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Destini incrociati
Destini incrociati
Destini incrociati
E-book273 pagine4 ore

Destini incrociati

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Info su questo ebook

Maria Rosaria, ha insegnato alla Scuola dell’Infanzia presso l’ICS Bovio-Colletta di Napoli dove è nata e vive. Ha un rapporto molto sentito con i bambini a cui la lega l’immaginazione ed il mondo fiabesco. In questo contesto essa si distingue per le sue abilità di affabulatrice.
I suoi campi d’inchiesta e d’impegno sono da ritrovare nella difesa dell’intercultura, nella valorizzazione della tradizione feconda e nella rivisitazione della favola classica.
La sua formazione, supportata dalla passione per la lettura, le consente di investigare l’universo femminile dalla più stretta sfera familiare fino a quella professionale, dandole la possibilità di sperimentare relazioni interpersonali nell’ambito di progetti sviluppati per la sua platea scolastica.
Con L'albero di mele, è alla sua prima esperienza letteraria per la narrativa.
LinguaItaliano
Data di uscita27 apr 2015
ISBN9786050322088
Destini incrociati

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    Anteprima del libro

    Destini incrociati - Maria Rosaria Esposito

    Maria Rosaria Esposito

    Destini incrociati

    DESTINI INCROCIATI

    di MARIA ROSARIA ESPOSITO

    Aprile 2015

    ISBN 9786050322088

    Autopubblicato con Narcissus.me

    www.narcissus.me

    _________________________________________________

    Versione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl

    __________________________________________________

    ISBN: 9786050322088

    This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com)

    by Simplicissimus Book Farm

    ​Presentazione

    di Raffaela Danzica, Antropologa

    Il racconto di Maria Rosaria acquisisce la caratteristica di una funzione di convergenza, in quanto tutti i personaggi si trovano a dispiegare le loro singole esistenze in un punto di un’unica verifica, che, a mio avviso, non è solo amorosa, ma è esistenziale, drammaticamente esistenziale.

