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Precarietà a tempo indeterminato
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E-book277 pagine4 ore

Precarietà a tempo indeterminato

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Info su questo ebook

Allora, vi spiego in breve quello che dovete sapere. Qui tutti remiamo nella stessa direzione, l’obiettivo comune è la crescita di ogni singolo dipendente. Nessuna pietà per gli ignavi, per chi si piange addosso. Questa è la mia filosofia. Col lavoro si raggiungono i risultati, si ottengono le soddisfazioni che è giusto dividere con nessuno. L’idea del comunismo è quanto di più pernicioso ci sia a questo mondo.
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2014
ISBN9788867930616
Precarietà a tempo indeterminato

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    Anteprima del libro

    Precarietà a tempo indeterminato - Ferdinando Morabito

    PREFAZIONE A PRECARIETÀ A TEMPO INDETERMINATO

    Dire precarietà oggi è molto di moda, specialmente se ci si riferisce all’universo del lavoro. Sono tantissimi i nostri giovani alle prese con questa realtà, costretti a sperimentare una situazione che fino a qualche decennio fa non era ipotizzabile, e che crea notevoli scompensi dando vita a numerose incertezze riguardo il loro futuro.

    Molti ragazzi si trovano alle prese con un mondo profondamente diverso rispetto a quello che vivevano i loro genitori alla stessa età, e fanno parte di quella generazione, chiamata Generazione mille euro, per cui l’idea del posto fisso appare quasi come una chimera. Il lavoro non è più lo sbocco naturale di una vita fatta di studi, di sacrifici e di competenze acquisite nel tempo, e non basta essere preparati per avere la certezza di riuscire ad emergere e garantire a se stessi e alla propria famiglia un futuro economicamente tranquillo e dignitoso.

    Precarietà però non è solo una parola legata al mondo del lavoro, alle difficoltà che caratterizzano il mercato occupazionale e che tormentano i pensieri di chi vorrebbe realizzarsi per mezzo di una professione che lo gratifichi come individuo e come lavoratore; dire precarietà oggi significa racchiudere in un unico termine una concezione di vita assolutamente nuova, che implica un’infinità di cambiamenti sociologici e di stili di vita. Precario oggi è chiunque sia costretto a misurarsi con una società che sembra aver smarrito quei punti di riferimento chiari e sicuri per le generazioni precedenti: è l’esistenza stessa, nella sua labilità, ad essere precaria.

    Il romanzo in questione ha come argomento proprio la precarietà in tutte le sue manifestazioni e in tutte le sue innumerevoli sfaccettature, mostrando il modo in cui essa è passata da tema tipico del lavoro a problematica globale capace di invadere le diverse sfere sociali fino ad intervenire sulle dinamiche esistenziali di molti giovani, sul modo in cui si sviluppano i rapporti familiari, di amicizia o sentimentali fra i vari protagonisti che popolano le pagine di questa storia.

    È il concetto di sicurezza ciò che viene messo inesorabilmente in discussione, attraverso la descrizione di situazioni verosimili e condite dalla precarietà di base che condiziona l’agire di tutti: ognuno, alla fine del romanzo, è costretto a prendere atto di come l’epoca presente sia sfuggente, di difficile lettura, e di come tutto ciò vada a influire in maniera netta sulla personalità di ognuno: alcuni dei protagonisti cambiano totalmente il proprio modo di essere e di concepire la vita, altri mettono in discussione le proprie scelte, a cui avevano consacrato gran parte dei propri progetti, altri ancora si intestardiscono nel perseguire la via che avevano designato per se stessi, finendo miseramente sconfitti dai continui cambiamenti che, loro malgrado, li vedono protagonisti. È la vita stessa che impone loro la precarietà, che li costringe a mettersi quotidianamente in gioco e che sembra divertirsi a fare e a disfare, a creare e a dissolvere, a costruire e a distruggere, secondo i capricci di un destino lunatico: niente garantisce un risultato sicuro, nessun desiderio è irraggiungibile, ma nessuna certezza sembra poter durare nel tempo.

