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L'uomo nero: Stereotipi maschili raccontati da donne
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E-book148 pagine2 ore

L'uomo nero: Stereotipi maschili raccontati da donne

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Info su questo ebook

Chi sono i maschi e dove stanno andando? Come stanno cambiando stereotipi maschili?  Domande difficili a cui hanno cercato di rispondere le sette autrici che firmano i racconti  e la prefazione (che diventa una guida di lettura) di questa antologia. 

L’Uomo Nero è il maschio cattivo, non per forza violento in maniera evidente, piuttosto quell’essere umano che non è mai abbastanza, che non è all’altezza, che non si concede, che non si fa carico, che non si prende cura, che non si mette in gioco nella coppia, che non è maschio a sufficienza, in sintesi non è conforme a ciò che vorremmo che fosse. Quindi l’Uomo Nero non esiste. I protagonisti dei racconti, di età, professione, estrazione sociale e formazione culturale differente, si muovono tra il luogo comune legato alla loro immagine e la volontà di frantumarlo, tra l’aspirazione al cambiamento e la costrizione dei condizionamenti socioculturali.
LinguaItaliano
Data di uscita8 mar 2017
ISBN9788899904081
L'uomo nero: Stereotipi maschili raccontati da donne

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    Anteprima del libro

    L'uomo nero - Elena Mearini

    Caracò Editore

    Cosmi

    15

    L’UOMO NERO

    a cura di Elisabetta Bucciarelli

    L’UOMO NERO

    a cura di Elisabetta Bucciarelli

    © 2017 Caracò Editore

    Bologna-Napoli

    Tutti i diritti sono riservati

    Collana Cosmi

    ISBN 978-88-99904-08-1

    I edizione marzo 2017

    www.caraco.it

    Accompagnamento

    di Elisabetta Bucciarelli

    Attenzione che arriva l’Uomo Nero. In alternativa il Babau, il Vecchio col sacco, El Coco o Boogeyman. È declinato al maschile. Tendenzialmente oscuro, talvolta antropomorfo, capace di fare paura, se va bene rapisce la vittima per un anno intero, se va male la tiene in scacco tutto il resto dei suoi giorni. In realtà la missione dell’Uomo Nero è bloccare qualsiasi intemperanza delle bambine e dei bambini disubbidienti, soprattutto la sera, quando devono addormentarsi. Più è buio, più l’Uomo Nero funziona. Di solito si nasconde sotto il letto o dentro l’armadio e compare all’improvviso.

    L’Uomo Nero è un’immagine e anche un simbolo, come tale passa velocemente dalla sua discutibile funzione pedagogica a quella metaforica, allargando il raggio di azione e amplificando i possibili significati. Di lui si sa comunque molto poco, anzi quasi niente, non ci sono sondaggi o statistiche che ne dichiarino lo stato dell’arte, è persino inutile cercare di farlo ragionare su di sé perché la non abitudine all’autocoscienza e soprattutto la mancanza di tempo hanno impedito il formarsi di una autonarrazione adeguata, non limitando però lo storytelling. Fuori dalla metafora è chiaro che guardare i maschi e provare a ragionarci sopra, abbandonando le solite categorie antagoniste, cancellando per un istante la parola contro, non è un’operazione semplice.

    Per entrare nello specifico di questo laboratorio in forma di antologia, l’Uomo Nero è il maschio cattivo, non per forza violento in maniera evidente, piuttosto quell’essere umano che non è mai abbastanza, che non è all’altezza, che non si concede, che non si fa carico, che non si prende cura, che non si mette in gioco nella coppia, che non è maschio a sufficienza, in sintesi non è conforme a ciò che vorremmo che fosse. Lungi dall’essere un’autocritica è semplicemente una constatazione.

    Dunque abbiamo cercato di mettere qualche grado di difficoltà al nostro modo di guardarlo, invece di considerare le mancanze, ci siamo avventurate alla ricerca dei territori comuni, campi semantici sovrapposti, spazi tangenti o almeno vicini. Il tentativo è stato quello di capire se, data per scontata la crisi generale di un’identità personale e collettiva costruita sul conflitto (io sono così e tu sei diverso/a), esista una tendenza al cambiamento, il seme di una mutazione, magari solo una resistenza in atto. A cosa? Allo stereotipo maschile imperante, imposto e preteso oppure a quello subito, che non è slegato dal precedente.

    Resistenza, per esempio, al fantasmatico e ormai decrepito Principe Azzurro che ci scorre in vena: Ti salverò (se serve prima ti rapisco e poi ti porto via), saremo una coppia (sicuramente fedeli e per sempre, lo giuro) e ci riprodurremo (a qualsiasi costo, reale e figurato). Mi spiace affermarlo ma alcune fiabe non fanno bene a bambine e bambini.

    Oppure, resistenza al modello di maschio forte, macho, prevaricatore, aggressivo, violento e assassino.

