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Da Quarto al Volturno - Noterelle d'uno dei Mille
Da Quarto al Volturno - Noterelle d'uno dei Mille
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E-book285 pagine3 ore

Da Quarto al Volturno - Noterelle d'uno dei Mille

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Fu Francesco Sclavo, garibaldino e poi colonnello nell'esercito regolare, a consegnare al Carducci alcune pagine delle "Noterelle". Il poeta così ne scrisse ad Abba il 5 aprile 1880:

"Ho letto quasi tutte fra su 'l manoscritto e su le stampe le Note che mi paiono bellissime per l'impronta della verità freschissima che serbano nell'espressione. Del contenuto non dico, che è il meraviglioso storico. Del pensiero d'intitolare quelle Memorie a me vi ringrazio e me ne tengo onorato".

All'inizio di giugno del 1880 Zanichelli pubblicò il volume col titolo Noterelle d'uno dei Mille. Il libro raccontava gli episodi accaduti tra il 3 maggio e il 21 giugno 1860; due anni più tardi apparve, ancora presso Zanichelli, la seconda edizione ampliata, questa volta con il titolo Da Quarto al Faro. Noterelle d'uno dei Mille edite dopo vent'anni, che nel tempo si estendeva sino al 20 agosto e infine nel 1891 uscì l'edizione definitiva che si concludeva il 9 novembre e aveva il titolo Da Quarto al Volturno. Noterelle d'uno dei Mille.

Ancora allo Sclavo Carducci aveva scritto il 23 novembre 1873 a proposito di Abba:

"Vedere animi e ingegni tali accontentarsi del santo oblio e dell'inerzia come di rifugio, mentre tutti i mediocri e gli inetti e i vigliacchi si arrabattano gridando: 'Noi abbiamo fatto, noi facciamo, noi faremo l'Italia', è cosa che fa venire i brividi sull'infamia della generazione che ora predomina".

Il miglior libro di memorialistica garibaldina. Un libro molto amato, fra gli altri, dal Carducci. Oggi ripubblicato con la prefazione del prof. Francesco De Nicola (Università di Genova)
LinguaItaliano
Data di uscita4 mar 2015
ISBN9788896647288
Da Quarto al Volturno - Noterelle d'uno dei Mille

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    Anteprima del libro

    Da Quarto al Volturno - Noterelle d'uno dei Mille - Giuseppe Cesare Abba

    1860

    Introduzione

    di Francesco De Nicola

    Il mito di Garibaldi

    Non furono certo i libri, in un'Italia per tre quarti analfabeta al censimento del 1861, a diffondere il mito del più popolare protagonista del Risorgimento, Giuseppe Garibaldi, ma semmai la sua copiosa iconografia affidata a ritratti sempre più numerosi, sin dalla sua permanenza in America Latina negli anni Quaranta, come quello assai noto di Gaetano Gallino del 1848, che lo presenteranno ora nelle vesti di audace condottiero in camicia rossa o poncho, ora in quelle di marinaio con lo sguardo fermo rivolto verso il mare in tempesta, ma talora anche in quelle di marito addolorato per la morte della moglie Anita nella pineta di Ravenna. Oltre ai dipinti, l'immagine di Garibaldi aveva trovato ben presto altri canali di divulgazione, se è vero che nel 1849 il giornale inglese Illustrated London News aveva inviato a Roma un proprio disegnatore per ritrarre il Generale in numerose illustrazioni che lo presentavano con tratti gradevolmente esotici, con il basco floscio tenuto su da una parte, una lunga camicia con il colletto legato in vita da un cordone e una nappa, i capelli lunghi, ondulati e scarmigliati, la barba folta e fluente, gli occhi grandi, a mandorla e sensuali, l'espressione non troppo minacciosa, ma fiera, esotica e non del tutto piacevole allo stesso tempo.¹ Ma saranno poi soprattutto le centinaia di statue che nelle piazze e nei giardini, a cavallo o a mezzo busto, ritraggono Garibaldi² a farne crescere il mito e a rendere popolare e amato questo personaggio che assommava in sé molte delle qualità che possono decretare la fortuna di un uomo: dal coraggio alla modestia, dalla bellezza alla fermezza nelle sue idee, dall'onestà al rifiuto di ogni opportunismo, dalla spericolatezza alla passionalità tuttavia dominata davanti agli interessi superiori, come dimostra il celebre Obbedisco col quale nel 1866 pose termine contro la sua volontà alla sua vittoriosa campagna in Trentino contro gli austriaci.

