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IGNOTO
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E-book373 pagine5 ore

IGNOTO

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Info su questo ebook

Cento inverni sono passati dall’ultima sanguinosa guerra che ha scosso la Terra Rossa quando un temibile Cavaliere, Lord Irek il Torturatore, e il suo drago Obscuria riemergono dalle Terre Oscure, portando scompiglio e infrangendo la pace. Sono molti i protagonisti di questo libro: Elden e Gaur, fedeli amici che rincorrono un sogno, quello di entrare nell’Ordine dei Cavalieri di Drago; Eyka una giovane fanciulla che si ritrova tra le mani un Ciondolo magico, il cui destino sembra essere legato a quello dell’intera Terra Rossa. Ramasil, unico Cavaliere di Drago Elfico rimasto accanto agli umani, deciso ad ogni costo a salvarli e Torvash, portatore del Dono degli Occhi, che suo malgrado dovrà rinunciare a tutto per sconfiggere i propri demoni e sopravvivere.
Un fantasy che miscela tradizione e modernità, atmosfere oscure ed ironia. Amicizie che nascono, altre che appassiscono, litigi, amori proibiti, gelosie e battaglie politiche guideranno i passi di decine di personaggi, tutti protagonisti e uniti da un comune filo rosso: cambiare le sorti dell’intera Terra Rossa.
Saga Terra Rossa
Libro primo "Indaco"
Libro secondo "Ignoto"
LinguaItaliano
EditoreElisa
Data di uscita5 mag 2018
ISBN9788828319511
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    Anteprima del libro

    IGNOTO - Elisa Baiocchi

    Ringraziamenti

    IGNOTO

    SAGA TERRA ROSSA

    LIBRO SECONDO

    PARTE QUINTA

    Questa è la sua storia. Di come mi possiede. Di come una canzone ti entra in testa e non se ne va più. Di come uno pensa che dovrebbe essere la vita. Di come le cose catturano la tua attenzione. Di come il passato ti insegue in ogni singolo giorno del tuo futuro.

    Chuck Palahniuk, Ninna Nanna

    47

    Quella notte una tempesta infuriava e impietose saette rischiaravano a tratti il tetro profilo del castello, frustato dal soffio aspro del vento. Scrosci d’acqua gelida si riversavano fragorosamente all’interno, attraverso le vetrate infrante, affacciate sul mare.

    Lion aveva perso il conto dei giorni trascorsi rinchiuso in quel luogo, prigioniero di Lord Tyll. Aveva deluso profondamente il Tenebroso, ne era consapevole: non sono non gli aveva consegnato la ragazza con il ciondolo, ma si era perfino fatto sottrarre il proprio. Era un perfetto imbranato e adesso ne stava pagando le dolenti conseguenze.

    Ogni volta che chiudeva l’unico occhio rimastogli riviveva con incredibile nitidezza tutto ciò che era avvenuto dopo la fuga di Eyka.

    Tutti i kuzki si erano lanciati all’inseguimento di Eyka, ad eccezione di un paio che lo avevano scortato al castello, dimora del tremendo Lord. Trascinato per le braccia, piangendo come un bambino in preda agli incubi, aveva oltrepassato il portone e quando era sbucato nell’enorme sala, il cui unico arredo era il trono, la luce argentea dai riflessi verde bambù delle torce lo aveva abbagliato momentaneamente. Era stato allora che aveva temuto di essere giunto alla fine dei propri giorni: Lord Tyll torreggiava, i corvini capelli lunghi fino ai piedi erano bagnati e gli occhi, in quel frangente del colore dei rubini, risplendevano minacciosi. Alle sue spalle un drago nero si ergeva imponente, sbuffando vere e proprie colonne di fumo. Parevano entrambi collerici. Il Lord aveva estratto, con un gesto teatrale, un pugnale dalla lama color carbone e Lion, investito da una vampata di puro terrore, aveva sentito il terreno venirgli meno sotto i piedi.

    Quella era la fine della sua inutile vita.