    Gli esseri umani, appartenenti al genere maschile, raccontati in queste pagine, sono solo alcune tipologie che, per una motivazione profonda o un inciampo del destino, dovrebbero fare i conti con la possibilità o la necessità di un cambiamento. Li abbiamo guardati, osservando, auspicando, provando a forzare con la fantasia il cambio di direzione. A volte li abbiamo visti fermi, testimoniando con l’assenza di movimento la mutazione in corso, altre volte hanno proposto varianti di comportamento caratteristiche dello stereotipo femminile o trovato soluzioni innovative che, solo verificate a distanza di tempo, potrebbero far parte di un’identità maschile rinnovata.

    Li conosciamo, li incontriamo ogni giorno, li abbiamo già archiviati o ci stiamo facendo i conti in questo momento. Sono maschi normali e speciali al tempo stesso.

    Le autrici dei racconti hanno compiuto un lavoro di riflessione narrativa durato quasi due anni che ha dato come risultato un coro polifonico, disomogeneo e per questo fertile. Non un esercizio di stile e bella scrittura ma una sperimentazione sul filo delle proprie certezze.

    I sei protagonisti si muovono tra il luogo comune legato alla loro immagine e la volontà di frantumarlo, tra l’aspirazione al cambiamento e la costrizione dei condizionamenti socioculturali. In tutte le storie è presente la volontà e la ricerca di un punto di rottura, un’incrinatura attraverso cui vedere oltre e soprattutto altro. Presente come un desiderio. C’è rabbia anche, ma è inevitabile. Se c’è rabbia è proprio perché si desidera. Resta comunque evidente che la ricerca debba procedere verso un punto di contatto, al di là dei generi e delle inclinazioni sessuali, e la comprensione non può che avvenire superando i dualismi e perseguendo l’unicità delle persone. Ognuno diverso, unico. Solo su questa base si potrà trovare un’intesa tra esseri umani. La speranza, quindi, è di poter abbandonare le semplificazioni per rispondere a domande complesse (non complicate), in modo necessariamente complesso. Mai più contro.

    Ho chiesto alle autrici di raccontarmi i loro personaggi, questo è il ritratto proposto, non sempre coincidente con l’idea che mi sono fatta io dei loro maschi costruiti sulla carta, e così spero possa accadere anche per le lettrici e i lettori che vorranno avventurarsi tra le pagine di questo libro. Perché spesso, il non detto, il fuori fuoco, lo spazio libero presente tra le parole offre suggestioni differenti e più interessanti delle intenzioni.

    È il bello della scrittura, quando è autentica.

    Peppe, l’apicoltore di Simona Giacomelli: «Nasce da un’idea iniziale che è mutata nel corso dell’elaborazione. In principio volevo esplorare l’uso della parola che fanno certi uomini, in particolare per incontrare certe donne che puntualmente finiscono per esserne sedotte. Fino a qui l’accento critico era sull’uso strumentale del linguaggio, finalizzato a catturare, ad attrarre la femmina come fanno certi maschi del regno animale usando colori sgargianti o forme appariscenti. Peppe usa una parola ammaliatrice, puntuta, sgargiante.

    Secondo questa prima intuizione, il ritratto dell’uomo sarebbe stato quello di un maschio vanesio, desideroso di piacere e di ricevere approvazione.

    Proseguendo nella scrittura mi sono accorta però che la modalità espressiva di Peppe non rispondeva solo a un’essenza edonistica, sottostava a un bisogno più profondo, più interno al personaggio: quello di rivelare il sottile, ciò che è nascosto.

    Attraverso la parola, l’uomo che racconto condivide una visione, la usa come estrattore di senso, elemento base per dare lettura alla realtà. Questo per la donna, tradizionalmente sensibile a una percezione delle cose meno materialistica e schematica, è molto bello e irresistibile.

    Difficilmente questo è un uomo che cambia. Forse nessuno cambia davvero, specialmente a cinquant’anni. Il personaggio però potrebbe cambiare, ma non è opportuno che lo faccia. Mi piace che sia così, il suo modo di stare al mondo è disapprovabile, può migliorare, ma non è così male la sua proposta di vita.

    Peppe ha scelto la solitudine, si sottrae ai legami, alle relazioni esclusive, prevalenti, per coltivare un’idea sentimentale che forse definirei metafisica.

    Vorrebbe aprirsi a ogni relazione, rifiuta di incarnarsi in un ruolo sociale. Non si sposa, non si fidanza, non riesce a essere padre, prende in casa un transessuale, una persona né maschio, né femmina.

    Tutto questo non è male, è poco attuale, poco proponibile, ma in qualche modo credo che la sua sia una proposta rispettabile.

    Soffre chi resta irretito dal poeta, chi se ne innamora o chi, come un figlio, ha bisogno di qualcuno che provveda a lui materialmente ed emozionalmente, giorno per giorno, con continuità.