    Chiarito dunque il ruolo primario rivestito dalle arti figurative per la creazione e conservazione del mito di Garibaldi, si dovrà però ammettere che anche quanto è stato scritto in vario modo su di lui ha avuto una grande, e forse anche più durevole, importanza. Egli stesso del resto era ben consapevole che, pur non essendo troppo numerosi i lettori nell'Italia in costruzione a partire dal 1848 (quando era tornato dall'America del Sud per combattere nella I guerra d'Indipendenza), era tuttavia necessario contare anche sulla parola scritta, a cominciare da quella effimera affidata alle pagine dei quotidiani. Nel 1860 quello che era il giornale della società letterario-scientifica dell'Areopago di Genova, Il Movimento,³ divenne l'organo ufficiale dei garibaldini, affidato alla direzione di uno di loro di provata fede come Anton Giulio Barrili, dal quale il Generale diffondeva i suoi proclami e sulle cui pagine teneva contatti diretti con i suoi fedeli che gli scrivevano lettere di devozione alle quali personalmente rispondeva; in sostanza Il Movimento rappresentava e teneva desto il vasto movimento garibaldino nelle sue molteplici sfaccettature, compresa quella commerciale, poiché sulle sue pagine anche si pubblicizzava l'unguento Garibaldi che aveva guarito l'eroe dopo la ferita sull'Aspromonte e si vantavano le meraviglie dello stabilimento balneare Garibaldi che sorgeva nelle vicinanze dello scoglio di Quarto. Ma anche la stampa estera si occupava con assiduità di Garibaldi e così, all'indomani dello sbarco a Marsala (27 maggio 1860), sull'inglese Reynold's Newspaper egli venne definito l'emancipatore degli uomini d'Europa dalla tirannide e dalla routine che distrugge gli animi.⁴

    Ma al di là delle peraltro utilissime pagine dei giornali, erano certo quelle più durature dei libri che potevano in modo più approfondito far conoscere il personaggio il quale, proprio per questo, non esitò a cimentarsi in prima persona nel lavoro letterario pubblicando nel 1870 i romanzi storici Clelia ovvero il governo del monaco e Cantoni il volontario, poi le sue Memorie (1872) e quindi nel 1874 il terzo romanzo I Mille, lasciandone incompiuto un altro intitolato Manlio, tutte pagine di taglio popolare, cariche di passione patriottica e di accentuato anticlericalismo, ma letterariamente piuttosto sbrigative e inevitabilmente dominate dall'ideologia rivoluzionaria.⁵ Saranno altri allora gli scrittori capaci di raccontare Garibaldi e, anche a questo proposito, gli stranieri precedettero gli italiani se è vero che già nel 1854 l'inglese Henry Charles Banister scrisse Angelo. A romance of modern Rome nel quale appariva il famigerato Gariboni rappresentato come un crudele capobanda che sa infiammare ed eccitare oltre ogni limite l'entusiasmo dei suoi uomini e di tale perverso fascino che, ad esempio, si trova a impadronirsi di un monastero femminile per impiantarvi il suo quartier generale.⁶

    Con il moltiplicarsi delle imprese di Garibaldi, cominceranno a diffondersi libri che intendevano dare testimonianza di quanto gli stessi autori suoi seguaci avevano fatto e visto; e in questo ricco panorama troviamo nomi di prima grandezza come Alexandre Dumas padre, che seguì la spedizione dei Mille per raccontarla poi in Les garibaldiens; come Ippolito Nievo che fu tra i pochi a scrivere su Garibaldi un'ampia opera in versi, Gli amori garibaldini, cui aveva affidato le sue delusioni a seguito della pace di Villafranca del 1859.⁷ Ma soprattutto il racconto delle imprese del Generale venne scritto da ex volontari che divennero di fatto gli unici possibili testimoni e interpreti. E così, scorrendo rapidamente un elenco piuttosto lungo troviamo dapprima un anonimo – ma in realtà si trattava del patriota toscano Eugenio Checchi – autore delle Memorie alla casalinga di un garibaldino (1866) che già dal titolo lasciava intendere la volontà di rivolgersi a un pubblico popolare e di non voler rivestire i panni ufficiali dello storico; seguirono nel 1874 le Impressioni d'un volontario all'esercito dei Vosgi di Achille Bizzoni (peraltro già autore nel 1872 del romanzo Autopsia di un amore), nel 1875 La camicia rossa di Alberto Mario e nel 1880 la prima edizione delle memorie di Giuseppe Cesare Abba che giungeranno nel 1891 alla terza e definitiva edizione col titolo Da Quarto al Volturno. Noterelle d'uno dei Mille. La morte di Garibaldi nel 1882 coincise con la prima monografia a lui dedicata, scritta dal suo volontario Giuseppe Guerzoni, mentre nel 1887 apparve I Mille: da Genova a Capua di Giuseppe Bandi, nel 1890 Con Garibaldi alle porte di Roma di Anton Giulio Barrili e nel 1932 Mentana. Ricordi di un volontario di Augusto Mombello.

