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Il crocifisso e l’Islam
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Il crocifisso e l’Islam
E-book112 pagine1 ora

Il crocifisso e l’Islam

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“Il crocifisso e l’Islam” è un tentativo di dialogo tra la religione cristiana e quella musulmana, partendo dal simbolo della croce. Da un lato, si presenta l’origine dell’immagine del crocifisso nella cultura cristiana, il suo occultamento nei primi secoli, il suo rifiuto da parte degli iconoclasti e la sua ricomparsa nel periodo carolingio. Dall’altro lato, si espone la nascita della religione islamica, evidenziano le cause che hanno portato i musulmani all’avversione nei confronti di ogni raffigurazione di persone o cose realmente esistenti. Un dialogo tra due religioni, quello proposto nel libro, che si traduce anche in un aiuto per quanti vogliano conoscere gli insegnamenti fondamentali dell’Islam e un invito ai musulmani a tollerare quanto proviene da religioni e culture diverse. Invito, quest’ultimo, rivolto anche a quanti sostengono, a ragione, la laicità dello Stato. Solo chi comprende è meno propenso a condannare. La comprensione è il primo passo verso la tolleranza ed è ciò che attesta il raggiungimento di un certo grado di civiltà.
LinguaItaliano
Data di uscita21 apr 2012
ISBN9788897010258
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    Anteprima del libro

    Il crocifisso e l’Islam - Paolo Quaglia

    I edizione in eBook, marzo 2012

    © Graphe.it Edizioni di Roberto Russo, 2012

    tel +39.075.50.92.315 – fax +39.075.58.37.286

    www.graphe.it • graphe@graphe.it

    ISBN: 978-88-97010-25-8

    Copertina: Roberto Di Iulio

    Proprietà letteraria riservata

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    Premessa

    Nell’Apocalisse di Giovanni l’autore inizia il racconto delle sue visioni dicendo che udì dietro di sé una «voce grande, come di tromba»¹: si voltò e vide «uno simile a figlio d’uomo» che parlava «come voce di molte acque»². La voce che assomiglia a una tromba rappresenta quella del profeta dell’Antico Testamento, al quale Dio ha affidato una missione da compiere presso il suo popolo. La «voce di molte acque» è invece quella del Nuovo Testamento, che è rivolta a tutte le popolazioni della terra. La prima è dunque indiretta, è affidata alla mediazione del profeta ed è rivolta a un solo popolo. Essa è piuttosto oscura, può essere compresa soltanto dalle persone alle quali è rivolta. La seconda, invece, è chiara e diretta perché è rivolta a tutti.

    Qualcosa di analogo può essere detto riguardo alla religione islamica: anche se i suoi fedeli ritengono che possa avere una diffusione universale, la voce del suo profeta si è sempre rivolta a popolazioni di stirpe araba, e perciò essa risulta oscura e incomprensibile per le popolazioni occidentali. Ma l’oscurità e l’incomprensione sovente derivano dalla scarsa conoscenza, che non è una colpa, ma è dovuta al fatto di appartenere a una tradizione diversa.

    I musulmani non fanno distinzione tra la vita secolare e quella religiosa, tra le pratiche quotidiane e quelle religiose. Il rapporto del fedele con Dio è diretto: ognuno è solo davanti ad Allah. Non ci sono intercessioni di santi o mediazioni di sacerdoti, e quindi per loro la vita e la religione sono una cosa sola.

    Il Dio unico non si incarna, ma invia profeti. Potenza e Misericordia-Amore sono ambedue attributi di Dio: mentre il Cristianesimo accentua soprattutto il secondo, l’Islam ritiene che il primo non possa essere trascurato. Il Corano è anche un codice di leggi, poste da Dio per la comunità umana. L’assoluta sovranità di Dio, e di lui solo, fa considerare blasfema per un musulmano ortodosso la superiorità per natura del profeta sugli altri uomini: perciò ogni forma di sacramento e di sacerdozio deve essere abolita. Come afferma il Corano, è più nobile solo chi ha più timore di Dio³.

    Lo stato ideale musulmano è una teocrazia democratica: teocrazia perché solo Dio ne è il capo, democratica perché da ciò consegue che il capo visibile ha solo poteri limitati. Il califfo non può legiferare o definire dogmi, ma deve soltanto difendere la comunità e far applicare la legge religiosa.

    L’Islam rimprovera all’Occidente il suo materialismo e ciò che per le democrazie occidentali è il vanto più alto: la divisione completa e cavouriana dei poteri, che, secondo il loro punto di vista, ha portato a una completa profanazione e sconsacrazione della vita. I musulmani osservano con disdegno che in Europa le banche sono più belle e più pulite delle chiese.

