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I pretoriani bianchi
I pretoriani bianchi
I pretoriani bianchi
E-book523 pagine6 ore

I pretoriani bianchi

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Info su questo ebook

"I Pretoriani Bianchi" è il volume conclusivo della trilogia iniziata da "Forze Ancestrali" (in download gratuito).
Un destino comune di annientamento pare muovere i fili delle esistenze di CorvoRosso, Samir, Alarico, Molov, Cassandra e Hristo. Eppure il Reietto, dall'alto della Torre Bianca lancia i propri messaggi di speranza. Scongiurata l'avanzata terrena di Samael, due nuovi pericoli rischiano però di annullare le gesta eroiche che hanno concesso al Mondo di non mutarsi in una pira immane: la furia del Generale Marcos e il desiderio di vendetta di Isyl, l'Astronascente.
LinguaItaliano
Data di uscita17 lug 2013
ISBN9788890723032
I pretoriani bianchi

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    Anteprima del libro

    I pretoriani bianchi - Andrea Zanotti

    baccano.


    I° Regno di Ranov

    Rientro in Patria


    Trovarono il portale d'accesso alla fortezza di Golgonav spalancato. Non poteva esserci giustificazione a una tale leggerezza. Già il fatto che non fossero stati intercettati da alcuna pattuglia di guardia, risultava assai strano.

    Il monte sul quale sorgeva la roccaforte, baluardo per accedere al Regno di Ranov dalle Terre del Vento, era rinomato per essere un luogo lugubre. Le sue tetre foreste godevano di una pessima nomea, infarcite com'erano di trappole e trabocchetti capaci di annientare ogni possibile aggressore.

    Ora tutto questo era stato spazzato via dal furore delle fiamme purificatrici.

    Non per questo il luogo appariva meno cupo.

    Le pendici del monte erano cosparse di tronchi anneriti, rocce fuse e resti di cadaveri.

    Il profumo degli aghi di pino era stato sostituito dall’odore di cancrena e morte.

    Il fuoco aveva mimetizzato quei miseri resti, fondendoli in un unico amalgama d’annientamento di colore grigiastro. Eppure il massacro che c'era stato risultava ancora chiaramente percepibile.

    Alarico e il suo drappello non avevano incontrato anima viva da quando avevano messo piede in patria.

    Non che i minuscoli regni confinanti, cuscinetti pensati ed allestiti dal Duce Ranovoi per dividere la sua gente dai barbari delle Terre del Vento, brulicassero di vita, ma questo non li aveva stupiti più di tanto.

    In un paio d’occasioni era parso loro di intravedere in lontananza la sagoma di qualche contadino, che appena li scorgeva cambiava strada svanendo come un fantasma per qualche sentiero dimesso. Non ci avevano fatto caso fino ad allora, ma ora, trovandosi innanzi al varco incustodito di una delle principali fortezze del Regno, non poterono accantonare il problema.

    «Qualcosa non và.» disse Alarico ai suoi. «State in guardia.»

    La centuria era ridotta all'osso. Una trentina di legionari era tutto ciò che avanzava dalla loro missione nelle Terre del Vento.

    Il gruppo si era assottigliato dopo la battaglia che aveva portato alla morte di Samael.

    Nel lungo tragitto che li aveva ricondotti in patria attraverso le selvagge lande ridotte a terra di nessuno, avevano dovuto affrontare altri pericoli. Si erano dilettati a massacrare tutti gli accoliti del Dio del Fuoco in cui si erano imbattuti. I più erano allo sbando, in fuga disorganizzata, ma in un’occasione si erano trovati ad affrontare un Angelo di Fuoco che ancora non si era arreso all'evidenza dei fatti e aveva allestito una banda di predoni ancora disposta a sacrificarsi per la propria fede.

    «La morte ci ha preceduto.» sentenziò Kozak annusando l'aria come un segugio.

    Il Centurione lo fissò dritto in faccia. «Di cosa parli, Domatore? Non è il momento per stupidi indovinelli.»

    «La morte che ha compiuto quest'opera non ha origine umana.»

    «Spiegati meglio Kozak, io vedo solo il risultato di un’aspra battaglia.» l'apostrofò spazientito Alarico.

    «No giovane Centurione, per quanto un combattimento possa essere sanguinoso, lascia sempre un vincitore. Qui abbiamo solo cadaveri di sconfitti.»

    Kozak oltrepassò il portale ed entrò a Golgonav senza aggiungere altro.

    Nessuno dall'interno diede l'allarme o ne annunciò l'arrivo. Tutto taceva.

    Un silenzio assordante regnava sull'intera vallata, intervallato dallo sporadico gracchiare di qualche uccello saprofago.

    Il Centurione diede ordine ai legionari di seguirlo, deciso a svelare quell'arcano.

    «Perlustrate a coppie la zona. Due di voi facciano il giro completo della cerchia muraria e diano un'occhiata nei dintorni. Io e te Kozak andremo direttamente nel mastio.»


    Appena varcata la soglia del mastio centrale sentirono una voce riecheggiare fra le stanze del maniero.