    Se questi volumi di memorialistica certo contribuirono a favorire una maggiore conoscenza di Garibaldi, non minore risonanza ebbero le pagine a lui dedicate all'interno di libri di grande circolazione come, ad esempio, quelle intese a commemorare la scomparsa dell'eroe, definito quello che affrancò dieci milioni d'Italiani dalla tirannide dei Borboni, che si leggono, sotto la data del 3 giugno 1882 nel popolarissimo Cuore (1886) di De Amicis; né meno importanti per diffonderne il mito furono le diverse poesie che a lui dedicò Giosue Carducci a più riprese: dal sonetto A Giuseppe Garibaldi scritto nel 1859 e incluso in Juvenilia, al frammento Roma o morte del 1862 e all'ode Dopo Aspromonte composta nel 1864 e inclusi nei Levia gravia, fino alla nuova ode A Giuseppe Garibaldi del 1880 e a Scoglio di Quarto del 1889, incluse nelle Odi barbare, per non parlare dei suoi numerosi scritti in prosa, tra i quali almeno si potrà ricordare il discorso per la morte di Garibaldi tenuto al teatro Brunetti di Bologna il 4 giugno 1882.⁸ Né meno significativi saranno i versi dedicati a Garibaldi da Gabriele D'Annunzio in La notte di Caprera composti tra il 1900 e il 1901 e quelli di Giovanni Pascoli di Garibaldi vecchio a Caprera inclusi nei postumi (1913) Poemi del Risorgimento. E ancora all'inizio del Novecento (1905) Ceccardo Roccatagliata Ceccardi aveva scritto i versi delusi e preoccupati dell'ode Quando tornerà Garibaldi?, domanda alla quale verso la fine del secolo (1993) daranno una quasi certamente inconsapevole risposta i musicisti del gruppo rock torinese Gli statuto con il brano È tornato Garibaldi, peraltro non unica canzone dedicata in quel tempo al nostro personaggio se ricordiamo il Garibaldi blues di Bruno Lauzi e il Garibaldi innamorato di Sergio Caputo, mentre addirittura un'opera lirica, Garibaldi en Sicile, è stata composta da Marcello Panni e rappresentata al teatro San Carlo di Napoli nel 2005.

    Ma tornando all'ambito letterario, dopo aver accennato a un libro per le scuole intitolato Garibaldi ricordato ai ragazzi (1910) scritto da Angiolo Silvio Novaro, uno dei più antologizzati e quindi noti scrittori italiani della prima metà del Novecento, si dovranno poi almeno ricordare i più recenti romanzi di Isabella Bossi Fedrigotti Amore mio uccidi Garibaldi (1980) e di Mino Milani Sognando Garibaldi (2005, preceduti dalle avvincenti pagine di Luciano Bianciardi dei volumi Garibaldi (1972) e Da Quarto a Torino: breve storia della spedizione dei Mille. Quanto alle arti figurative, per concludere il panorama della persistenza del mito garibaldino, tralasciando i numerosi monumenti, val la pena di ricordare il pannello in ceramica Imbarco dei Mille a Quarto realizzato dai futuristi Tullio d'Albissola e Romeo Bevilacqua nel 1941 per la stazione ferroviaria di Quarto dei Mille e la grande tela Battaglia al ponte dell'Ammiraglio dipinta all'inizio degli anni Cinquanta da Renato Guttuso, mentre numerosi artisti della pop art, tra i quali il genovese Aurelio Caminati e il milanese Gian Giacomo Spadai, nel 1975 hanno dedicato il loro lavoro a cicli su temi garibaldini.

    1 Lucy Rial, Eroi maschili, virilità e forme della guerra, in Storia d'Italia. Annali 22. Il Risorgimento, Torino, Einaudi, 2007, p. 271.

    2 Un'efficace sintesi dell'iconografia garibaldina si legge in Franco Ragazzi, Garibaldi nelle arti figurative, in Sanremo per Garibaldi nel bicentenario della nascita, a cura di Davide Finco e Clara Noli, Genova, De Ferrari, 2007, pp. 9-24.

