Simboli dei Vangeli
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Anteprima del libro
Simboli dei Vangeli - Francesco Boer
Francesco Boer
SIMBOLI DEI VANGELI
med_0Le immagini nel testo sono tratte dall’Hexastichon di Sebastian Brant (1502). Sono dispositivi mnemonici per ricordare i principali avvenimenti narrati nei Vangeli, condensando in un’unica immagine i diversi riferimenti al testo. A raccogliere i singoli rimandi c’è il simbolo dell’evangelista corrispondente al Vangelo a cui si riferiscono: l’angelo per Matteo, il leone per Marco, il toro per Luca e l’aquila per Giovanni.
vangeli_1Introduzione
Osserva bene le parole scritte, una per una: in ciascuna, infatti, se uno sa scavare in profondo, troverà un tesoro; e forse, anche dove non pensa, sono nascosti i gioielli preziosi dei misteri.
[1]
Che senso può avere ai giorni nostri leggere il Vangelo e confrontarsi con le sue parole? È un testo vecchio: ormai ben due millenni gravano sulle sue spalle. Come potremmo orientarci al giorno d’oggi con indicazioni così antiche?
Certo, conoscerlo è utile per comprendere la storia della cultura occidentale, che è stata forgiata su questa matrice spirituale; un lignaggio di cui ancora si intravedono le tracce. Ciò nonostante il suo studio appare ai più come un’attività retrograda, o perlomeno una curiosità vana, paragonabile a quella del collezionista di anticaglie.
I sanguinosi attentati che hanno inaugurato il terzo millennio hanno reso ancor più aspra la critica alle religioni, che già nel secolo breve non aveva risparmiato nessun colpo alle fedi più diffuse, e in particolare ai tre monoteismi abramitici. Si è detto – e lo si dice oggi con ancor più convinzione – che la religione è un relitto del passato, simile alle superstizioni, un modo di pensiero irrazionale che porta a fanatismi e prevaricazioni verso chi non accetta il credo.
In nome della religione sono state combattute guerre spietate, migliaia di innocenti sono stati portati al macello, e alcune minoranze sono state perseguitate e scacciate ai margini della società.
Molti concludono questi pensieri con un freddo sillogismo: Se le religioni non esistessero, il mondo sarebbe un posto migliore
.
Si potrebbe però obiettare che è proprio la religione il fattore cruciale che manca nelle gesta di questi sedicenti credenti. È essenziale infatti distinguere fra un’Idea e la sua realizzazione materiale, e osservare una certa cautela nel giudicare la prima in base alla seconda. Prendiamo ad esempio la Giustizia, il principio astratto che garantisce il rispetto dei diritti di ciascuno; e immaginiamo ora un giudice corrotto, che condanna gli innocenti mentre protegge i malviventi. È logico che l’operato di un simile giudice sarebbe quanto meno da biasimare, ma ciò non comporta che la Giustizia è un male
o che la Giustizia non esiste
.
Lo stesso vale per le religioni. Ci sono stati e ci saranno uomini che usano il nome di Dio per i loro interessi personali, per arricchirsi e accumulare potere, prevaricando il prossimo e soffiando sulle fiamme dell’odio. Costoro non sono religiosi, anzi, sono l’esatto opposto di ciò che la parola religioso
dovrebbe veramente significare. Più di un passo dei vangeli è dedicato a stigmatizzare questo comportamento che è del tutto esteriore: Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume
[2].
Anche il modo con cui ci si accosta alle sacre scritture è segnato da un simile passo falso: ci si concentra sulle apparenze, senza sforzarsi di afferrare il senso interiore.
Ci si ferma al significato letterale, magari scegliendo fra tutti solamente quei passi che tornano più utili per i propri scopi. Forti di ciò, si può giustificare ogni abuso compiuto, addossandone la responsabilità alla volontà di Dio.
Nello stesso errore, va detto, incappano anche coloro che criticano i testi sacri evidenziandone l’assurdità, giudicando i loro racconti come se fossero cronache di fatti realmente accaduti.
Sia coloro che credono alla lettera che quelli che rifiutano il significato letterale cadono nel medesimo errore: giudicano l’aspetto del forziere, senza pensare alle ricchezze che esso contiene. Eppure la storia della nostra cultura è ricca di interpreti che seppero scostare il velo e intravedere il significato oltre la barriera delle parole. I Padri della Chiesa intrapresero questo cammino già nei primi secoli del cristianesimo; com’è che ne abbiamo scordato l’esempio? Pensiamo che credere alla lettera a i testi sacri sia una mentalità del passato, ma in realtà gli uomini dell’Antichità e del Medioevo erano del tutto familiari con il senso allegorico e anagogico dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Il linguaggio dei Vangeli fa un ampio uso di simboli ancestrali. Sono immagini primordiali con cui l’uomo si confronta da sempre, ben prima dell’avvento della scrittura, e addirittura prima della nascita del linguaggio: l’acqua, il fuoco, la luce, l’oscurità, la fertilità vegetale, l’aridità, la vita, la morte...
