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I coniugi Orlov
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I coniugi Orlov
E-book91 pagine1 ora

I coniugi Orlov

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Info su questo ebook

Nei Coniugi Orlov (1897) l’impegno sociale di Gorkij diventa un netto rifiuto dell’ordine costituito. Un misero calzolaio porta avanti malamente la sua esistenza e, tormentato da vaghi ideali di riscatto, si ubriaca per non pensare.
Quando in città scoppia un’epidemia di colera, dapprima farà di tutto per aiutare i disgraziati che ne cadono malati, poi si arrenderà, convinto che la morte sia migliore della vita da cani che avevano prima.
Un duro atto d’accusa alle terribili condizioni dei lavoratori nella Russia zarista, che in nuce contiene quel seme esplosivo che porterà alle tre rivoluzioni (1905, febbraio e ottobre 1917) di inizio Novecento.
LinguaItaliano
Data di uscita19 mar 2024
ISBN9788892968707
I coniugi Orlov

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    Anteprima del libro

    I coniugi Orlov - Maksim Gorkij

    I LEONCINI

    frontespizio

    Maksim Gorkij

    I coniugi Orlov

    ISBN 978-88-9296-870-7

    © 2012 Leone Editore, Milano

    www.leoneeditore.it

    Quasi ogni sabato, prima dei vespri, si udivano uscire, dal sottosuolo di una vecchia e sporca casa appartenente al mercante Petunnikov, le grida furiose di una donna, che si spandevano nello stretto cortile ingombro di ogni specie di tritume, e dove erano costruite le dispense e le tettoie in legno, tutto così vecchio da reggersi appena in piedi.

    «Fermati! Fermati! Ubriacone!» gridava una donna con voce da contralto.

    «Lasciami!» rispondeva una voce maschile da tenore.

    «No, non ti lascerò… non ti lascerò… assassino!»

    «Sì che mi lascerai!»

    «Uccidimi… ma non lascerò.»

    «Menti… eretica che sei!»

    «Ah! padri miei… Mi ha uccisa… Ah, padri miei!»

    «Lascerai!»

    «Ammazzami, belva che sei, ammazzami!»

    «Ci vorrà tempo!»

    Fin dalle prime parole di un dialogo pressappoco analogo, Sienka Fringuello, il garzone del pittore di stanze Sutkov, che passava giornate intere a stemperare colori sotto una delle tettoie del cortile, ne usciva lesto come un dardo, e coi suoi occhietti neri e scintillanti come quelli di un topo, gridava a squarciagola: «I calzolai Orlov si stanno battendo! Oh! Oh! Oh!..».

    Amatore appassionato di qualunque incidente, il Fringuello correva verso le finestre degli Orlov, si coricava sulla pancia, lasciava penzolare la sua testa arruffata di pessimo soggetto, dal magro muso astuto e tutto sporco di colori, e guardava giù con gli occhi spalancati, avidi, nel buco nero e umido da dove usciva un odore di roba marcita, di vecchio cuoio e di colla di pesce. Lì, in fondo, si agitavano furiosamente due forme umane, che emettevano grida rauche, gemiti e invettive.

    «Mi ucciderai!» diceva la donna tutta ansante.

    «È cosa da nulla!» rispondeva l’uomo, sicuro del fatto suo, con collera concentrata.

    Si udivano colpi pesanti e sordi cadere sopra qualche cosa di molle, sospiri, grida acute, l’ansimare di un uomo che solleva un grosso peso.

    «Oh! oh! oh! Che bel colpo le ha assestato con la forma!»

    Il Fringuello descriveva il succedersi degli avvenimenti nel sottosuolo, e il pubblico aggruppato intorno a lui, i sarti, l’usciere Levcènko, il suonatore di fisarmonica Kisliakov, e altri amatori dì divertimenti gratuiti, interrogavano continuamente Sienka, e nella loro impazienza di notizie, lo tiravano ora per i piedi, ora per i calzoni unti e bisunti di colori oleosi.

    «Ebbene? Ora che fa?»

    «È a cavallo su di lei e le strofina il muso a terra!» raccontava Sienka, che pareva godere con voluttà le impressioni che man mano gli venivano.

    Il pubblico si chinava anch’esso verso le finestre degli Orlov, preso dal desiderio cocente di vedere da sé le peripezie della lotta; e benché tutti i vicini conoscessero da tempo la tattica di Griscka Orlov quando era in guerra con la moglie, pure l’ammiravano e se ne stupivano sempre.