    3 Roberto Beccaria, I periodici genovesi dal 1473 al 1899, Genova, Coop. Grafica Genovese, 1994, pp. 396-8.

    4 Ripreso da Paul Ginsborg, Romanticismo e Risorgimento: l'io, l'amore e la nazione, in Storia d'Italia. Annali 22 cit., p. 45.

    5 Su Garibaldi scrittore cfr. Marziano Guglielminetti, Giuseppe Garibaldi, in La letteratura ligure. L'Ottocento, Genova, Costa & Nolan, 1990, pp. 215-231.

    6 Ermanno Paccagnini, La figura e il mito di Garibaldi in letteratura, in Sanremo per Garibaldi cit., p. 38.

    7 La più recente e più corretta edizione di quest'opera è uscita, a cura di E. Paccagnini, per le edizioni genovesi De Ferrari nel 2008.

    8 Si legge in Giosuè Carducci, Discorsi letterari e storici, Bologna, Zanichelli, 1949, pp. 441-58.

    Giuseppe Cesare Abba

    In un paese dell'Appennino ligure alle spalle di Savona, Cairo Montenotte, era nato nel 1838⁹ Giuseppe Cesare Abba, che dal 1849 al 1854 (quando risultò il migliore alunno del suo corso) nella vicina Carcare frequentò con profitto il ginnasio presso il collegio degli Scolopi, l'ordine religioso che al culto della classicità (gli alunni di ciascuna classe erano suddivisi in romani e cartaginesi, assumevano i nomi di personaggi dei due schieramenti e in aula si esprimevano rigorosamente in latino) abbinava quello della libertà, guardando quindi con favore alla causa risorgimentale, tanto che non saranno pochi i futuri patrioti già allievi degli Scolopi, da Goffredo Mameli ad Anton Giulio Barrili. Qui Abba ebbe tra i suoi insegnanti padre Atanasio Canata¹⁰ – poeta e autore di lavori teatrali e del quale si sostiene abbia collaborato con Mameli per la stesura di Fratelli d'Italia – , che ebbe un ruolo decisivo nel suscitare in lui i primi sentimenti patriottici, facendogli leggere e amare tra gli altri il Foscolo e il Guerrazzi e piangendo nel dare ai suoi alunni nel 1849 la notizia della sconfitta di Novara. A sedici anni Abba lasciò il collegio degli Scolopi e si trasferì a Genova per frequentare l'Accademia di Belle Arti, dalla quale uscì dopo cinque anni, nel 1859, per dare il suo contributo alla causa patriottica arruolandosi nell'esercito sabaudo tra i Cavalleggeri di Aosta; ma mentre si combatteva la seconda guerra d'Indipendenza, il suo reggimento rimaneva inattivo con sua grande delusione, tanto che nell'ottobre di quello stesso anno egli si congedò senza però che si fosse spento il suo ardore patriottico. Infatti pochi mesi più tardi – all'inizio di maggio del 1860 – da Parma, dove si era provvisoriamente stabilito, andò a Quarto per arruolarsi come soldato semplice della sesta compagnia comandata da Giacinto Carini tra i garibaldini in partenza per la Sicilia: qui combatté a Calatafimi e a Palermo e poi partecipò con Garibaldi alla battaglia del Volturno conquistando i gradi di sottotenente.

