Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La terza età del mondo: L’utopia della seconda modernità
La terza età del mondo: L’utopia della seconda modernità
La terza età del mondo: L’utopia della seconda modernità
E-book548 pagine7 ore

La terza età del mondo: L’utopia della seconda modernità

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

L’idea della “terza età del mondo”, auspicata da Lessing ne L’educazione del genere umano (1780), è il motivo di fondo che guida la cultura tedesca, e poi quella europea, tra la fine del ‘700 e gli inizi del ‘900. Per essa un nuovo Vangelo eterno doveva sostituire il Vangelo storico ed attuare una trasformazione della religione tale da portare ad una divinizzazione del mondo. L’epoca nuova è l’età dello Spirito, l’era che succede a quella del Padre e del Figlio, dell’Antico e del Nuovo Testamento. La teologia trinitaria della storia di Gioacchino da Fiore, riproposta da Lessing, diviene il paradigma della secolarizzazione, della metamorfosi di Dio e dell’uomo. L’età dello Spirito, come tempo della piena maturità, è l’utopia della seconda modernità, quella illuministico-romantica, che si propone come soluzione del dramma della prima dominato dal conflitto politico-religioso aperto dalla Riforma. La crisi del modello della terza età, al centro delle critiche di Nietzsche e delle grandi tragedie del ‘900, segna l’orizzonte della cultura contemporanea.
LinguaItaliano
Data di uscita24 mar 2020
ISBN9788838249174
La terza età del mondo: L’utopia della seconda modernità

Leggi altro di Massimo Borghesi

Correlato a La terza età del mondo

Ebook correlati

Filosofia per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su La terza età del mondo

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La terza età del mondo - Massimo Borghesi

    Massimo Borghesi

    LA TERZA ETÀ DEL MONDO

    L’utopia della seconda modernità

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Copyright © 2020 by Edizioni Studium - Roma

    ISSN della collana Cultura 2612-2774

    ISBN 978-88-382-4917-4

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838249174

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    PREMESSA (2020)

    INTRODUZIONE (2008)

    PARTE PRIMA

    I. SECOLARIZZAZIONE ED ESCATOLOGIA. HANS BLUMENBERG E LA CONTROVERSIA SUL MODERNO

    1. L’apocalisse dell’anima tedesca e l’escatologia moderna

    2. Progresso o escatologia? Blumenberg critico della secolarizzazione

    3. La secolarizzazione come metamorfosi della gnosi

    II. GIOACCHINO DA FIORE E LA METAMORFOSI DELLA CITTÀ DI DIO

    1. L’Evangelo eterno come età dello Spirito

    2. Cristo tipo dello Spirito

    3. Il moderno come «età dello Spirito»

    4. Cristianesimo veterotestamentario ed escatologia moderna

    III. DA LESSING AD HEGEL. LO SPIRITO SANTO COME «SPIRITO DEL MONDO» (WELTGEIST)

    1. La nuova Chiesa. Escatologia trascendentale e Regno degli spiriti

    2. En kai pan. L’Uno-Tutto come Spirito impersonale

    3. Il «calvario dello Spirito» e la metamorfosi del cristianesimo

    PARTE SECONDA

    IV. HEGEL E LUTERO. LA NUOVA RIFORMA

    1. La fase giovanile: formazione illuministica e coscienza protestante

    2. Crisi della razionalità illuministica e tendenze cattolicizzanti a Jena

    3. Protestantesimo e soggettività moderna

    4. Dalla medievale età del Figlio alla moderna era dello Spirito

    5. La filosofia come soluzione della crisi religiosa dell’Europa cristiana moderna

    V. L’ERA DELLO SPIRITO. DALLA MORTE DELL’ARTE AL MESSIANISMO DELL’ASTRATTO

    1. Il superamento dell’arte in Hegel

    2. Kandinskij. L’arte nuova come liberazione dalla materia

    3. «De Stijl». Mondrian: il culto religioso per l’universale e l’astratto come iconoclastia

    PARTE TERZA

    VI. IL SUPERAMENTO HEGELIANO DELL’INCARNAZIONE DI DIO

    1. Francoforte. Il Cristo panteista e gli uomini dei

    2. Dal Cristo storico al Cristo ideale. La cristologia berlinese

    VII. ALL’OMBRA DI HEGEL: DALLA FEDE IN CRISTO ALL’UMANITÀ DIVINA

    1. Strauss. La cristologia come teoria panteistica del Genere (Gattung)

    2. Bauer. Dalla cristologia speculativa all’ateismo dell’autocoscienza critica

    3. Feuerbach. La cristologia come antropologia

    PARTE QUARTA

    VIII. NICHILISMO E COMUNISMO

    1. Stirner. La negazione della cristologia come crisi dell’antropologia

    2. Marx. Dal comunismo umanistico al materialismo storico

    IX. L’APOCALITTICA POST-HEGELIANA DA MARX A NIETZSCHE

    1. Marx 1845. Dall’utopia alla scienza?

    2. Escatologia dialettica e apocalittica gnostica

    3. Nietzsche. Critica dell’escatologia moderna e messianismo dionisiaco

    CONCLUSIONE

    APPENDICE

    1. Lessing e la teologia politica di Giuseppe Mazzini

    2. Delusione risorgimentale e ideologia dell’anti-italiano

    3. I neoprotestanti

    4. Riforma e Controriforma da Gentile a Mussolini

    NOTA REDAZIONALE

    INDICE DEI NOMI

    CULTURA STUDIUM

    Questo ebook è protetto da Watermark e contiene i dati di acquisto del lettore: Nome, Cognome, Id dell'utente, Nome dell'Editore, Nome del Content Supplier che ha inserito l'articolo, Data di vendita dell'articolo, Identificativo univoco dell'articolo. Identificativo univoco della riga d'ordine.