    Ricordava di aver visto l’arma riverberare la luce delle torce e si era gettato d’istinto a terra, coprendosi la testa con le mani. Con suo sommo stupore, l’ira dell’aguzzino si era invece scagliata veemente verso i kuzki. Li aveva uccisi brutalmente, uno dopo l’altro, disseminando ovunque schizzi di purpureo sangue. Grida di dolore si erano levate, implorando una pietà che non era tuttavia sopraggiunta.

    Lion si era trascinato via, scostandosi da quel bagno di sangue e si era accovacciato a ridosso di una colonna. I kuzki che lo avevano accompagnato erano periti, di loro non rimaneva altro che un ammasso di brandelli di carne e ossa sparpagliate sul pavimento. Avvolto stretto nella sua tunica lurida aveva atteso che la collera demoniaca si riversasse inevitabile anche su di lui. Aveva udito distintamente i passi del suo esecutore avvicinarsi, tonanti colpi di tamburo. Il terrore lo aveva sopraffatto, scuotendolo in rumorosi singulti.

    - Lion. Mi rincresce che tu abbia dovuto assistere ad un tale massacro. -

    La voce del Lord, come il suono di un organo, era strisciata grave lungo le pareti della sala.

    - Non era mia intenzione turbarti, - aveva proseguito con tono studiatamente pacato, - sono stato molto scortese, avrei dovuto trattenermi dal … - Poi aveva ammirato quei corpi straziati, riversi sul pavimento, senza sforzarsi di celare un certo compiacimento. Non indossava le scarpe e i piedi erano ricoperti del sangue sgorgato dai kuzki, che ormai si stava coagulando; perfino i pantaloni ne erano completamente intrisi, tanto che sembravano stracci appesantiti, così come le punte dei capelli.

    - Dopotutto se lo meritavano - aveva mormorato il Tenebroso, riscuotendosi. - Succede questo a chi osa deludermi, è giustizia. Non credi? - gli aveva domandato, pulendo la lama del pugnale sulla manica della casacca di Lion. Il giovane aveva socchiuso le labbra senza tuttavia avere il coraggio di proferir parola; ma l’altro, non prestando attenzione alla mancata risposta, poiché in verità non desiderava affatto sentirne una, lo aveva invece guardato strizzando gli occhi, divenuti del colore del ghiaccio. Dopo averlo studiato a lungo gli aveva infine sorriso, lasciando sgusciar fuori una smorfia di sadismo.

    - Credo che sarò costretto ad ospitarti per un lungo periodo di tempo nella mia umile dimora. Immagino che la proposta non ti aggradi troppo, ma fino a quando non avremo recuperato la Pietra di Luce, non potrai allontanarti. -

    - Io voglio solo tornare a casa mia. Ve ne prego - aveva balbettato Lion.

    Ma la gelida occhiata scoccatagli dal Lord ebbe l’effetto di raggelare il sangue nelle sue vene, mentre il pentimento per ciò che aveva appena osato dire lo sopraffaceva.

    - Questa da ora in poi sarà casa tua. Sarà qui che vivrai - aveva sibilato.

    - Qui? -

    - Certo. La mia dimora non è di tuo gradimento? - aveva tuonato, avvicinandogli il pugnale alla gola.

    La voce del giovane di Wiren era venuta meno, mentre un senso di sconfitta e sottomissione lo inondava.

    - Lion, hai frainteso i miei intenti. Tu qui non sarai mio prigioniero, sarai mio illustre ospite. Non hai mai anelato vivere in un lussuoso maniero? Potrai ottenere tutto ciò che desideri: fastosi abiti, seducenti donne, cibi gustosi. Potrai andare in ogni stanza, vagare indisturbato ovunque vorrai. C’è perfino una splendida biblioteca che troverai estremamente stimolante. -

    E così dicendo si era avvicinato, facendo oscillare la lunga chioma illuminata delle torce, alla grande scalinata che conduceva al piano superiore.