    In questo modo le storie dei ragazzi che dominano il libro si intrecciano e si alimentano di episodi a volte comici e a volte drammatici, dove la regia del tutto sembra obbedire alla logica di qualcosa che non è sempre programmabile, di qualcosa che lascia tutti in balìa di eventi particolari: la vera sfida per tutti è quella di avere la forza di reagire, di non limitarsi a subire passivamente ciò che accade e che sembra poterli travolgere, nel bene o nel male. Pur maturando la consapevolezza che tutto può essere messo in discussione da un momento all’altro, non bisogna cadere nella tentazione di lasciarsi vivere passivamente, anche a prezzo di dover cambiare idea su tutto.

    Per non farsi inghiottire dalla precarietà non bisogna vivere nella rassegnazione, ma neanche commettere l’errore opposto illudendosi che essa non esista o che abbia un raggio d’azione limitato: bisogna ancora pensare che è possibile far valere le proprie idee, che non è utopia assoluta pensare di avere il diritto a un lavoro dignitoso, a crearsi una propria famiglia e a guardare al futuro con ottimismo. Ma sta alle istituzioni, alla classe dirigente e a chi ha il potere di intervenire in maniera concreta fare in modo che le speranze di chi oggi subisce la precarietà possano davvero trasformarsi in realtà, e che in un futuro prossimo non si debba più parlare di una precarietà a tempo indeterminato.

    Senatore ANTONIO GENTILE

    Ogni riferimento a persone, fatti e cose realmente esistenti è da considerarsi come un riferimento a persone, fatti e cose realmente esistenti e quindi casuale, poiché ogni persona, fatto o cosa è il risultato di innumerevoli, casuali coincidenze.

    1 - PANORAMICA

    I più deboli possono vincere contro i più forti solo se la forza delle loro motivazioni è più forte della forza delle motivazioni dei più forti in misura superiore a quanto la forza dei più forti è superiore alla loro.

    Dopo la formulazione di questo pensiero, Edoardo si sentì importante, novello Ulrich, o meglio l’incontro di questi con Bergson, perché essere solo un uomo senza qualità non poteva soddisfarlo appieno. Le qualità in lui erano molteplici. Era attraente, brillante, ciarliero il giusto, e si calava alla perfezione nella realtà che lo circondava, perché si sa, Atteggiarsi a ribelle è solo una scusa da mediocri, buona per chi di qualità è davvero sprovvisto. Qualcosa di molto lontano da me.

    E le donne lo sanno, seguitava a riflettere, "sono nate per fiutare il successo, se non prevale in loro quel pessimo retrogrado gusto per la sofferenza autoimposta, quello stimolo autolesionista che le spinge ad amare i dannati, i depressi o gli inconcludenti: ma ciò per loro forse è necessario. Come mi disse Greta, Noi dobbiamo soffrire per redimerci, siamo irresistibilmente attratte dalla missione, da ciò che è difficile, salvo poi scappare, davanti all’emergere del nostro cinismo.

    Greta, che culo che aveva! È stata la prima cosa che mi ha colpito…. Non riusciva a pensare a lei, o meglio, a quel suo particolare tratto distintivo, senza sentirsi profondamente turbato, un turbamento erotico così potente che sfociava nove volte su dieci in un’erezione immediata. Ah, le donne… sono così convinte ogni volta che dicono qualcosa in cui credono, assumono un tono di incredibile solennità… se solo sapessero quanto poco ce ne frega, o meglio, che l’ascolto che prestiamo a ciò che dicono è legato al fatto che ci attraggano o meno, perché in assenza di questa condizione per noi è del tutto indifferente se in esse si sia reincarnato un filosofo, un poeta, una scimmia o una capra…".