    Frasi senza senso urlate da una mente priva di intelletto.

    Si riverberavano nei locali oramai abbandonati, vigilati solo da cadaveri in decomposizione. Una litania continua, irritante.

    «È arrivato il castigo…» urlava la voce isterica «è arrivato e si è portato via tutti…»

    Il silenzio calò nuovamente lasciando percepire al Centurione e al Domatore il suono ritmato emesso dai calzari sul marmo: passi strascicati, incerti.

    Intuirono la direzione di quei suoni e si diressero verso la scalinata che li avrebbe condotti dalla voce senza volto.

    «È arrivato il castigo e si è portato via tutti…» ghignò nuovamente questa.

    Un brivido corse lungo la schiena di Alarico, mentre al suo fianco Kozak era impassibile, come sempre.

    I Demoni con cui aveva abitualmente a che fare lo avevano temprato a tutto.

    «È arrivato il castigo…» la voce si fermò di colpo appena l'uomo vide i due avanzare sulla rampa di scale.

    La prima cosa che notò Alarico furono i gradi appuntati sulla divisa lercia del poveretto: era il Tribuno e Siniscalco di Golgonav.

    Il centurione non lo aveva mai visto prima, ma certo, dell'uomo impeccabile e curato, quasi effeminato che gli aveva descritto Molov, non era rimasto nulla. Scarmigliato e con le vesti logore, sporco come un maiale appena uscito da una cloaca, il tribuno Intario era l'emblema del Regno crollato a pezzi.

    Alarico gli si avvicinò lentamente, convinto che la mente dell'uomo avesse già valicato i confini del raziocinio e che fosse imprevedibile e forse pericoloso.

    «Che cosa è accaduto, Tribuno?»

    Intario lo fissò con uno sguardo fesso, quasi non comprendesse quelle parole.

    «… il castigo… è arrivato.» ripetè come uno stolto.

    Ad Alarico venne in mente un particolare che quasi lo spinse a sua volta a una risata isterica. Ricordava come Molov era solito sbeffeggiare il Tribuno per la fragranza di menta che ne contraddistingueva l'alito.

    Non ne era rimasta traccia. Il fiato di quell'uomo sapeva solo di malattia e morte e putrefazione.

    Quel lezzo immondo e l'idea che per sopravvivere probabilmente si fosse cibato dei resti dei cadaveri, diedero al centurione una nausea cui resistette a stento.

    «Di che castigo parla, Tribuno?» provò a domandare Alarico, meravigliandosi del tono ossequioso che nonostante tutto riservava a quell'uomo fuori di testa.

    «… si è portato via tutti! Il castigo…»

    «Si calmi Intario, ora è tutto finito.»

    Provò a scuoterlo, posandogli le mani sulle spalle. Ancor prima che ci fosse un contatto, il Tribuno si divincolò e sfoderò la strappasangue.

    L'affondo che ne seguì fu rapido e improvviso.

    Alarico nonostante la sorpresa riuscì a evitare di essere ferito. Anche un solo graffio della strappasangue poteva portarlo dritto dritto alla tomba.

    Kozak si ritrasse e cominciò a cantilenare frasi inintelligibili, mentre i tatuaggi sul suo torace si animavano di vita propria.

    «Cosa vuoi fare? Non puoi usare i tuoi poteri su di lui!» Gli intimò il Centurione mentre sfoderava a sua volta la lama incantata per difendersi.

    «È perso oramai, voglio leggergli la mente per capire cosa diavolo è accaduto durante la nostra assenza.»

    Intario nel frattempo era tornato all'attacco.

    Il corpo martoriato da piaghe e pustole era ancora dotato d’energie.

    Il Centurione fece da scudo a Kozak e intercettò il colpo.

    Non era sua intenzione far male al commilitone, avrebbe atteso che si stancasse o che le arti di Kozak lo bloccassero.

    «Non voglio che tu lo uccida o che lo faccia soffrire più del necessario!» ordinò a Kozak, ma da questo ebbe di rimando solo un sorriso sghembo che non lasciava presagire nulla di buono.

    Bastarono pochi secondi perché le malie del Domatore di Demoni avessero effetto.

    Il tribuno perse la presa sull'elsa della spada e crollò sulle ginocchia iniziando a singhiozzare.

    Poco dopo iniziò a emettere dei rantoli agghiaccianti e ad arpionarsi la testa con le mani scheletriche.

    «La sua mente è andata. Ho provato a scavare a fondo, ma anche i suoi ricordi sono compromessi.» disse Kozak senza alcun sentimentalismo.

    «Lascialo andare allora!» gli intimò Alarico vedendo le sofferenze del malcapitato aumentare sempre più.

    Il corpo, steso a terra era preda di spasmi spaventosi, come se tutti i muscoli gli si contraessero all'unisono fin quasi a spezzarsi.

    «Inutile, i demoni pretendono la loro parte, non posso richiamarli. Comunque una cosa sono riuscito a scoprirla. Il castigo di cui andava blaterando era la Peste del Sangue.»

    «Che cosa?» Il giovane centurione era allibito.