    - Spero che tu comprenda, è necessario; altrove non saresti al sicuro. Sta per scoppiare una guerra. - Aveva riso di gusto. - La mia guerra. Ancora non sai, ma ben presto tutto ti sarà chiaro, avrai il tuo futuro rivelato. -

    Le parole di Lord Tyll non avevano alcun senso per Lion, che abbassò la testa.

    Notando la sua espressione smarrita, il Lord lo aveva incitato:

    - Vieni. -

    Lion, deglutendo, aveva mosso qualche passo, incerto, cercando di non scivolare nel sangue. Sentiva le gambe tremargli per lo sgomento ed il disgusto ma ugualmente lo aveva seguito come un cane bastonato.

    Avevano raggiunto un pianerottolo e Tyll lo aveva guidato attraverso svariati corridoi, fermandosi infine dinanzi ad una porta aperta, facendogli cenno di entrare. Il guercio aveva obbedito docilmente, seguito dal Tenebroso che poi, avvicinandosi alla finestra, l’aveva spalancata permettendo ad una fine pioggerella e ad una lieve brezza di entrare.

    - Ah, il profumo della pioggia - aveva esclamato con tono inequivocabilmente gaio.

    - Questa è la tua stanza. Ogni mattina uno dei miei servitori ti porterà un pasto e dell’acqua calda per lavarti. Ti verrà portato da mangiare anche la sera, subito dopo il tramonto; sfortunatamente da questa terra non potrai goderne a pieno gli splendidi colori. Non temere, non avrai freddo, ho provveduto a far riparare il vetro della finestra; quelli delle altre stanze esposte a solen, come avrai modo di scoprire, sono tutti rotti. Li ho spaccati io, mi piacciono gli ambienti areati. Il profumo del mare mi rilassa. Questo castello sarà la tua casa da ora in poi e tu potrai chiedermi tutto ciò che vorrai. Non esitare. Vuoi del vino? Delle donne? Vestiti nuovi? - lo incoraggiò.

    Lion desiderava una sola cosa: non essere lì.

    - Voglio andarmene - aveva piagnucolato, per niente rassicurato da quelle parole e da quei modi di fare forzatamente empatici del Tenebroso.

    - Puoi chiedermi tutto. Tutto, tranne questo, in effetti. C’è dell’altro? -

    Essere morto. Ma non aveva osato esprimere quel pensiero ad alta voce.

    - Io lascerò il castello per qualche luna. Ma al mio ritorno parleremo del nostro futuro e potrò illuminarti. Ti auguro una buona permanenza. - E detto ciò il Tenebroso aveva fatto scorrere le unghie a punta ancora intrise di sangue sulla guancia del giovane e se n’era andato, sbattendo la porta. Lion gli era corso dietro, credendosi intrappolato.

    Ma si sbagliava.

    La porta si aprì rivelando un corridoio deserto: Lord Tyll e i suoi letali occhi zaffiro erano già scomparsi.

    Lion si era gettato sul letto a baldacchino e calde lacrime avevano preso a traboccargli dagli occhi, mentre l’impotenza lo sopraffaceva, divorandolo lentamente. Sconquassato ed incredulo per quanto avvenutogli, si era addormentato profondamente, addentrandosi in un tormentato mondo di incubi.

    Dopo qualche giorno trascorso a piangere e commiserarsi, spinto da una voglia di fuga incontenibile, aveva deciso di darsi alla perlustrazione del castello, nella speranza di trovare una scappatoia. Aveva vagato per le cineree stanze, scoprendo solo sporcizia e ragni, gli abitanti più copiosi del maniero. Quel luogo era semi deserto, spoglio nell’arredamento, se non fosse stato per quei sontuosi quadri ed arazzi che, tuttavia, versavano in pessime condizioni. Tutto era ricoperto di polvere e pareva che nessuno fosse oramai in grado di ricordare gli splendidi colori che un tempo brillavano appariscenti su quelle tele. Decine e decine di camere da letto, alcune degne di un re, vertevano nello stato di abbandono più totale. Le cucine, anch’esse disattese, si trovavano al piano interrato del castello, proprio sopra le segrete, ed erano l’unico posto dove era sempre possibile trovare forme di vita, i kuzki, intenti a cucinare dei pentoloni di minestre dall’aspetto poco invitante e stufati di carne ormai vecchia e maleodorante.