    «Ah! Il diavolo! L’ha conciata per le feste!»

    «Ha il naso tutto insanguinato! E come scorre!» diceva Sienka.

    «Ah! Dio mio! Dio buono!» esclamavano le donne. «Che assassino! Che carnefice!»

    Gli uomini, invece, discutevano in modo meno soggettivo.

    «Finirà certamente per accopparla!» dicevano.

    E il suonatore di fisarmonica aggiungeva con fare da profeta: «Ricordatevi di quello che vi dico: le aprirà la pancia con una coltellata. Vedrete, un giorno si stancherà di percuoterla a quel modo e la finirà con un buon colpo coronato!».

    «È finita!» diceva Sienka a mezzavoce; e rialzandosi di scatto, rimbalzava come una palla dalla finestra a un altro angolo del cortile, dove andava a prendere un altro posto di osservazione, giacché sapeva che Griscka Orlov non poteva tardare a uscire.

    Gli altri si disperdevano al più presto, non volendo essere visti dal feroce calzolaio: ora che la battaglia era terminata, egli non aveva alcun interesse ai loro occhi, e, d’altronde, Griscka era un essere da evitare. Perciò quando Orlov saliva dal suo sottosuolo, nel cortile non c’era più anima viva, eccetto Sienka. Ansante, con la camicia lacera, i capelli scarmigliati, il volto graffiato e madido di sudore, gli occhi iniettati di sangue, gettava di soppiatto uno sguardo circolare intorno al cortile; poi, con le mani dietro la schiena, si avviava lentamente verso una vecchia slitta che giaceva rovesciata vicino alla parete di legno della tettoia. Talvolta si metteva a fischiare fra i denti con aria spavalda e intanto si guardava attorno, da tutti i lati, quasi volesse provocare tutti gli inquilini della casa Petunnikov. Dopo di che, si sedeva sui pattini della slitta, si asciugava con la manica della camicia il sangue e il sudore che gli scorreva dal volto, e immobilizzandosi in un atteggiamento stanco, guardava con occhio triste il muro sporco della casa, tutto scalcinato e striato di vari colori: i pittori di Sutkov, tornando dal lavoro, erano soliti pulire i loro pennelli su quella parte del muro.

    Orlov aveva circa trent’anni; aveva un volto nervoso, bronzino, tratti regolari, piccoli baffi neri che facevano spiccare vivamente le sue labbra rosse e carnose. Il suo gran naso aquilino era sormontato da sopracciglia così folte che quasi si univano; e sotto di esse si aprivano gli occhi neri, perennemente accesi da una fiamma inquieta. Capelli ricci, arruffati sul davanti, ricadevano dietro sopra un collo bruno e nervoso. Di media statura, un po’ curvo dal lavoro, avrebbe potuto essere un bell’uomo. Rimaneva a lungo sulla slitta e contemplava, in una specie di sonnolenza, il muro dipinto, mentre il suo petto robusto e abbronzato dal sole respirava profondamente.

    Il sole è tramontato; ma non c’è un soffio d’aria nel cortile; si sente solo un puzzo di pittura a olio, di catrame, di cavoli fermentati e di roba marcita. Canti e urli escono da tutte le finestre dei due piani della casa: qualche rara volta, una faccia anemica, china dietro una imposta, guarda un momento Orlov, poi scompare con un sorriso.

    I pittori tornano dal lavoro; passano davanti al calzolaio, lo guardano di sbieco, ammiccando fra di loro, e dopo aver riempito il cortile del loro lesto dialetto di Kostroma, si preparano chi ad andare al bagno, chi alla cantina. Dal secondo piano, scendono zoppicando i sarti, tutta gente lacera, anemica, dalle gambe storte, e incominciano a burlarsi di quelli di Kostroma, a causa del loro parlare rapido, a scatti.

    Tutto il cortile è pieno di rumori, di risa, di scherzi, di motti di spirito: solo Orlov rimane seduto al suo posto, in disparte, tacito, e senza guardare alcuno. Nessuno gli si avvicina, nessuno gli dà retta, nessuno si arrischia a scherzare sul suo conto, perché tutti sanno che, in quel momento, è una bestia feroce.

    Rimane lì, in preda a una collera sorda e pesante, che gli opprime il petto e gli rende difficile il respiro; ogni tanto, gli fremono le narici, che gli danno l’espressione di un uccello da preda; e quando le sue labbra si contraggono, scoprono due file di denti gialli, grossi e solidi. Qualche cosa d’informe e di oscuro sembra spandersi su

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