    «Hai capito bene. I Cinque hanno scatenato la pandemia per respingere il nemico.»

    Semplice sorpresa o una nota di compiacimento nella voce del Domatore? Alarico non avrebbe saputo dirlo.

    «Andiamocene da qui. Voglio raggiungere Sgravi al più presto.» sentenziò il giovane Centurione mentre una rabbia incontrollata gli nasceva nell'animo.

    Per quale motivo i Cinque si erano spinti così oltre ogni logica? Sterminare il proprio popolo pur di respingere il nemico? Era follia. Così come Kozak non aveva avuto scrupoli a sgozzare un legionario per offrirlo ai propri demoni e accedere alle informazioni che andava cercando, i Maestri dell'Ordine del Sangue non avevano esitato a compiere un eccidio di massa pur di preservare se stessi.

    Alarico non poteva accettare una scelta del genere. Avrebbe chiesto delle spiegazioni al suo Duce.

    Con un colpo secco decapitò il Tribuno strappandone corpo, e forse anima, alle sevizie dei Demoni scatenati da Kozak.

    «Andiamocene.» Ordinò, mentre quest’ultimo gli lanciava un’occhiata carica di disprezzo e bisbigliava qualcosa che poteva essere solo una serie di scuse ai suoi cari demoni o forse una maledizione verso il giovane ufficiale.


    Il Centurione Molov stava presidiando i lavori di costruzione della loro prima linea difensiva.

    Da quando le trireme Ranovoi erano approdate nei pressi della città di Kahar, due giorni addietro, l'edificazione di quella muraglia procedeva spedita.

    Utilizzavano le assi delle imbarcazioni per erigere le difese in attesa che giungessero i loro alleati al comando del Titano Acheronte e potesse iniziare l'assedio vero e proprio.

    Durante la navigazione, una decina di giorni prima, avevano scorto la colonna dei giganti in marcia lungo la costa frastagliata delle terre del deserto. Li avevano superati con la flotta e si erano portati avanti.

    Quegli esseri mostruosi procedevano lentamente, in modo del tutto disorganizzato, ma la loro forza sarebbe stata fondamentale per scardinare con facilità le difese della città.

    Nell’attesa i legionari stavano allestendo la palizzata difensiva.

    Il Duce aveva garantito loro che la flotta non sarebbe più servita. Meglio pensare a proteggere i pochi soldati sopravvissuti alla peste del sangue.

    In realtà, cosa mai accaduta in secoli di gloriosa storia della Stirpe Ranovoi, assieme alla legione viaggiavano anche donne e bambini. La pestilenza li aveva costretti a infrangere la regola e così al momento gli uomini dovevano badare a difendere le proprie famiglie dalle vili rappresaglie dei cavalieri del deserto.

    Kahar era imponente.

    Il veterano non avrebbe mai creduto che i selvaggi possedessero delle vere e proprie città, ma quella che s’innalzava sulla collina rocciosa a poche migliaia di metri dalle loro posizioni era indubbiamente qualcosa di più che un villaggio fortificato.

    Nel colore rossiccio della sabbia che lo circondava, l’insediamento era protetto da spesse e tozze mura, le cui fondamenta posavano su un solido altopiano roccioso. Su i quattro torrioni posti ai vertici del rettangolo quasi perfetto formato dalla muraglia, erano accesi immensi bracieri mentre sul torrione a cono mozzato, che sovrastava l'intero agglomerato urbano, era posto un manufatto d'oro alto come quattro uomini. Ritraeva l'occhio fiammeggiante di Asul. Il suo profilo si stagliava orgoglioso sul cielo terso del deserto, lanciando barbagli accecanti.

    C'era un caldo infernale.

    L'accampamento che avevano allestito forniva una ben misera protezione da quella calura cui nessuno di loro era preparato. Fortunatamente le scorte d'acqua e cibo di cui erano muniti garantivano di poter sopravvivere in quelle lande brulle dove il sole inceneriva ogni potenziale fonte di sostentamento così come ogni speranza.

    Per loro fortuna a guidarli c'era Drakorius.

    Al ritorno da Sgravi, il Duce era parso più determinato del solito. Per nulla scalfito dalla piaga che aveva quasi annientato il suo dominio. Sprezzante aveva dato ordine al comandante Bolanov di dirigere la flotta verso nord.

    Nessun tentennamento da parte sua, nessun rimpianto per la patria lasciatasi alle spalle.

    In tutta sincerità Molov non comprendeva le finalità di quella campagna.

    Anche se avessero conquistato il Tempio stesso di Asul sull’Isola di Giada, impresa che nessuno era mai stato in grado di portare a termine, a cosa sarebbe servito? Per non parlare della conquista di Kahar, una città immersa nel nulla.

    Poteva anche trattarsi di uno snodo importante per rotte carovaniere e commerciali, ma sin ora non si era visto alcun movimento in tal senso.

    Solo isolati cavalieri a dorso di quelle bizzarre cavalcature con una gobba sulla schiena, partivano o rientravano nella fortezza.