    Era arrivato poi il giorno in cui Lion, in uno slancio d’intraprendenza, aveva deciso di tentare la sorte. Si era avvicinato al portone d’ingresso bramando la fuga, ma non appena posata la mano sul legno marcio, una scintilla di luce nera si era librata da quello mandandolo a terra. Aveva udito un kuzko ridere e lo aveva visto scuotere l’enorme testone, mentre un velo di mestizia gli appannava lo sguardo.

    Si era allora messo alla ricerca di una finestra da cui potersi calare e aveva scoperto che il castello affacciava su tre lati, surgi solen e calen, su un’impervia scogliera mentre il lato norten dava sulla terra ferma. Tuttavia, continuando l’esplorazione della sua prigione, aveva appurato con sommo rammarico, che le finestre che davano verso norten erano state tutte murate. Era chiaro, non poteva uscire da lì, non poteva fuggire.

    Era prigioniero.

    E inoltre una volta fuori, cosa avrebbe fatto? Vacillava in lui la determinazione di mettere realmente in pratica un piano ma tremava all’idea di rivedere Lord Tyll; il suo ultimo desiderio era proprio quello di ritrovarsi faccia a faccia con quella creatura dalla pelle lunare e dagli artigli simili ad un felino.

    Giorno dopo giorno l’amarezza di quella condizione si fece sempre più pressante, mentre la speranza lo abbandonava. Più il tempo passava più la sua depressione andava crescendo, distaccandolo dalla realtà.

    La tempesta cessò, così come il suo rimembrare le ultime lune. Sedeva sul letto e osservava la nebbia risalire minacciosa fino alla sua finestra. Un kuzko gli servì, come pasto serale, uno di quegli intrugli disgustosi di carne e verdure. Lion iniziò a mangiarne ma al terzo boccone la nausea lo sopraffece e, in un impeto di frustrazione, lo scagliò fuori dalla finestra. Vide il coccio fracassarsi contro le irte punte degli scogli e di colpo comprese: c’era un solo modo per fuggire da lì. Salì con i piedi sul davanzale, osservando lo scenario sotto di sé, con l’intento di gettarsi e porre fine per sempre a quella sofferenza. Gli scogli lo avrebbero ridotto ad una poltiglia al primo urto, congiungendolo al Dio dei Defunti e delle Tenebre. Rimase in cima al davanzale per un tempo interminabile, massacrandosi i palmi delle mani con le unghie, troppo vigliacco per andare avanti, ma troppo disperato per tornare indietro. Alla fine rinunciò al suo piano suicida, sentendosi morire dentro.

    Da quel giorno smise di perlustrare il castello, ormai perfino le segrete non costituivano più un mistero per lui; si chiuse nella propria stanza e con il passare del tempo assunse un atteggiamento sempre più passivo nei confronti della vita: non si alzava mai, aveva persino smesso quasi completamente di nutrirsi, nonostante gli innumerevoli sforzi dei kuzki di preparargli piatti appetitosi. Voleva scappare, fuggire lontano, mettere quanti più giorni possibili tra lui e quel luogo maledetto. Ma non era possibile e lo sapeva bene. Quell’uomo, se così poteva essere definito, lo avrebbe trovato ovunque. Lui e il suo drago corvino lo avrebbero catturato, torturato. Tutto sommato per Lion, fragile di carattere, lasciarsi morire di stenti parve la sola soluzione possibile. Poi la febbre lo colse all’improvviso e nel giro di poco entrò in uno stato di delirio, in cui vedeva oscure creature corrergli incontro, brandendo spade. Quella condizione, assieme al suo totale rifiuto per il cibo, lo ridusse in pochi giorni in fin di vita.

