Con le spalle al muro
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Anteprima del libro
Con le spalle al muro - Fiorella Carcereri
http://creoebook.blogspot.com
Fiorella Carcereri
CON LE SPALLE AL MURO
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.
A tutti coloro che hanno deciso di credere in me, a prescindere.
«Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro, che purtroppo è privilegio di pochi, costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra. Ma questa è una verità che non molti conoscono.»
PRIMO LEVI
I
Febbraio 2012
-Mai vista tanta neve come quest’anno- pensa tra sé e sé Michele, accingendosi ad aprire il cancello dell’azienda con il telecomando.
Niente da fare, l’ingranaggio non funziona, forse si è bloccato per il gelo. Le rotaie di scorrimento sono interamente ricoperte di neve fresca.
Michele spegne il motore e decide di aprire il cancello manualmente.
-Da qualche parte, in magazzino, dev’essere imboscata la pala- pensa.
Ma rimane immobile, seduto al volante, con lo sguardo perso nel vuoto. Più tardi, dovrà chiedere al magazziniere, di pulire il piazzale col muletto anche se non prevede ci sarà molto movimento oggi nel cortile dello stabilimento. E non tanto, e non solo, a causa dell’abbondante nevicata. Michele guarda con nostalgia, con gli occhi umidi, l’insegna Your fashion
che aveva fatto realizzare nel 2003 su disegno di Marcella, sua moglie. Era un’insegna luminosa bellissima, la si notava da molto lontano, anche nelle sere di nebbia fitta, ospite frequente nella pianura Padana. Ora, le parti in ferro cominciano ad arrugginirsi creando antiestetiche sbavature sul muro esterno, iniziano a cedere alcune saldature e parte del neon è bruciato. Michele lancia uno sguardo malinconico alle decine di pallet, inutilizzati ormai da alcuni anni, accatastati in un angolo a lato del portone d’ingresso. E gli viene un nodo alla gola quando i suoi occhi si posano sulla porticina dello spaccio aziendale. Ricorda perfettamente il regolare afflusso di gente lungo tutto l’arco dell’anno, non solo in periodo di saldi. Ora, la porticina è ricoperta di polvere e ragnatele da quando Marcella, che si occupava personalmente delle vendite, ha deciso di liquidare tutte le merci a un euro a capo.
Your fashion
era stata fondata nel 2003 da Michele e Marcella Ferrari, intraprendenti trentanovenni con oltre un decennio di lavoro alle spalle alle dipendenze di un colosso della moda, lui rampante assistente del direttore export, lei abile e fantasiosa stilista. Your fashion
, con sede a Campo di Brenta, era nata per produrre capi di abbigliamento tassativamente made in Italy
. Il suo target erano grossisti e negozi che chiedevano un buon livello qualitativo ed avevano, all’epoca, una ricca clientela appartenente al ceto medio. Michele si occupava direttamente delle vendite e, nei momenti di maggiore crescita, era riuscito a sfondare anche sui principali mercati europei. Marcella teneva i contatti con le banche e con i fornitori. Quasi subito, avevano assunto un’impiegata commerciale ed una amministrativa, due magazzinieri, un autista e undici operaie. In totale, sedici dipendenti, titolari esclusi.
Per realizzare il loro sogno, Michele e Marcella avevano acceso un mutuo importante per l’acquisto di terreno, capannone e macchinari, ma le rate consistenti dello stesso non costituivano un problema per loro. Il lavoro non mancava, anzi. Nei fine settimana, l’azienda era spesso costretta a chiedere alle operaie di fermarsi per gli straordinari.
C’erano tutte le premesse per gettare le basi di un roseo futuro per i loro due figli, Luca di quindici anni e Giulia di dieci. Anche se, una volta adulti, non avessero voluto occuparsi dell’azienda di famiglia, Michele e Marcella si sarebbero potuti permettere di pagare loro costosi studi universitari.
Con i primi guadagni avevano incaricato un architetto di progettare una semplice, ma funzionale, villetta in una zona residenziale non lontano dalla fabbrica.
Provenivano entrambi dalla classe operaia, Michele e Marcella, ma se c’erano due cose che non li avevano mai spaventati erano il lavoro duro e il sacrificio, prezzo da pagare per chiunque intenda raggiungere un obiettivo ambizioso. Non si erano mai montati la testa, però. La saggezza tramandata loro dalle rispettive famiglie li aveva resi consapevoli che non sempre, nella vita, il vento soffia a poppa. D’altro canto, però, erano convinti che l’esperienza acquisita negli anni, l’ottima qualità dei capi creati ed i rapporti di fiducia e di amicizia instaurati con la clientela sarebbero stati sufficienti per affrontare qualsiasi problema e battere la concorrenza. E, fino all’autunno del 2008, la loro teoria
poteva definirsi perfetta, non faceva una piega. Stakanovismo e precisione nel lavoro, onestà, affidabilità, tempismo rappresentavano un cocktail efficace nel microcosmo del Nord Est. Ma nel settembre 2008 accadde, nel macrocosmo esterno, qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato, almeno non così presto.