    Il Duce aveva ordinato loro di lasciarli andare. Era sicuro dei propri mezzi, non temeva potessero arrivare aiuti ai loro nemici o comunque non li reputava un pericolo.

    Molov pensava che fosse solo un’azione di rappresaglia, una ricerca dello scontro fine a se stesso, per mostrare che la potenza Ranovoi era tutt'altro che in declino. Ad ogni modo non era certo suo compito indagare sui piani di Drakorius.

    «Presto con quei pali. Conficcateli a fondo.» tuonò verso gli uomini. «Non vorrete che ci crollino addosso al primo assalto di quei bastardi?» imprecò. «Tutta colpa di questa maledetta sabbia! Mi manca già la dura roccia del nostro Regno.»

    Non vedeva l’ora di poter mettere le mani addosso a quei barbari per poter sfogare la frustrazione. Presto l’occasione gli si sarebbe presentata.

    II° Monte Sentenza

    La mossa del Presidente del Senato


    Eraclio non aveva ancora smaltito i dolori alle vecchie ossa causati dal viaggio da Varianopoli a Monte Sentenza.

    Non era più in grado di sostenere spostamenti di tale entità, doveva ammetterlo, e men che meno con la fretta che le aveva messo in corpo l'Inquisitrice Cassandra.

    Quella donna aveva il potere di confondere il suo raziocinio.

    Il miscuglio d’acutezza e sensualità, di spudoratezza e determinazione glaciale che la contraddistinguevano lo fecero rabbrividire.

    Nonostante l’età certi istinti non si sopivano mai.

    Eraclio sorrise, ringraziando di essere rientrato nei propri alloggi, sano e salvo e infine al sicuro.

    Ora attendeva, comodamente sprofondato nella poltrona preferita, l'arrivo del suo ospite.

    Al momento si stava intrattenendo con un altro invitato di un certo livello: Ascanio, il capitano delle Guardie di Monte Sentenza.

    Non che avesse nulla di particolare da comunicargli o da domandargli, ma lo aveva chiamato affinché lo notasse il visitatore principale, quando infine fosse giunto.

    Un inserviente gli fece un cenno.

    Eraclio comprese.

    Era riuscito a convocare Publio, Senatore di Aspor, sostenendo di voler proporre un patto commerciale privato fra le due città che rappresentavano. In realtà le sue intenzioni erano ben diverse.

    Come suggerito da Cassandra, desiderava ottenere l'aiuto di un Senatore facente parte del gruppo di Aspor per carpire informazioni su Attalo.

    Informazioni e forse qualcosa di più consistente.

    Avrebbe improvvisato, decidendo fin dove spingersi in base alla reazione dell’interlocutore. Non sarebbe certo stata la prima volta che un Senatore creduto amico si rivelasse poi una serpe in seno.

    Per questo aveva scelto di contattare proprio Publio.

    Conosceva l'ambizione che ancora pervadeva l’uomo. Intuiva l'invidia nutrita da questo nei confronti del giovane capogruppo Attalo e ancor più dello stretto legame che univa questo al Generale Marcos.

    Eraclio era intenzionato a sfruttare tali sentimenti a proprio vantaggio. In prospettiva Publio era certamente il miglior candidato possibile.

    Non poteva esserne certo, ma immaginava la delusione provata da questo allorquando Attalo, a sorpresa, era stato nominato capo del gruppo dei Senatori di Aspor. Quella posizione illustre sarebbe spettata a Publio, in base all'anzianità di servizio. Eppure in quella città dedita al culto del Dio della Guerra, sembravano vigere degli equilibri differenti.

    Riteneva ugualmente che il Senatore fosse rimasto di stucco, oltraggiato da quella scelta, e che in cuor suo nutrisse un forte desiderio di rivalsa, rafforzatosi ancor più nel constatare come il Generale avesse in Attalo un interlocutore privilegiato, se non l'unico.

    «È stato un piacere averla qui con me Capitano, la sua compagnia e la pungente dialettica di cui è dotato sono per me sempre fonte di svago. Sapere che lei e i suoi uomini vigilate con solerzia su noi Senatori è inoltre di grande conforto. Ora, mi scuserà, ho un appuntamento e devo pertanto accomiatarmi.»

    «Senatore Eraclio, la ringrazio per l'invito. In effetti, si è fatto tardi anche per me. È tempo che passi in rassegna le truppe.» L'ufficiale si alzò e fece per andarsene.

    Come da accordi, il servo aprì l'uscio e annunciò l'arrivo del Senatore di Aspor.

    Con passo deciso questo entrò nella sala, fermandosi solo quando inquadrò la figura tarchiata di Ascanio.

    Eraclio notò con piacere la sorpresa sul volto del nuovo arrivato.

    «Il Capitano Ascanio, se ne stava giusto andando.»

    «Esatto.» confermò questo salutando i due Senatori e lasciandoli ai loro intrallazzi, fingendo indifferenza.

    Il Capitano delle Guardie di Monte Sentenza aveva sempre tenuto un distacco furbesco dalle tresche di Palazzo. Una neutralità assoluta che gli aveva concesso di ricoprire quell'incarico da quasi due lustri.