    Questa richiesta di presenza quotidiana per Peppe è un sacrificio. Ama le api quotidianamente forse solo perché loro non glielo domandano.»

    Il doppiatore, detto Prof, di Anna Scardovelli: «La storia che ho raccontato ha avuto due punti di partenza: uno esogeno e uno endogeno. Quello esogeno è stato l’incontro reale con un uomo che ha avuto la vita completamente stravolta da un triplo aneurisma cerebrale occorso all’amatissima moglie, donna manager, superattiva, brillante. La vita di quest’uomo buono, disponibile, paziente, sostanzialmente innamorato, ha avuto uno scossone così grande che mi sono cautamente avvicinata a lui per osservare meglio ciò che gli accadeva. Sua moglie era accidentalmente vicina di letto di mia madre in neurochirurgia, e così ho potuto seguirne la traiettoria agevolmente. Fin qui la realtà. La fantasia che mi è scattata su questa vicenda, era il lato deteriore: l’ipotesi che questa donna potesse non esprimersi mai più se non attraverso un vissuto inatteso e sconvolgente, almeno tanto quanto lo era stato l’aneurisma.

    Endogeno è invece il mio bisogno di scrivere un testo sulla doppiezza e sul silenzio, due temi che hanno totalmente segnato la mia vita. Il silenzio di una casa fin troppo scintillante e borghese, in cui però mancava quasi del tutto il calore umano. Una sofferenza sottile, orribile.

    E la doppiezza. La doppiezza della mia ricerca perenne di una seconda dimensione, per sfuggire a questo silenzio, e immaginare un’eterna seconda possibilità. […]

    Credo che la traiettoria del mio personaggio mostri l’amore come punto di forza, un amore al confine con l’ingenuità, con la scarsa disponibilità a fare i conti con la realtà reale.

    Ci sono tanti uomini così. È ammirevole, commovente. Molti più uomini, per la mia esperienza, che donne. Mi emoziona sempre vedere che (appunto!) essi resistono.»

    Il macchinista teatrale di Cira Santoro: «L’idea nasce dall’incontro con un vecchio macchinista: il racconto ripercorre la sua storia lavorativa e quella di suo padre. Ho lavorato quattro anni con quest’uomo e ho imparato moltissimo delle dinamiche di palcoscenico e di compagnia, ma nel momento in cui gli ho chiesto di smettere, a ottant’anni, per lasciare il posto a un macchinista più giovane, si è offeso moltissimo, mi ha tolto il saluto e ha rifiutato il posto da custode che gli avevamo creato con l’Auser. Il personaggio del mio testo non ha un problema economico, ma di egoismo, incapacità di cedere ciò che considera cosa sua, il teatro, lasciatogli in eredità direttamente da suo padre. Quando ha compiuto ottantacinque anni, siamo tornati a essere amici e si è lasciato intervistare per costruire il racconto. […] Non so se sia possibile un cambiamento per quest’uomo, troppo vecchio, troppo radicate le sue convinzioni e troppo legato al suo mondo per poterlo lasciare andare. Il problema vero è che il suo sembra essere un atteggiamento generazionale, proprio di coloro che erano bambini durante la Guerra e che hanno ricostruito l’Italia vivendo a pieno il boom economico. Almeno questa è la mia impressione. È come se fossero stati presi da un delirio di onnipotenza, per cui la mortalità, il cambiamento, l’eredità non erano contemplati. Non a caso i grandi vecchi del cinema, del teatro, della letteratura ma forse anche delle altre discipline, che uno a uno stanno morendo, non hanno lasciato dietro di sé maestri dello stesso calibro. L’angelo della soffitta è la metafora di un paese incapace di cambiare, che preferisce il muoia Sansone con tutti i filistei alla normale circolarità della vita.»

    Danilo, il personaggio di Elena Mearini: «I punti di forza di Danilo sono il riconoscimento di un vuoto che gli appartiene, una tensione quasi mistica, il bisogno di credere che esista qualcosa di altro e più alto, la nostalgia di amori sani e presenti, la consapevolezza di una dignità che manca, la spinta a volerla riguadagnare. […] Il tema centrale del racconto è la dipendenza, che può essere il grido feroce di una mancanza. Spesso, in particolare nell’uomo, ammettere il vuoto significa avere a che fare con un qualcosa di sé riuscito male. Quel pezzo inammissibile perché incompleto, da nascondere e negare come fosse una vergogna. E la mancanza negata prende le sembianze di una bestia nera e cattiva che disumanizza. Ho conosciuto indirettamente la dipendenza da cocaina durante il mio lavoro nelle carceri e nelle comunità.»

    Il poliziotto di Cristina Zagaria: «Il punto di forza di Boogeyman è l’immagine che ha costruito di sé: bello, stimato, in carriera. È l’uomo perfetto, che tutte le donne desiderano, l’uomo che protegge. Ma dietro questa realtà apparente, si nasconde un uomo debole, tradito dall’amore. Ho

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