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Solo tre regole
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E-book433 pagine4 ore

Solo tre regole

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Info su questo ebook

Un uomo si sveglia di notte su una spiaggia deserta. Ha la camicia macchiata di sangue, ma non ha ferite. Non ricorda nulla di sé, non sa come si chiama né che lavoro svolge. Spaesato, cerca di ricostruire la sua vita, scoprendo non solo che sa picchiare come un fabbro, ma anche di non essere una persona del tutto sconosciuta nel paese. Cercherà di recuperare il suo passato, con tattiche violente ma intelligenti, facendosi aiutare da un ragazzo incontrato lungo il percorso al quale insegnerà a sparare... e non solo.
Un thriller spietato nella sua verosimiglianza, che dipinge le spiagge della Sardegna con inediti toni noir.
LinguaItaliano
Data di uscita4 ott 2016
ISBN9788899091989
Solo tre regole

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    Anteprima del libro

    Solo tre regole - Giovanni Sechi

    Solo tre regole

    di Giovanni Sechi

    Panda Edizioni

    ISBN 9788899091989

    © 2016 Panda Edizioni

    www.pandaedizioni.it

    info@pandaedizioni.it

    Foto dell'Autore: Cristiano Proia

    Proprietà riservata. Nessuna parte del presente libro può essere riprodotta, memorizzata, fotocopiata o riprodotta altrimenti senza il consenso scritto dell'editore.

    I fatti e i personaggi rappresentati nella seguente opera, nonché i nomi e i dialoghi ivi contenuti, sono unicamente frutto dell'immaginazione e della libera espressione artistica dell'Autore.

    Ogni similitudine, riferimento o identificazione con fatti, persone, nomi o luoghi reali è puramente casuale e non intenzionale.

    Non hai forza per tentare

    di cambiare il tuo avvenire

    per paura di scoprire

    libertà che non vuoi avere…

    Ti sei mai chiesto

    quale funzione hai?

    Franco Battiato, Il silenzio del rumore

    Tornai nel Texas orientale e scoprii di non avere più voglia di aiutare i meno fortunati.

    Mi resi conto di essere uno di loro.

    Joe R. Lansdale, Una stagione selvaggia

    Tossì un litro d’acqua, prima di riuscire a respirare di nuovo. Chiuse le mani a pugno e sentì la sabbia passargli tra le dita. L’occhio che non era immerso nell’onda del bagnasciuga scorgeva il mare, qualche luce del porto, la luna che brillava da dietro le nuvole. L’orecchio libero sentiva il fruscio della pioggia torrenziale e qualche sirena provenire da lontano. Un piede alla volta, cercò di alzarsi. Barcollò, ma si rimise in piedi. Era in un piccolo tratto di spiaggia, adiacente al porto. C’era qualche cumulo di alghe, delle barche abbandonate con il legno mangiato dalla salsedine e dal vento, mentre delle navi mercantili continuavano a navigare, allontanandosi verso l’orizzonte. Ma lì attorno non vide nessun’altra persona: era solo. Si guardò le mani. Erano callose e piene di solchi, con sopra del sangue rappreso. Portava un orologio della Jaeger–LeCoultre: in origine dovere valere molto, ma ora il quadrante era pieno d’acqua di mare e le lancette non si muovevano più. Indossava una camicia bianca dalla taglia perfetta. Ma il colore sul petto cambiava, diventando rosso scuro. Era intrisa di sangue. Gli scappò un grido, ma dai suoi polmoni ancora pieni d’acqua uscì solo un gorgoglio. Tossì ancora, mentre si sbottonava la camicia. Il torace era ampio e uno strato di grasso appannava dei muscoli possenti, che sembravano essere stati sviluppati più per essere usati che per estetica. Si trascinò verso una barca abbandonata lì vicino. Guardò all’interno e vide che la pioggia aveva creato una pozzanghera alta una trentina di centimetri, su cui ci si poteva specchiare, illuminati dalla luna e dai lampioni lontani. Il viso che si rifletté mostrava più o meno quarantacinque anni. Era scuro e solcato da rughe, frutto di qualche ora di troppo all’aria aperta. Il naso e le sopracciglia erano intatte, e non mostravano segni di sanguinamento. Due domande gli rimbombavano nella testa come l’eco di un colpo di pistola.