    Possiamo asserire che in una società come quella islamica ortodossa, risoluta a difendere i propri valori, l’unica libertà concessa agli individui è quella di agire secondo le idee dominanti. Il solo comportamento conformistico è libero, mentre tutti gli altri non lo sono. Soltanto una profonda fede religiosa consente di accettare norme onerose e restrittive. Invece nella nostra società, dove prevale l’esigenza critica e razionale sull’atteggiamento fideistico, i valori vengono messi in crisi proprio perché non esistono dottrine che possano dominare sulle idee di tutti. Nelle società dove domina una sola forma di pensiero l’individuo realizza se stesso conformandosi a esso; nella nostra società l’individuo attua la sua personalità nella ricerca dei valori in cui credere. Questa libertà è opposta alla prima, è un poter credere in valori diversi da quelli dominanti. Essa è animata, soprattutto in campo religioso, dal presupposto che sia meglio far accogliere una verità per convinzione, che farla accogliere per timore.

    Nella cultura islamica non c’è spazio per le verità diverse da quella dominante. Se possiamo credere a un racconto di Abu’l-Fara, il califfo ’Umar, dopo aver conquistato la città di Alessandria, dovette decidere cosa fare della sua famosa biblioteca. Allora osservò con molta logica: «O tutti questi libri dicono quello che dice il Corano, e allora sono inutili; oppure non dicono quello che esso dice, e allora sono dannosi». Così, secondo quell’aneddoto, fece utilizzare tutte quelle opere come combustibile per il riscaldamento dei bagni pubblici.

    Nelle democrazie occidentali c’è un allentamento della repressione, ed è comune a tutti quella convinzione che noi chiamiamo «tolleranza». Una società è tollerante quando la fazione dominante concede ai suoi avversari il diritto di rivolgerle delle critiche. Ma tale critica è impensabile per coloro che sono sottoposti a una legge sacra e immutabile. Per chi non si affida alla norma religiosa, invece, non è ammissibile il fatto che domini una legge sempre identica, che non può essere adattata ai tempi e alle circostanze, ma solo interpretata. Vivendo in una società completamente estranea alla mentalità islamica, per l’uomo occidentale è necessario cercare di capire certi comportamenti e certe opinioni, che hanno origine dalla cultura orientale. Pertanto dobbiamo risalire alla nascita dell’iconografia sacra nella nostra religione e alle origini della cultura musulmana, al fine di chiarire perché quest’ultima rifiuti la nostra civiltà, la nostra cultura e, inevitabilmente, quei simboli sacri che sono parte integrante di essa. È anche interessante notare che, proprio nella nostra tradizione, non solo oggi, ma perfino nei tempi remoti il simbolo del crocifisso è stato occultato o addirittura rifiutato.

    Questi sono i temi che hanno ispirato l’esposizione dell’argomento trattato in questa sede, del quale abbiamo fornito un quadro complessivo delle sue origini nei suoi aspetti essenziali.

    Note

    1 Ap 1,10.

    2 Ap 1,15.

    3 Sura

    xlix

    ,15.

    Crocifissione

    Tra le infinite immagini che l’Occidente medioevale ha dedicato al Cristo in croce ve n’è una terribile, che il pittore Matthias Grünewald (ca. 1470-1528) ha elaborato all’inizio del xvi secolo per la pala dell’altare della chiesa conventuale degli Antonini di Isenheim. Qui il pittore traduce il tema del sacrificio di Cristo in una scena di grande violenza drammatica e presenta un Cristo distrutto dal supplizio sopportato. Sul tronco della croce malamente sbozzato c’è un corpo piagato e trafitto di spine, che ha dimensioni superiori a quelle delle altre figure. Con difficoltà è possibile descrivere la smorfia del volto, il colore livido, i muscoli gonfi, i piedi ritorti e tumefatti, le dita delle mani divaricate che risaltano sul cielo scuro. Tutti i particolari conferiscono all’immagine la massima evidenza espressiva.

    La visione non sarebbe sostenibile senza la presenza di numerosi personaggi, tra i quali la Vergine dall’ampiezza scultorea, chiusa nel manto bianco come in un sudario, quasi svenuta tra le braccia di san Giovanni Evangelista. La curva del corpo e il gesto della Madonna sono amplificati in quelli della Maddalena. Raccogliendo le forze in un gesto di intensa preghiera, ella intercede per l’umanità e anche conferisce al sacrificio di Gesù una dimensione universale. Allo strazio delle tre figure si contrappone la calma monumentale del Battista, di proporzioni maggiori, accompagnato dall’agnello divino che versa il sangue nel calice, allegoria del sacrificio cristiano.

    Il dipinto sollecita la sensibilità del credente, la sua compassione, intesa come sofferta partecipazione al dolore di Cristo, prima ancora di trasmettere il messaggio di redenzione del sacrificio mediante un’immagine della Vergine con la statura della Chiesa, posta di fronte ai simboli eucaristici dell’agnello e del calice. Nella sua singolarità, la rappresentazione trascende la sua appartenenza a un’epoca precisa. L’espressione

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