Il "De umbris idearum" di Giordano Bruno. Saggio di commento integrale.
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Il "De umbris idearum" costituisce in questa prospettiva il testo base della difficile e complessa speculazione bruniana: assolutamente lontano – come del resto indicato dalle esplicite affermazioni del filosofo di Nola – dall’impiego pragmatico e retorico della tradizionale arte della memoria, esso piuttosto costruisce progressivamente uno spazio di riflessione di natura ontologica, metafisica e teologica, con influssi sulle considerazioni razionali e naturali. In questo modo l’arte di memoria bruniana diventa la memoria di un arte filosofica civile, la necessità del ricordo di una possibilità del pensiero e della prassi incardinata sulla presenza di un plesso centrale creativo e dialettico, che progressivamente consente l’inserimento della principale innovazione escogitata dalla filosofia bruniana: il concetto (con la relativa prassi) dell’infinito. Direttamente tematizzato nei dialoghi in italiano, il concetto creativo e dialettico dell’infinito bruniano separa progressivamente l’autore nolano dalla tradizione neoplatonico-aristotelica, definendo in tal modo uno schema interpretativo della realtà diverso ed opposto rispetto a quello che – oltre l’apparente rivoluzionarietà della scienza moderna – ha innervato i principali sviluppi della civiltà occidentale moderna e contemporanea.
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Anteprima del libro
Il "De umbris idearum" di Giordano Bruno. Saggio di commento integrale. - Stefano Ulliana
bruniana
Contestualizzazione culturale della posizione filosofica bruniana
Elementi teorici e storici
Nella premessa al suo saggio su Arte e alchimia Maurizio Calvesi definisce l'alchimia «scienza immaginaria ... nel senso che mette a fuoco procedimenti della immaginazione, registrando impulsi ideali e tensioni liberatorie della psiche.»¹
Il luogo aureo della apparente sospensione della realtà (con le sue necessità) che tale definizione indica e realizza sembra ricostituire l'universo della riconciliazione, dare luogo ed atto al ristabilimento di un'unità ideale interrotta, precedentemente scissa per capi opposti e così fratturata e frantumata. Pare in tal modo così ricomparire all’intelletto ed alla ragione umana – alla sua mente immaginale ‒ il luogo della possibile e necessaria ricomposizione fra l'interiore aspirazione alla giustizia e la sua concretizzazione terrena. La trasformazione creativa
², che tale sospensione attua, mantiene in continuo movimento la riflessione attraverso il termine della perfezione.
Questa è dunque quell'idealità dalla quale sembra elongarsi l'opera conoscitiva e fabrile dell'uomo, tesa a ricostituire quello sfondo di obiettivazione e subiettivazione che pare originare il tema di una celeberrima composizione artistica di Albrecht Dürer, utilizzata dallo stesso Maurizio Calvesi quale termine di riferimento quasi archetipico: Melencolia I (1514).
Qui lo slancio materico, apparentemente privo all’inizio di luce e di chiara tendenzialità, viene fatto emergere verso il suo fine di perfetta riproduzione della grazia divina, grazie all'intervento magico e religiosamente salvifico dell'artista, ovvero di colui che è capace di riconoscere la necessità e le possibilità dell'azione creativa. E che quindi è capace di predisporre la materia nella sua stessa futura rimodulazione. In ciò l'artista tende dunque a dimostrarsi quale profeta ed astrologo. L'astrologia deve infatti essere qui intesa nella sua valenza allegorica, di riconoscimento del procedere superiore della determinazione. Essa deve dare concretezza all’idea che, nel rapporto fra gli opposti (raffigurati tradizionalmente dalle immagini del Sole e della Luna), lo schermo stellare costituisca una forma di luogo per l’individuazione generale, che dunque precede onto-logicamente la comparsa della fissazione particolare e concreta, ordinata, assegnata ai diversi pianeti.³ Questi ultimi dovevano quindi offrire espressione puntuale all'incontro fra materia ed anima nel cosmo, enucleando dall’interno di questo incontro un’immagine di propensione, capace di esibire conclusività a quella posizione divina che per altro ed opposto verso segnala ed indica l'inizio, l’origine celeste: infatti, se lo schermo stellare costituisce in un certo senso lo sfondo al quale applicare ed agganciare la totalità dei movimenti apparenti e delle triangolazioni celesti, indipendentemente ed oltre la loro fissazione esso viene immaginativamente retroflesso – con un balzo all’indietro dell’immaginazione ‒ secondo la necessità che lega questo luogo universale alla profonda e misteriosa volontà divina.
