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Cercano Volontari: Mio nonno in Etiopia
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Cercano Volontari: Mio nonno in Etiopia
E-book465 pagine8 ore

Cercano Volontari: Mio nonno in Etiopia

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La storia narrata in questo libro nasce da una pagina di diario, quel diario che quasi nessuno pensava potesse avere Giuseppe Paulicelli, il nonno dell’autore, ma che, non di meno, come si narra nella parte finale del libro, la sorella Gina, detta la “Professoressa”, trova dopo la sua prematura scomparsa.
I fatti qui raccontati sono probabilmente una rielaborazione di eventi realmente accaduti; dove finisca la realtà e inizi la creazione è impossibile stabilirlo, ma gli avvenimenti sono incastrati talmente bene in un pezzo ben preciso di storia italiana che ogni possibile obiezione sulla veridicità del tutto appare irrilevante.
La storia di Giuseppe e della sua famiglia è profondamente plausibile in tutte le sue parti, a cominciare dal matrimonio con Rosina, appartenente ad un ceto sociale diverso dal suo. La famigliola che si crea, come spesso accade nella Puglia dell’epoca, conosce le ristrettezze economiche; indelebile è il particolare dei maiali che la sera condividono la stanza con i novelli coniugi. Ben presto arrivano i figli, Tonino, Cosima e Nunzia, e la necessità di cambiare le cose si fa più forte. Così Giuseppe, coraggiosamente, propone a Rosina si emigrare a Milano, per avere una possibilità in più per loro e per i propri figli.
La città lombarda, però, non sarà l’ultima tappa della vita di Giuseppe; i capitoli centrali del romanzo, infatti, sono dedicati all’esperienza più intensa dell’esistenza dell’uomo: la guerra in Africa.
Con precisione l’autore ricostruisce i fatti storici che condussero Mussolini ad organizzare la campagna di conquista nel continente africano; il funesto progetto di dare anche all’Italia un Impero coloniale viene descritto attraverso gli occhi dei protagonisti, di quei soldati che, sostanzialmente ignari, offrirono la loro vita per la causa del Duce. Per mezzo delle vicende di Giuseppe il lettore apprende gli orrori della guerra di conquista, ma anche il lato umano di una pagina di storia spesso volutamente dimenticata perché particolarmente scomoda. In questo caso l’umanità ha il volto di Ayana, la bella donna africana della quale il protagonista si innamora.
Né l’autore né il lettore sanno tutta la verità su cosa abbia fatto Giuseppe in Africa, forse ha davvero amato una donna locale, forse si è davvero avvicinato alle idee di Marx, ma questo non conta, il valore di quest’opera sta nella capacità di raccontare la Storia italiana attraverso le vicende del singolo, nell’abilità di descrivere sentimenti possibili, immaginati, probabili. Giuseppe in fondo rappresenta un’intera generazione, ingannata, devastata, ma ancora capace di credere in qualcosa.
Per la grande accuratezza delle notizie storiche che riporta, ma anche per la sua scorrevolezza, il romanzo è meritevole di pubblicazione. Esso, infatti, possiede una intrinseca capacità didattica senza tuttavia cadere nella rigidità del manuale di storia. Per queste ragioni l’opera può essere letta con buoni risultati tanto dal lettore medio quanto da quello più esperto.


 
LinguaItaliano
EditoreFlaneur
Data di uscita21 dic 2018
ISBN9788829575046
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    Anteprima del libro

    Cercano Volontari - Matteo Preabianca

    moderna.

    CAPITOLO I

    Mio nonno veniva da Canosa di Puglia, un piccolo villaggio in provincia di Bari, nel tavoliere delle Puglie.Un tempo la principale città della Puglia in età tardoantica, al vertice della gerarchia urbana dell’allora provincia Apulia et Calabria . Sede di vescovato e governo. La sua famiglia non era ricca. Fin dalla giovane età di 12 anni era già un piccolo uomo. I momenti ludici non facevano per lui.Erano pochi. Doveva alzarsi alle 4 e, con la bicicletta, pedalare più forte che potesse, perchè era sempre in ritardo, per recarsi al cantiere. L’unico lavoro che la vita ha accettato di dargli. E cosi per anni e anni. Tra un cantiere e l’altro, circondato da amici, parenti e fumose giocate di carte. Da giovane adulto , conosce Rosina, mia nonna.Una donna bellissima, con gli occhi profondi come il migliore degli incubi. Giuseppe, suo futuro marito, si innamora all’istante. Inizia il corteggiamento, a quei tempi non si scopava al primo bacio.

    ***

    Non era una storia facile. Era assai tormentata. I Mosca, la famiglia di mia nonna, era molto conosciuta nel Paese, avevano il sangue blu. Allora non si facevano molte visite mediche, quindi si credeva che i nobili, l’alta borghesia e, forse il clero, avevano altri colori nelle vene. Mio nonno, testardo e intelligente, non si dava mai per vinto. Voglio quella donna e la sposero’, alla faccia di quella faccia di cazzo del padre! continuava a ripetersi. Andava a prenderla, di nascosto, passeggiavano per ore insieme. Lui era cotto a puntino. Lei, tipica donna degli anni ‘30, era invaghita del giovane muratore, ma non doveva darlo a vedere. Quindi sorrideva, ma entro certi limiti. E per baciarla, quanti appuntamenti, quanta ansia aveva Giuseppe!