    Il Senatore di Aspor si fece avanti titubante.

    Cosa ci facesse Ascanio negli alloggi privati del Senatore Eraclio, era un mistero che Publio non riusciva a risolvere. Inoltre il fatto che fosse ancora lì quando lo avevano fatto entrare suonava come un'aperta minaccia.

    Publio comprese subito che il piatto forte di quell'incontro non sarebbe stato un semplice trattato commerciale.

    «Benvenuto nobile Publio. È un onore per me ospitarla nella mia parca dimora.» esordì il vecchio Senatore di Varianopoli.

    «Parca dimora? Buffa definizione per una residenza così lussuosa e in pieno centro.» lo schernì Publio.

    Per essere un Senatore di Aspor, notò Eraclio, aveva un aspetto ricercato. Curato, con lunghi capelli raccolti da una cordicella dorata, indossava una tunica di broccato, con intarsi argentati. Portava anelli alle dita e un prezioso diadema gli pendeva al collo. Poco importava che ritraesse il simbolo del Dio della Guerra, le asce incrociate, era pur sempre un monile d’alto valore.

    Bene, meglio così pensò l'anziano presidente del Senato, evidentemente quell’uomo non era indifferente ai beni voluttuosi come la maggior parte dei suoi rozzi colleghi.

    «Sono sicuro Publio, che troverà quanto ho da dirle d’estremo interesse.»

    «Mi auguro non voglia frastornarmi con i suoi infiniti giri di parole. Non siamo in aula, Senatore. Veniamo al punto.» tagliò corto questo, a disagio.

    Trovarsi nella tana del nemico non doveva fargli affatto piacere.

    Eraclio odiava quelle genti del nord, ineleganti e prive del minimo tatto, ma non lo diede a vedere.

    «Naturale, naturale, non intendo tediarla oltre. In qualità di Presidente del Sanato ho ritenuto opportuno chiamarvi per fornirvi in anteprima l'ordine del giorno delle prossime assemblee.»

    Un cupo cipiglio si dipinse sul volto di Publio.

    «Non si doveva discutere di un trattato commerciale? E perché avreste chiamato proprio me e non direttamente Attalo? È lui il capogruppo dei senatori di Aspor, lo sapete meglio di me.»

    «Il trattato certo, quello avremo modo di vederlo più avanti… Attalo? Pensavo le interessasse avere informazioni che neppure lui possiede. Sbagliavo, forse?»

    Il vecchio lanciò uno sguardo carico di sottintesi che il Senatore di Aspor non si lasciò sfuggire.

    Dopo un istante di incertezza, Publio cedette al suo orgoglio. «Proceda pure, Senatore Eraclio, sentiamo…»

    «Le staffette giunte dal Nord ci hanno riferito del successo ottenuto e ci hanno detto che il Generale sarà presto di ritorno. Possiamo dire che questa è la versione ufficiale dei fatti. La realtà è però ben differente.» sorrise il vecchio.

    «Di che parlate? Il Generale ha riportato una vittoria schiacciante! Già sono in allestimento i preparativi per il suo trionfo.»

    «Illusi. Ogni preparativo risulterà inutile. Non crederete che io sia rimasto con le mani in mano, delegando ad Attalo e al suo braccio armato Marcos, la gestione totale della Lega? Diciamo che all'interno dell'esercito ho dei confidenti. La loro versione si discosta parecchio da quella ufficiale.»

    «Spie! Voi parlate di traditori nei ranghi del nostro esercito?»

    «Naturalmente, non fingete di stupirvene. L’ipocrisia non vi si addice. Non hanno certo nuociuto alla causa comune. Tutt'altro. Solo grazie a loro sappiamo che Marcos sta proseguendo la campagna di massacro per rabbonirsi il vostro Dio sanguinario. Senza alcun’autorizzazione sta conducendo un’azione di guerra per i propri fini personali. Forse - ipotizzò - lo sta facendo per lavare l’onta della resa che era pronto a offrire a Samael. Forse non sapete, Senatore, che il Generale aveva già ordinato la ritirata, quando altre entità sono intervenute per regalargli la vittoria.»

    «Badi Senatore a quello che dice!»

    «Il mandato del Generale è da ritenersi concluso nel preciso istante in cui ha annientato il figlio di Asul. Che poi non sia stato merito suo è un altro aspetto interessante, ma al momento secondario.»

    «Parlate bene ora che il Generale è dall'altra parte del mondo…» gli rinfacciò Publio, rendendosi conto nel momento stesso in cui proferiva quelle parole dei possibili scenari che il perdurare di quella situazione avrebbe potuto aprire.

    Erano in molti a non essere affatto soddisfatti della gestione autoritaria del brutale Generale.

    Inoltre con il grosso delle truppe lontane, se fosse stato vero ciò che sosteneva il vegliardo, non era improbabile che i mercenari allontanati da Marcos potessero essere assoldati dai ricchi possidenti. Troppi cani sciolti e rabbiosi imperversavano liberamente nelle Città della Lega.