    Da dove viene quel sangue?

    E soprattutto, chi sono?

    La pioggia, che cadeva fitta, era tanto calda da far sudare. Puzzava anche.

    Camminò verso la strada ondeggiando; ogni passo era seguito da un suono sgradevole, provocato dalle scarpe e dai pantaloni fradici d’acqua e di terra. La sabbia era entrata nelle calze e graffiava i piedi. La nausea pressava lo stomaco. Qualche forza sembrava aver tirato fuori quell’uomo un attimo prima che la morte lo prendesse, solo per vedere che cosa avrebbe fatto subito dopo. La verità era che l’uomo non ne aveva aveva idea. Forse avrebbe dovuto chiamare un’ambulanza, farsi visitare, poi contattare la polizia per risalire alla sua identità. Ma c’era quel sangue. Forse era ricercato, e il primo passante che incrociava l’avrebbe potuto rovinare. Chissà, forse era solo sangue di animale, o forse era stato vittima o testimone di un reato, ma finché riusciva a pensare e a muoversi, era meglio aspettare e farsi strada da solo, cercando risposte.

    Si tolse la camicia e la strizzò. Senza quel vestito bagnato, sentiva ancora più caldo. Controllò l’etichetta: era di sartoria. I pantaloni erano Armani e gridavano Made in Italy, come le scarpe di pelle scura. Frugò nelle tasche. Erano vuote. I vestiti sembravano quelli di un abito dal taglio classico, con vita alta e cavallo basso. Il colore faceva pensare a un abito da cocktail, più che a una divisa da impiegato. La giacca e la cravatta erano assenti, e forse ora giacevano in mare. Magari era un ricco imprenditore che era stato aggredito al ritorno da una serata mondana, ma poteva anche essere solo un impiegatuccio che amava i colori classici e odiava i nodi al collo.

    Si voltò e tornò a guardare la riva, ma il buio l’aveva resa invisibile. Iniziò a camminare sulle piastrelle che limitavano la spiaggia, cercando qualche traccia. Qualcuno poteva averlo abbandonato in mare, magari credendolo morto. Forse era stato abbandonato proprio dove stava camminando ora, e lui si era trascinato per qualche metro prima di svenire. Chissà, poteva anche aver tentato il suicidio annegandosi o con un’overdose che gli aveva fatto perdere la lucidità. Gli scappò una smorfia. In ogni caso, aveva dimenticato tutto, le ipotesi erano troppe e gli indizi nessuno.

    Notò un luccichio sulla sabbia. Si avvicinò a controllare. Era una forchetta con due denti piegati, arrugginita. Non serviva a nulla ma gli parve una mossa intelligente recuperarla e infilarsela in tasca. Camminò ancora per qualche metro ma, quando l’umido notturno trasformò il caldo in brividi, capì che doveva tornare al riparo. Meglio non sottovalutare la debolezza attuale del suo fisico, e il freddo è uno dei pericoli più infidi. Arrivato sulla strada, controllò se stessero giungendo delle macchine. La strada era deserta. A un centinaio di metri, un piccolo porticato copriva l’entrata di un negozio di abbigliamento in franchising. Si avvicinò guardando le case e le strade che si allargavano lì attorno. Chi sa da dove viene, sa anche chi è, e viceversa. Comunque era una città brutta: dei palazzoni squadrati si innalzavano arroganti in lontananza, mentre qualche cianfrusaglia messa lì dal comune cercava di abbellire il lungomare, per attrarre qualche pensionato in cerca di località turistiche a basso costo. Doveva essere un paesone schiavizzato da speculatori che aspettavano solo di allargare le maglie della politica per alzare palazzi, albergacci o negozi di prodotti di infimo livello. Arrivato al porticato, si sedette al coperto, ammirando il marciapiede asciutto. La prima cosa non fradicia che vedeva da quando si era risvegliato.