    ***

    Finalmente, dopo 4 mesi è riuscito a rubarle un bacio. E da lì, sono cominciati i guai. L’ amica più cara di Rosina, Sabina, è andata subito a riferire l’accaduto ai genitori.L’aveva vista mentre abbracciava e baciava il bel muratore. Sacrilegio! Bottana, che ti avevo ordinato eh? Tu quello non lo devi più vedere, chiaro? e giù botte. Giuseppe aveva dura la scorza e quando, dopo altri 4 mesi, Rosina gli confesso’ che il padre la picchiava spesso, sulla schiena e gambe, in modo da non far vedere i segni, preso dalla rabbia, ha preso la decisione più giusta e bella della sua vita: maritarla. Ando’ dal padre di sangue diversamente rosso e gli disse: Voglio sposare Rosina, sono un onesto e bravo lavoratore, non avrà problemi con me. E il mio bisnonno Non ti do’ il permesso, sei solo uno straccione, e dobbiamo pensare anche alla nostra reputazione, la prego di uscire da casa mia adesso. Il nonno, sbattendo la porta, bisbiglia ma chi ti credi di essere? Mi faccio un mazzo tanto tutti i giorni, non sono un criminale. E ubbidisce, per finta. A certe persone fai prima a metterglielo nel culo, che in testa , si consolo’ con questa frase, scherzando con i suoi amici. Una delle poche frasi che pronuncio’ in diverse occasioni della sua vita. Voleva Rosina, la voleva intensamente. Tuttavia, Rosina anche se era innamorata di Giuseppe, non dava molto una mano. Lei aspettava che facesse tutto lui. Cosi un giorno, al solito appuntamento sotto le navate della basilica di San Sabino (la fantasia scarseggiava, molti avevano quel nome), lui la prende e le dice: ora ce ne andiamo e ci sposiamo, cosi tuo padre capisce e lei : ma tu si scemm? ma l’idea non le dispiaceva e non avete bisogno di traduzioni. Così se ne andarono. La classica fuitina, la quale, purtroppo, non porto’ il successo desiderato. Il padre di Rosina, intimorito dallo screditarsi della sua figura, poichè era sempre stato visto nel paesino come uomo pacifico e generoso, acconsentì al matrimonio ma, a una condizione: Rosina sarebbe stata diseredata. Per lei niente case, possedimenti terrieri ma, soprattutto, niente cavalli. La famiglia Mosca aveva molti cavalli e Rosina amava passare le sue giornate al trotto con Argento, il suo cavallo preferito. Come il metallo, era grigio e aveva la criniera bianca lucente. Ogni mattina, dopo la colazione, scendeva le scale e andava a prenderlo nella stalla. Lui era sempre contento di vederla, adorava correre. Lo pettinava per bene, usando un unguento a base di aceto, per mezzora. Prima di salirgli in groppa. Dopo il giretto mattutino, lo ripettinava ancora. Se non fosse stato per quel cavallo, Rosina non avrebbe fatto niente nella vita. Trottorellavano insieme per ore, finchè la madre la chiamava per il pranzo o per aiutarla nelle faccende di casa. Il padre conosceva bene l’amore della figlia per quel cavallo. La voleva proprio colpire nel cuore o, forse, capire se quello di Rosina era vero amore. Per la prima volta, tra gli sguardi sorpresi di tutti, Rosina prese la decisione che cambio’ tutta la sua vita: sposare Giuseppe. Suo padre non era pronto a tale affronto e, preso dalla collera, le disse di andarsene e , da quel momento, avrebbe dovuto cavarsela da sola.

    CAPITOLO II

    La famiglia del futuro marito era più aperta alle novità e, dunque, anche alla nuova arrivata. In particolare, la sorella di Giuseppe, Gina. Lei era da sempre soprannominata la Professora, in quanto, confronto agli altri, era molto intelligente, parlava in modo raffinato e, anche se ha finito solo le elementari, leggeva molto. Quando qualcuno aveva bisogno di consigli o di una semplice parola di conforto, correva da lei e, concludeva sempre con una poesia. La maggiore parte delle persone non la capiva, ma suonava cosi bene pronunciata dalle sue labbra. Le sue preferite erano quelle di Ungaretti. Era uno spasso sentirla recitare Veglia:

    Un'intera nottata

    buttato vicino

    a un compagno

    massacrato

    con la sua bocca

    digrignata

    volta al plenilunio

    con la congestione

    delle sue mani

    penetrata

    nel mio silenzio

    ho scritto

    lettere piene d'amore

    Non sono mai stato

    tanto

    attaccato alla vita

    La nuova vita dei coniugi Paulicelli inizia bene e piena di speranze. Mia nonna deve abituarsi a questo stile molto modesto, ma sembra non le dispiaccia. Tuttavia, nota certe abitudini che non accetta. Ad esempio, alla notte devono fare entrare i maiali nella loro camera da letto, perchè fuori fa troppo freddo per loro, non hanno il pelo, i suini. Non li tollera proprio, chiede sempre al marino Peppì ma non possono dormire con tua sorella che non è maritata? e lui: e perchè? qua c’è più spazio! Quella tiene troppi libri nella sua camera. Dormi, dormi. Non ti fanno niente.

    ***

    Dopo pochi mesi, tutta la famiglia di Giuseppe comincia a chiamare Rosina, Generale. Quel nomignolo non se lo è mai scrollato di dosso. La motivazione è che a lei, in un modo o nell’altro, piaceva comandare. Ordinava a tutti come disporre la tavola, come lavare i panni e, chissà perchè, la gente non riusciva a opporsi, poichè la sua voce era molto decisa quando emanava un ordine e, alla fine, tutti dovevano convenire che le idee di Rosina non erano per niente male. La madre di Giuseppe, Donna Teresa, era orgogliosa di avere una nuora con gli attributi e che non sprecasse tempo con le poesie. Anche se quel suo fare da nobile la metteva un poco a disagio. Non è abituata alla raffinatezza quotidiana. Solo alla domenica, per la messa. Il padre di Giuseppe era morto quando era piccolo, al fronte, durante la Grande Guerra. Non gli hanno mai raccontato niente della vita del padre prima del conflitto, e lui non hai mai chiesto niente. D’altronde, non puo’ sentirne la mancanza, non lo hai mai conosciuto. Intanto il primo figlio arriva: Antonino. Ha gli occhi grandi come il mare, ma senza gli incubi della madre. Non fanno in tempo nemmeno ad abituarsi al primo nascituro che, dopo 1 anno, la moglie è ancora incinta di Cosima e Nunzia. Due gemelle dalla bocca sempre aperta. L’Italia non era in un grande stato e Mussolini aveva marciato su Roma, divenendo il Duce. L’industria italiana di allora aveva una bassa capacità interna di assorbimento e cosi appoggiariono l’idea di Benito: conquistare l’Africa. Agnelli incontra l’uomo più nero nella storia d’Italia e prende la tessera del partito fascista. Anche gli operai della Fiat sono contenti: il loro orario viene ridotto a solo otto ore di lavoro. Nel 1930 le truppe italiane stanziate in Africa Orientale sono molte. Nel 1935 l’Etiopia viene occupata dall’esercito italiano. La Guerra non finisce mai. Dopo 22 anni dalla prima, si sta già preparando il terreno per la seconda. La gente, ancora ignora, quale destino li attenda. E intanto si balla con le fisarmoniche nelle feste di Paese.