    «Esattamente - rimarcò Eraclio - e ci rimarrà per parecchio tempo suppongo. Quando il suo mancato rientro inizierà a venir confermato dai fatti, potrebbero cambiare parecchie cose all'interno degli equilibri di Monte Sentenza.»

    «Anche se questo fosse vero non comprendo cosa vi aspettiate da me.» sibilò il senatore di Aspor comprendendo appieno la pericolosità dello scenario che si andava delineando.

    «Niente di speciale Senatore, volevo solo che sapeste che io sono disponibile. Prendetevi pure del tempo. Verificate le mie informazioni, ditele pure ad Attalo se lo ritenete opportuno, oppure tenetevele per voi. Vi offro una posizione di vantaggio e probabilmente un’ancora di salvezza, sempre che voi la sappiate sfruttare a dovere. La conoscenza è potere.»

    «Se pensate veramente che io possa in qualche modo tradire la mia città, vuol dire che la vecchiaia ha iniziato a intaccare profondamente il vostro intelletto.»

    «Nessuno vuole mettere in dubbio la vostra lealtà ad Aspor. Si tratta solo di capire se non sia stato Attalo, oppure Marcos stesso, ad agire per i propri interessi, prevaricando quelli della vostra città e dell'intera Lega.»

    «Ho già sentito abbastanza Eraclio. Grazie della vostra confessione illuminante!» gli urlò in faccia Publio incollerito, il volto una maschera paonazza. Si alzò e se n’andò senza aggiungere altro. Non aspettò l'inserviente che voleva aprirgli la porta ed anzi la sbatté con fragore alle proprie spalle.

    Sul volto dell'esperto senatore di Varianopoli comparve un ampio sorriso.

    Tipico dei seguaci di Astor. Facili prede dell'ira e incapaci di controllarsi.

    Eppure era certo che le sue imbeccate avessero trovato terreno fertile. Per Publio quella era un’occasione d'oro. Eraclio era certo che lo avrebbe rivisto presto e allora sarebbe stato più accondiscendente. Quando questo si fosse avverato avrebbe aggiunto una bella offerta in oro, gentilmente concesso da Gregorio, tesoriere della Casta dei Mercanti di Porto Bianco, e il gioco sarebbe stato fatto.

    Tutto sommato era vecchio, ma la sua mente era tutt'altro che in declino.

    III° Torre Bianca

    Le costant


    Il Reietto stava leggendo avidamente il tomo della storia del suo mondo. Non si accorse neppure dell'avvicinarsi del Bianco. Quando questo gli posò una mano guantata sulla spalla ebbe un sussulto, come se qualcuno l'avesse svegliato di soprassalto da un riposo a mezza via fra il sogno e l'incubo.

    «Allora Araldo, come procedono i tuoi studi?» chiese il Custode con voce pacata.

    Da quando si era reso conto che non esisteva via di fuga da quella torre-prigione, il Reietto si era dedicato unicamente alla lettura del volume che teneva stretto fra le mani.

    Si era gingillato osservando attraverso le innumerevoli finestre che davano su realtà differenti, ma anche questo alla lunga l’aveva annoiato.

    Era stato attirato in altri Mondi, resi affini solo dal comune denominatore delle guerre e dalla bramosia di potere. Che si trattasse di regni teocratici, dittature militari, democrazie o baronie feudali, in tutti la guerra era sempre presente, a tutti i livelli, e giocava sempre un ruolo predominante nelle visioni offerte da quelle aperture nella pietra bianca della Torre. Dalle piccole schermaglie fra uomini agli scontri maestosi fra colossi composti dagli elementi e seguiti pedissequamente da schiere di guerrieri e fanatici: burattini nelle mani insanguinate di creature che andavano oltre la comprensione umana.

    Aveva osservato mostri simili in tutto e per tutto a Samael, ma costituiti dagli altri elementi naturali, scontrarsi in battaglia: Acqua, Aria, Terra oltre che Fuoco.

    Aveva conosciuto personaggi abili nelle arti misteriche, epigoni del Domatore di Demoni Kozak, che aveva tentato di annientarlo. Professavano riti blasfemi, capaci di richiamare mostri dai poteri sterminati quanto perversi. Aveva visto Dei e Entità indecifrabili apparire per donare gioia e felicità alle volte, dolore e morte altre. Erano state tutte esperienze interessanti e avvincenti ma lontane, asettiche quasi, in quanto figlie di protagonisti a lui sconosciuti e che in realtà non desiderava neppure conoscere.

    Questo era il punto.

    Aveva percepito la possibilità sconvolgente concessa da quelle visioni di sperimentare nel proprio animo tutte le emozioni umane e divine.

    Forse per paura se n’era ritratto.

    Il desiderio di distacco era cresciuto rapidamente, lasciandolo infine indifferente alle vicissitudini di quei Mondi lontani.

    Ugualmente aveva notato che alcune delle aperture erano oscurate, perennemente avvolte da tenebre insondabili.

    Senza un motivo preciso, quel vuoto l’aveva angosciato, come se aprendo un libro l’avesse scoperto formato da sole pagine bianche. Altre finestre erano invece avvolte da una luce accecante, che rendeva impossibile distinguere cosa stesse avvenendo dietro quella cortina di luminosità abbagliante.