    Nel racconto, la voce narrante non è una, ma sono tante, quanti sono i personaggi. La scrittrice dà voce, a turno, a ciascuno di essi, senza alcuna concezione piramidale; ogni singolo racconta di sé ed ogni singolo racconto ha un suo significato, un suo peso specifico, una sua trama, all’interno della trama complessiva. Troviamo diversi capitoli, dunque, ognuno col nome di un personaggio diverso. Ogni personaggio, prendendo la parola, parla per sé, si confessa, si condanna e si assolve, in un’autoanalisi degna del più approfondito lavoro junghiano. Quando ogni racconto termina, siamo rimandati, non solo come lettori, ma come veri e propri analisti, a verificare riscontri nei racconti successivi e non solo, ma anche facendo un salto all’indietro, nei racconti precedenti, per verificarne la veridicità, per intenderne il sentire. Così che tutti insieme, i racconti, vanno a formare un unico girotondo, in un complesso intreccio di dinamica gruppale. Il gruppo che viene fuori è la famiglia, a partire dalla coppia, ma non solo, assistiamo anche al rapporto tra madre e figlia, tra padre e figlio, e così via. Insomma, vengono presentati i legami in tutte le loro combinazioni e sfaccettature. In tale dispiegamento di personaggi e di relazioni tra loro, risultano chiaramente visibili gli scarti intergenerazionali, con il relativo dialogo, che a tratti si fa comprensivo e comprensibile e a tratti si fa difficile e incomprensibile. Tanto che, spesso, si intravedono chiaramente fatica e dolore nella gestione dei conflitti. Ma l’opera non è solo il racconto di una saga familiare, è anche l’analisi di uno spaccato sociale, culturale e sub culturale, soprattutto dell’Italia meridionale. Assistiamo all’epopea di una famiglia patriarcale, marcatamente maschilista, ma anche alla storia di una ereditarietà fortemente femminile. Infatti, si intuisce chiaramente, dietro le forme di resistenza dei personaggi di Giuliana prima e di Rosalia, Annuzza e Vita, poi, andando a ritroso nel tempo, ovvero scorrendo man mano con le generazioni all’indietro, la forza di un matriarcato dove la figura della donna ne esce sicuramente vittoriosa. Le protagoniste vivono tra Roma e Palermo, allargano i loro orizzonti fino a Parigi o in Albania. Non sono certo statiche, ma dinamiche e nella loro dinamicità esprimono dubbi, passioni, gioia e dolore. Indubbiamente, per quanto la figura maschile abbia una sua funzione importante nell’economia della trama, è una figura che anima lo sfondo. Riccardo, Arturo, sono uomini fragili, con un forte senso del fallimento. In realtà il senso del fallimento investe tutti i personaggi, poiché tutti, nessuno escluso, si pongono grossi interrogativi, si mettono in discussione, in un crescendo drammatico. Viene posta nel dubbio ogni scelta, ogni esperienza, e anche le certezze più scontate diventano materia di accesi dibattiti con sé stessi prima che col mondo. Viene passata a setaccio ogni cosa, persino l’identità di genere di alcuni personaggi. Giuliana, in più di un momento della sua vita, mette in dubbio il suo orientamento sessuale, credendo di essersi innamorata di una donna (Mirella, la sua figlioccia). Ma il dubbio sulla propria identità di genere, va più in là del fattore intimo e individuale, diventa fattore umano e dubbio esistenziale, dove si parla, nello specifico, dell’identità di genere e di tutte le pene da questa scelta derivanti. A partire da questa disamina viene affrontato il tema della diversità e, in particolare, della omosessualità. Spunti per approfondite discussioni ad implicazioni civili, filosofiche, psicologiche, ce ne sono a iosa, lungo tutto il racconto. I personaggi si scompongono in un’analisi che è quasi vivisezione, ma poi si ricompongono, tutti degnamente, verso una soluzione per sé stessi e per gli altri. Ma qualche volta il tentativo di ricomposizione di sé stessi non garantisce una piena riuscita nella gestione della realtà che si ha di fronte, e si può incappare nella tragedia, come nel caso di Mirella che si suicida. Arturo, pur essendo uno psichiatra, confessa di soffrire egli stesso di disturbo dissociativo. Il limite tra normalità e devianza è sottile, a turno un po’ in tutti i personaggi, i quali si rendono conto di essere sottoposti alle leggi della natura, nell’intreccio casuale del destino, e per quanto soffrano ad ogni suo passaggio esistenziale, ad ogni sindrome situazionale, si sottopongono a tutte le esperienze con un maturo e dignitoso sentimento di rassegnazione e partecipazione al proprio destino. All’interno dell’intreccio ogni personaggio usa l’altro per verificare la validità delle proprie scelte, ma sempre senza risparmiare sé stesso. Dunque c’è un’onestà in tutti i personaggi, sia maschili che femminili, ad andare fino in fondo alla propria avventura, tra infiniti colpi di scena che lasciano il lettore più volte col fiato sospeso.

    E’ una storia di passioni brucianti, a tratti riconoscibili in una follia spietata e inaspettata (chi si aspettava l’artificioso piano, per amore di Arturo, da parte di Rosalia, poco più che una bambina? Io non me lo aspettavo!) I personaggi altalenano tra amori fusionali, odi, gelosie e profondo senso di tenerezza. E’ una storia di meschini ricatti, ritorsioni, sotterfugi, tutti prodotti dalla follia amorosa, ma è anche una storia di tolleranza, sacrificio, compassione e perdono. Si rivelano segreti inconfessabili, storie di violenze subite o operate, ci troviamo di fronte ad un’attenta osservazione di molte patologie psichiche, la nosografia di un manuale psichiatrico è quasi completa. Arrivano dei momenti in cui la perversione, nella sua fattispecie umana di alcuni personaggi, ci fa quasi compassione ed ad ogni modo ci dà spunto di accorata riflessione.