    È vietata e perseguibile a norma di legge l'utilizzazione non prevista dalle norme sui diritti d'autore, in particolare concernente la duplicazione, traduzioni, microfilm, la registrazione e l’elaborazione attraverso sistemi elettronici.

    Ad Armando Rigobello (1924-2016).

    Con grata memoria.

    Ai miei nonni materni, gli unici che ho conosciuto.

    Hanno accompagnato, con il loro affetto, la mia infanzia ed adolescenza.

    Non li ho mai dimenticati.

    PREMESSA (2020)

    LA SECOLARIZZAZIONE COME SECONDA MODERNITÀ. IL MANIFESTO DI LESSING

    Una profonda ambiguità continua a circondare il concetto di secolarizzazione. Il suo utilizzo per comprendere, unilateralmente, lo sviluppo dell’era moderna dimostra limiti evidenti. Se per secolarizzazione intendiamo, con Karl Löwith, la trasposizione degli attributi divini all’umano, la conversione della teologia in antropologia, questo processo non riguarda il ’500-’600 [1] . Questa categoria di secolarizzazione non copre l’intero arco della modernità. Su questo punto Hans Blumenberg ha perfettamente ragione [2] . Se al contrario, seguendo Carl Schmitt, intendiamo con secolarizzazione il processo di neutralizzazione del conflitto teologico-politico europeo mediante l’assolutismo dello Stato moderno allora Thomas Hobbes diventa un autore chiave della secolarizzazione [3] . Si tratta, però, di due concezioni molto diverse, a tratti antitetiche. Nel primo caso siamo di fronte ad una versione calda, sacrale, escatologica, del termine. Nel secondo la concentrazione dei poteri nello Stato è finalizzata al raffreddamento degli animi, allo svuotamento delle passioni ideali, alla pacificazione imposta. Nel modello hobbesiano la secolarizzazione indica il punto di uscita dalla guerra civile-religiosa che segna l’atto di nascita dell’Europa moderna. Intende risolvere la crisi mettendo tra parentesi la fede e le dispute teologico-confessionali; non vuole sostituire la fede cristiana con un’altra credenza. Questo è ciò che lo diversifica dal secondo modello di secolarizzazione che si afferma a partire dalla fine del ’700. Hobbes si colloca nell’alveo di una cristianità in crisi, non auspica una nuova fede. Per lui, come per i suoi contemporanei, l’era nuova che si apre, con la scoperta del Nuovo Mondo e della nuova scienza, è un’era ancora cristiana.

    Nel XVI-XVII secolo la cultura, la filosofia, l’arte, il teatro sono determinati dalla fede. Lo dimostrano sia il Siglo de Oro in Spagna che il pensiero francese del ’600 con Pascal, Arnauld, Malebranche, Fénelon, Bossuet, Racine. Senza dimenticare l’esplosione artistica e culturale del Barocco, nonché la tensione missionaria che porta i francescani nel Nuovo Mondo e i gesuiti nell’America del Sud e nell’Oriente. Una tensione che sembra declinare verso la fine del ’600 quando la pace di Westfalia, che mette fine nel 1648 al conflitto religioso, sembra raggiunta più per l’estenuarsi delle forze che per intima convinzione. Al conflitto religioso subentra quello tra la fede e una ragione divenuta nel frattempo laica. Avanza una seconda modernità per la quale la ragione presume di unire quanto la fede ha diviso mentre lo Stato assoluto, sul modello hobbesiano, vuol riconciliare gli animi di Chiese contrapposte. La particolarizzazione della fede ha il suo corrispettivo in una ragione emancipata dalla religione che si afferma ora come il luogo dell’ universale. È il modello illuminista. La comprensione della modernità richiede, pertanto, il suo sdoppiamento. La cristianità non può essere confinata, come accade nella narrazione usuale, nel lungo autunno del Medioevo. Essa segna, in profondità, l’alba stessa del moderno e si prolunga, con vigore, fino ad oltre la metà del XVII secolo. Un vigore che si spegne nella misura in cui il conflitto teologico-politico, determinato da un modello ereditato da Teodosio e dal suo Editto di Tessalonica, porta allo scetticismo, al sorgere dell’ateismo libertino, al maturare del razionalismo moderno [4] . La seconda ondata moderna, quella illuminista, si costituisce inizialmente come antitesi alla religione. È il modello francese della modernità laica, quello che con Rousseau assume le sembianze di una religione civile alternativa a quella cristiana. A questo paradigma succede, verso la fine del ’700, il modello germanico fondato sull’idea di secolarizzazione. L’autore chiave di questo passaggio, dal rifiuto della fede alla sua ricomprensione nell’alveo della ragione, è Gotthold Ephraim Lessing. Dopo essersi cimentato, alla luce di Reimarus, con la critica dei testi evangelici ed essere approdato ad un panteismo spinoziano, Lessing pubblica nel 1780, l’anno prima della sua morte, un testo destinato a diventare il manifesto della secolarizzazione tra ’800 e ’900: Die Erziehung des Menschengeschlechts (L’educazione del genere umano). In esso avviene il passaggio dal manicheismo illuminista, fondato sull’opposizione tra la luce della ragione e le tenebre della religione, ad un iper-illuminismo che non disdegna di inglobare la fede in una ragione potenziata religiosamente.

    Perché – si chiede Lessing nell’avvertenza – non vedere in tutte le religioni positive nient’altro che il cammino secondo cui unicamente era possibile, in ciascun luogo, lo sviluppo dell’intelligenza umana e secondo cui questo sviluppo deve continuare, piuttosto che irridere o inveire contro una di esse? Nulla, nel migliore dei mondi, merita questo nostro scherno o disdegno: dovrebbero meritarlo soltanto le religioni? La mano di Dio sarebbe presente ovunque tranne che nei nostri errori? [5]

    L’errore, compreso quello religioso, rappresenta il momento infantile della ragione. Non si tratta di follia, come pensa l’illuminismo nel suo razionalismo debole, ma di uno stadio imperfetto di razionalità che deve essere portato a maturazione.