    Un giro a destra… ah, ecco, sinistra… resti immobile sul centro, o nel centro? Meglio cuccurucucù, o quella di mister tamburino zumpaparapazum paparapazum papà… gira porta gira… ooooohhhhhh!!! ...e Brian che mi dice di non abbassare la gradazione alcolica… perché no?! Che figata!.

    Eric, apri questa dannata porta! Se le ragazze non entrano muoiono!.

    Ma c’è un altro cesso! disse Eric, seduto sul bidet, mentre contemplava il rosso della parete immaginando di vedere una lotta fra due draghi avvolti da una enorme fiamma.

    Ne servirebbero almeno sei o sette! disse Peter, la cui lucidità era appena stata scalfita da tre (o quattro?) giri di Jameson e due di gin, preceduti da qualche bicchierino sparso di Montepulciano d’Abruzzo e da uno (era sicuro, solo uno) di un Nero d’Avola che non si poteva non assaggiare.

    Eric intanto stava provando a rimettersi in piedi, dopo che i due draghi erano stati entrambi sconfitti, travolti dalla pioggia torrenziale che, uscendo dalla doccia, si posava con benefica violenza su tutto il loro mondo, contenuto nella testa riccia di Eric.

    Nell’altro bagno Fiona cercava di resistere alle pressioni che Greta esercitava su di lei circa l’opportunità di ficcarsi le dita in gola per vomitare tutto il suo malessere dentro quel cesso, il quale sembrava guardarla con sufficienza, snobbando i suoi patetici tentativi di resistenza. Fiona provava un’avversione sincera per quel gabinetto, mentre Greta continuava a insistere.

    E qualcuno diceva che può essere arte! Ma che s’era fumato ‘sto deficiente? Ahahah! disse Fiona, acida, rivolta all’oggetto del suo odio momentaneo.

    Pensa a riprenderti invece di farneticare, ignorante! Comunque, per la cronaca, quel deficiente è Duchamp!.

    Deschamps, quello della Juve? Lo sapevo, solo un gobbo di merda, e per di più francese, può vedere arte in un cesso rispose Fiona, che ricollegava qualunque cosa alla sua profonda passione calcistica.

    Beh, questo è troppo, cara la mia ultrà! Non posso sopportare oltre e in nome della salvaguardia del genio artistico, Greta infilò le sue dita nella gola di Fiona, ottenendo subito il risultato sperato: almeno quattro tipi diversi di vodka, birra a fiumi, tartine, tramezzini, pizza e pasta fredda, rum e vino di ogni genere (salvo il Nero d’Avola, protagonista della serata) fecero alzare bandiera bianca a Fiona, che pure aveva combattuto fieramente contro il verificarsi di questa che, a suo parere, era un’appropriazione indebita: ciò che apparteneva a lei, che si trovava in lei come se fosse una piccola popolazione che abitava il suo grembo, fu risucchiato fulmineamente nel turbinio generato dal perfido nemico bianco che, beffa suprema, la vedeva in ginocchio davanti a sé.

    Ciò che Greta non aveva previsto, confidando eccessivamente nelle capacità di sopportazione del proprio stomaco, erano gli effetti collaterali: appena Fiona si arrese miseramente la trascinò con sé nella sconfitta, perché Greta vomitò sul pavimento…

    Mal comune mezzo gaudio disse Fiona, a cui il crollo gastrico di Greta aveva dato nuova linfa.

    L’amica le lanciò un’occhiata severa, che racchiudeva tutto il disappunto per l’osservazione alquanto ingrata sparata a bruciapelo, che divenne una fiamma enorme, simile a quella vista da Eric nell’altro bagno, quando Fiona, imperturbabile, aggiunse: Vincenzo fa il portiere, ok. Ma Santino gioca in difesa, non in attacco. Quindi, mi chiedo: come cazzo ti è venuto di chiamarli Holly e Benji? Ma che razza d’infanzia hai avuto?!.