    Eh, bisogna stare attenti a questo freddo bastardo. Te lo mette nel culo quando dormi.

    Il risvegliato si voltò a osservare l’uomo che aveva parlato. Stava raggomitolato su un fianco, avvolto da un giubbotto di tre taglie più grande. Indossava un paio di pantaloni da ginnastica viola con delle macchie di sporco marroni, o forse i pantaloni erano marroni e le macchie viola. Appoggiava la testa su uno zaino strappato. Il volto era di un vecchio, o di un uomo reso vecchio dall’abbandono, dal dolore, dal desiderio che la morte lo prendesse con sé.

    Il risvegliato si chiese se quel barbone l’avesse preso per un collega: forse da fuori sembrava messo persino peggio di come era in realtà.

    Prima di ammazzarti, il freddo ti fa rilassare, ti fa morire dal sonno. Eh, sì, disse il barbone. Poi se ti dicessi, ragazzo, quante persone fredde che ho incontrato nella vita, che ti fanno rilassare allo stesso modo prima di fregarti, continuò con la sua voce roca e graffiata. Eh, il freddo è così.

    Il risvegliato ragionò su come rispondere. Non ricordando la sua storia di vita, si sentiva come un alieno di fronte al primo essere umano che incontra. Una specie di imprinting. Accarezzò la forchetta nascosta dentro la tasca. Quel barbone poteva possedere qualche soldo, e portava un giubbotto pesante: mettersi i suoi vestiti lerci era rivoltante, ma l’idea di morire assiderato lo era di più.

    Lo sai come puoi riconoscere le persone fredde? disse il risvegliato. Semplice: vedono tutti come persone insensibili, e questo perché sanno recepire solo la loro stessa sofferenza.

    Hai ragione ragazzo. Io lo dico che ho un casino di colpe. Forse in qualche modo del cazzo anche le guerre del terzo mondo sono colpa mia. Eh, sì. Ma non è che hai qualche spicciolo, ché ho fame?

    Quel barbone non l’aveva riconosciuto, sempre che qualcuno lo potesse fare. Non rappresentava un rischio, ma rapinare la prima persona che incontrava per un giubbotto cencioso non era un gran mossa. Poteva comunque ottenere qualche informazione basilare.

    Senti, sai che città è questa? chiese il risvegliato preparandosi a una reazione sorpresa.

    Castronni, gridò il barbone. Fu interrotto da un attacco di tosse catarrosa, poi riprese. Fino a qualche anno fa me ne stavo qui, tranquillo, solo nei mesi caldi, e a Cagliari d’inverno. Poi cazzo me ne frega, un bel giorno mi sono sdraiato qui e non mi sono più alzato. E gli spiccioli, amico? Dai, cazzo, uno solo.

    Castronni. Al suono di quel nome gli esplosero in testa le immagini di qualche strada, dei palazzi. Dei volti, delle emozioni. Ma tutto era scollegato. Un tempo aveva di sicuro conosciuto questa città, ma ora era uno straniero. Inoltre, Castronni forse continuava a conoscere lui. Doveva agire subito. Tolse la forchetta dalla tasca. Guardò le due punte rimaste, poi il viso del barbone. Pensò a qualche frase minacciosa per ricattarlo, breve, secca ed efficace. Quella che gli uscì fu: Questa ti può servire?

    Porse la forchetta, e il barbone si trascinò un metro verso di lui, strinse gli occhi, succhiò la bava dalla labbra e fece un cenno di no con la testa. Il risvegliato la buttò a terra.

    Non serve neanche a me. Alla prossima.