    È assolutamente necessario che le verità rivelate vengano elaborate a verità di ragione, se si vuole aiutare il genere umano. Quando furono rivelate, esse certamente non erano verità di ragione; ma furono rivelate per diventarlo [6] .

    L’educazione del genere umano implica la traduzione della Rivelazione nella ragione. L’idea di secolarizzazione prende forma attraverso un modello pedagogico progressivo, dall’infanzia alla maturità, che si svolge nella storia. Questa viene scandita da tre epoche che ripetono, singolarmente, le tre ere teologiche, del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, di cui parlava nel XII secolo l’abate calabrese Gioacchino da Fiore. Come scrive Lessing:

    Verrà, verrà certamente il tempo del compimento [...] Verrà certamente l’epoca di un nuovo Vangelo eterno, d’altronde promessaci negli stessi libri elementari del Nuovo Testamento. Può perfino darsi che taluni visionari del XIII e XIV secolo abbiano colto un raggio di questo nuovo Vangelo eterno, sbagliando soltanto nell’annunciarne l’avvento come imminente. Può darsi che la loro teoria delle tre età del mondo non sia stata una fantasticheria tanto vuota. Sta di fatto che non erano animati da cattive intenzioni quando insegnavano che il Nuovo Testamento doveva diventare altrettanto antiquato come lo è diventato l’Antico. Anche presso di loro rimaneva sempre ben ferma la medesima economia del medesimo Dio, ossia sempre – a prestar loro il mio linguaggio – il medesimo piano della generale educazione del genere umano. Avevano soltanto anticipato troppo questo piano, credevano che i loro contemporanei, a malapena usciti dall’infanzia, potessero di colpo, senza rischiaramento e preparazione, essere trasformati in uomini degni della terza età [7] .

    Il tono ispirato ben si addice ad un testo che trasforma l’ideale illuminista del progresso in un messianismo senza Messia, in una attesa escatologica della terza età del mondo, l’era della ragione e della libertà [8] . La traduzione della religione nella ragione avviene in una scansione temporale, in una filosofia della storia il cui modello triadico diviene normativo per l’idealismo tedesco e per larga parte del pensiero europeo tra ’800 e ’900. Lessing rappresenta, da questo punto di vista, il vero punto di passaggio tra la prima e la seconda modernità. Questo non è dato semplicemente dall’illuminismo, nella sua forma canonica di antitesi alla fede, ma da un illuminismo potenziato, religioso, nel quale la ragione assume la religione come momento preliminare della sua formazione. La seconda modernità si costituisce a partire dalla categoria di secolarizzazione [9] . Essa presuppone che il tempo del conflitto tra fede e ragione volga alla fine. Un secolo dopo la pace di Westfalia, che pone termine ai conflitti religiosi, la fede cristiana pare esangue, senza più la forza di proporsi come mondo nuovo e nuova umanità. Il nuovo modello di razionalità, uscito vincitore, si afferma come unico fondamento dell’unità spirituale europea. Esso può proporre alla sua controparte, che si avvia sul viale del tramonto, una sorta di riconoscimento postumo: le radici della razionalità europea affondano sul terreno cristiano. L’onore concesso ai vinti presuppone il declino della religione. Come scriveva il giovane Hegel nel suo Wastebook jenese: «In Svevia si dice di qualcosa accaduto da molto: è già passato così tanto tempo che non è quasi più vero. Allo stesso modo, da così tanto tempo Cristo è morto per i nostri peccati che quasi non è più vero» [10] . Se Cristo non è «quasi più vero» allora è venuto il tempo, secondo il nuovo razionalismo, di raccoglierne l’eredità. Per Hegel, come per Lessing, si profila un compito nuovo, quello della comprensione razionale del dogma cristiano la cui verità non coincide con quella della posizione credente.

    [Ciò] presuppone la fede che le diverse convinzioni di molti secoli; che ciò che milioni di persone hanno ritenuto come dovere e sacra verità, tanto da viverne in tutti questi secoli e da morirne, non è stato, almeno secondo la loro opinione, pura follia e mera immoralità. Se secondo il metodo preferito di seguire concetti universali l’intero edificio della dommatica è stato definito come un residuo di secoli oscuri che non può essere mantenuto in tempi illuminati, siamo almeno così umani fa chiederci come possa spiegarsi il fatto che abbia potuto essere costruito un simile edificio così ripugnante alla ragione umana e sempre più in errore [11] .

    Da qui muove il razionalismo hegeliano, dall’idea che il tempo della lotta della ragione contro la fede – il tempo dell’illuminismo – sia concluso.

    [La ragione] ha potuto talmente farsi valere nella religione positiva, che persino un conflitto della filosofia contro il positivo, miracoli e simili, è da ritenersi qualcosa di antiquato e di oscuro, e che Kant con il suo tentativo di rivitalizzare la forma positiva della religione attribuendole un significato derivato dalla sua filosofia, non ha avuto successo, non perché il senso peculiare di quelle forme risultasse con ciò modificato, bensì perché esse stesse non sembravano più degne neppure di quest’onore [12] .

