narrazione che ne farebbero altri componenti della famiglia o persone a conoscenza dei fatti. Infatti chiunque racconti seleziona gli eventi, non necessariamente intenzionalmente, li mette in un certo ordine sequenziale e temporale, li filtra attraverso le sue emozioni. Ciò in quanto non è tanto importante cosa è accaduto nella vita di una persona, ma come questa lo ha vissuto, proprio perché noi non vediamo le cose come sono, ma a partire da come siamo. Così una stessa storia può essere raccontata in modo differente, talvolta in modo così diverso da non essere quasi più riconoscibile. Anche la stessa persona, a seconda del momento della sua vita, illuminando aspetti diversi, dando loro maggiore o minore rilevanza, appesantendoli o alleggerendoli, può ricostruire la sua storia inanellando gli eventi in innumerevoli fogge, tanto da avere come risultato collane sempre nuove.
Una storia può così essere contemporaneamente oggettiva, in quanto testimonia ciò che effettivamente è accaduto e soggettiva, in quanto fa riferimento al modo in cui è stato vissuto.
La versione qui raccontata è frutto dell’elaborazione del rapporto con la propria famiglia di origine e con se stessa. Di un percorso faticoso che per molti anni ha comportato un distanziamento da sé, una forma di disconnessione dalle proprie emozioni, per difendersi dalla sofferenza legata alla propria ipersensibilità agli stimoli esterni.
Un percorso di auto-riconoscimento; di scoperta e incontro con la propria natura, per anni velata da molti strati, tanto da non essere più neppure visibile alla protagonista; di riconoscimento e accettazione di essa, anche a costo di soffrire; di accoglienza e cura delle sue manifestazioni, per permettere ad essa una progressiva e piena fioritura.
Capitolo 1
Micol si affaccia alla vita
Era una bambina magra, ma di struttura robusta. Capelli biondo scuro, leggermente mossi, con riccioli che talvolta formavano boccoli e nodi, difficili da sciogliere. Erano urla quando la nonna cercava di pettinarli e la nonna ci teneva molto a mostrare se stessa e i suoi nipoti perfetti nell’aspetto e nel comportamento.
Aveva due fratelli maschi, ma spesso trascorreva lunghi periodi con i nonni, a chilometri da loro e dai suoi genitori.
L’occasione di allontanarsi dalla città per andare dai nonni le dava la possibilità di immergersi nel verde dei prati, nel giallo del grano maturo, nel viola intenso dell’uva, nel rosso del roseto vicino all’orto, nel profumo dell’erba appena tagliata, della terra dopo la pioggia, delle pesche che maturavano sugli alberi tra le vigne e compensava il senso di esclusione dalla famiglia.
I nonni si svegliavano presto la mattina.
La sveglia che, di notte, con il suo tic-tac saturava il silenzio, suonava con la stessa veemenza con cui la nonna invitava il nonno ad abbandonare il letto, l’unico luogo caldo e accogliente della casa, nell’aria rigida del mattino.
Sveglia! Scendi dal letto, tuo fratello si è già alzato!
.
Un attimo…
. E quell’attimo, così breve per il nonno, era troppo lungo per la nonna, che pativa l’eterna competizione con i cognati, con cui condivideva la lunga casa di campagna, divisa specularmente a metà.
E il nonno, per prolungare il piacere, cominciava a contare in quel suo modo tutto particolare:
Uno, uno e un pezzettino, uno un pezzettino e un bottone della camicia; due, due e un pezzettino…
che faceva imbestialire la nonna.
Micol, dopo un’abbondante colazione a base di latte fresco appena munto, peperoni, cipollini e pomodori maturi, accompagnati da un profumo che ne anticipava il gusto (profumo che solo gli ortaggi appena colti conservano), seguiva i nonni nei lavori di campagna.
A volte attaccavano il bue al carro e risalivano la strada verso la collina, fino al bosco dove Micol saltellava, correva, giocava con i legnetti, le foglie secche, ma anche aiutava a raccogliere rametti per accendere la stufa.
Spesso la nonna portava da mangiare e da bere, così potevano fare una sosta, rifocillarsi e riprendere le forze, per continuare il lavoro.
Tornavano a casa con il carro carico di legna, le ruote cigolavano sotto il peso e il bue camminava piano, piano.
Altre volte con il carro andavano a caricare il fieno, dopo aver avuto cura di farlo asciugare perfettamente, girandolo e rigirandolo per giorni e giorni con il forcone. La piccola, con il suo rastrellino, imitava i movimenti dei nonni e contribuiva ad accumulare l’erba secca, in odorose montagnole verde scuro.
Anche lei voleva collaborare nel dar da mangiare ai conigli e, con la nonna, andava a falciare l’erba medica dietro casa, con un piccolo falcetto e, sotto un’attenta sorveglianza, tagliava qualche ciuffetto d’erba. Un piccolo contributo al mucchio che la nonna trasportava sulla testa, avvolto in un vecchio telo di stoffa blu.
Nelle ore più calde, mentre i nonni si concedevano un po’ di riposo, Micol andava sull’altalena, che il nonno ogni giorno allestiva sotto il portico, con la stessa corda con cui legava il bue e un