    Ma una notte, in cui il suo organismo debole e malaticcio stava per cedere, consegnandolo finalmente al Dio dei Defunti, il Lord fece ritorno alla sua oscura dimora.

    Dapprima Lion udì delle urla disumane colmare l’aria, poi la porta della sua stanza crollò a terra in un boato che echeggiò per tutto il castello. Sentì il panico afferrare le sue membra e iniziò a tremare. Lord Tyll, gli occhi luccicanti come pietre incandescenti, lo sguardo più minaccioso e iroso che avesse mai veduto in vita sua, fece irruzione nella sua stanza e prese a pronunciò alcune parole in una lingua arcana. Una scintilla di luce sprizzò dalle sue mani, raggiungendo il debole Lion. Una nota di soddisfazione e autocompiacimento si abbatté sui lineamenti del Lord e di colpo il guercio si sentì meglio, sopraffatto da un tremendo senso di fame che lo indusse ad ingurgitare tutto ciò che era nel piatto accanto al suo letto, nonostante la mente lo incitasse a non farlo.

    Nel giro di pochi giorni guarì completamente. Il suo aguzzino non aveva nessuna intenzione di lasciarlo morire, anche quel patetico tentativo di porre fine ai propri patimenti era fallito.

    Attese per giorni che Lord Tyll si facesse vivo ma ciò non accadde. Spinto dalla curiosità quindi il giovane decise di uscire dalla propria stanza per scoprire se il Tenebroso si trovasse ancora lì o fosse ripartito.

    Vagò senza una meta, facendosi trasportare dai suoi piedi che lo condussero dinanzi all’ingresso della quarta torre, quella rivolta verso solen, dove vi era la camera personale del suo aguzzino, l’unica che non aveva mai avuto il coraggio di visitare. Ascese la lunga scalinata a chiocciola che portava alla cima con il cuore in gola, ad ogni passo la voglia di tornare indietro lo assaliva, un terrificante spettro emerso dalle nebbie. Si ritrovò a fissare una porta di legno massiccio, sulla quale erano state intarsiate numerose figure di drago, con le code che, intrecciandosi, disegnavano strane rune; intricati intagli ornavano anche i battenti. Strinse forte i pugni, sentendo la torcia che teneva in mano scricchiolare sotto quella pressione e trasalì quando la porta misteriosamente si aprì, senza emettere il minimo scricchiolio.

    Rimase sorpreso e un po’ deluso.

    La stanza era di forma circolare, un letto a baldacchino ricoperto di veli bianchi svolazzanti si ergeva al centro; tutto era perfettamente pulito, non una ragnatela o un granello di polvere. Ai piedi del letto c’era una cassapanca di ciliegio con adagiata sopra una miniatura di cucciolo di drago che emetteva deboli bagliori blu notte. Si avvicinò e lo sfiorò con la punta dell’indice, interrogandosi sulla sensazione che ne avrebbe tratto. Era liscio e freddo, più del ghiaccio. Si ritrasse velocemente mentre un brivido gli accarezzava la nuca. Una finestra priva di vetro affacciava su un balcone, dal quale si poteva scorgere un mare verde scuro e grigio, rigorosamente in tempesta, che spumeggiava. Una lacrima di luna bagnava il cielo.

    Respirò l’aria fresca, cercando di rilassarsi, lasciando scivolare via tutta la tensione che lo schiacciava come un macigno da giorni e giorni.

    - Vedo che la mia stanza è di tuo gradimento - gli disse una voce alle sue spalle.

    Sobbalzò.

    - Perdonatemi, io non volevo - balbettò. Ma nello sguardo del Tenebroso non vi era ira, teneva tra le mani la miniatura e i suoi occhi parvero divenire onde marine in una giornata di sole; il ceruleo e il verde si mescolarono, increspandosi, prima di riassumere il loro consueto color zaffiro.

    - Non devi scusarti, puoi andare dove desideri, questa è casa tua - spiegò in tono mellifluo, come se la sua coscienza in quel momento giacesse ad una distanza abissale. - Ti stavo cercando - disse poi, riacquistando il consueto piglio autoritario.