    Ormai «la cultura ha talmente innalzato il nostro tempo al di sopra dell’antico contrasto di ragione e fede, di filosofia e di religione positiva, che questa opposizione di fede e sapere ha acquistato un senso del tutto diverso e si trova ora trasferita all’interno della filosofia stessa» [13] . L’affermazione di Hegel, contenuta nell’articolo Glauben und Wissen, del 1802, mostra quanto appropriata sia la definizione di Schelling che nel 1795 lo definiva «familiare di Lessing» [14] . Di fatto sarà Hegel a dare forma sontuosa ad una filosofia della storia dominata dalla legge delle tre età del mondo. Epoche che nelle berlinesi lezioni sulla filosofia della religione assumeranno il nome, gioachimita-lessinghiano, di era del Padre, del Figlio, dello Spirito [15] . In esse il trapasso del Dio della religione all’Assoluto della filosofia appare come un movimento interno del concetto che, lentamente e progressivamente, si libera della scorza teologica e del linguaggio antropomorfico proprio della fede. Elevando il modello della secolarizzazione, derivato da Lessing, a paradigma della ragione nel suo ultimo stadio Hegel è colui che dà legittimità e forma filosofica alla seconda modernità. Una modernità che, nei suoi intenti, vuole rappresentare un unico e graduale processo dalla trascendenza all’immanenza di Dio. Al prezzo, però, di omissioni e di vere e proprie violenze ermeneutiche. Nel grande affresco hegeliano della storia del pensiero moderno scompare il Barocco così come, in parallelo, il pensiero spagnolo del ’500-’600. Al contempo la Riforma viene sottoposta ad una lettura liberale che contrasta vivamente con l’antiumanesimo e il fideismo luterano. Il Lutero hegeliano diviene il profeta della terza età, quella dello Spirito laico, in cui non il ritorno a Cristo e alla Chiesa delle origini ma la ragione, la libertà e l’autonomia dell’uomo sono destinate a trionfare. La modernità inizia con Lutero, con l’inclinazione immanentistica di una fede soggettiva che lotta contro l’esteriorità dei segni propria del cattolicesimo.

    Hegel tenta, in tal modo, di ricomprendere l’intera modernità all’interno della categoria di secolarizzazione. Donde la reazione più che giustificata di Hans Blumenberg, di cui parleremo, il quale però, da parte sua, non è poi in grado di situare Hegel e l’idealismo tedesco avendo appiattito la modernità sull’unica corda dell’umanesimo illuminista. Al punto che nel suo La legittimità dell’età moderna dell’ Educazione del genere umano di Lessing viene citato solo il titolo. Non un cenno all’ideale escatologico della secolarizzazione che sta al centro dell’opera del 1780 [16] . Una lacuna, la sua, che trova singolarmente un riscontro inaspettato anche nel testo che apre il dibattito sulla secolarizzazione nel secondo dopoguerra, quello di Karl Löwith: Meaning in History. Nel suo volume l’autore offre una lettura del processo di secolarizzazione moderna a partire dal modello gioachimita delle tre età. Tratta però di Bossuet, di Vico, di Voltaire, ma non di Lessing. In tal modo, anche per la lettura erronea di Vico compreso alla luce di Croce, la sua tesi perde di vigore interpretativo. In realtà Löwith mette a fuoco la rilevanza di Lessing nella prima Appendice del suo volume, dedicata a «trasfigurazioni della teoria di Gioacchino». Qui scrive che:

    La terza età era da Lessing concepita come il regno venturo della ragione e dell’auto-realizzazione umana, e insieme come il compimento della rivelazione cristiana. L’influenza di Lessing fu straordinariamente vasta e profonda. Essa si esercitò anzitutto in Francia sui saint-simoniani; ed anche lo schema comtiano di uno sviluppo in tre stadi è probabilmente da riconnettersi alla dissertazione di Lessing, tradotta da un saint-simoniano quando Comte faceva ancora parte di quel gruppo. La teoria di Lessing fu poi adottata dai filosofi dell’idealismo tedesco, che nel loro tentativo di razionalizzare la dottrina cristiana si riferiscono al Vangelo «spirituale» di san Giovanni, il più filosofico di tutti [17] .

    La centralità di Lessing viene così recuperata da Löwith nella conclusione del volume. Qui il ruolo centrale del pensatore tedesco, nella sua rivisitazione della teologia della storia gioachimita e nella trasvalutazione escatologica dell’idea di progresso, è perfettamente compreso. Quello che è chiaro è che Gioacchino da Fiore diviene, attraverso Lessing, la fonte del modello della secolarizzazione. Come osserva Del Noce:

    Fu sullo sfondo del pensiero gioachimita che crebbe e si affermò il processo di «secolarizzazione», in un lungo processo che possiamo indicare, grosso modo, con la formula consueta «dall’umanesimo all’illuminismo»; anche se fu solo nel secolo XVIII, con l’idea di progresso, che l’incremento di significato della storia divenne un fenomeno integralmente intramondano, senza «irruzioni trascendenti». Quale che sia stata la forma storica attraverso cui si è trasmessa, è certo che l’escatologia trinitaria di Gioacchino ha creato il sistema di simboli attraverso cui l’uomo moderno interpreta la storia [18] .

    La secolarizzazione della teologia trinitaria della storia traccia le linee portanti dell’ Aufklärung tedesca, conferisce ad essa una valenza escatologica, la colora di un afflato religioso. L’idea delle tre età del mondo e dell’avvento prossimo dell’era dello Spirito, del nuovo Vangelo eterno destinato a sostituire quello cristiano, occupa la scena e l’immaginario dell’800 e di parte del ’900. È l’ideale di Lessing che costituisce il polo caldo dell’era della secolarizzazione, un ideale teologico-politico, una religione civile che riprende i contenuti della simbolica cristiana e li fa diventare linfa di altro, di un movimento orizzontale, immanente, in cui essi sono, inevitabilmente, sottoposti a metamorfosi.