Se in epoca medievale questo rapporto di soggezione si concretizzava in maniera pressoché immediata nella convergenza assoluta stabilita dai doveri prefigurati dalla teologia e dalla dottrina cristiana, in epoca umanistica questa mediazione sembra, prima di tutto, trovare uno spazio ed una espressione quasi svincolata da una ferrea e restrittiva determinazione, per ricercare successivamente elevatezza di ruoli e di prospettive. Il mondo ideale in tal modo quasi resuscitato ed aperto – e la ripresa della concezione neoplatonica ne è la conferma storiografica ‒ sospeso tra le caratteristiche della propria grandezza e della propria sublimità, diventa in epoca rinascimentale un organo che viene continuamente riflesso nella e dalla disposizione universale.⁴
In epoca rinascimentale nella persona dell'artista dunque coabitavano e si intrecciavano saldamente e profondamente diverse figure e funzioni: essa doveva rendere la presenza di una processualità nascosta e latente, ad un tempo soprannaturale e naturale. Soprannaturale nell'infinito grado delle sue potenzialità, nell'idealità costituita dalla libertà assoluta; naturale nell'accostamento continuamente riproposto attraverso una rinnovata – quando non rivoluzionata ‒ cifra razionale.
Struttura della cifra
Il titolo dell'incisione al bulino realizzata da Albrecht Dürer nel 1514, Melencolia I, vuole alludere ad uno dei quattro umori e temperamenti presenti nella codificazione classica della fisiologia e psicologia rinascimentali: l'umore malinconico ‒ insieme a quello flemmatico, collerico e sanguigno ‒ costituirebbe l'organicità totale delle influenze capaci di regolare la corporeità e la psicologia dell’uomo.⁵
Concordando con l'opinione dello stesso Maurizio Calvesi,⁶ si può forse affermare che la raffigurazione düreriana intenda rappresentare l'inizio di un movimento o processo di trasformazione, comunque destinato ad una sublimità e grandezza di perseguimenti e realizzazioni. Si può conseguentemente proporre che questa processualità segua un ben preciso andamento, nascostamente ma emblematicamente indicato da una parte ben precisata della composizione, secondo uno stile sineddochico caro alla tradizione simbolica ed allegorica rinascimentale. La parte che svolge questa funzione di svelamento eminente è il quadrato magico,⁷ posto nell’incisione a destra, in alto.
Vedi immagine n. 1 (Appendice)
È opportuno ora concentrare l'attenzione su questa parte della raffigurazione, per metterne in evidenza quella che, a mio parere, è la sua strutturazione dinamica latente, nell’intento di decodificarne la chiave segreta.
Vedi immagine n. 2 (Appendice)
Credo si possa sovrapporre, alla figura così raccolta, una schematizzazione che ne sveli l'interno meccanismo di composizione. Pongo di seguito la rappresentazione totale di quest'articolazione, per spiegarne poi, passo passo, le modalità costruttive.
Vedi immagine n. 3 (Appendice)
Di fronte al cosiddetto quadrato magico la domanda che ne investe la spiegazione si traduce immediatamente in quella che ne richiede la modalità costruttiva: come viene dunque costruito il quadrato magico?
Ho creduto bene di dover seguire lo svolgimento dei numeri, dall'1 al 16, tracciando contemporaneamente una successione di segmentazioni che, mano a mano che si veniva delineando, sembrava predisporre una serie ben scandita di operazioni.
Innanzi tutto la figura della prima triangolazione. Essa unisce i numeri 1, 2, 3 e 4, sembrando indicare un punto lontano, appena oltre il limite superiore dello stesso quadrato. Ho pensato che essa volesse rappresentare qualcosa che potremmo definire come la informe prima, l'indeterminatezza più elevata.⁸ Ciò che, secondo l'interpretazione di Maurizio Calvesi, costituisce il tema dell'incisione düreriana: il ricordo dell'assenza della forma e l'implicato desiderio nostalgico di essa.
È in questo desiderio che si attua il coglimento del limite superiore: esso sembra realizzare quello slancio che costituisce lo sfondo di unità dei pensieri e delle azioni umane: l'universalità della formazione superiore.
Nello spazio così aperto⁹ il tempo della ricerca sembra correre a ritroso, capovolgendo il senso e la direzione della successione lineare dei fenomeni. La flessione e conversione che qui sembra realizzarsi mi