    Lion raddrizzò le spalle, cercando di dissimulare il disagio.

    - Questa sera cenerai con me; non accetterò un tuo rifiuto come risposta, ho fatto condurre fin qui da Norsmok due cuochi eccellenti, appositamente per te. -

    - Va bene - mormorò Lion, di nuovo ammantato da cieco terrore.

    La sala del trono per l’occasione era stata ripulita: numerose torce la rischiaravano vivacemente e un tavolo, abbellito con una tovaglia di pregiata stoffa bordeaux, era posizionato al centro. Le pietanze più pregiate lo accolsero e coppe di vino delle più svariate qualità erano pronte per essere degustate, accompagnate da frutta fresca e pesce arrosto. Infine, una deliziosa sfilata di dolcetti, dalle forme e colori più accattivanti decorava armonicamente lo spettacolo culinario che Lord Tyll, sorridendo compiaciuto, aveva fatto allestire. Si sedettero, l’uno di fronte all’altro, divorando tutto ciò che la tavola offriva; una sinfonia di sapori amari, dolci, salati venne suonata nei loro palati, appagandoli. Lion osservò con stupore che anche la pallida creatura mangiava avidamente e Lord Tyll, sentendosi indagato lo interrogò:

    - Credevi che mi nutrissi di aria? -

    Lion trasalì.

    - Io, no, certamente. -

    Il Lord sospirò rumorosamente e lui temette di averlo fatto adirare.

    - Se avessi desiderato ucciderti lo avrei fatto molte lune or sono, non credi? -

    Il giovane poggiò nel piatto il coscio di pollo che teneva in mano, indeciso su cosa rispondere.

    - Non mi sono mai fatto scrupoli ad uccidere nessuno che non fosse utile alla mia causa. E questo dovresti saperlo, ormai - spiegò il Tenebroso, afferrando il calice che aveva davanti, gustandone il pregiato vino scarlatto. - Avrei potuto ucciderti quando hai fallito la tua missione o lasciarti morire di febbre e stenti. Ma non l’ho fatto. Vieni con me - imperò poi, alzandosi di scatto.

    Raggiunsero la biblioteca, anch’essa ripulita per l’occasione; risultava impossibile scorgere le pareti di pietra, tappezzate di arazzi e scaffali di libri spolverati e perfettamente impilati. L’immenso caminetto era acceso e loro si accomodarono su due poltrone adiacenti, godendo del calore del fuoco e di quella comodità.

    Il Lord, prima d’incominciare a parlare, si concesse qualche istante di immobile silenzio.

    - Lion, mio illustre ospite, ti racconterò un’altra storia. E ti assicuro che alla fine comprenderai il motivo per il quale sei ancora vivo. -

    Stappò una bottiglia che conteneva del liquore color prugna, versandolo in due calici decorati, offrendone uno a Lion, che accettò.

    - Tutto ebbe inizio molti secoli fa, quando la Terra Rossa non era quella che è oggi … -

    E Tyll narrò a Lion la storia che tanto tempo prima suo padre Irek aveva raccontato a lui. Quando ebbe finito, il sole nella Terra Rossa era già alto nel cielo e Lion era sprofondato nella poltrona, ipnotizzato dai tizzoni che affollavano il camino.

    - Allora? - domandò il Tenebroso, attendendo pazientemente una risposta.

    Lion rimase in silenzio, rimuginando su quanto appreso. Sopraffatto dalla straordinaria storia appena udita sussultò, colpito nel profondo da una sensazione inusuale. Nella vita non era mai stato nessuno, ma adesso per la prima volta gli veniva offerta la possibilità di essere speciale, dalla sua volontà dipendevano le sorti di molti. Venne travolto da emozioni totalmente estranee per uno come per lui abituato ad essere un emarginato. Si sentì forte, un vincente.