    Stupendo! esclamò Michele, respingendo l’assalto del rum che attentava alla sua dignità rifluendo con continue e violente ondate fino alla gola; riguardo la progressiva scomparsa della lucidità, per quella Michele era grato all’ottimo Havana 7 che Peter aveva accuratamente scelto per lui. Quando era brillo Michele sapeva rendersi interessante, tanto da esser convinto che se gli uomini fossero stati tutti gay, ne avrebbe piegati migliaia alle sue voglie.

    Così tu e Greta vi siete conosciuti al test di ammissione.

    Già, io le ho suggerito che la prima Esposizione Universale fu quella del 1900 a Parigi e lei mi disse che Oblomov era di Dostoevskij, fu la risposta divertita di Santino.

    Ma che bravi! Comunque, due cazzate, un’amicizia! Mi fai fumare?.

    Certo.

    Michele si avvicinò e indugiò qualche istante allo sguardo di Santino, visibilmente disorientato da alcool, canne e da una strana voglia di correre da Fiona… quanto gli mancava il suo profumo, come avrebbe voluto respirarla ancora! E invece doveva accontentarsi di uno spinello, ottimo, per carità, ma triste surrogato di labbra calde da baciare…

    La più bella bocca che abbia mai toccato, pensava con rammarico, mentre constatava che la sua storia più importante, che aveva provato mille volte a raddrizzare, era definitivamente andata in fumo.

    Ma quel Vincenzo, disse all’improvviso Michele, interrompendo il delirio tossico-amoroso del suo interlocutore, È realmente così ubriaco e figo come sembra?.

    Dopo 23 minuti e 18 secondi Eric abbandonò il bagno, senza peraltro essere riuscito a liberarsi da ciò che gli opprimeva lo stomaco. Però anche il secondo gabinetto, per non essere da meno a quello che aveva vinto le resistenze di Fiona, riscosse il proprio tributo, promessogli all’inizio della serata dal cocktail di alcolici e superalcolici, mischiati al contenuto dei graziosissimi involucri preparati con cura dai convitati al banchetto delirante.

    E che diamine, sempre la stessa cosa! esclamò Miriam al comparire della strana maschera che aveva le fattezze di Eric, mentre con uno scatto felino Alessandra si infilava nella stanza che aveva desiderato per più di un quarto d’ora, che le era sembrato un quarto di secolo. Le due ragazze erano abituate a questi momenti di sofferenza, in quanto coinquiline di Eric e della sua deliziosa dolce metà, Isabel.

    Ti stavo aspettando esclamò dal suo trono di ceramica l’esattore di alcol e salute della serata, o questo era ciò che il gabinetto pareva comunicare ad Alessandra che, inginocchiandosi come davanti a un sovrano, chinò la testa e aprì la bocca.

    Miriam faticò parecchio per evitare che anche la testa e le mani di Alessandra finissero in pasto al nemico, che si faceva sempre più ingordo, e fu necessario l’intervento di Vincenzo e Dino prima che Peter, un’autentica istituzione nel settore delle serate di questo tipo, prendesse in mano la situazione, dall’alto del suo passato (e presente) di alcolista.

    Salve, sono il signor Wolf, risolvo problemi, esclamò tra l’ilarità generale, perché Pulp Fiction era per tutti loro un riferimento esistenziale. Dopo di che prese in braccio una ormai semi-incosciente Alessandra, adagiandola sul fianco destro sul letto che si trovava nella stanza a fianco.

    Però, che bocconcino appetitoso pensò, mentre osservava interessato il di lei corpo, indugiando sui suoi piccoli ma proporzionatissimi seni all’insù, sarebbe il caso di approfittarne, una toccatina in fondo non la ucciderà, anzi, mi spetta di diritto, direi!.

    E fu qui che la sua popolarità, senza bisogno di appurare questo con un sondaggio fra il pubblico in sala, si abbassò bruscamente, poiché Peter aveva dimenticato di inserire l’Alt ai suoi pensieri, che forzando un posto di blocco inesistente al confine tra la testa e la lingua, arrivarono agilmente fino alla gola e da lì uscirono, per raggiungere inesorabilmente le orecchie di tutti i presenti, visibilmente delusi dalla repentina trasformazione in un porco di quello che era parso loro un eroe un attimo prima.