    In questo processo la lettura lessinghiana di Gioacchino da Fiore riveste un ruolo essenziale anche se essa non sempre è messa adeguatamente in rilievo. Ne sono documento due studi fondamentali dedicati alla storia del gioachimismo: La postérité spirituelle de Joachim de Flore di Henri De Lubac, e il Joachim de Flore and the myth of the Eternal Evangel in the nineteenth century di Marjorie Reeves e Warwick Gould [19] . Tutte e due offrono scenari di ampio respiro pur non coincidendo nella lettura delle chiavi del processo che delineano. De Lubac ricostruisce con grande maestria la posterità gioachimita fin dentro i meandri più reconditi del moderno. Coglie bene anche l’orientamento secolarizzante del secolo dei Lumi e, nella metamorfosi del modello gioachimita, segnala che «la svolta decisiva è quella di Lessing» [20] . Non riesce tuttavia a mettere a fuoco il senso profondo di questa svolta, la connessione tra il modello triadico della secolarizzazione e l’escatologia della terza età del mondo. Non a caso il nome di Lessing viene associato, in un unico paragrafo, a quello di Herder e ciò non aiuta nella chiarificazione delle prospettive ideali.

    In forma più marcata rispetto a De Lubac, anche Reeves e Gould difettano di una comprensione adeguata della svolta lessinghiana. Ciò che gli autori inglesi contestano alla ricostruzione del gesuita francese è l’idea del «carro gioachimita» [21] , di una posterità spirituale ideale strettamente dipendente da Gioacchino. «Gli esempi di pensiero ternario nell’ambito della teoria politica, spacciati per gioachimiti, mostrano in modo impressionante con quale facilità si possa trarre un modello ternario di sequenze logiche slegate» [22] . Secondo Reeves e Gould

    la maggior parte dei riferimenti a Gioacchino esaminati fino ad ora non bastano a dimostrare un’effettiva influenza delle sue idee. È poi perlomeno curioso che la maggior parte delle volte nelle quali Gioacchino è nominato espressamente non si faccia riferimento alla sua idea dei tre status; mentre, d’altra parte, spesso riferimenti a tre stadi o ad un’imminente nuova era non contengono alcuna allusione al gioachimismo. All’inizio del XIX secolo l’idea di una prossima età è ormai largamente diffusa, senza però richiamarsi esplicitamente a Gioacchino. Gli esempi in tal senso sono tanto numerosi che in questo caso l’assenza di un’argomentazione contraria pare sufficiente a chiudere la discussione. Sembra che si possa perciò concludere che uno schema trinitario della storia o l’attesa di una nuova età non provino di per sé l’influenza di Gioacchino [23] .

    Reeves e Gould contestano, quindi, l’idea di fondo dello studio di De Lubac: quella di un filo rosso che collega uno dei due filoni della posterità gioachimita, quella «dei teologi spirituali, profeti, filosofi, riformatori, rivoluzionari, avventurieri di ogni specie, che raccolsero in un modo o nell’altro l’idea fondamentale che Gioacchino aveva espresso nella sua esegesi: quella di una terza età a venire, nel tempo e su questa terra, che sarebbe l’età dello Spirito» [24] . Ciò che concedono è che «materiale su di lui era accessibile ai pensatori del XIX secolo in varie forme – anche se erano rare le opere di Gioacchino vere e proprie – ed occorreva solo che qualcuno attirasse l’attenzione degli idealisti sulla sua esistenza. E questo perché, anche se Gioacchino non era la fonte di tutti i modelli tripartiti della storia proposti fino ad allora, la sua visione era straordinariamente in sintonia con le aspirazioni degli idealisti dell’epoca» [25] . In tal modo la ricostruzione empirica della corrente gioachimita, nella cultura europea tra ’800 e ’900, tende a scartare una influenza diretta di Gioacchino il cui nome verrebbe scoperto successivamente, per analogia con un modello trinitario della storia già circolante. Questo comporta una rimozione della rilevanza di Lessing e del suo manifesto escatologico gioachimita. Per la Reeves e Gould

    Lessing, nel tardo XVIII secolo, costituisce l’unica eccezione ma, stanti le teorie che hanno arruolato Lessing tra le file dei gioachimiti, vale la pena di rammentare qui che egli si limitò a parlare di taluni visionari del Due e del Trecento che avevano colto un raggio di questo nuovo Evangelo eterno, senza però nominare assolutamente Gioacchino [26] .

    Il rilievo documenta il limite di uno studio serio e pregevole. Sfugge, infatti, agli autori il peso enorme che l’ideale di Lessing, che si ispira consapevolmente al modello gioachimita, avrà nella cultura tedesca dell’800 e, di riflesso, in quella francese e, come è dato vedere in Giuseppe Mazzini, anche in quella italiana. Essi ammettono, tuttavia, che «la fantasiosa resurrezione, operata da Lessing, di quest’eresia medievale scomparsa può aver fornito un simbolo emotivo a un intero gruppo di pensatori francesi della metà del XIX secolo, sia direttamente sia tramite i sansimoniani» [27] . Si tratta di un’onda che arriva fino ad Auguste Comte e alla sua legge dei tre stadi. In Germania sarà Schelling che, nelle sue lezioni su La filosofia della Rivelazione del 1831, parlerà espressamente dell’abate Gioacchino e dell’avvento della Chiesa giovannea. Epperò si tralascia di ricordare quanto Schelling debba, già nella sua formazione giovanile, alla nota opera lessinghiana.

    Gli studi che abbiamo considerato, da De Lubac a quello di Reeves-Gould, a cui possiamo aggiungere Blumenberg, non riescono, pertanto, a situare adeguatamente il rilievo di Lessing nel passaggio dall’illuminismo all’era romantica, dalla prima alla seconda modernità. Di conseguenza rimane sullo sfondo anche il legame ideale tra Hegel e Lessing, un legame evidente per i contemporanei del filosofo di Stoccarda. Lo si deduce da Karl Joseph Windischmann, il quale, dopo aver letto la Fenomenologia dello spirito, scrive:

    Lo studio del Suo sistema della Scienza mi ha convinto che quest’opera, un giorno, quando arriverà il tempo della sua intelligenza, sarà reputata come il sillabario della liberazione dell’uomo, come la chiave del nuovo Vangelo che Lessing aveva vaticinato. Naturalmente Ella intende quel che voglio dire con queste parole [28] .