Una crisi economico-finanziaria di portata gravissima, da molti definita peggiore di quella scoppiata negli Stati Uniti nel 1929, dopo il crollo della borsa di Wall Street.
E, si sa, quando il gioco si fa duro, i concorrenti si fanno spietati, soprattutto quelli che operano al di fuori di ogni regola. Quando il gioco si fa duro, non bastano più la qualità, l’affidabilità, il tempismo. Quando il gioco si fa duro, nessuno è più disposto a fare sconti, a venirti incontro. Vale la legge della giungla. I più feroci si adeguano al cambiamento, spesso dimenticando la loro umanità. Quelli di indole più mite rischiano, invece, di soccombere.
Michele, ancora al volante, si lascia trasportare da questo turbinio di pensieri fino a quando un clacson lo riporta alla realtà. È arrivato il magazziniere, deve aiutarlo a ripulire il piazzale e a far ripartire il cancello bloccato dalla coltre bianca. Scende dall’auto, ma contro voglia, e si dirige verso lo stabilimento in cerca della pala.
II
Michele Ferrari entra in ufficio, lancia un’occhiata distratta alle scrivanie vuote. Dietro ognuna di queste scrivanie, tra meno di un’ora, siederanno delle persone, le sue preziose collaboratrici. Prima o poi, dovrà trovare la forza per accennare a Marcella un pensiero, quello che lo sta tormentando da quel tragico 2008. Ormai, le commesse sono drasticamente diminuite, da quando i cinesi hanno praticamente monopolizzato i mercati europei e da quando ha preso piede la corsa alla delocalizzazione delle imprese nei vicini paesi dell’est europeo nei quali è ancora possibile assumere manodopera a costi inferiori e godere di un regime fiscale agevolato. Il fisco italiano sta affossando giorno dopo giorno Your fashion
. Le telefonate delle banche sono sempre più insistenti. Negli ultimi mesi, Michele ha versato le rate del mutuo con notevole ritardo e non sa per quanto tempo ancora potrà farcela. Ha provato ad escogitare qualcosa per risparmiare sui costi, ma con scarso successo. I materiali scadenti e a buon mercato non sono quelli di cui ha bisogno Your fashion
per confezionare i suoi capi eleganti. Gli stipendi e i contributi vanno regolarmente pagati, le spese fisse di manutenzione dei macchinari sono imprescindibili, non c’è praticamente via di scampo.
Decide che, non appena Marcella oggi arriverà in ufficio, gliene parlerà. Dovrà guardarla dritto negli occhi come non ha mai fatto prima, farsi coraggio e tirare finalmente fuori quel pensiero terribile che gli sta togliendo il sonno e che gli sta azzerando i sogni e la voglia di vivere. Quelle scrivanie, fino a l’altro ieri traboccanti di corrispondenza, richieste d’offerta, ordini, bolle di consegna e pratiche da evadere, sono ora squallidamente e spietatamente spoglie. La loro eccessiva pulizia ha un che di sinistro, quasi un grido d’allarme per una catastrofe imminente.
Michele accende il pc, inserisce la password e si connette per scaricare la posta. Solo due mail, tra l’altro due solleciti di pagamento, provenienti il primo da un fornitore di stoffe ed il secondo da un grossista di bottoni e fibbie. La prima fattura ammonta a novemila euro, la seconda a duemilatrecento. Oltre undicimila euro, pari agli stipendi di quattro persone. Da settimane non arriva più alcun ordine consistente, tanto che, suo malgrado, ha dovuto mettere in ferie cinque operaie su undici.
La maggior parte delle sue dipendenti sono madri di famiglia che erano entrate in fabbrica nell’ormai lontano 2003, una dopo l’altra, quando Michele Ferrari le aveva assunte a tempo indeterminato. Tutte brave ragazze, grandi lavoratrici, di quelle che non si mettono in malattia neppure con la febbre addosso, di quelle che non perdono mai una giornata neppure quando hanno seri problemi familiari da risolvere.
-Licenziare? E quali? E quante?-
No, nemmeno per idea! L’azienda era nata con loro e sarebbe andata a fondo con loro. L’arrivo di Giovanna, l’assistente alle vendite, distoglie Michele dalle sue cupe elucubrazioni. Un saluto a testa bassa… Non ha neppure il coraggio di guardarla in faccia… Povera Giovanna, una volta sempre allegra e gioviale, deve aver presagito qualcosa. È taciturna, abbattuta, quasi spaesata, seduta sulla sua seggiola col cuscino rosso, gli occhi lucidi fissi sul pc, alla ricerca, tra le molte mail di spam, di quei nomi che potrebbero cambiare il corso delle cose, indirizzi di posta elettronica che sembrano aver dimenticato quello di Your fashion
, indirizzi che, molto probabilmente, anche stamattina saranno andati ad intasare le caselle di Xin Piao Clothing
e Hong Kong Outlet
, i due più temuti concorrenti in zona Padova. Nell’ambiente si mormora che utilizzino esclusivamente adolescenti pagati in nero, ammassati in fatiscenti scantinati presi in affitto per poche centinaia di euro dopo il fallimento di una tipografia e di un’officina di revisione autocarri. I capi che realizzano sono apparentemente identici a quelli prodotti da Michele Ferrari. C’è una causa pendente contro un’ex operaia che ha rubato i modelli di Marcella, li ha venduti ai cinesi e, non paga, ha passato loro anche i nominativi dei principali clienti. Una brutta storia, scaturita da una banale ripicca nei confronti di Marcella per un permesso di uscita negato.