    ***

    Giuseppe decide di fare il grande passo. Vuole emigrare, andare al nord. Magari Torino, o Milano. Ancora non sa. Ne parla con Rosina che risponde, come al solito: " ma tu si scemm’? Non me ne vaco di qua! Qui son nata e qui la morte viene" . Giuseppe sbuffa e poi la convince con una frase al suo amo di uomo astuto: " Rosina, guarda che al nord si sta bene, ci sono i sold, e possiamo comprarci la casa e la pelliccia che tanto ti piace…pensa che invidia che farai alle tue amiche: la signora Paulicelli di Milano" . Rosina è preoccupata e eccitata allo stesso tempo. L’idea della grande città la spaventa e la incuriosisce. Inoltre, mio nonno è scaltro. Continua a chiamarla La Mia Signora e lei fa finta di non ascoltarlo, ma adora quelle lusinghe. Pensa che suo padre possa cambiare opinione nei confronti di suo marito: la porta a Milano, nella città degli imprenditori e Giuseppe farà un sacco di soldi per la famiglia. Come puo’ non accoglierlo nella nostra famiglia? I preparativi sono lenti, ma precisi. Dai vestiti si capisce la differenza tra le due famiglie di provenienza. Rosina vuole buttare tutto quello che, secondo lei, è superfluo. Il nonno le dice che è pazza a gettare delle vesti nuove, anche se non ci stanno in valigia piuttosto regalale, no? e a chi? A tua sorella che fai prima a saltarla che a girarle attorno. E il nonno si incazza. Adora la sorella, anche se è un poco cicciotella, è una gran brava persona. E legge. Rosina lotta per disfarsi di tutto, e le figlie fanno esattamente l’opposto. Strigendo a loro i pochi giochi che hanno e i pastelli. Più la Bibbia di Tonino. Donna Teresa è triste per la partenza del figlio e dei nipoti. Non è più abituata alle partenze. E l’ultima persona che lo ha fatto, non è mai più tornata. I tempi sembrano così diversi, ma la mamma è sempre una madre. Vanno per un futuro migliore, anche se il suo cuore non se ne rallegra. Gina è felice per il fratello. Sa che, testardo come è, riuscirà a farsi strada nella giungla di cemento che lo aspetta. Due mesi di preparazione e si parte per la grande città moderna. Organizzano una grande cena, o meglio una abbuffata grandiosa. La madre e alcune cugine preparano di tutto per quella partenza. A giudicare dal cibo servito in tavola sembra più un abbandono per una terra che non ha cibo da offrirgli. Caciocavalli, panzerotti, orecchiette alle cime di rapa,muschiska, salsicce, spume di mandorla. Il tutto inaffiatto da un buon rosso Barletta. Anche alcuni amici stretti si uniscono alla grande tavolata. Tutti sono allegri, forse per colpa del vino, ma devono mostrare una faccia tragica, da drammaturgia pura, perchè uno dei nostri va ad abitare insieme a loro . La lontananza, anche se relativamente effimera, non è mai stata tollerata tra gli italiani. Sei nato e morto qua. Questa era la regola delle tribù dello Stivale italico. Figuriamoci in quel periodo, senza aerei e internet.

    ***

    Salgono sul treno. Ore e ore stipati in un piccolo vagone. Altro che la Signora del Nord! Vanno tutti su Peppì!. E lui, spazientito: e che volevi farla solo te la signora!. I bambini sono divertiti nel vedere tutte quella gente, quel via vai di persone da ogni Sud di Italia. Annusano profumi nuovi. Cosima è attratta dall’odore emanato da una cuccetta. C’è una famiglia calabrese che sta mangiando la sopressata. Per niente timida, ci entra dentro chiedendo cosa state mangiando?. La madre di Catanzaro ride tieni, si chiama soppressata, vedrai che buona. Non se lo fa ripetere. A già il salume in bocca. Se la vedesse Rosina andrebbe su tutte le furie. Non si accetta cibo dagli sconosciuti, le avrebbe detto. Pero’ non è lì, quindi se lo gusta, passeggiando per la carrozza. Che fai Cosima? le domanda Nunzia niente, guardobleah, che puzza, che ti sei mangiata? e lei la sopressata e che cosa è? una famiglia calabrese me l’ha data. se lo sa mamma che prendi cibo dagli sconosciuti… E com’era? Tieni, ho tenuto un pezzo per te. Nunzia sorride, dimenticandosi della provenienza ignota del cibo. Dopo una nottata, passata insonne, perchè la gente andava avanti e indietro per fumare, mangiare e pisciare, finalmente la famiglia Paulicelli arriva alla Stazione Centrale di Milano. La stazione più grande e fascista della Lombardia. Tutta la combriccola rimase sbalordita: " mado! Com’è grande!, quanti cristiani che ci stanno!" . Giuseppe aveva dei contatti con altri pugliesi, di cui non si fidava affatto. Non erano di Canosa, come lui e la moglie. Il campanilismo era forte da quelle parti. Ci sono molte persone in stazione, tutti i binari sono pieni. Gente che va e viene. Un binario pero’ attira l’attenzione di Giuseppe: il binario 21. Sembra più affollato di altri, e le facce dei passeggeri sembrano preoccupate e pallide. Inoltre, diversi militari lo pattugliano. Chissa perchè Boh si risponde.