    Hegel è l’erede di Lessing, colui che dà forma alla escatologia trinitaria ed elabora il modello del moderno a partire dall’idea di secolarizzazione. Un modello che viene supinamente accolto dagli stessi critici della modernità, anch’essi dipendenti dal quadro hegeliano. Come osserva Augusto Del Noce:

    Non c’è certo da meravigliarsi se il simbolo gioachimita, nella sua forma laicizzata, abbia dominato la filosofia della storia razionalista da Lessing in poi, e condizionato la storia della filosofia. Quel che desta stupore è l’osservare che in fondo ha permeato anche il pensiero storico cattolico. Si eccettui Rosmini, e la sua mirabile critica del perfettismo. La veduta storica del pensiero reazionario cattolico ha subìto invece completamente la visione storica laica, e accettato di fatto, limitandosi ad invertirne il segno di valore, lo schema triadico del periodizzamento storico. Cosicché, ogni interpretazione cattolico-reazionaria della storia è stata portata a rovesciarsi (da Lamennais in poi) nel modernismo [29] .

    L’antimoderno, elaborato dalla tradizione neoscolastica del pensiero cattolico del ’900, rappresenta il calco rovesciato del modello laico e razionalista del pensiero moderno. Accetta, nell’opposizione, la ricostruzione idealistica della secolarizzazione moderna. Donde l’alternativa, tragica: o isolarsi dal mondo presente tornando ad un Medio Evo idealizzato e mitizzato, o assimilarsi e modernizzarsi. Stretto nella dialettica tra reazione e progressismo il pensiero cattolico si muove in un’ impasse che nemmeno il Concilio Vaticano II è stato in grado di risolvere del tutto.

    Il superamento dell’alternativa richiede la decostruzione del quadro moderno offerto dalla secolarizzazione hegeliana. Quel modello, che copre il pensiero europeo da Lessing a Nietzsche, non può totalizzare l’intero arco della modernità. L’era moderna non è unidimensionale: è (almeno) duplice. La prima fase, dalla Riforma a Westfalia, è dominata dalla crisi dell’Europa cristiana sprofondata nelle guerre di religione. Le scoperte che segnano l’inizio del moderno, dal Nuovo Mondo alla nuova scienza, assumono il loro senso nell’orizzonte di questa crisi. Questa vede il pensiero cristiano impegnato nel dare risposte, più o meno adeguate, al problema. Risposte che, come nel caso dell’umanesimo cristiano o in quello, discutibile, del machiavellismo cristiano, avranno un grande peso anche nei secoli successivi. Quello che è certo è che la cristianità è interna alla modernità, non è il residuo di un mondo passato che agita le sue ombre. L’idea della religione come passato del mondo appartiene alla seconda fase del moderno, quella illuministico-idealistica, la quale intende dare soluzione alle contraddizioni della prima. Nel far ciò essa però, come bene pone in luce Blumenberg, si carica di risposte che dipendono dalle grandi domande introdotte dal cristianesimo nella storia. La sovradeterminazione, politica-religiosa-filosofica, delle risposte della seconda modernità è strettamente dipendente dal contesto cristiano della prima modernità. Proponendosi come soluzione della crisi della cristianità europea divisa dalle guerre di religione il modello della secolarizzazione ingloba il religioso nel politico e nel filosofico. Diviene sacrale. È il modello indagato da Löwith, quello che permea il XIX e il XX secolo, che entra in crisi con la caduta del comunismo. Questo non significa, però, il congedo da ogni forma di secolarizzazione. L’era post-comunista della globalizzazione è postsecolare riguardo al modello delle religioni politiche, messianiche, ma non già nella sua ideologia positivistico-naturalistica con la quale esorcizza il senso del limite e della morte.

    Nell’epoca della secolarizzazione noi possiamo distinguere un periodo che si può dire sacrale (in relazione al fenomeno delle religioni secolari, che accomunano comunismo, nazismo e fascismo) e un periodo profano; a un dipresso, e con l’approssimazione necessaria delle date, possiamo dire che il primo si chiude con la morte di Stalin. Fascismo e nazismo appartengono interamente al periodo «sacrale»: fenomeno che caratterizza in maniera precipua il periodo «profano» è la società opulenta [30] .

    L’analisi del secondo tempo della secolarizzazione, quello profano, che caratterizza l’era della globalizzazione con i suoi connubi tra techne ed eros, positivismo e libertinismo, esula da questo volume. Cenni sul problema sono dati nella conclusione del testo.

    Una domanda prima di concludere: la fase sacrale della secolarizzazione è conclusa? In un certo senso sì e non si può pensare, come sempre nella storia, ad una sua ripetizione. L’eredità cristiana si è consumata in tanta parte del vecchio continente. Pensare ad una sua traduzione secolarizzante, al modo di Hegel, risuonerebbe anacronistico. La fede, oggi, non necessita certamente di secolarizzazioni ma di una rinascita. Anche Habermas, nel suo illuminismo post-secolare, ne è perfettamente cosciente [31] . Nondimeno forme di risacralizzazione di un religioso secolarizzato si profilano all’orizzonte a causa della crisi della secolarizzazione profana. L’islamismo radicale, da un lato, e i sovranismi, dall’altro, esprimono, in modo diverso, una dialettica antitetica e speculare. Reagiscono all’universalismo astratto del modello tecnocratico, hanno bisogno di radici, del suolo, del sangue, della fede dei padri. Esprimono teologie politiche, e quindi un modello secolare, le quali necessitano di una legittimazione religiosa. Il fatto che questa, nell’Occidente, non venga concessa dai vertici della Chiesa spiega la reazione, dura ed aspra, verso l’attuale pontificato da parte di ampi settori della destra mondiale. La secolarizzazione ha molte anime, di sinistra, di destra, progressiste, reazionarie, laiche o religiose. Ciò che la qualifica è l’idea di sostituzione, di occupazione di spazi lasciati vuoti (dalla fede), di traduzione di un messaggio di salvezza teologico in uno politico e filosofico. Dio diviene il Dio degli eserciti, il Got mit uns, la fede una religione civile, un grido di battaglia. Non viviamo più l’attesa di una terza età, siamo fuori dalla seconda modernità, ma le mitologie secolari continuano a dominare la scena del mondo.