All’epoca dei fatti, Michele aveva tentato con ogni mezzo di riconquistare la clientela perduta, ma la risposta che otteneva era sempre la stessa: Ci spiace Michele, sai quanti ottimi affari abbiamo fatto insieme. Ma la crisi è forte e le mie clienti non sono più disposte a spendere settanta – ottanta euro per un bel capo, che pure li vale. Sono interessate solo alle promozioni e cercano roba da pochi soldi, anche se con qualche difetto. Devo cercare di mantenermi a galla, ho famiglia anch’io, capisci Michele? E non credere sia facile per me, sto correndo dei grossi rischi con la finanza perché i cinesi non mi rilasciano né la bolla né la fattura… Perché non chiudi baracca e burattini e non delocalizzi? In Slovenia, sedici dipendenti ti costano come quattro dei tuoi, lavorano anche il sabato e, se insisti, pure la domenica!
.
Michele Ferrari tace. Sa che l’amico Giovanni è uno che sa fare bene i suoi conti. Il suo ragionamento non fa una piega dal punto di vista economico e pratico. Ma lui, a differenza di Giovanni, di Luigi Martelli e di Paolo Dalle Vedove, che hanno recentemente venduto tutto e, col ricavato, hanno aperto stabilimenti low cost più modesti oltre confine, non se la sente di radunare quei sedici poveracci e di dir loro fuori dai denti: Ragazzi vi ringrazio, è stato bello finché è durato, ma ora le nostre strade si separano
. No, non ce la farebbe mai, si sentirebbe un verme e, conoscendola molto bene, neppure Marcella ne sarebbe capace.
Quante volte si è sentito dire che gli affari sono affari e che i sentimenti, la solidarietà, la compassione non sono buoni consiglieri…
Ciao, che fai lì impalato?
, gli chiede Marcella entrando sorridente ed avvicinandosi per il solito bacino sulla guancia. Michele si gira dall’altra parte e le risponde con un cenno frettoloso del capo, invitandola a dare un’occhiata alla posta.
Guarda lì, non ci sono che fatture, ingiunzioni di pagamento e solleciti della banca. Riesci a trovarci un solo ordine, cazzo? Se lo trovi, mostramelo, perché io non ricordo più nemmeno come sia fatto!
, urla Michele. Ed esce sbattendo la porta. Dopo un attimo, rientra, le si avvicina e le sussurra, per non farsi udire da Giovanna: Vieni di là, ti devo parlare
.
Vengo tra un po’, devo prima sbrigare della corrispondenza urgente che Stefania non è riuscita a finire venerdì. Deve partire per raccomandata prima di mezzogiorno
, risponde Marcella.
Dopo circa mezz’ora, lei è nel suo ufficio, lo sguardo interrogativo. Sputa il rospo Micky!
.
Dobbiamo delocalizzare in Slovenia. Subito! Martelli e Dalle Vedove si sono salvati dalla bancarotta per un pelo. Hanno licenziato tutti, venduto la baracca e ricominciato dove ancora chi ha voglia di lavorare lo può fare
.
Marcella trattiene il fiato, poi chiede: Che intendi fare?
.
Io? Nulla! Ai ragazzi là fuori lo dirai tu!
.
Che cosa stai farneticando?! Questa è la nostra azienda e loro ne fanno parte. Se si va avanti, lo si fa tutti insieme, altrimenti…
Altrimenti?
Altrimenti Dio ci aiuterà. Speriamo che le cose cambino Michele
.
In peggio, vorrai dire! Chi tiene la contabilità, tu od io? Tu, no? Non ti sei accorta che stiamo annegando nei debiti?
.
Marcella deglutisce, sa perfettamente come stanno le cose ma, anche lei, ha sempre scacciato quel pensiero mostruoso le spesse volte che le si è presentato. D’ora in avanti, non lo potrà più fare. Il mostro si è materializzato.
III
Marzo 2012
Stamane l’aria è tiepida, il cielo terso, un assaggio di primavera per Marcella, dopo la doccia gelata del giorno prima, quando suo marito ha ventilato la possibilità, tutt’altro che remota, di delocalizzare lo stabilimento all’estero, come ultima spiaggia per salvarlo dalla bancarotta. Aveva proprio bisogno di una giornata diversa, da trascorrere con i suoi figli. Oggi la attendono due appuntamenti importanti.