    Si alzò e fece qualche passo verso la fine dalla strada quando sentì un Ehi provenire da dietro di lui. Si voltò e vide che il barbone gli stava porgendo un vecchio giubbotto imbottito, strappato in vari punti, mangiato dal tempo e magari anche dai topi. Lo zaino su cui appoggiava la testa ora era aperto.

    Quella cosa che mi volevi dare non mi serve, ma a te servirà questo.

    Nonostante la distanza di almeno cinque metri, il risvegliato poteva sentire la puzza di quel cencio. Merda, sudore, forse anche qualche profumo scadente. Ma gli uscì un sorriso da bambino e si avvicinò per prenderlo. Lo indossò, ed era della sua taglia. Provò a tirare su la zip, ma i denti mancanti nella cerniera fecero fallire il tentativo.

    Grazie. Ci rivediamo.

    Torna. E attento al freddo. Qui è ovunque.

    Il risvegliato osservò il barbone e notò nei suoi occhi una luce di intelligenza che prima era rimasta nascosta. Annuì, si voltò e si incamminò verso il fondo della strada. Senza che se ne accorgesse, la nausea era sparita.

    Non aveva un piano su come procedere. Di certo non poteva rimanere fermo ad aspettare che gli si presentasse davanti qualcuno con una gola squarciata, per chiedergli di restituire il sangue che tratteneva nella camicia. O magari una signora impellicciata gli avrebbe lanciato il barboncino, accusandolo di averlo investito e poi abbracciato il corpicino devastato. Non sapeva che giorno fosse, ma solo che era notte, e la città dormiva: probabilmente dormiva anche di giorno, ma di notte sembrava morta. Eppure il porto era ancora vivo. Si vedevano lampeggiare delle luci, e dei suoni facevano capire che lì si stava ancora lavorando. A quell’ora era più probabile incontrare dei criminali invece che qualche tutore della legge troppo zelante, e con i criminali puoi reagire senza porti i limiti necessari con gli agenti. Se ne avesse trovato qualcuno, avrebbe potuto ottenere qualche informazione. In un modo o nell’altro.

    Si incamminò verso il porto, ma a metà strada un dolore lancinante alla testa lo paralizzò. Sembrava che un coltello arroventato si muovesse dentro il suo cranio, sempre più veloce. Cadde a terra e iniziò a urlare, ma le sue orecchie percepirono solo un sibilo. Per un attimo si materializzò di fronte ai suoi occhi il profilo di un uomo con una coda di cavallo. Il risvegliato stava cercando di mettere a fuoco l’immagine, quando il dolore calò e l’immagine divenne confusa, fino a scomparire.

    Si sollevò in piedi, guardandosi attorno. Nessuno sembrava averlo visto, ma si sentì comunque in imbarazzo, vulnerabile. Si pulì i pantaloni battendoli con la mano e si sistemò il giubbotto cercando di dimenticare il dolore che lo aveva assalito. Non sapeva che cosa gli avesse distrutto la memoria e provocato quella fitta lancinante, ma doveva aver fatto più danni di quello che aveva osato sperare. Cercò di non pensarci troppo e accelerò il passo per raggiungere il porto.

    Una scogliera artificiale separava il porto da una spiaggia coperta da alghe. Nell’angolo si trovava un lampione, che gettava una luce fioca su un ragazzo che gettava in mare un’esca di plastica a forma di gambero. La trascinava a scatti e una busta di plastica ai suoi piedi, gonfia e sporca di nero, dimostrava che delle seppie o dei calamari erano caduti nella trappola.

    Scusa, mi sai dire che ora è? gli chiese il risvegliato. Il ragazzo fece finta di non sentire. Doveva sapere che è meglio non avere a che fare con i frequentatori notturni del porto.

    Voglio solo sapere che ora è.

    Il ragazzo si voltò, mostrando un’aria tranquilla. Il gamberetto finto che stava trascinando sul fondale recitava molto meglio.

    Come, scusa?

    Che ora è. Tutto qua.

    L’una.

    Grazie. Ciao.