    I protagonisti non si privano di niente, dopo un’iniziale sottomissione al proprio destino, man mano si ha sempre di più l’intuizione che ognuno faccia ciò che davvero sceglie di fare, sull’onda delle proprie collaudate tendenze e delle proprie mere passioni. Insomma ogni protagonista lascia che si consumino gli eventi, in maniera tale che non abbiano più ragion d’essere rimpianti e sensi di colpa. Ognuno, attraverso un percorso catartico e ricostruttivo, trova la sua strada per il raggiungimento della sacrosanta felicità.

    PRIMA PARTE

    Pensando a Mirella

    ​ROBERTO

    Sono emotivamente instabile. Respiro affannosamente ed i battiti del mio cuore vanno a mille. Ho parcheggiato l’auto nel vialetto che porta a quella villa, della quale, da questa postazione, ne vedo uno scorcio. Dietro a quella finestra ci sono i miei genitori, ignari di quanto stanno per scoprire, ovvero l’esistenza di un figlio! Mi crederanno? Sarò convincente? Penso di si, in fondo le prove che porterò loro sono inequivocabili. Tuttavia non posso fare a meno di sentirmi paralizzato dalla paura e dall’emozione. Ho le gambe molli e a malapena scendo dall’auto per avvicinarmi sempre di più alla villetta, fino ad essere in grado di distinguere delle ombre che si aggirano per la casa. Esito; ho dei ripensamenti, mi chiedo se sia onesto da parte mia sconvolgere ulteriormente questa coppia, per arrivare al mio scopo: quello di avvicinarmi a Mirella, la giovane donna che hanno cresciuto come una figlia. Adesso, però, non posso più fermarmi, devo portare avanti il mio piano e poi… e poi devo necessariamente conquistare la donna che amo. Adesso o mai più! Devo comunque tentare. Vivo solo ed esclusivamente per questo. So bene che prima o poi dovrò svelarle il mio segreto, ma lo farò quando lei non potrà più fare a meno di me e forse mi perdonerà e mi accetterà. Chissà! Ora devo decidermi a bussare a quella porta. Sto per farlo, ma mi blocco: sono decisamente in preda al panico. Ecco ce l’ho fatta! Qualcuno viene ad aprire ed è una ragazza di circa vent’anni, sicuramente una domestica. Desidera? Mi chiede. Vorrei vedere i signori Randel, sono un parente. Aspetti un attimo che li avverto. Mi risponde. Mentre la ragazza si allontana, cerco d’immaginarmi, con una certa apprensione, quale sarà la reazione dei miei genitori nel vedermi e, soprattutto, quale sarà la mia. Intanto è ritornata la ragazza che, dicendomi di accomodarmi, mi fa strada fino al salotto. Lì incrocio lo sguardo della donna, quindi quello di mia madre, che mi fissa incredula, poi si porta le mani alla gola ed emettendo dei suoni soffocati, si affloscia come un manichino senza vita sul divano. Adesso è arrivato il marito, ovvero mio padre, allarmato e preoccupato nel vedere la moglie inerte alla presenza di uno sconosciuto. Avviene tutto nel volgere di qualche secondo. Egli mi guarda perplesso mentre chiama la ragazza: Olga! Olga presto. Vai a chiamare il dottore Arturo, la signora Giuliana sta male. La ragazza, dunque, si precipita fuori e papà, guardandomi con diffidenza, mi aggredisce verbalmente: si può sapere chi diavolo sei? Cosa vuoi? Mi fai paura. Hai lo stesso viso di… di… e non riesce più a proferire parola, tanto è congestionato e confuso. Mi lasci spiegare signor Randel; sì, lo so, ho lo stesso volto di sua figlia Veronica… Io… io sono il suo gemello: l’altro bambino che sua moglie mise alla luce e che fu creduto morto.