    - Il mio ciondolo - pigolò. - Lo rivoglio, è mio. Se tutto ciò che dici è vero, allora devo rimpossessarmene. -

    Che sciocco era stato a lasciarsi sfuggire di mano il suo più grande tesoro. La codardia lo aveva tenuto legato, imprigionato, privandolo della possibilità di essere felice. Ma adesso finalmente aveva aperto gli occhi e scorgeva in questa situazione l’occasione di riscattarsi; il suo momento era giunto.

    Non si era mai sentito tanto determinato in vita sua a raggiungere un obiettivo.

    Era euforico.

    - E’ tutto vero. Io ne sono la prova tangibile. Riavrai la tua Pietra di Luce, mi sto già adoperando per recuperarla. D’ora in avanti io sarò il tuo maestro, ti insegnerò tutto ciò che è necessario affinché tu possa gestire quel potere. E insieme porteremo a compimento la nostra vendetta - sentenziò il Lord, soddisfatto, scolandosi la bottiglia e lasciando che il dolce nettare gli inondasse la gola.

    Quando Lion si fu ritirato, Lord Tyll gongolò appagato per quanto appena compiuto, eseguendo un incantesimo di persuasione su quella debole mente, inducendo il giovane ad abbracciare la sua causa. Adesso non restava altro che insegnargli come utilizzare un amuleto e al momento della battaglia sarebbe stato pronto.

    Aveva, fortunatamente, trovato la maniera di recuperare la Pietra di Luce e ora rimaneva solo una questione in sospeso: la Pietra di Sangue. Sapeva che la custode, stando alle informazioni di Timalius, si trovava sull’Isola dei Draghi sotto la protezione dei Cavalieri. Tutto sommato era stato un colpo di fortuna. Timalius e i suoi adepti, pedine ora nelle mani di Lord Irek, l’avrebbero preparata facendole sviluppare a pieno i suoi poteri. E a lavoro ultimato gliel’avrebbero servita su un vassoio d’argento. Doveva solo pazientare ancora un po’ e a lui sarebbe bastato soggiogarla per avere nelle proprie mani il potere di tutte e tre le Pietre.

    Con un sorriso inusualmente pacioso si appoggiò allo schienale della poltrona e lasciò che il sonno lo abbracciasse.

    48

    Le note di amaranto, ambra, crema, melanzana, indaco scuro e ceruleo si esibivano nella danza del tramonto, quando all’orizzonte apparve una macchia informe a sbavare il cielo. All’inizio erano solo minuscoli puntini sfuocati che, pian piano, presero una forma netta e ben delineata ma soprattutto inequivocabile; ben presto dalle mura di Osroc furono visibili le possenti ali che, eleganti, si libravano nell’aria.

    Loro erano finalmente giunti.

    Le trombe intonarono alcune note di trionfo per annunciare a tutti l’imminente arrivo dei Cavalieri di Drago ad Osroc, ridestando la speranza. La neve che aveva per tutto l’inverno tenuto i troll rintanati nel loro accampamento, dove un tempo sorgeva la città di Quonosk, si era in gran parte sciolta e la probabilità di un feroce e sanguinoso assalto si faceva, di giorno in giorno, sempre più tangibile.

    L’euforia si diffuse celermente e l’accampamento sito a ridosso delle mura della città, predisposto appositamente per i Cavalieri di Drago, fu preso d’assalto da tutti i soldati, rei di abbandonare le loro postazioni di guardia. Grida di gioia accolsero draghi e Cavalieri, salvatori e portatori di luce. Loro rappresentavano per quella gente un miraggio, erano il miracolo tanto atteso. Il cupo inverno volgeva al termine.

    Forse la Terra Rossa non era perduta.

    Nell’approssimarsi alla città, Elden udì il suono delle trombe e l’imbarazzo lo fece avvampare. Adocchiò Eyka, notando che anche il suo atteggiamento tradiva un certo impaccio. Era la prima volta che lasciavano l’Isola, non erano abituati ad essere acclamati come degli eroi. Sollevò una mano e le accarezzò il volto, scostandole una ciocca ramata. Una lacrima di gioia lo colse di sorpresa; non si era reso conto fino a quel momento di essere diventato veramente un Cavaliere di Drago, un protettore della Terra Rossa. Un senso di conquista e soddisfazione lo colmò.