    Era un’ora appropriata per cercare un certo genere di fauna portuale. Il risvegliato proseguì verso l’interno. Sulla scogliera alcuni ragazzi stavano provando a insidiare qualche pesce predatore notturno mentre, nei moli, dei pescatori aggiustavano reti e caricavano casse sui pescherecci. Si sentiva odore di nafta, che tradiva qualche lavaggio motore fatto in condizioni non proprio rispettose dell’ambiente. Se qualcuno di quei ragazzi avesse catturato qualcosa, avrebbero fatto meglio a ributtare la preda in acqua senza mangiarla. Ogni tanto spuntava qualche cubicolo con l’insegna «guardia costiera» o «carabinieri», ma nessuno entrava o usciva e le finestrelle mostravano che all’interno la luce era spenta. Dei faretti illuminavano dei container in lontananza. Lì ci doveva essere il deposito. Era il posto ideale. A piccoli passi, si incamminò in quella direzione. Si guardava intorno con fare distratto e notò un uomo sulla trentina che, dopo aver ormeggiato la sua barchetta, si caricò uno zaino sulle spalle, per poi allontanarsi guardandosi indietro. Stringeva le spalline dello zaino come se glielo potessero scippare da un momento all’altro. Droga. Quello zaino conteneva droga. Come avesse fatto il risvegliato a capirlo, non lo sapeva neanche lui.

    Il deposito era ricoperto da innumerevoli strati di sporco ed emanava puzza di ruggine e urina. I container erano incolonnati in pile da tre formando corridoi stretti. Sembravano inutilizzati da tempo. Decise di passare in tutti quei corridoi e, svoltando un angolo, si trovò si fronte a un gruppo di quattro ragazzi. Avevano dai diciassette ai ventidue anni e, a giudicare dalle giacche, dai jeans e dai cappelli, conservavano parecchi dischi di rap nei loro computer.

    Tu, cazzone, cosa vuoi? disse uno di loro avvicinandosi. Gli altri tre lo seguirono ciondolando.

    Il risvegliato si fermò sotto la luce di un faretto. D’istinto mise il piede destro indietro e quello sinistro in avanti, puntato verso il ragazzo.

    Il simil rapper lo guardava col mento in fuori, ostentando sicurezza. Aveva più o meno la stessa altezza del risvegliato, attorno al metro e ottantacinque. Sembrava italiano, sia dall’accento che dalla pelle, mentre un paio sembravano di origine araba. Il rap, a quanto pare, andava di brutto anche a sud del Mediterraneo.

    Cazzo ci fai qui? continuò il ragazzo evidenziando la masticazione di un chewing gum.

    Cerco qualcuno che mi sappia dare qualche risposta semplice. Non cerco guai.

    Il ragazzo guardò gli amici, ridacchiando. I compari risposero allo stesso modo.

    Torna a casa. Fallo subito, o ti ammazzo.

    Una minaccia di morte. Il risvegliato provò rabbia ed eccitazione. Loro erano in quattro, giovani e magari abituati alle risse e a mosse vigliacche. Eppure non provava paura. Le risposte che cercava forse si trovavano nella reazione che stava avendo.

    Il ragazzo scosse la testa e si voltò verso i tre amici alzando le spalle, per mostrarsi sconsolato nel trovarsi di fronte a un cretino. Il risvegliato osservò il volto dei tre ragazzi e percepì nei loro occhi un messaggio d’allerta. Quando il ragazzo si voltò verso il risvegliato, lo fece sferrando un gancio destro al volto. Il risvegliato notò un luccichio in quelle nocche. Quando si era voltato, il ragazzo aveva indossato un tirapugni. Il risvegliato strinse gli addominali e piegò la schiena all’indietro, facendo leva sul tallone del piede destro. Il pugno lo sfiorò appena e il ragazzo si sbilanciò di lato. Così scoprì il fianco destro e il risvegliato gli vibrò un montante sinistro all’addome. Il ragazzo si piegò e cadde a terra con un gemito.