    ***

    E ora di incamminarsi per trovare la loro nuova dimora. Via Pola 37. Circa venti minuti dalla stazione. Comodo, se non fosse che Rosina e i figli si sono portati dietro diverse valigie. Una borsa per ognuno, più una sacca a tracollo in cui c’era la Puglia dentro: taralli, pomodori, olive e olio d’oliva, e l’immancabile caciocavallo. Puoi andare via da una casa, ma la casa non puo’ andare via da te. Arrivati alla nuova casa, Rosina non è molto contenta: è un appartamento. Lei, abituata alle belle ville pugliesi e anche la casa dove viveva con Giuseppe, non era tenuta bene, ma non era affatto piccola. Questa Milano le sta già stretta. E non sono passate nemmeno ventiquattrore. Si sistemano, la casa è già arredata, grazie al conoscente di Giuseppe il quale, pagato un lauto prezzo, li ha omaggiati con della mobilia messa insieme grazie a pezzi racattati qua e là nei mercatini rionali. A Cosima non dispiace la nuova abitazione, la trova divertente, anche se le mancano le amichette pugliesi. Tuttavia, lei ha un carattere forte: sa già che ne troverà altre, e sorride all’idea del domani milanese. La prima cosa che notano a Milano è la nebbia. Mai vista a Canosa. Sono tutti affascinati e spaventati allo stesso tempo. La nebbia agli irti colli, piovigginando sale… ecco cosa voleva dire Zia Gina! Quanto è intelligente! esclama Cosima.

    ***

    Le giornate passano una dietro l’altra. C’è molto da fare. Il padre di famiglia ha già un lavoro. Ovviamente, muratore. Rosina tenta di inserirsi nella città: capire dove si compra il cibo, dove è la scuola per i bambini e altre informazioni utili, per una donna del suo genere. Si accorge che qui le persone parlano proprio bene l’italiano e lei si vergogna un po’ a parlarlo: non è la sua lingua preferita. Lei la conosce, grazie a suo padre, ma fuori dalle porte di casa, solo il pugliese le salta fuori da quella bocca. I milanesi non hanno proprio una gran bella faccia. Così pensa la Rosina, li vedeva diversi, più affaticati e arrabbiati. Non hannno alcuna voglia, secondo lei, di conoscerla, non sono eccitati dalla curiosità di avere una straniera tra loro. Figli della stessa nazione, ma stranieri di un’altra regione. Quando va dal fruttivendolo, ad esempio, lei si sforza, con grande imbarazzo, a parlare in un italiano cristallino, ma lui non si degna di risponderle a modo,anzi, dandole del tu, in dialetto le chiede: " cusa lè che te vorri? I pomidori?" e poi si mette a ridere. Non sfiora mai la volgarità, ma non era proprio simpatico a lei. Quando lo racconta al marito, lui si arrabbia e le dice che sabato, quando non lavora, ci sarebbero andati insieme e vediamo se gli passa la voglia di ridere. Rosina risponde prontamente di non fare scenate, che non è successo niente e non è il caso di diventare famosi nel quartiere, visto che sono nuovi. Sta pensando di rimettersi a cucire e rammendare, tanto per tirare su qualche soldo in più per la famiglia, per non annoiarsi, ma soprattutto per farsi apprezzare da questi lombardi. Dopo tutto è piuttosto brava con ago e filo. Per il battesimo di Tonino, gli aveva cucito una tutina con bavaglietto, tutta azzurra. Con una croce sopra. Forse per questo è un timorato di Dio? Fortunatamente, non tutti e tre i figli sono così. Sono il suo mondo e ragione di vita, a prescindere dalle loro stranezze. Non potevano stare senza la mamma per molte ore, erano ancora spaesati dalla grande città. Ovviamente tutti, tranne Cosima. Lei aveva già conosciuto tutti i bambini del quartiere e con uno di loro, il Pierino, andava molto d’accordo. Le piaceva il suo accento e, quando lei parlava, lui inclinava sempre la testo sul lato destro, quasi volesse mettere a fuoco quella strana creatura. Giocavano a campana, un gioco che si perde nella notte dei tempi, di cui i bambini di oggi non ne comprenderebbero il bisogno che dovrebbero averne. Nunzia era un poco persa, non voleva mai uscire di casa, continuava a non accettare la nuova situazione. Si sentiva senza appoggi e quindi, per sicurezza, si rifugiava nel disegno. Tutti i giorni, ne faceva uno, ispirato a Canosa e alle acque pugliesi. L’altro invece, Tonino, pregava, diceva che parlava con Dio e ovviamente, in una famiglia di quella epoca, tradizionalmente cattolica, era normale e portava orgoglio nel focolare. Ora, lo avremmo portato dal dottore, come minimo. Leggeva i passi della Bibbia e diceva alle sue sorelle, cose del tipo: se fai ancora quella smorfia, passa l’angioletto e rimani così per sempre. A quel tempo faceva più vittime la religione cattolica dell’eroina. I genitori stavano pensando di mandarlo in seminario, forse era quella la sua vocazione e avrebbero avuto un problema in meno.

    CAPITOLO III

    Al cantiere, Giuseppe, si sentiva vivo e soddisfatto. Faceva sempre il suo solito lavoro ma lo faceva bene, cantava le canzoni insieme agli altri pugliesi, fumava sigarette e rideva, tra una cazzuola e l’altra. Sorrideva sempre in faccia alla vita, anzi, la prendeva proprio per il sedere. Tuttavia, dopo mesi, cominciava a sentirsi diverso. Forse voleva qualcosa di nuovo e dare delle nuove prospettive alla sua famiglia. Quanto avrebbe voluto che le sue figlie studiassero! Almeno arrivassero alle medie! Non voleva vederle dietro il bancone di un salumiere o attaccarsi alla gonna di una potenziale suocera. Ci pensava tutti i giorni, poi guardava Rosina, la notte, prima di addormentarsi, le sorrideva e cadeva nel sonno meritato di un’altra dura giornata di lavoro.Tuttavia, il pensiero era sempre in agguato. Sapeva che Milano non sarebbe stata l’ultima tappa della sua vita. Lo sentiva ma non voleva parlarne ancora in famiglia. Non poteva sconvolgere, dopo pochi mesi, la loro vita.