    Comunque presto si era stancato anche di queste o perlomeno questa era la giustificazione razionale che imponeva al proprio intelletto.

    Aveva cercato invano di portarsi in cima alla torre, bramando di raggiungerne la sommità, percorrendo migliaia di scalini senza mai giungere neppure a intravedere in lontananza il soffitto.

    Aveva desistito e dopo un tempo indefinito passato nell'apatia più totale, si era deciso a tornare a leggere il tomo del proprio Mondo, dedicandosi alla storia passata, incominciando dall'inizio, prima che le pagine svanissero sotto i suoi occhi sostituite dagli eventi attuali.

    Si rammaricava di non poter dirimere il mistero della genesi del suo, così come degli altri Mondi.

    Ogni tomo che aveva letto si comportava al medesimo modo.

    Le prime pagine svanivano sostituite dalle successive in un incessante circolo di annullamento e creazione di Storia.

    Il Custode non aveva mai interferito. Non gli aveva posto alcun divieto, lasciando che vagasse a suo piacimento fra gli scaffali di libri oppure su per le scalinate.

    Era la prima volta che gli si avvicinava di nuovo per parlargli. A ben pensarci, non ricordava neppure di averlo mai più visto dall'ultimo loro conciliabolo.

    «La storia è affascinante.» si limitò ad affermare il Reietto.

    La maschera bianca che copriva il volto del Custode parve deformarsi in un sorriso, forse solo frutto della sua immaginazione.

    «Dici bene Araldo, ma mi aspetto che tu giunga a conclusioni ben più concrete. Non siamo all'accademia Sciamano, una normale comprensione non mi è sufficiente, ti ho concesso di accedere alla mia dimora per affidarti un compito di vitale importanza. Dimostrami di esserne all'altezza.»

    Il Reietto era sconcertato.

    Quell'essere gli aveva concesso cosa? Dalle pagine del libro aveva sperimentato vividamente le sofferenze ingenerate dalla sua scomparsa nell'animo dei propri cari: Gaia viveva nel perenne rimpianto di averlo ucciso e CorvoRosso… beh, il guerriero versava in condizioni disperate. Totalmente allo sbando, abbruttito e incattivito vagava per le Terre del Vento alla ricerca di vendetta. Non aveva più un popolo da guidare, né cari cui badare.

    Il Reietto si era costretto a cambiare capitoli, a saltare spezzoni di Storia, pur di allontanare la mente dalla situazione di quello che per lui era stato molto più di un fratello. Non riusciva a guardarlo in quelle condizioni e parimenti non poteva biasimarlo, avendo provato sulla propria pelle il dolore che albergava in lui.

    «Non sono io ad aver chiesto di essere invitato!» disse sprezzante.

    Il Bianco fece un passo indietro e rimase silenzioso per qualche secondo, quasi stesse facendo ordine fra le idee, soppesando quanta verità concedergli.

    «Ci sono degli equilibri sottili che governano i Mondi, Sciamano. Avrei potuto lasciare che il tuo essere fosse cancellato per sempre. Chi ti conosceva in vita non avrebbe sofferto, chi ti attendeva nella realtà non-ordinaria avrebbe scordato la tua esistenza. A prima vista potrebbe sembrare che io ti abbia fatto un torto ammettendoti nella Torre, ma quando sei giunto, la scelta sulla porta da imboccare è stata solo tua.»

    Già, le due porte.

    Ricordava la sensazione di vuoto provata nel solo osservare il portale Nero, una voragine angosciosa che prometteva solo incertezze e guai e scelte complesse.

    «È un rischio enorme quello di cui mi sono fatto carico. E io non sono solito rischiare.» aggiunse il Bianco vedendo l’espressione dubbiosa dell’Araldo. «Se la tua scelta fosse stata diversa il mio antagonista avrebbe avuto gioco facile. Studia la Storia, cerca le costanti. Di più non posso svelarti. Per quanto distratti siano gli Dei, spingersi troppo oltre potrebbe destare la loro attenzione, attirando sguardi indesiderati.»

    «Le costanti?» chiese stupito il Reietto. «E cosa sarebbero? Ma prima di tutto chi è il tuo antagonista. Non mi hai ancora voluto rispondere a riguardo.»

    «D'accordo, forse qualcosa posso dirtela. Permettimi di risponderti con una domanda Sciamano. Hai fiducia nel genere umano?»

    «Dipende cosa tu intenda per fiducia.»

    «Non farmi aggiungere altro, rispondi d'istinto. Hai fiducia negli uomini?»

    Non era così facile dare una risposta schietta, diretta.

    La mente del Reietto ripercorse in un istante tutta la sua esistenza. Da quando era stato cacciato con ignominia dalla Lega di Hoilos dove aveva sperimentato solo ipocrisia e egocentrismi capaci di far sacrificare amicizie e amori in nome di ricchezza e potere, fino a quando era stato accolto da CorvoRosso e dai Corvi della Sabbia. Qui aveva conosciuto la lealtà, la fratellanza, una realtà ben diversa, una vita in armonia con la natura e i propri simili.