    Questa esperienza militare, vissuta da giovanissimo (non aveva ancora compiuto ventidue anni e del resto giovanissimi erano per la maggior parte i volontari, tanto che più d'uno per partire dovette convincere i genitori, mentre Abba li avvisò solo quando era ormai imbarcato), rimarrà fondamentale per l'intera sua vita e su di essa in più occasioni e in più forme tornerà a scrivere dopo aver già steso a matita, proprio nei giorni dei primi combattimenti (dal 5 al 26 maggio), un taccuino di appunti.¹¹ Intanto, tornato per un breve periodo a Cairo, dove la sua militanza tra le camicie rosse fu oggetto di non poche critiche, nel 1862 assunse il comando di un battaglione della Guardia Nazionale che operava tra l'Umbria e le Marche e quindi nel 1864 si trasferì a Pisa per frequentare l'ambiente universitario (trascorreva ogni giorno molte ore in biblioteca) e patriottico, che aveva nel caffè dell'Ussaro il suo punto d'incontro, dove familiarizzò con artisti e scrittori tra i quali Mario Pratesi, del quale divenne amico e che, avendo letto i rapidi appunti del suo diario, lo sollecitò spesso a tornare in forma più distesa sulle sue memorie garibaldine. Abba compose così dapprima il canto In morte di Francesco Nullo (1863), in memoria del compagno garibaldino caduto combattendo in Polonia in quello stesso anno, e quindi il poemetto in cinque canti Arrigo. Da Quarto al Volturno (1866) – subito recensito dall'amico Pratesi – con un ricco corredo di note storiche (una quindicina di pagine) riferite agli eventi di tutto il maggio e occasionalmente di luglio, ottobre e del 5 novembre 1860, note che l'autore definì tratte testualmente da un Diario, che quando fu scritto non era di certo destinato alla luce, in nessuna parte, diario mai rinvenuto e che probabilmente costituiva una prima rielaborazione degli appunti del taccuino. L'Arrigo, – il cui protagonista è, come l'autore, un volontario garibaldino – fu stampato a spese degli amici quasi a malincuore e prima di partire per la guerra del '66 […] soltanto perché rimanesse qualcosa di me se fossi morto nella vicina guerra. In quello stesso anno infatti Abba tornò a indossare la camicia rossa, combattendo valorosamente con Garibaldi a Bezzecca (esperienza che gli ispirerà l'ode omonima composta nel 1896 in occasione della ricorrenza del trentesimo anniversario) e quindi tornò al suo paese, dove rimase fino al 1880 (in realtà nel 1867 si era proposto di raggiungere Garibaldi a Mentana, ma aveva indugiato troppo e quando a fine ottobre si era finalmente deciso ormai quell'infausta vicenda militare stava per concludersi), partecipando con passione alla vita politica locale, prima come consigliere comunale e poi per nove anni come sindaco, eletto per due legislature, incontrando il favore della popolazione per l'impegno profuso nel promuovere l'istruzione e l'igiene, tanto che in due occasioni (nel 1872 e nel 1876) fu candidato, però senza successo, al Parlamento. E nella quiete del suo paese tornò a scrivere, cimentandosi per la prima volta sia in una tragedia intitolata Spartaco, sia in un romanzo storico, genere allora assai fortunato sia per il modello dei Promessi sposi, sia per altri romanzi collocati nella storia medievale o rinascimentale per trovarvi, come nella Battaglia di Benevento (1827) o nell'Assedio di Firenze (1836) di Francesco Domenico Guerrazzi o in Ettore Fieramosca (1833) di Massimo D'Azeglio o in Marco Visconti (1834) di Tomaso Grossi, le premesse per gli ideali risorgimentali e per l'aspirazione all'unità nazionale. Il romanzo storico di Abba prendeva spunto dalle vicende accadute a fine Settecento nelle sue terre e dalla prima vittoria dei repubblicani francesi a Montenotte e a Dego nelle Langhe e s'intitolava Le rive della Bormida nel 1794, pubblicato dapprima in appendice alla Gazzetta di Milano nel febbraio 1871 – con una presentazione che ne sottolineava la fantasia moderata da un gusto finissimo e quel delicato movimento d'affetti e quella sobria eleganza che troppo ancora si lasciano desiderare nei lavori della nostra giovane letteratura¹² – e quindi in volume nel 1875, ottenendo tra gli altri un apprezzamento del Settembrini. Ma prima di questo tuffo nella storia del proprio territorio, Abba aveva pensato di scrivere un romanzo a lui ben più vicino nei tempi e nei temi, come si deduce da un passo di una sua lettera all'amico Pratesi del 23 aprile 1870: Vorrei scrivere un romanzo nel quale innesterei, per così dire, il mio diario. L'ho bello e ideato.[…] Ma mi manca la voglia e perdo la lena,¹³ e tuttavia a questo progetto egli continuò a lungo a pensare, anche ipotizzando che dovesse essere Pisa a metà degli anni Sessanta lo sfondo per la sua narrazione.

    La vita nel suo paese, complice un lungo periodo di scoraggiamento e di apatia, aveva finito per far perdere ad Abba i contatti con l'ambiente culturale più vivace che aveva frequentato negli anni pisani e tuttavia il Pratesi non cessò di stimolarlo, come quando il 20 maggio 1874 gli scrisse in tono risoluto: Orsù, sbuca dal guscio, non delle tue paure, ma della tua eccessiva modestia Nel 1877 il Carducci aveva progettato di scrivere una biografia di Garibaldi e, per procurarsi documentazioni e testimonianze, incaricò l'amico letterato Francesco Sclavo, ex ufficiale garibaldino conosciuto da Abba il I ottobre presso Napoli e pressoché suo compaesano essendo nato a Lesegno, a pochi chilometri da Cairo – , di chiedere ad Abba i suoi appunti stesi nel maggio del 1860. Era stato lo stesso Sclavo a far avere al Carducci nel 1871 i versi scritti da Abba per Francesco Nullo e il poemetto Arrigo che avevano

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