    ***

    Alla domenica gli piaceva passeggiare nel piccolo orto botanico di Via della Spiga. Quello che li attirava in quel posto era l’apparente atteggiamento da benestante e di benessere che respiravano in quella via, ma poi tutto quello spariva in un piccolo scorcio di natura nella metropoli. Per Giuseppe era una semplice passeggiata, liberatoria dal lavoro e dai suoi pensieri ma, soprattutto, un modo per passare del tempo con la moglie e farla contenta, facendole capire che in fondo vivere qui non è cosi male e ci sono pure i fiori. Una volta al mese, Giuseppe chiedeva a Rosina di scrivere una lettera "a quelli di giù, per non farli stare in pensiero ". Lui non avevo tempo e voglia. È sempre stato difficile trovare le parole, era uan perdita di tempo per lui. Cosa doveva scrivere? Sto bene, qua lavoro, I figli crescono e voi? Va bene, ci vediamo a Natale. Invece Rosina, essendo più letterata, pesava ogni parola utilizzata, ci pensava e ripensava e poi scriveva. Cosi avevano avuto una bella e utile idea: Rosina scriveva due lettere: una per la sua famiglia, sperando cosi di ammorbidire suo padre, dopo tutto questo tempo e un’altra per la famiglia di suo marito. Le imbustava separatamente e poi le metteva in una terza busta. Cosi arrivavano nello stesso momento e si risparmiava soldi. Ci avrebbe pensato la sorella di Giuseppe, a mandare quella per i suoi genitori, imbucandola di persona.

    ***

    Caro padre,

    come stai?

    Ormai sono undici mesi che abbiamo dimora a Milano. Non mi sono ancora abituata, ma c’è molto lavoro, mio marito si dà molto da fare e i bambini frequentano delle buone scuole. Parlano solo in italiano ormai. Tonino legge sempre la Bibbia e Cosima e Nunzia passano il tempo a leggere e disegnare i palazzi della città. Io sono molto impegnata: sono il perno di questa famiglia. Faccio in modo che le mie faccende siano in sintonia con le loro attività. Mi piace fare la madre e la casalinga: preparare i pasti, pulire la casa, ricamare rimproverari i bambini se prendono un brutto voto a scuola e incoraggiare Giuseppe quando ha avuto una stancante giornata lavorativa. Nel caso ti stessi chiedendo se io sia contenta la risposta è ovvia. Spero anche tu e la mamma stiate bene e che un giorno possiate capire il rispetto assoluto che vi porto e tu possa perdonarmi.

    Con affetto

    Tua figlia, Rosina.

    Ciao mamma,

    Come state?

    Qua ce la spassiamo. Tutte le domeniche Andiamo in giro per la città, vediamo la gente che si veste bene per la messa. Mamma che bei vestiti! Quando faro’ gli straordinari, compro un bel vestito per tutta la famiglia e vedrai come ci guardano ‘sti milanesi! C’è un bel giardino qua, ci andiamo tutte le domeniche, devi vedere che signori che sembriamo! I figli sono contenti, hanno un sacco di amichetti e leggono molto, pare di vedere Gina da piccola. Pensa se mi vengono tutti professori cumm’a te! Pero’ non pensate che facciamo una vita da ricchi eh? Tutti I giorni mi alzo alle 4 per guadagnare tutto quello che abbiamo. Fatemi avere vostre notizie. Mo’ torno a lavorare, ci vediamo a Natale.

    Tanti abbracci dalla famiglia Paulicelli

    Giuseppe

    ***

    Rosina aspettava intensamente una risposta da suo padre ma le sue speranze erano vane. Il padre era un testardo incallito. Tuttavia, in cuor suo, sapeva che non l’avrebbe dimenticata e un giorno si sarebbero ritrovati. Invece, la famiglia di Giuseppe rispondeva, ad essere precisi, era la Professora a rispondere:

    Cari carissimi,

    Che gioia ricevere vostre notizie. La vostra vita appare come un magnifico salto di qualità. Vi immagino passeggiare davanti alla magnificenza del Duomo e attraversare il corso tra gli sguardi intelligenti della gente del Nord. Se potro’, verro’ a farvi visita. Non posso non farlo dopo avere appreso la straordinaria notizia delle doti intellettuali dei miei nipoti. Sono stata ante litteram per loro. Ricordate sempre le parole del grande Alessandro ManzoniDio... non turba mai la gioia dè suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.

    E tornate a trovarci, ora che siete ricchi!

    Vostra

    Gina

    ***

    Ricchi. Questo era quello che si pensava, e ci si aspettava, da chi vive al Nord. Queste orde di immigrati che andavano lassù , senza un dove e un come e poi dovevano ostentare il loro, finto, benessere. Spesso dovevano indebitarsi, o chiedere favori ad amici, cosi potevano comprare o noleggiare un buon vestito e qualche collanina d’oro per la visita ai parenti, i quali avrebbero commentato con frasi come: guardalo qua! Ti sei fatto I soldi eh? e tutti a complimentarsi e sorridere, ma dentro avrebbero covato una gelosia crescente. Se sapessero la triste verità della emigrazione interna, lo stomaco non gli roderebbe di certo.