    Cosa? Che cos’è uno scherzo? E di cattivo gusto, per giunta! Ascolta bene, giovanotto! Sappi che noi stiamo cercando di elaborare un grave lutto che ci ha completamente distrutti e tu certamente non puoi immaginare il nostro smisurato dolore. Se credi di sfruttare questa inquietante somiglianza per chissà quali loschi scopi, sappi che ti ammazzo. Io ormai non ho più niente da perdere, ho già perduto tutto! Non ho il tempo di rispondere perché è arrivato il medico che, mentre si precipita a soccorrere la donna, mi guarda allibito. Poco dopo la signora si riprende del tutto e pur cercando di controllarsi, mi osserva con curiosità. Quando mi chiede chi sono e cosa voglio, leggo angoscia e disperazione sul suo volto. Io mi faccio coraggio e prego tutti di ascoltarmi attentamente, in quanto sto per comunicare loro qualcosa che sicuramente li scioccherà, ma che forse potrebbe anche renderli felici. Il dottore, fa cenno di andarsene ma il signor Randel lo ferma. Ti prego di restare Arturo, tu fai parte della famiglia, inoltre temo un altro malore di Giuliana, poiché tremo all’idea di quanto possa dire quest’uomo apparso dal nulla nella nostra già sofferta esistenza. Poi rivolgendosi a me in malo modo mi esorta a parlare. Allora! Cos’hai da dire? Sappi che se quanto andrai a raccontare non corrisponderà alla verità, te la farò pagare! Ora devo fare molta attenzione a ciò che dico, per cui sento il sudore scivolarmi giù per la schiena e sono pervaso da un tremore interno. Quindi decido di rivolgermi alla donna che mi fa meno paura con la sua visibile fragilità. I due uomini, invece, mi terrorizzano, perché sento che essi andranno fino in fondo alla questione, per cui evitando di guardarli, esordisco così: Lei signora, trentadue anni fa metteva al mondo due gemelli con parto cesareo: una femmina ed un maschietto e non aveva ancora diciassette anni. La bambina sopravvisse, il bambino no. Esatto? Sì, è proprio così. Mi risponde con le lacrime agli occhi, più stupita che mai. Poi aggiunge balbettando: ma… ma lei… ma tu… come fai a sapere queste cose? Signora, la prego, mi faccia finire di parlare, altrimenti se mi fermo non avrò più la forza per proseguire. Mi creda, anche per me è difficile questa storia in cui mio malgrado sono coinvolto. Intanto scruto papà ed Arturo che mi fissano con sospetto ed io sono consapevole del fatto che essi mi stanno studiando. Quindi, sempre più a disagio riprendo a parlare. Deve sapere che mentre venivano al mondo i suoi gemelli, nella sala parto situata accanto a quella operatoria, nasceva senza vita il figlio del medico chirurgo che, in quel preciso momento, la stava operando. Quel fatidico giorno, dunque, nella stessa clinica ci furono due parti, ma i retroscena erano totalmente diversi. Va detto che la moglie del dottor Randel… e qui mi fermo un attimo leggendo lo stupore sui volti tesi e protesi verso di me. Ebbene sì, il dottore in questione aveva il suo stesso cognome dico, rivolgendomi a colui che è mio padre. Stavo dicendo che la signora, che all’epoca aveva già quarant’anni, era alla sua quinta o sesta gravidanza, ma purtroppo non riusciva mai a godere della agognata maternità, in quanto i bambini che portava in grembo, in prossimità del parto morivano. Quella gravidanza, rappresentava per lei l’ultima spiaggia, poiché, in seguito, un po’ per l’età, un po’ per salvaguardare la propria salute, non avrebbe potuto più permettersi di rimanere incinta. Sfortunatamente anche quella volta i coniugi Randel sapevano in anticipo che il loro bambino non avrebbe mai visto la luce. Dove vuoi arrivare? M’interrompe bruscamente papà. Riccardo! Quasi grida la donna. Lascialo parlare, ti scongiuro! Ancora non riesco a capire cosa vuole dirci, ma questa storia si profila decisamente interessante e rivolgendosi al medico gli dice: sei d’accordo Arturo?