    * * *

    Il volume che presentiamo costituisce la nuova versione del testo L’età dello Spirito. Secolarizzazione ed escatologia moderna, edito dalla Studium nel 2008 ed esaurito da tempo. Per questa riedizione abbiamo pensato che un nuovo titolo, La terza età del mondo, risultasse più incisivo nell’indicare l’argomento di cui trattiamo. Il sottotitolo, L’utopia della seconda modernità, richiama, invece, l’idea della duplicazione del moderno, cristiano prima e illuminista e romantico poi. Il progetto dell’ Aufklärung, dell’illuminismo tedesco, è guidato da un utopia della Ragione, da una trasfigurazione religiosa, messianica, del tempo dei Lumi che si stava realizzando nella storia. È la religione della seconda modernità, una fede laica, civile, politica, destinata a dialettizzarsi tra la sua anima illuminista, liberale e democratica, e quella romantica, totalizzante e totalitaria. La prima professa la fede nella ragione, la seconda nel mito. Ciò che le accomuna è l’idea della terza età, di ciò che Mazzini chiamerà la terza Roma e il nazionalsocialismo terzo Reich. È il pilastro del modello della secolarizzazione che oggi guardiamo con disincanto e che ci invita ad una rivisitazione critica.

    Le parti del volume, e con esse i capitoli, sono state organizzate diversamente, rispetto alla edizione del 2008, per dar loro maggior coerenza interna. Le citazioni più ampie del testo sono state ristrette e distaccate dal corpo di pagina, mentre la bibliografia è stata, in taluni casi, aggiornata. Oltre alla nuova presentazione, che si aggiunge alla precedente introduzione, nuova è l’appendice dedicata a La mitologia della nuova Italia tra ’800 e ’900. Pur esulando dal quadro tedesco essa rientra a pieno titolo nel volume. Il modello gioachimita di Lessing esercita una profonda influenza sulla religione civile di Giuseppe Mazzini e, attraverso di essa, sulla classe intellettuale e sulla politica della nuova Italia post-unitaria. Un esempio, importante, della influenza del modello lessinghiano nel quadro europeo degli ultimi due secoli.


    [1] K. Löwith, Meaning in History. The Theological Implications of the Philosophy of History, Chicago 1949 (Ed. tedesca, Weltgeschichte und Heilsgeschehen. Die theologischen Voraussetzungen der Geschichtsphilosophie, Stuttgart 1953), tr. it. di F. Tedeschi Negri, Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia, Milano 1972.

    [2] H. Blumenberg, Die Legitimität der Neuzeit, Frankfurt a. M. 1966 (2 a ed. 1974), tr. it. di C. Martelli, La legittimità dell’età moderna, Genova 1992.

    [3] C. Schmitt, Die vollendete Reformation. Bemerkungen und Hinweise zu neuen Leviathan-Interpretationen, in «Der Staat», 4(1965), tr. it. di C. Galli, Il compimento della Riforma. Osservazioni e cenni su alcune interpretazioni del Leviatano, in C. Schmitt, Scritti su Thomas Hobbes, a cura di C. Galli, Milano 1986, pp. 159-190.

    [4] Sul modello teologico-politico teodosiano come fattore determinante del conflitto religioso europeo tra ’500 e ’600 cfr. M. Borghesi, Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson: la fine dell’era costantiniana, Milano-Genova 2013, pp. 43-54. Sulla genesi dell’ateismo moderno a partire dalle guerre di religione si cfr. M. Borghesi, Ateismo e modernità. Il dibattito nel pensiero cattolico italo-francese, Milano 2019, la Introduzione: «Ateismo e guerre di religione. Oltre la narrazione moderna», pp. 11-35.

    [5] G.E. Lessing, L’educazione del genere umano, tr. it. di N. Merker, in G.E. Lessing, Religione storia e società, Messina 1973, pp. 268-269.

    [6] Ibid., § 76, p. 295.

    [7] Ibid., § 85-86-87-88-89, pp. 298-299.

    [8] Cfr. G. Cunico, Da Lessing a Kant. La storia in prospettiva escatologica, Genova 1992.

    [9] L’idea della doppia modernità avvicina la nostra prospettiva a quella delineata da Reinhart Koselleck in Kritik und Krise. Ein Beitrag zur Parthogenese der bürgerlichen Welt, Freiburg-München 1959, tr. it. di G. Panzieri, Introduzione di P. Schiera, Critica illuminista e crisi della società borghese, Bologna 1972. «Il processo di costituzione del mondo moderno si dipana agli occhi di Koselleck attraverso due movimenti: il primo – descritto da Schmitt – attiene alla neutralizzazione (e in ciò la secolarizzazione è accolta come governo della crisi) e riguarda la genesi dello Stato; il secondo – descritto da Löwith – attiene all’esplosione dell’utopia (e qui la secolarizzazione è stigmatizzata come riabilitazione della guerra civile) e riguarda la genesi della moderna filosofia della storia. Solo cogliendo questi due momenti della dialettica della modernità e applicando le analisi di Schmitt e di Löwith per leggere due fasi distinte dello stesso processo, Koselleck può servirsi nella sua sintesi di due sistemi di pensiero tra di loro radicalmente alternativi» (G. Imbriano, Le due modernità. Critica, crisi e utopia in Reinhart Koselleck, Roma 2016, p. 55). Per l’autore «Koselleck riconosce l’esistenza di due modernità tra di loro incompatibili e, anzi, antitetiche. È per questo che insiste sulla cesura del diciottesimo secolo, ponendolo in discontinuità con la prima modernità. Ed è per questo che, pur riconoscendo due modernità, non retrodata l’inizio della seconda facendola coincidere con la prima» ( op. cit., p. 325). Il quadro da noi delineato si incontra con quello di Koselleck sia per l’idea della duplice modernità che per l’idea della secolarizzazione illuministica come inizio della seconda modernità. Osserviamo come la prima modernità, quella dei secoli XVI e XVII, non può essere integralmente coperta, seguendo Carl Schmitt, dalla categoria di secolarizzazione. I secoli del Barocco e della Riforma non si esauriscono in Hobbes-Spinoza-Bruno. La crisi del cristianesimo europeo, diviso ma ancora vivo, una crisi interna alla cristianità, costituisce l’atto di nascita dell’Europa moderna. La prima modernità è una modernità cristiana.