    CAPITOLO IV

    Tonino è affacciato al balcone di casa. Vede un piccione, lo scambia per una colomba. è un segno di Dio! Un segno di Dio! cosi grida, rivolgendosi alla madre. Rosina sorride: ma quale colomba, nu piccione è. Attento, che se lo chiami pure in testa ti caca. Rosina racconta l’episodio divertente a Giuseppe ma lui, invece di ridere, si mette uno sguardo riflessivo : Rosina, pensi che dobbiamo farlo vedere da un dottore? Mi sembra un poco pazzo il figlio nostro. Lei, sgranando gli occhi, si arrabbia e dice che avrebbe fatto finta di non avere sentito quello che il marito ha detto. Tonino, secondo lei, era stato baciato da Gesù in persona, quindi avrebbero dovuto essere orgogliosi di essere stati scelti e privilegiati. Forse avrebbero dovuto mandare Tonino al seminario. La discussione veniva interrotta da Nunzia che voleva far vedere il suo ultimo disegno, in cui ha ritratto un uccello enorme il quale rilasciava qualcosa di nero nell’aria che cadeva sulle teste dei passanti. Intanto l’Unione Radiofonica Italiana comunicava i passi del Duce verso le sue mire imperiali, tornando a splendere come l’antica Roma. Voleva l’Africa, ad ogni costo. Mussolini non voleva essere da meno: Francia e Gran Bretagna in primis erano già nel continente nero e lui non poteva permettersi che l’Italia fosse l’ultima ruota del carro nella corsa tra le potenze mondiali. La bruta colonizzazione moderna stava iniziando e l’Italia avrebbe potuto avere un ruolo chiave. Gli italiani erano in fibrillazione, si sentivano commenti in tutto lo Stivale sulla grandezza del fascio e su come avrebbe riportato splendore alla madrepatria, da troppi anni vilipesa all’estero. Si respirava una atmosfera, tutto sommato, di speranza, il bello doveva ancora venire. Nessuno vedeva la follia negli occhi di Mussolini. Giuseppe, anche lui ci pensava, ma non perchè lo adorava e voleva seguirlo. Lui era più riflessivo. Pensava che potesse utilizzare questo periodo di gloria, ma oscuro, per allargare i suoi orizzonti e dare una sterzata decisiva alla vita di tutta la famiglia. Li ha portati fino a Milano, strappati dalla Puglia. Uno sconvolgimento, soprattutto per la moglie. E lui, come tutti gli uomini di una volta, è il capofamiglia. Ha tutto sulle sue spalle. Senza fiatare, ma con orgoglio, sente il peso. Così pensava che forse potesse chiedere di arruolarsi nella Africa Orientale Italiana. Tanto comunque non avrebbe avuto scelta, doveva combattere, obbligatoriamente per il bene del Paese. Ogni uomo in buona salute, prima o poi, avrebbe vestito l’uniforme, imbracciato un arma e ucciso qualcuno. Almeno cosi, avrebbe avuto una parvenza di libero arbitrio, la sua scelta. Pensa sia arrivato il momento di comunicarlo a Rosina prima e poi ai figli, tutti assieme. Non sa bene se dovesse farlo durante una cena, o meglio alla domenica. Mentre ci sta pensando, le parole lasciano la sua bocca e lo dice, appena tornato a casa dal lavoro, davanti ai figli. Sentite… ho qualcosa importante da dirvi. Voglio arruolarmi nell’esercito e aiutare i nostri soldati in Africa. Sono giorni che ci giro intorno per dirvelo, ma ora ve l’ho detto. Faro’ molti soldi per la famiglia, altrochè muratore. Tutti rimangono in silenzio, solo Cosima piange, in silenzio. Le lacrime le rigano il volto, ma nemmeno un suono emette. Rosina si siede, molto lentamente, guarda i bambini, poi il marito, poi scoppia a ridere : tu si scemm’ Peppi! E noi che facciamo qua? Te lo sei chiesto eh? Dopo 1 anno e mezzo a Milano adesso tu bello bello vai a fare le vacanze in Africa e noi in sto schifo di città, bravo bravo ma che idea c’hai avuto, nu genio abbiamo come capofamiglia eh figli miei?. Giuseppe le sorride, avvicinandosi e sedendosi accanto, le da una carezza al viso : lo faccio per noi, lo capisci? Pochi anni durerà , 3 o 4. Poi torniamo e ci compriamo la casa. E magari saro’ io a pagare gli altri per fare i muratori. Mandiamo le gemelle a una buona scuola, perchè voglio che diventino intelligenti come mia sorella e Tonino, se è questo che vuoi, possiamo pagargli il seminario. E a te ti compro non una ma due pellicce, la seconda di leone te la faccio fare! Sai quanti leoni mi mangio se vado la Rosì!. Mio nonno sa che si guadagnerà più soldi in Guerra che in cantiere, ma non cosi tanti da cambiare la vita della famiglia, addirittura mandando tutti i figli a scuola. Erano operai e operai doveva rimanere, secondo le usanze delle classi più povere. Poi si alza, andando verso Cosima, la quale non smette mai di piangere e, appena il padre le tocca la testa, magicamente le lacrime si fermano, seccandosi sul piccolo viso. Giuseppe chiede la cena, promettendo a tutti un gelato. Cosi tutti sorridono al padre, dimenticandosi per un instante che quella potrebbe essere una delle poche volte in cui avrebbero visto ancora il padre. La cena sarebbe stata dolcemente amara. Giuseppe guarda negli occhi i figli, uno a uno, cercando di registrare nella mente ogni tratto somatico dei suoi figli: i capelli nero scuro e i grandi occhialoni di Tonino, la bocca grande e il suo sorriso simile al suo di Cosima e gli occhi profondi, presi dalla madre, e l’assordante silenzio di Nunzia. Tutto deve essere bene impresso nella mente. Le foto, essendo bidimensionali, non fanno capire quanto quella immagine è profonda. Il giorno dopo, deve comunicare al capomastro la sua decisione ma, siccome non si fida di lui, decide di aspettare ancora qualche giorno, quando il giorno di paga sarebbe arrivato. Lavora in nero e quello avrebbe potuto fare orecchie da mercanti. Così continua a lavorare con lo spirito che lo contraddistinse tra i suoi compagni: ridendo, cantando e fumando. Pensa che forse dovrebbe dirlo almeno al suo amico, pugliese come lui, Sabino. Chissà magari è interessato anche lui a questa nuova avventura e sarebbero stati meno soli in mezzo ai neri. Lui non ha paura di andarci, anzi, ogni volta che ci pensa, si eccita e sorride a se stesso. Si immagina qualcosa che non hai mai visto che non puo’ essere brutto, facendo finta di dimenticarsi che sarebbe andato in quella terra con uno scopo ben preciso: la Guerra per l’espansione dell’impero italiano. Anche la morte non lo spaventa. Aveva letto da qualche parte, forse tra i libri di Gina, una frase: Quando ci siamo noi, non c’è la morte . E con questa frase, rimastagli impressa da diversi anni, prende coraggio e torna a cantare.