    Era difficile soppesare i diversi aspetti dell'indole umana: i piatti della bilancia erano in sostanziale equilibrio.

    «Sì.» rispose infine deciso.

    «N’ero certo. Ebbene, il mio antagonista no!»

    «E di converso Bianco, anche tu hai fiducia nell'umanità.» affermò di rimando lo Sciamano.

    Il Custode si esibì in un cenno affermativo e fece per andarsene.

    «Leggi fra le righe Araldo. Trova le costanti. Persone, eventi, comportamenti che tendono a riproporsi sempre con le medesime modalità, con la stessa direzione. Gli Dei odiano la monotonia, ma al contempo temono le novità.» si accomiatò, lasciandolo solo, il mantello candido che frusciava dolcemente sul marmo.

    «Aspetta Custode, dimmi ancora una cosa. Il buio che avvolge alcune delle aperture sulle pareti. Cosa significa?» gli gridò dietro il Reietto.

    «Non è ancora il momento, Sciamano. Non ancora.» Si sentì rispondere in tono sommesso.

    Appena il Custode fu fuori dal suo raggio visivo, il Reietto tornò al tomo della Storia.

    Decise di iniziare da capo, utilizzando come chiavi di lettura quelle fornite dal Bianco.

    Eventi ciclici, personaggio di spicco, luoghi teatro di avvenimenti fondamentali per la razza umana. Qualcosa gli venne in mente ancor prima di aprire le pagine ingiallite: Melasurej, la città dai mille Templi, l'Isola di Giada, dimora inespugnabile del Dio del Fuoco, il Braccio di Asul. Questi erano luoghi antichi, pregni di storia. In comune avevano il fatto di trovarsi attualmente tutti sotto il dominio dei seguaci di Asul.

    Poteva centrare qualcosa? Forse nel gioco degli Dei, il padrone del Fuoco aveva rotto l'equilibrio?

    La premonizione che gli era stata donata e che aveva preceduto l’avvento di Samael poteva avere importanza?

    Il Bianco intendeva questo? Forse c’era il suo zampino anche nella premonizione?

    Decise che questa era una soluzione troppo evidente e si rimise a leggere aprendo una pagina a caso. Il capitolo era intitolato "Isyl l'Astronascente".

    Ancora una volta.

    IV° Terre del Vento

    Il piano di Marcos


    I cagnacci si erano asserragliati su un’altura rocciosa.

    Su due lati era circondata dal corso di un fiumiciattolo troppo impetuoso per essere guadato senza rischiare di perdere soldati, mentre sul terzo presentava una parete a picco, impossibile da scalare.

    Rimaneva un’unica via d'accesso, ma era presidiata da un Angelo di Fuoco.

    La creatura si ostinava a difendere quel branco di straccioni in fuga. Con i loro archi ricurvi, questi tempestavano di strali le sue truppe, purtroppo con buoni risultati.

    Marcos era nuovamente preda dell'ira.

    L'essere alato con la propria aurea era ancora in grado di costringere i fedeli a combattere, nonostante il loro morale fosse crollato dopo la scomparsa di Samael per mano della Regina Nulla.

    Questo manipolo di sopravvissuti non si lasciava massacrare come quelli incontrati sin ora.

    Erano stati giorni di banchetti per corvi e di gran ludibrio per il Dio della Guerra.

    Frotte di vittime erano state lui dedicate, falcidiate da Marcos e dai suoi soldati e strappate alle fiamme eterne del Regno di Asul.

    Sarebbe stata solo questione di tempo comunque.

    L'uomo guercio osservava la scena, infastidito dal fatto che alcuni soldati si sarebbero uniti a quel fiume d’anime, trafitti a morte dagli strali di quei vigliacchi.

    Era tutta colpa dell'Angelo, capace di renderli ciechi innanzi alla loro morte imminente.

    Marcos sapeva che non sarebbe stato sufficiente l'intervento della creatura per evitare a quegli straccioni l'olocausto che intendeva infliggere loro.

    Il Generale li considerava nulla più che offerte inermi da sacrificare sull'altare benedetto di Astor.

    «Dai il segnale agli uomini di ritirarsi.» grugnì Marcos in direzione del fedele Nestore.

    «Ritirarsi Signore?»

    «Certo, ritirarsi… credi che ultimamente utilizzi troppo spesso questa parola?» lo apostrofò il Generale, che mal aveva digerito l'ordine di ritirata impartito durante lo scontro con Samael. «Questa volta però io non verrò con voi - ghignò - intendo vedermela personalmente con quell'essere immondo.»

    «Certamente Generale… ma stia attento.»

    Marcos si limitò a lanciargli un'occhiataccia mentre impugnava una corta lancia e si sistemava lo scudo.

    Quando il segnale fu recepito, il manipolo di militari che stava impegnando l'Angelo, iniziò a indietreggiare ordinatamente.

    Le sfuriate della bestia alata venivano contenute con abilità utilizzando gli ampi

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