    Alessandra crollò beata mentre la delirante Fiona, in preda a un’allucinazione a tinte rossonere degna dei tesori di Amsterdam, vide Maradona prostrarsi al cospetto di Gattuso, intento a lustrare lo scarpino al Ringhio nazionale, prima di consegnargli il Pallone d’Oro.

    Miriam fu in breve raggiunta da Santino che, in quanto calciofilo nonché ex fidanzato di Fiona, poteva contare su un bagaglio di conoscenze intime più ampio, che in quella situazione poteva risultare molto prezioso: egli convinse l’amica dell’opportunità di lasciare la spinosa questione in mano sua, e Miriam fu ben contenta di abbandonare il durissimo campo di battaglia per riunirsi, seppur debilitata, al resto della combriccola.

    Santino si trovò solo davanti a Fiona, che giaceva con la mano sulla fronte, sul proprio letto. Egli non sapeva da dove iniziare, né dove andare a parare: inizialmente optò per la classica via del patetico andante, e passò brevemente in rassegna nella sua mente l’immenso repertorio di Gigi d’Alessio. In un secondo momento decise che sarebbe stato meglio parlare di calcio, ma bocciò anche questa soluzione, perché l’anima di Fiona era ancora profondamente scossa dalla tragedia di Istanbul, teatro di Milan-Liverpool.

    La paralisi di Santino, indubbiamente legata anche alle emozioni che l’alcol aveva contribuito ad alimentare, era però figlia soprattutto del fattore sorpresa, poiché egli non sapeva che la sua amica Greta vivesse con Fiona, né che le due ragazze fossero amiche. E Santino stava lì, inerme, totalmente inebetito davanti a quel corpo che conosceva così bene, in ogni minimo dettaglio, e che ora era come una materia amorfa, qualcosa di inaccessibile ai suoi sensi e alla sua carne…

    Durante questa contemplazione, Santino non aveva ancora trovato il modo di dare un minimo ordine al corso dei suoi pensieri.

    Fiona intanto continuava a vaneggiare, e poco prima di cadere in un sonno profondo vide, come immagine finale, Kakà involarsi sulla fascia, dribblare uno, due, tre difensori del Liverpool, e crossare in area dove a svettare in anticipo su tutti, Dudek compreso, c’era lui, il Cigno di Utrecht, Marco Van Basten: un sibilo impercettibile uscì dalle labbra serrate di Fiona… Goool!, e la ragazza, felice, staccò definitivamente la spina, iniziando a russare pesantemente.

    Il ronfare di Fiona fu come un brusco risveglio per Santino che, mettendo da parte ogni velleità, baciò sulla fronte gelida l’incarnazione della sua più grande sconfitta, e se ne andò mestamente a casa, da solo, lasciando Fiona tra le braccia del povero Morfeo, già intento a sostenere Alessandra, e ora alle

    prese con due fanciulle anziché con una: e pensare che sia lui che Santino avrebbero di gran lunga preferito fare a metà…

    2 - LE INCERTE CERTEZZE

    Peter faceva i salti mortali per risalire la china, dopo che la vicenda di Alessandra lo aveva messo ko.

    Ciò che più lo inquietava non era la figuraccia da maniaco appena confezionata davanti a tutti (E che diamine, la carne è carne!), né il fatto che l’oggetto delle sue pulsioni erotiche del momento fosse totalmente in balìa del suo benefattore/aguzzino.

    Il problema reale, a cui dedicare riflessioni ampie ed estremamente serie, era legato alla sua fama: lui, Peter, con un imbuto al posto della gola, una spugna come fegato e uno stomaco assolutamente incapace di interferire con la sua lucidità, non era riuscito a trattenere i propri pensieri dentro di sé, come un pivellino al primo Jack Daniels, bisognoso di esternare gioiosamente le rivoluzioni della propria coscienza al primo che capita, appena superata la linea d’ombra dell’infanzia alcolica.