    [10] G.W.F. Hegel, Aforismi jenesi (Hegels Wastebook 1803-1806), tr. it. di C. Vittone, Premessa di R. Bodei, Introduzione di C. Vittone, Milano 1981, p. 61.

    [11] G.W.F. Hegel, La positività della religione crostiana, tr. it., in G.W.F. Hegel, Scritti teologici giovanili, a cura di E. Mirri, Napoli 1972, p. 224 (N. 143). L’insieme degli scritti raccolti nel volume costituisce la traduzione italiana dell’edizione curata da Herman Nohl ( Hegels theologische Jugendschriften, Tübingen 1907). Riportiamo tra parentesi la paginazione Nohl assieme alla sigla N.

    [12] G.W.F. Hegel, Fede e sapere, in G.W.F. Hegel, Primi scritti critici, tr. it. e introduzione di R. Bodei, Milano 1971, p. 123.

    [13] Ibid.

    [14] Schelling ad Hegel (04/02/1795), in G.W.F. Hegel, Epistolario I, 1785-1808, tr. it. e Introduzione di P. Manganaro, Napoli 1983, p. 115.

    [15] La trilogia dei regni è confermata anche nella edizione critica delle Vorlesungen über Philosophie der Religion curata da Walter Jaeschke. In esse «L’ultimo corso [1831], pur anteponendo nuovamente alla trattazione della rappresentazione concreta la parte dedicata al concetto astratto della religione cristiana (ovvero alla prova ontologica), sottolinea l’impianto trinitario delle tre sfere o dei tre elementi della rappresentazione concreta, ricorrendo alle espressioni regno del padre, regno del figlio e regno dello spirito, mai utilizzate fino a quel momento in modo così vistoso da Hegel» (R. Garaventa, Nota introduttiva a G.W.F. Hegel, Lezioni di filosofia della religione, III, a cura di R. Garaventa - S. Achella, Napoli 2011, p. 12, nota 14).

    [16] Cfr. H. Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, cit., pp. 454-459.

    [17] K. Löwith, Significato e fine della storia, cit., p. 237.

    [18] A. Del Noce, Eric Voegelin e la critica dell’idea di modernità, Introduzione a E. Voegelin, La nuova scienza politica, tr. it. di R. Pavetto, Torino 1968, p. 16.

    [19] H. De Lubac, La postérité spirituelle de Joachim de Flore, I, De Joachim à Schelling, Paris 1979 (tr. it. di F. di Ciaccia, La posterità spirituale di Gioacchino da Fiore, I, Dagli Spirituali a Schelling, Milano 1980); Id., La postérité spirituelle de Joachim de Flore, II, De Saint-Simon à nos jours, Paris 1981(tr. it. di F. di Ciaccia, La posterità spirituale di Gioacchino da Fiore, II, Da Schelling ai nostri giorni, Milano 1984); M. Reeves-W. Gould, Joachim de Flore and the myth of the Eternal Evangel in the nineteenth century, Oxford 1987, tr. it. di A. Settis Frugoni, Gioacchino da Fiore e il mito dell’Evangelo eterno nella cultura europea, introduzione di F. De Giorgi, Roma 2000.

    [20] H. De Lubac, La posterità spirituale di Gioacchino da Fiore, I, Dagli Spirituali a Schelling, cit., p. 319.

    [21] M. Reeves-W. Gould, Gioacchino da Fiore e il mito dell’Evangelo eterno nella cultura europea, cit., p. 2.

    [22] Ibid.

    [23] Ibid., p. 4.

    [24] H. De Lubac, La posterità spirituale di Gioacchino da Fiore, I, Dagli Spirituali a Schelling, cit., p. 20.

    [25] M. Reeves-W. Gould, Gioacchino da Fiore e il mito dell’Evangelo eterno nella cultura europea, cit., p. 4.

    [26] Ibid., p. 5, nota 20. L’obiezione è ridimensionata dagli stessi autori che scrivono: «Lessing non specifica la fonte dalla quale ha dissotterrato l’Evangelo eterno, ma grazie a Henri De Lubac sappiamo che l’opera di Johann Lorenz von Mosheim intitolata Institutionum historiae ecclesiasticae [...] libri quatuor costituì una delle sue fonti principali. Il dubbio di Mosheim sull’effettiva esistenza di Gioacchino è probabilmente il motivo per cui il riferimento di Lessing è tanto vago e il nome di Gioacchino è stato omesso. [...] In ogni caso, un’espressione come le Tre Età del Mondo, utilizzata assieme a Evangelo eterno, permette di identificare con sicurezza questi entusiasti medievali con i gioachimiti» ( op. cit., p. 70).

    [27] Ibid., p. 71.

    [28] Windischmann a Hegel (27/04/1810), in G.F.W. Hegel, Epistolario, II, 1808-1818, tr. it. e introduzione di P. Manganaro, Napoli 1988, p. 83. Corsivo nostro.

    [29] A. Del Noce, Eric Voegelin e la critica dell’idea di modernità, cit., p. 33.

    [30] A. Del Noce,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1