    Il suo sogno era divenuto realtà.

    L’aria e la terra vibrarono quando i draghi, all’unisono, atterrarono. I Cavalieri di Drago, ostentando sicurezza, s’incamminarono in direzione dell’accampamento sfilando tra la folla che li stava acclamando. Elden dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per mantenere la calma e non mettersi a correre.

    Gaur lo affiancò e gli poggiò una mano sulla schiena.

    - Tutto bene? - s’informò.

    - Certo - mentì.

    - Gaur è il mio nome, il mio Dono è la mia maledizione - sussurrò lui, sbalordendolo. - Scorgo il vero dove le parole celano menzogna. Leggo nei vostri occhi, sfere di luce sopita, l’opaca ombra delle vostre colpe, nera fuliggine di un fuoco di verità che più non arde. -

    Elden lo scrutò a lungo, stupefatto. Gaur non parlava mai del suo Dono, detestava essere chiamato Voce della Verità, quasi costituisse per lui fonte di vergogna.

    - Gaur è il tuo nome, il tuo Dono è la tua benedizione. E io, Elden, Cavaliere di Drago di prima Generazione, me la sto facendo sotto. -

    Entrambi scoppiarono a ridere, sotto lo sguardo incuriosito di Eyka che non aveva colto quel breve scambio di parole.

    Un numero considerevole di soldati li circondò, applaudendoli e incitandoli. Elden sentì l’orgoglio crescere; sorrise, salutando chiunque con un cenno nervoso della mano.

    - Che imbarazzo - mormorò a denti stretti.

    - Dillo a me - rispose Gaur, avvampando, il volto imbalsamato in un sorriso forzato.

    Ora che il sole era tramontato, solo la luce dei numerosi falò accesi nell’accampamento illuminava i volti eccitati dei soldati di Osroc, facendoli apparire come bambini nel giorno del loro compleanno davanti ad una montagna di giocattoli. Numerosi tavoli di legno vennero apparecchiati con premura da alcune donne dai grandi piedi; Elden subito notò come il loro fisico ricordasse il piccolo Pacomidio e sorrise.

    I Cavalieri di Drago vennero fatti accomodare assieme ad una cinquantina di soldati mentre gli altri, delusi, furono costretti a tornare alle loro postazioni all’interno della città. Una luculliana cena venne servita: sfilarono le pietanze più stravaganti, carne e focacce, pesce rosa tipico della zona e stufati di verdure, frutta, deliziose crostate di marmellata di albicocche e more; il tutto accompagnato dalla birra del luogo, la Dopp, color ambra scuro e poco fermentata. Ben presto l’atmosfera si fece caliente e le risa si levarono alte nel cielo. Alcuni uomini intonarono con la fisarmonica delle allegre melodie che loro chiamavano ballate, esibendosi a piedi scalzi in buffi balli che resero la serata ancora più piacevole. L’arrivo dei Cavalieri di Drago aveva ridestato in tutti la speranza, la voglia di vivere ed era giusto festeggiare quella piccola conquista.

    - Non mi sarei mai aspettato un’accoglienza tanto generosa - esclamò Geb, fissando la giovane che gli stava versando da bere. La donna, il volto cosparso di lentiggini e una lunga treccia dorata, era bella da mozzare il fiato.

    - Sei troppo bella per essere di Ladair - le disse Geb, sfiorandole una mano con la sua. Lei sorrise beffardamente, lanciandogli un bacio e defilandosi alla svelta.

    - Sir Gebedista, non essere scortese con i nostri ospiti. L’hai fatta scappare - lo rimproverò Gaur, le cui gote arrossate denotavano che non si era fermato al primo boccale di birra, ridendo.

    - Io? Ma io non sono scortese, anzi, te lo dimostrerò. - Si alzò in piedi, mettendosi a ballare e cantare a squarciagola. Venne ben presto imitato da

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