    Io veramente aspetto la conclusione di questo… come vogliamo chiamarlo? Racconto? Le risponde scettico il medico, poi si vedrà.

    Va bene Arturo. Allora Roberto, continua pure.

    Ok! dove ero rimasto?… Ah! Sì, dicevo che i coniugi Randel già sapevano ciò che li aspettava, ovvero che non avrebbero mai provato la gioia di essere genitori. Cosicché, presa dalla disperazione, la signora Candelle, si macchiò di un atto ignobile e peccaminoso, per il quale il rimorso l’avrebbe accompagnata per tutta la vita. Ella già sapeva che in quello stesso giorno sarebbero nati due gemelli e così cercò di coinvolgere il marito in qualcosa di estremamente pericoloso e soprattutto immorale: lo scambio di neonati. A queste parole si leva un coro di oh! Cosa? Come? E mentre Arturo si fa attento, la coppia impallidisce, anche se in effetti, a lui, che ero suo figlio, l’ho detto subito. Ma evidentemente credendomi inizialmente un impostore e tutto preso dal soccorrere la moglie, non vi ha dato peso. Adesso però, lo vedo teso e fremente, infatti mi dice perentorio: continua! Ebbene, la signora seguiva una logica che, a parer suo, non faceva una piega, per cui tentò di convincere il marito dicendo: quei due ragazzi sono giovanissimi, a loro basterà la bambina e col tempo potranno mettere al mondo tutti i figli che vorranno. Hanno tutta la vita davanti. Noi no! Il dottore, naturalmente non era d’accordo e fece di tutto per dissuadere la moglie da tale proposito. Ma nulla riusciva a farle cambiare idea. La signora sembrava impazzita, urlava, si dibatteva, lo insultava e dulcis in fundo, minacciò di suicidarsi. Il pover’uomo tentò l’ultima carta, quella di ordine pratico. Come pensi di raggirare l’équipe medica ed infermieristica presente in sala operatoria ed in sala parto? Ma Mara Candelle, testarda e risoluta, voleva quel bambino a tutti i costi e siccome era ricchissima, rispose al marito che avrebbe comprato il silenzio di tutti. Mai, scordatelo! Sappi che non mi presterò per nessuna ragione al mondo a questa mostruosità; Mara: tu vaneggi, sei fuori di te. Rassegnati! Pensa, piuttosto, ad adottarne uno, due, tre o quanti ne vuoi, di bambini. Quello che tu hai osato propormi è sporco ed infame. Quindi, ti prego di non ritornare mai più sull’argomento ed io farò finta di non aver sentito. Spero per te che tu non pensi davvero ciò che hai appena detto. Mara capì che non avrebbe potuto avvalersi della complicità del marito e, fingendo di assecondarlo, decise di agire da sola. Così, convocò l’équipe della sala operatoria che, oltre al marito, era composta da un anziano medico prossimo alla pensione, dall’anestesista e da un infermiere. In sala parto, invece, sarebbero stati impegnati un medico ginecologo ed una infermiera. Quando tutti furono al suo cospetto, Mara espose loro il suo proposito, suscitando sdegno e disgusto nei suoi interlocutori che, gridando allo scandalo, offesi e scossi per la tentata corruzione, se ne stavano andando, dicendole di ritenersi fortunata di essere la moglie del dottor Randel, che ritenevano una persona stimabile e degna di rispetto, altrimenti l’avrebbero denunciata. Ma quando udirono l’offerta di Mara per la loro prestazione e per il loro silenzio, ritornarono sui propri passi, apparendo piuttosto interessati. La signora, infatti, che non badava a spese quando doveva raggiungere un obiettivo, prometteva a ciascuno di loro cinquanta milioni di lire di cui esigeva una dichiarazione scritta e firmata per cautelarsi da eventuali future estorsioni. In più, nella dichiarazione, che lei stessa si premunì di scrivere, era sottolineata l’estraneità del marito e che il tutto doveva avvenire a sua insaputa. A cose avvenute, spiegava Mara all’èquipe, il marito, sebbene contrariato, non avrebbe potuto fare più niente, altrimenti, pur non avendo concorso alla sostituzione dei neonati, ne sarebbe rimasto comunque coinvolto in prima persona, compromettendo per sempre la sua carriera e naturalmente rovinando la donna che aveva sposato vent’anni prima. Inoltre Mara, così come aveva giustificato precedentemente al marito il suo intento, allo stesso modo pensò di farlo anche con i suoi complici, sperando di ottenere comprensione, mettendo in evidenza che per i due giovanissimi neo genitori, ancora studenti liceali, crescere due bambini sarebbe stato un grave fardello, mentre lei che non aveva possibilità alcuna di divenire madre, avrebbe cresciuto quel bambino come un re, dedicandogli tutta la sua vita. Insomma, vuoi per il compenso promesso, vuoi per la commovente spiegazione data, Mara riuscì a convincere tutti che, mettendo a tacere la propria coscienza, all’unanimità si dichiararono d’accordo ed il patto fu stipulato.

