La madre di Cecilia
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Nella consueta routine quotidiana ci abbandoniamo alla lentezza del tempo della normalità, quando tutto sembra immobile, non passare mai, non deteriorarsi. Invece il tempo consuma, giorno dopo giorno, ogni cosa. Oggetti, alberi, persone, corpi e luoghi. E così, quando ci ritroviamo di fronte al distacco da una madre, tutta la nostra vita si riavvolge in un nastro e nella pellicola i piccoli riquadri scorrono veloci restituendoci agli occhi, ma soprattutto al cuore, ricordi vestiti di emozioni che ci fanno d’un soffio rivivere quello che siamo stati. La nostra infanzia, la famiglia, gli affetti, le incomprensioni, i legami con la terra d’origine. Nel paesaggio collinare luminoso e rassicurante affiorano le fatiche della campagna, l’allegria delle feste, la pacatezza degli affetti che si intrecciano ad una lenta metamorfosi dei sentimenti, in un’indissolubile legame tra madre e figlia.
“Tra queste colline” riflette Cecilia “si compiono dei miracoli, grazie ai legami che hanno unito i loro abitanti, i quali si sono conosciuti per quello che erano e sono in grado di riconoscersi di generazione in generazione. Ogni gesto è rafforzato dalla naturalezza del contatto con la terra, con il sole, con la pioggia. Non si tratta di corsi e ricorsi storici, ma di attraversare un sogno che per me ha la concretezza della vita di mia madre Adele.”
Francesca Belcapo è di origine marchigiana, è appassionata delle tradizioni della sua terra e dopo la laurea ha svolto la professione di insegnante. Ha partecipato al Premio letterario Città di Olbia 2020 e ha pubblicato un saggio critico sulla Trilogia di Giovanni Testori (Grafica e stampa soc. coop. 2019).
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Anteprima del libro
La madre di Cecilia - Francesca Belcapo
Faulkner
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile:
Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere.
Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima.
(Trad. Ginevra Bompiani)
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
capitolo 1 - 11 settembre 2016
Ti chiamo e non rispondi. Non ti trovo più, non avverto la tua presenza, rimane solo il buio nelle stanze vuote, disordinate, fredde. Ti sei dissolta nel nulla, non c’è modo di riafferrarti. Per anni, lunghi, monotoni, sempre uguali, sei stata alle mie spalle, al tuo posto. Per ogni esigenza eri lì, instancabile, a volte severa, incrollabile nella volontà, custode di una tradizione all’apparenza sterile, ormai non alla moda, penalizzante. La tua perseveranza era tale che io credevo fosse per sempre, mi annoiava. Eri talmente determinata che mi avevi convinta. Ora lo so. Anche la determinazione è un’ombra. Sei stata la custode fedele dell’eredità di una famiglia che, per un secolo, è rimasta unita, umile nel rispetto reciproco, composta nei momenti dolorosi e drammatici, tetragono ai colpi della fortuna. Ti ho amato per questo, ti sono riconoscente per questo. Da piccola, nelle mie prime stagioni ero abbagliata dalla figura, luminosa ai miei occhi, di mio padre, ero perfettamente assorbita dalla serena mitezza della famiglia paterna. Mia nonna, zio Severino, zia Laurina, i parenti di Picerno: una suggestione infantile e tu eri invisibile. Non mi accorgevo di te, intenta a pensare alla mia alimentazione, a nutrire il mio corpo, mentre io volevo volare sulle ali della fantasia, dei sentimenti sognanti di ascendenza paterna. Un distacco, piano piano si stava creando, una freddezza tra me e te. A volte la notte mi svegliavo e ti immaginavo burbera, indifferente, una nostalgia m’invadeva, una sinfonia autunnale s’introduceva in me e mi avrebbe accompagnata a lungo.
capitolo 2 - 11 ottobre 1960
Un vecchio furgone accanto alla casa a mattoni, esternamente screpolato, di un colore scialbo, carta da zucchero, sbiadito e macchiato. Internamente scuro ed impolverato, due grandi sedili anteriori e dietro uno spazio vuoto per trasportare i pacchi della bottega. Sulla scalinata esterna della casa nonna Emma: lo sguardo limpido, deciso, malinconico. Il vestito era scuro, con le maniche a tre quarti e la pannella. Cecilia inginocchiati, dai fastidio a tuo padre che guida.
Con piglio deciso mia madre Adele si gira verso di me e cerca di frenare la mia esuberanza. Io felice di stare vicino al mio babbo non ascolto e mamma continua: Mimì di’ qualcosa anche tu. Questa figlia è disobbediente!
Mio padre fa manovra con calma, non si gira, mi lascia giocare. Tra me e lui c’è un’intesa: lui è sempre con me. Ingrana la marcia indietro con un grattìo del cambio e della frizione, percorre lo stradone di casa e ci troviamo a sboccare sulla provinciale asfaltata. Una striscia grigia dove si muovono, di tanto in tanto, qualche pedone, qualche bicicletta o motorino scoppiettante a ritmo lento. Portiamo mamma a scuola ed io non sto nella pelle perché ho tutta la mattinata da trascorrere con mio padre.
capitolo 3 -