    CAPITOLO V

    È arrivata finalmente la settimana in cui Giuseppe dovrebbe lasciare il lavoro. Decide di parlarne a casa e, anche se Rosina continua ad avere molti dubbi sulla nuova carriera del marito, capisce che non puo’ opporsi al suo volere. È soltanto una donna. Cosi il marito decide di parlarne con l’amico Sabino. Ma chisse è scemm’ risponde, alla notizia. E dall! Ma andate tutti alla stessa scuola, mia moglie risponde sempre cosi! ribatte Giuseppe. Sabino gli illustra i pro e contro della Guerra. I pro sono che si fa una vita da maschi, si fanno nuove avventure (magari nuove donne compa!), si guadagnano bei soldi e quando si torna tutti portano rispetto all’eroe ( e magari nuove donne compà!). Per contro la morte è l’unico problema. E hanno riso di gusto. Quello era il modo di Sabino per dire quando si parte. Compà? Sabino aveva perso la moglie anni fa per un brutto male quando viveva a Cerignola. Non aveva figli, quindi per lui i legami erano piuttosto spenti. Forse ha bisogno di una nuova vita anche lui e iniziarla con un amico era di buon auspicio. Ora non resta che comunicare la grande notizia al Brambilla, il capomastro. Il loro superiore non è un cattivo uomo, ma è severo e non ama tutto questo vociare in dialetto e il continuo fumare. "Vi fa male alla salute cari !" era una delle poche frasi che riescono a comprendere i meridionali del suo cantiere perchè, la maggiore parte del tempo, parla in milanese. Le prime settimane al cantiere, quando Giuseppe non sapeva ancora come muoversi in quella nuova realtà, gli capita di chiedere qualcosa al Brambilla, il quale inizia ogni risposta con un chiaro se ghe?. E Giuseppe andava via, senza dire niente. Il capomastro pensa che tutti quel del sud fossero un poco strani e il pugliese sorrideva perchè ogni volta che gli chiedeva qualcosa, lui rispondeva se volesse delle seghe, di cui non sapeva che farsene. Dopo due anni, ha imparato qualche base di milanese e, quando lo ha detto al Brambilla della domanda sulle seghe è scoppiato a ridere così tanto che la moglie, la quale gli portava il pasto al lavoro, si era preoccupata. Non lo aveva mai visto ridere. Così Giuseppe pensa che alla fine non la avrebbe presa così male la sua dipartita dal cantiere. Dove è che vuoi andare Puglia? Vado in Africa e Sabino pure viene. Al capomastro non viene molto da ridere, ma un lieve sorrisino se lo è lasciato scappare. Ha chiesto a Giuseppe se fosse veramente sicuro e se potesse aspettare almeno una settimana per rimpiazzarli. Nessuno dei due si aspettava una reazione cosi tranquilla. Vi invidio, sapete? Andate a combattere i negri, per l’Italia e il Duce, questi si che sono uomini! Se non fosse per il lavoro e quella rompiscatole di mia moglie ci verrei anch’io. Bravi!. Ecco la ragione. L’ideologia fascista si è infilata in tutti gli aspetti della società e aveva creato, paradossalmente, un paspartout per i due compari. Accordato il giorno in cui avrebbero lasciato il cantiere, Giuseppe e Sabino devono capire come entrare nell’esercito nazionale per l’Africa. Vanno un poco ad intuito e decidono di recarsi al comando di polizia più vicino. Ci si puo’ arruolare nell’esercito fascista solo volontariamente. I volontari non erano solo fascisti. C’erano molti giovani che volevano evitare di servire l’esercito tedesco, ormai alleato, o erano semplicemente attratti dall’italianità della loro terra. Tuttavia, non capitavano molti che volessero lasciare mamma e famiglia per andare a combattere qualcosa di cui, ancora, si conosceva ben poco. Quindi, secondo Giuseppe, avrebbero preso cani e porci, senza fare troppi gli schizzinosi. E poi i muscoli e la voglia a loro non mancano. Arrivati alla caserma Santa Barbara, in Piazza D’armi, si accorgono che non sono i soli ad avere avuto una idea geniale. Ci sono già più di un centinaio di persone davanti al portone principale. Nessuno si muove. Chiedono agli ultimi della fila quando aprono e come si fa domanda. Gli rispondono che qualcuno in prima fila sta tentando di leggere il cartello che i soldati hanno appeso davanti alla porta:

    Mercoledi 24 novembre alle ore 8 presentarsi per informazioni sulla campagna in Africa. Grazie.