    Quando finalmente giunse il giorno tanto atteso dalla signora Candelle, tutti erano pronti per lo scambio dei neonati ed ogni membro dell’équipe aveva il suo ruolo, dietro la regia di Mara stessa che aveva pensato ad ogni minimo particolare. La fase più importante e delicata dell’operazione, sarebbe stata quella in cui bisognava distrarre il dottor Randel nel momento della sostituzione dei bambini. Il tutto si rivelò semplice e senza intoppi, il personale coinvolto profuse il massimo impegno, pregustando l’attimo in cui avrebbe intascato i cinquanta milioni di vecchie lire, cifra considerevole all’epoca dei fatti. Nessuno però si accorse che il dottor Randel aveva capito perfettamente ciò che era avvenuto nell’attimo in cui aveva voltato le spalle dopo aver consegnato all’infermiere il bambino nato vivo per ritrovarlo morto, qualche minuto dopo aver proceduto all’estrazione della bambina gemella. Egli, però, preso dall’angoscia e dalla paura delle conseguenze, preferì tacere. Sua moglie aveva vinto! Quella benedetta donna non conosceva ostacoli, che Iddio la perdoni, pensò mestamente il sant’uomo. In un certo qual modo, Randel si sentiva la coscienza a posto, poiché solo Dio sapeva che lui non avrebbe mai orchestrato una cosa simile, tuttavia non poteva certo stare bene ed il momento più brutto per lui fu quando dovette affrontare e comunicare ai giovani neo genitori che uno dei due neonati, il maschietto per l’appunto, non ce l’aveva fatta! Si ricorda signor Randel? Lei fu il primo a ricevere la triste notizia in quanto sua moglie era ancora sotto anestesia. Gli dico, guardandolo per la prima volta negli occhi e sostenendone lo sguardo. Certo che mi ricordo: come potrei dimenticare! Mi sembra ieri quando il dottore per confortarmi mi disse: coraggio figliolo! Sei giovane e forte, così come lo è la tua bellissima Giuliana. Quando sarete più grandi, quando avrete finito di studiare ed avrete un lavoro, penserete ad un altro bambino. Adesso godetevi questo piccolo angelo e pensate soprattutto a costruirvi il vostro futuro, poiché voi stessi siete poco più che bambini impegnati in un compito bello ma gravoso. Ma sono sicuro che ce la farete. Vi auguro tutto il bene di questo mondo e vi faccio tanti auguri. Quella fu la prima e l’ultima volta che vidi quel dottore di cui non sapevo nemmeno il nome, ma la sua profezia in parte non si avverò, visto che in seguito, quando Giuliana ed io ci sposammo e decidemmo di procreare un altro figlio, non ci fu concesso poiché mia moglie, ironia della sorte, abortiva spontaneamente al terzo mese di gravidanza. Io intanto mi giro a guardare la donna che sta piangendo sommessamente, mentre scruto Arturo che mi guarda allucinato e piuttosto perplesso. Restiamo, quindi, per alcuni secondi tutti in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, ed ognuno sembra avere una domanda da rivolgermi. So a cosa stanno pensando: questa è una storia assurda, può essere inventata di sana pianta o può essere vera. Se è inventata, si chiedono quale ne sarà lo scopo, se invece è vera, è pazzesca, inconcepibile ed addirittura raccapricciante. Sono io a rompere questo assordante silenzio carico di punti interrogativi