    I tre ragazzi osservarono la scena a bocca aperta. Si guardarono tra loro, e dalle occhiate si capiva che non volevano intervenire. Ma il loro capo, ora rantolante sull’asfalto lercio del porto, avrebbe potuto fargli molto male se non avessero reagito. Allora uno di loro partì con un gancio diretto al volto. Il risvegliato si abbassò e roteò il corpo, caricando un diretto destro alla bocca dello stomaco dell’aggressore. Dopo un volo di un metro, anche uno dei rapper arabi cadde a terra con un tonfo. Uno dei due ragazzi rimasti iniziò a saltellare sul posto, esibendo una guardia scolastica da pugile. Il risvegliato si grattò una guancia, ostentando sicurezza. Sperava così di farlo desistere.

    Ammazzalo, cazzo. Cerca qualche arma, rantolò il capo–rapper, ancora a terra.

    Il ragazzo si voltò, analizzando rapido quello che aveva intorno, poi si diresse di corsa verso una barra di metallo abbandonata in un angolo. La prese e corse verso il risvegliato, vibrando un fendente dall’alto verso il basso. Forse era conscio che un colpo laterale aveva già messo a tappeto i suoi due amici e doveva cercare un’altra tecnica d’attacco. Il risvegliato caricò il peso sul piede destro e, sollevando da terra il sinistro, si spostò di fianco, evitando la barra e sferrando un jab destro al naso del ragazzo. Il colpo era debole ma veloce: lesionò le cartilagini nasali, che presero a sanguinare con larghi schizzi. Il ragazzo vide il sangue a fiotti, mollò la spranga e strinse il naso. Guardò il risvegliato, mugugnando e indietreggiando a piccoli passi.

    Che cazzo vuoi da noi? disse il ragazzo rimasto, senza aspettare che il risvegliato ripetesse le sue richieste. Era un modo di passare all’attacco senza usare le mani, mostrandosi forte ma evitando di farsi pestare. Forse un soggetto, in quel gruppetto, aveva un’intelligenza almeno media.

    Non ci crederai. Voglio solo sapere chi sono.

    E che ne sappiamo noi? Non sei né il Papa e neanche il sindaco, quindi non ti possiamo aiutare.

    Avrai comunque qualche informazione. In questi giorni si sarà denunciata la scomparsa di una persona, o la sua morte, senza che però il cadavere venisse ritrovato. Fai uno sforzo di memoria.

    "Non seguo «Chi l’ha visto», zio. E nei giornali online che guardo ogni giorno non si è mai parlato di qualcosa di simile."

    Davvero non sai dirmi nulla? Pensaci, potrei innervosirmi se non mi aiuti.

    Una cosa la so, su di te. Quei pugni, quelle schivate. Sono mosse di pugilato, tecniche da professionista. Non sei un picchiatore di strada.

    Il risvegliato ci pensò. Durante il combattimento si era mosso d’istinto, come se avesse provato quelle tecniche ogni giorno, per anni, e il suo corpo ora andava in automatico. Non aveva sentito l’istinto di usare armi, come dei bastoni, ma solo i suoi pugni. Quando aveva ripreso i sensi aveva notato graffi e calli sulle sue nocche: ora sapeva da cosa erano provocati.

    Ok, ti credo. Adesso devi fare qualcosa per me.

    Poi ci lasci in pace?

    Esatto. Ora devi stare fermo e lasciarmi fare.

    Il risvegliato si avvicinò al primo ragazzo che aveva atterrato. Per qualche secondo il giovane sembrò iniziare a piangere, temendo un altro pugno, ma il risvegliato gli sfilò il portafogli dalla tasca senza colpirlo. Lo prese anche dall’altro ragazzo a terra, che intanto si era messo a sedere, e il ragazzo con il naso insanguinato gli allungò il suo senza dire una parola. Non toccò quello del ragazzo con cui aveva parlato e che non lo aveva aggredito. Tolse i soldi dai portafogli e li gettò a terra. Li contò: 173€.

    "Cercate di

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