    Dopodomani. Ancora 48 ore e poi tutto si sarebbe risolto, pensa Giuseppe. La nuova vita era aldilà di quella porta, devo solo trovare il modo di non farsi ammazzare, altrimenti chi la sente Rosina! Intanto Giuseppe ha due giorni per parlarne ancora con calma ai bambini, in modo da prepararli a quando avverrà la sua partenza. Loro ormai non ci fanno più caso, i bambini sono fatti cosi. Glielo dici una volta e poi o si dimenticano o fantasticano, esagerando, su quello che andrà a fare in Africa. Cosima fantastica e molto. Quando incontra il Pierino non si dimentica mai di ricordargli che il padre partirà presto per l’Africa e mi porterà a casa un cucciolo di leone cosi! L’amichetto, inclinando, come al solito, la testa le chiede e dove se lo mette? Sotto il cappello? e ride. Tuttavia, in fondo in fondo, anche a lui piacerebbe un bel leoncino al posto del suo cane goffo e grassoccio. Nunzia ha cominciato a disegnare il padre vestito di verde che, imbracciando un fucile, uccide uomini neri. Tonino, di nascosto stavolta, pregava per il padre : Dio stagli sempre vicino e punisci i neri! . La percezione dell’uomo africano, del negro, come venivano chiamati allora, era molto negativa. D’altronde non ce ne erano in Italia, quindi tutto quello che non si conosceva, come adesso, faceva paura e veniva stigmatizzato. Erano descritti come barbari i quali non volevano accettare le perfette regole della civiltà bianca. Giuseppe, invece, a queste cose, non ci pensa, anzi non ha paura dell’uomo nero. Gli sono indifferenti.

    ***

    Arriva il giorno della selezione in caserma. I soldati, al vedere tutti questi volontari, hanno una faccia con una bocca divisa tra un sorriso e il disgusto. Molti di loro sono orgogliosi che questi italiani vogliano unirsi a loro per difendere la patria, pero’ sanno che non sono preparati e,forse, potrebbero essere un peso per l’esercito. Devono ubbidire al Duce, è un suo desiderio, tuttavia. Cosi vengono mandati prima in un ufficio in cui firmare diverse scartoffie e dare le proprie generalità. Alcuni di loro non sanno scrivere o lo fanno molto male, così devono chiedere aiuto ai soldati o agli altri speranzosi di partire. All’esercito non interessa, devono combattere, uccidere e conquistare per Mussolini. La penna sarebbe un impiccio. Figuriamoci poi se dovessero avere la possibilità di scrivere i loro sentimenti e impressioni della Guerra, una volta arrivati laggiù. Meglio ignoranti, che disubbedienti. Giuseppe e Sabino non hanno problemi a farsi scegliere. Sono in forma perfetta, hanno i muscoli da uomo grazie alla loro professione e si mostrano convinti davanti ai soldati e futuri commilitoni. La selezione dura una giornata intera. Dopo il controllo documenti, vanno a fare gli esami del sangue, a controllare la pressione, la vista, il peso. Insomma le classiche visite di controllo. All’ora di pranzo, vengono spediti alla mensa, dove li aspetta una pastasciutta, molto asciutta, con del pomodoro non troppo convinto di essere un pomodoro. Alcuni soldati si mettono a ridere dicendogli se venite con noi questa pasta ve la sognerete di notte. Perchè non avete ancora visto cosa mangiamo durante le battaglie, di solito. Abituatevi, amici miei. E vanno via, ancora ridendo. a me non sembra cosi male, compàSabì. E si vede che non tieni una sposa, fa proprio schifo sta pasta a te ti piace? Dai, prima di partire per l’Africa ti invito a cena, così assaggi una vera pasta, e almeno una volta nella vita, mangi bene. Sabino lo manda a quel paese, amichevolmente, e aggiungono le loro risa gli altri commensali affianco a loro. Il secondo è una bistecca e una mela. La qualità è la stessa. Finito il pranzo, vengono indirizzati in una stanza in cui ci sarà un colloquio individuale con due dottori per constatare se siano convinti della scelta e, soprattutto, che non siano dei pazzi con cui poi avere a che fare, tra le varie difficoltà, in Abissinia. Mentre il primo entra nello studio del medico, gli altri vengono fatti accomodare nella piccola biblioteca, piena zeppa di libri e manuali militari sulle precedenti battaglie dell’esercito nazionale italiano. La qualità lascia a desiderare ma l’emozione e il senso di patria che emerge sovrasta nettamente le doti di quei scrittori. Tutti rimangono affascinati, ma Giuseppe e Sabino si scambiano sguardi increduli di continuo, come se si dicessero ma chi ce lo fa fare? , ma poi si scambiano un sorriso complice, quasi volessero tranquilizzarsi a vicenda. Stavano già assorbendo il clima militare dentro i loro corpi: non si parla come mammole. Si agisce. Punto e basta. Anche se la faccia di Sabino desta un po’ di preoccupazione. Giuseppe non se ne era accorto. Chiamano Sabino. Entra nella stanza del dottore, le solite domande, poi si sentono delle urla. Il compare di Peppino non si sta comportando proprio bene. Accorrono alcuni soldati, aprono la porta e trovano Sabino che sta per dare un pugno dritto sulla faccia del medico ma che stai facendo, stronzo? fermatelo è pazzo! ma che pazzo, sto cretino mi ha dato del terrone!. Alla parola magica terrone Giuseppe scatta in piedi, insieme a metà degli altri aspiranti volontari. Tutti terroni. Il fracasso aumenta, gridano insulti al medico, i militari cercano di calmarli, ma sono molto arrabbiati. Giuseppe è il primo, si mette in mezzo, tra i soldati e il medico come ti permetti eh? Solo perchè hai un camice bianco ti permetti di dire quello che vuoi eh? Guarda quanti siamo! Lo schiamazzo attira anche il comandante in carica della caserma . Cos’è questo rumore! Dove siamo al mercato del pesce o in una rispettabile caserma? Alcuni militari spiegano l’accaduto al comandante, il quale chiede spiegazioni al dottore. Quest’ultimo spiega che non aveva alcuna intenzione di offendere l’uomo. Aveva fatto solo una osservazione scherzosa. Aveva ricevuto nel suo studio parecchi meridionali e quindi aveva esclamato quel terrone come a sottolineare che era stupito da quanti di loro stessero facendo domanda. La folla si calma, il comandante non è per niente contento di questo episodio di insubordinazione. Tuttavia, essendo uomo di mondo, con una mente calcolatrice, capisce che punire Sabino porterebbe a

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