dicendo, con la voce incrinata dal pianto: signori…! Penso che sia superfluo dirlo, ma quel bambino gemello, trasferito dalla sala operatoria alla sala parto, fatto passare per il figlio di Giovanni Randel e Mara Candelle, sono io! Vostro figlio! Il silenzio che segue adesso le mie parole mi fa rabbrividire; tuttavia mi congratulo con me stesso per essere riuscito a dire tutto quello che dovevo necessariamente dire e guardo ad uno ad uno questi tre volti esterrefatti, carichi di sgomento e d’incredulità. Ma nessuno parla. Santo cielo. Dite qualcosa, qualunque cosa, ma non lasciatemi così in sospeso, penso spasmodicamente. Finalmente la donna rompe quest’assurdo ed imbarazzante silenzio, prorompendo in un grido straziante: No! No, non è vero: mi rifiuto di credere a tutto questo. Mi sembra impossibile che si possa arrivare a tanto! Dio, che mostruosità! Tu… tu… tu dunque saresti mio figlio? Quel piccolo angelo che nessuno volle mostrarmi per non rendere il distacco ancor più doloroso? Invece eri vivo! Eri nella camera accanto, ti avevano strappato a me per portarti da un’altra donna, mentre io mi disperavo e piangevo fino a non avere più lacrime, convinta di averti perso. Per anni non ho fatto altro che pensare a te. Vieni piccolo mio, vieni dalla tua mamma: fatti abbracciare! Così dicendo, si alza dal divano e mi stringe a sé ed io ricambio l’abbraccio commosso fino alle lacrime. Certo tutto questo è triste e penoso, ma pensando a Mirella, mi ricarico e mi faccio forza per poter andare avanti e per potermi inserire in quella che è la mia famiglia. Mi tocca adesso rispondere alle accorate domande di ognuno. Proprio così! Quel bambino sostituito a quello morto ero io! Io: vittima innocente di un meccanismo diabolico e spregevole: io sottratto con l’inganno ai miei genitori biologici ed affidato a due sconosciuti, ma, lasciatemelo dire, assolutamente meravigliosi. Essi erano i miei genitori ed io li adoravo, ma mi hanno lasciato ambedue e, a distanza di pochi anni dalla morte di papà, il mese scorso anche mamma se ne è andata ed io sono rimasto completamente solo. Il signor Randel, che fino a quel momento è stato ad osservarmi e ad ascoltarmi senza batter ciglio, mi si rivolge funereo: Come hai fatto a ricostruire questa storia? Secondo te dovrei crederti sulla parola? Tu pensi che io debba fidarmi di un emerito sconosciuto, piombato qui a casa mia a stravolgere ulteriormente il nostro precario equilibrio? Non credere che io mi faccia così facilmente abbindolare dalla tua faccia solo perché è uguale a quella di Veronica, la tua ipotetica gemella. No! Non mi basta. Sappi che ogni individuo ha, sparsi per il mondo, nove sosia, e tu potresti essere uno di questi.

    Riccardo! Per l’amor del cielo! Questo ragazzo è nostro figlio! Io non ho dubbi. Lo sento… lo percepisco… Credimi!

    Taci Giuliana, non sai quel che dici, tu vuoi… bada bene: tu vuoi a tutti i costi credere che quest’individuo sia tuo figlio. Ascoltami: io ti capisco; anch’io vorrei credere tanto in questo inaspettato miracolo, ma non posso; ho bisogno di prove tangibili. Allora? Come sei a conoscenza di quanto detto finora?

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