    Si sentiva imbarazzato, quasi malato, incontinente. Provava lo stesso crudele disagio di un bambino che ha abbandonato da tempo il pannolino, la cui mamma fa divertire la vicina di casa pettegola raccontandole, davanti ad altri bambini, come il suo amoruccio (che ha ormai 10 anni) abbia fatto pipì nel letto.

    In mezzo a questo marasma di sensazioni umilianti, tra i suoi pensieri che avevano imboccato il senso unico della via della disperazione, dopo che nella sua testa sempre più simile a una torre di Babele popolata da ubriachi era persino balenata l’idea del suicidio, Peter trovò la forza per esibirsi in un autentico virtuosismo di opportunismo.

    Riuscì in un attimo a distogliere l’attenzione sua e degli altri dal suo dramma esistenziale, per indirizzarla su quelli che da un paio d’ore erano visti un po’ da tutti come i possibili protagonisti della serata e dei pettegolezzi dei giorni a seguire.

    Eric non aveva minimamente prestato ascolto ai rimbrotti di Miriam, non per strafottenza o codardia, semplicemente perché non era in grado di porre ascolto a chicchessia. Aveva come la sensazione che i due draghi del bagno non fossero scomparsi, ma gli stessero divorando l’intestino. Barcollando penosamente raggiunse il salone, ormai deserto, dopo che Santino era corso invano da Fiona e Michele cercava di partire alla conquista del pianeta Vincenzo.

    Era solo, si guardò attorno, o forse il suo sguardo era immobile mentre era tutto il resto a girare. Ma l’allucinazione in cui incappò stavolta aveva un dolce sorriso, un corpo niente male e una ciocca bionda che scendeva giù per un viso da bambolina. Eh sì, pensò, niente male questa Erica.

    Erica!, esclamò, sorpreso e soddisfatto. Sapeva che lo aveva seguito.

    Se la trovò di fronte, gli si era avvicinata tremante, colpita dal suo sguardo profondo, dai suoi modi. Lo guardava ammirata, mentre ormai teneva teneramente la sua mano, con una dolcezza non del tutto scevra da lampi di pura passione, con le dita che giocherellavano maliziosamente con le sue, danzando con soave leggerezza fino al polso per poi risalire pazientemente fino alle unghie. Eric fiutava il pericolo, ma sapeva che mai avrebbe ceduto, che amava troppo Isabel, che Erica non aveva speranza e che mai l’avrebbe illusa.

    Ma lei insisteva, trasferendo le sue carezze al viso contratto di lui. Lo guardava, ancora e ancora, con dolce insistenza, fin quando la sua bocca si avvicinò alle labbra incerte di Eric… e qui Eric si rese conto che la sua fantasia lo aveva messo con le spalle al muro. Sebbene tutto ciò fosse accaduto solo nella sua testa ed Erica, pur essendo davvero l’unica a popolare con lui quella stanza, avesse in realtà sempre mantenuto una distanza di sicurezza notevole, le sensazioni provate in quella situazione fittizia suonarono in lui come le trombe che annunciano una rivoluzione.

    Sollevato dalla constatazione che il raggiungimento di una certa intimità con Erica fosse avvenuto solo nei suoi pensieri, Eric poteva indirizzare tutte le residue forze al malessere fisico, concentrato a livello dello stomaco.

    Se la trovò di fronte e anche stavolta parve cogliere in lei un certo tremolio. Egli pensava che di sicuro i suoi modi e il suo sguardo profondo l’avessero colpita.

    Ecco, non stavo delirando, era un dejà-vu pensò Eric, che già immaginava la mano di lei nell’atto di accarezzare la sua, e poi il suo viso, fino a… Non posso proprio, scusami!, fu la reazione scomposta di Eric. Ma reazione a che cosa? Erica teneva le mani in tasca, non lo guardava affatto, non pensava minimamente

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