Sono termini che il cristianesimo condivide con la maggior parte delle altre religioni: ciò non è un indizio di scarsa originalità, ma è dovuto al fatto che queste parole racchiudono un significato potente e vivo, che le rende importanti ed essenziali per ogni popolo di qualsiasi era o latitudine.
Sono proprio questi simboli a rendere il Vangelo un messaggio sempre attuale, rivolto a chiunque sappia avvicinarsi a esso secondo l’ammonimento di Gesù, ormai divenuto proverbiale: Chi ha orecchi per intendere, intenda!
In questo libro non ci occuperemo della storia dell’interpretazione. Gli scritti dei pensatori cristiani del passato sono un’utilissima fonte di ispirazione, ma non ci servirebbe molto sapere che cosa significasse un dato simbolo per uno o per l’altro esegeta. Ciò che più importa, infatti, è cosa quel simbolo possa significare per noi, che cosa può dirci per aiutarci a gettar luce sui problemi concreti e spirituali con cui ci troviamo alle prese in questo delicato periodo.
La sostanza, in fin dei conti, non cambia. A volte basterebbe semplicemente cambiare alcune scelte lessicali. Molti ad esempio storcono il naso se si sente parlare di anima
, pensando che si tratti di un miraggio inventato per spiegare con una scorciatoia fenomeni più complessi. Se però si parla di psiche
tutto ha un suono più scientifico e accettabile; eppure ψυχή è un termine greco che indica proprio l’anima!
Sarebbe però un delitto sostituire la ricchezza del linguaggio poetico con una terminologia tecnica, forse più rigorosa, ma sicuramente più arida. Si possono attualizzare i simboli eterni del Vangelo, ma occorre evitare di snaturarli o farli appassire.
Un valido metodo per ampliare e comprendere i simboli del Vangelo è la comparazione con i loro omologhi di altre religioni. Tale metodo però comporta il rischio di perder di vista l’identità del cristianesimo. Le convergenze fra i culti sono sorprendenti e illuminanti, ma altrettanto importante è l’unicità di ogni religione, e sarebbe senza dubbio un errore considerare le varie fedi come sinonimi intercambiabili. Ho scelto dunque di indagare la simbologia evangelica principalmente tramite il confronto con quella dell’Antico Testamento: i vangeli sono infatti scritti con un richiamo specifico ed esplicito ai testi biblici. L’ottica cristiana vede l’incarnazione e la passione come il compimento delle profezie dell’Antico Testamento, e d’altronde molti passi evangelici sono scritti appositamente per dimostrare questa continuità. Ciò non significa, ovviamente, che la Bibbia abbia senso solo in quanto preparazione del messaggio cristiano. Storicamente questo approccio al testo biblico è legato al complesso rapporto di opposizione che lega il cristianesimo alla religione ebraica da cui pur ha avuto origine; per tale motivo il confronto tipologico fra Antico e Nuovo Testamento ha portato a sminuire il primo, o addirittura a renderlo l’estremo negativo di un paragone morale. Si tratta di polemiche a cui, ovviamente, vorrei restare estraneo.
Rileggere i vangeli cercandone il significato è una preparazione importante, e forse fondamentale, per una ricerca di senso nel mondo, e nella propria vita. Il male della nostra era è proprio il non-senso, quella mancanza di significato che rende il mondo grigio e l’esistenza assurda. Nelle parole del Macbeth shakespeariano:
"La vita è solo un’ombra che cammina,
un povero attore presuntuoso
che si dimena sopra un palcoscenico
per il tempo assegnato alla sua parte,
e poi di lui nessuno udrà più nulla:
è un racconto narrato da un idiota,
pieno di grida, strepiti, furori,
del tutto privi di significato!"[3]
L’ingegno umano ha raffinato il sentimento religioso nella teologia, e da questa ha tratto la filosofia. La filosofia ha dato luce alla logica e al metodo scientifico, e dopo si è fatta da parte; e anche la scienza più teorica ora cede il passo alla proficua concretezza dell’ingegneria.
Nel corso di questo processo millenario Dio
è diventato il personaggio di una fiaba, uno spauracchio buono tutt’al più per tenere in riga la popolazione più ignorante, ma assolutamente inadatto agli intelletti più colti.
Marx sosteneva così l’opportunità della critica alla religione: La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l’uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi.
[4] Eppure la negazione della metafisica e l’annuncio nietzscheano che Dio è morto
[5] hanno coinciso con la grave crisi della perdita del senso. Non è una mera discussione teorica, ma un dilemma sentito intimamente da tutti gli strati della popolazione: c’è un doloroso vuoto nell’anima dell’uomo moderno, e a colmarlo non bastano tutte le ricchezze materiali che il mondo può offrirgli, né il potere, né il sesso facile, l’alcol o la droga, o tutti gli altri sotterfugi con cui l’umanità cerca di aggirare il problema. Ancora nel XXI secolo, l’uomo porta sulle sue spalle il grave peso della catena spoglia.
Secondo un noto aneddoto, il matematico francese Laplace avrebbe definito Dio come un’ipotesi non necessaria: la scienza può spiegare l’universo autonomamente, senza bisogno di postulare un