Il cielo dentro di noi
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Anteprima del libro
Il cielo dentro di noi - Roberto Fantini
Introduzione
Spirito puro il cui corpo è soffio di vita […] è questo Sé dentro il mio cuore, che è più piccolo di un grano di riso […]: questo stesso Sé che è dentro il mio cuore è più grande della terra, più grande dello spazio, più grande del cielo, più grande di tutti i suoi mondi.
Chāndogya Upanisad III 14, 2-3
«Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me…» Sono davvero poche le massime filosofiche che, una volta incontrate, ti entrano nell’anima e ti rimangono lì, resistendo ai monsoni dell’oblio.
Il cielo stellato, lassù, vuol dire che siamo tuffati in una realtà immensamente più grande di quanto la nostra stessa immaginazione possa supporre. Il cielo stellato vuol dire che siamo viaggiatori dello spazio, cittadini dell’infinito. Vuol dire, soprattutto, che siamo figli dell’ignoto, creature misteriose di un universo misterioso. Vuol dire che la nostra vita stessa è essenzialmente mistero.
Ma il cielo stellato non è soltanto emblema dell’immensamente grande e inconoscibile, lo è anche dell’incommensurabilmente bello e affascinante. Pochi scenari, infatti, sanno generare tanto illimitato sgomento, ma, al contempo, anche allargarci le pareti del cuore fino a farle esplodere di sconfinata ebbrezza.
Pochi scenari ci fanno scendere nell’anima un sentimento tanto profondo di intimità con il cosmo, di sintonia con il tutto, di vicinanza con il cuore dell’universo e, nello stesso tempo, di lontananza da tutto ciò che chiacchiera, strepita e fa rumore.
Il cielo stellato è come se ci avvolgesse, come se ci risucchiasse nel suo ventre, come se stesse lì a ricordarci che siamo anche noi pulviscolo di pianeti infranti, bagliori viaggianti di stelle perdute, briciole di energia rotolanti nel vuoto. E tutto questo ci annienta e ci inonda di pace (di una pace insolita, davvero di altri mondi
…). Ci strappa di dosso le incrostazioni dell’orgoglio e ci irradia nella mente il pensiero di una origine lontana e di una meta ancora più lontana…
E la legge morale dentro di me? Sta a dirmi che c’è, in me, qualcosa di più grande e di più potente dell’intero universo. Qualcosa che mi salva dalla voracità del nulla, che mi sostiene di fronte all’incubo dell’insensatezza dell’essere, che mi mette al riparo dal baratro della cecità del caso.
La legge morale
mi proietta in un mondo in cui il pensiero esercita una sovranità sul fluire del tempo e delle cose, e, soprattutto, sull’agitarsi scomposto delle energie interne del cuore.
Una sovranità umile ma decisa, delicata quanto possente.
Una sovranità che mi permette di non essere vittima di forze che non comprendo, di comandi che non condivido, di spinte che non intendo assecondare.
Una sovranità che mi consente di credere alla mia libertà e che mi fa sentire padrone di me e della mia vita, capace di agire secondo ragione e secondo giustizia. Secondo la giustizia della mia ragione.
C’è un’altra affermazione di un altro grande uomo, Albert Einstein, che lega gli astri all’agire umano: «L’esistenza e il valore dei diritti umani non stanno scritti nelle stelle…».
Si tratta di parole certamente meno famose, ma anch’esse molto illuminanti.
Nel pronunciarle, ci si voleva dire che, nella natura che ci ospita, è possibile trovare tante cose che esistono prima di noi e indipendentemente da noi, ma che quella particolarissima cosa rappresentata dai diritti umani esiste soltanto se siamo noi a scegliere di farla esistere; a decidere che sia giusto che ci sia, a decidere che sia giusto che tali diritti esistano per conferire al mondo in cui viviamo e che ci ha generati il respiro della ragione, il valore della persona, la percezione della dignità di tutti noi atomi pensanti.
In pratica, Einstein ci dice che, al contrario di quanto affermato per secoli, da pensatori che avvertivano intensamente la necessità di comunicare forza e autorevolezza alle proprie rivoluzionarie teorie, i diritti umani non sarebbero per nulla qualcosa di naturale
, ma qualcosa di strettamente storico-culturale. Non sarebbero, cioè, un dono degli dei, la manifestazione del volere divino o della provvidenziale generosità della Natura, bensì qualcosa di semplicemente
umano, qualcosa di straordinariamente nostro
. E, come tali, più fragili e vulnerabili delle leggi della fisica e della chimica, ma, al contempo, immensamente più preziosi, immensamente più bisognosi di cure, di essere protetti e alimentati, giorno per giorno, come una creatura incapace di vivere senza di noi, incapace di sopravvivere alla nostra eventuale, malaugurata disattenzione.
I diritti umani sono veri, sono importanti, possono rappresentare il centro della nostra esistenza e diventare il fulcro creativo della nostra storia presente e futura solo se noi lo vogliamo e lo vorremo veramente, ben al di là delle belle quanto irritanti formulette politico-mediatiche. Solo, cioè, se saremo lieti di assumere su di noi la serissima responsabilità, impegnata e impegnante, di cittadini del mondo, pronti a tutto per sottrarre il proprio destino e quello delle future generazioni al dominio della violenza, all’abominio della cosiddetta legge del più forte
, al gelo della mera casualità.
Le radici profonde dell’antisemitismo
Odio la sinagoga perché ha la legge e i profeti.
È dovere di tutti i cristiani odiare gli ebrei.
Giovanni Crisostomo (Santo e Dottore della Chiesa)
Il pensiero umano produce con grande prodigalità generalizzazioni e semplificazioni. Classifica, cataloga, registra, archivia, assembla e scinde… Per comodità, per praticità, per facilitarsi il compito di capire il mondo. Alcuni risultati sembrano funzionare. Altri ci lasciano perplessi. Tutti, domani o dopodomani, saranno abbandonati e cancellati.
Alcuni, come il concetto di razza
, hanno avvelenato menti e cuori e stentano a scomparire dalla storia. Rimangono intrecciati ai nostri pensieri e ai nostri sentimenti, cercando d’impedirci di capire che l’umanità è un’unica grande cosa e che le razze
sono una folle invenzione, una mostruosa degenerazione culturale.
In nome delle razze (pure-impure, superiori-inferiori, ecc.), l’umanità è stata frantumata concettualmente e macellata materialmente.
Molti sono i popoli che hanno subìto terribili conseguenze: le popolazioni indigene americane, le popolazioni africane, gli armeni dell’impero ottomano, i cosiddetti zingari
, ecc. Una particolarissima tragedia si è abbattuta sul popolo ebraico, mescolando insieme ingredienti di carattere religioso e ingredienti pseudoscientifici, partorendo l’orrore che va sotto il nome di antisemitismo
. Nel xx secolo, assurdità teologiche sedimentatesi nel tempo, combinate con vergognosi interessi politici ed economici, hanno creato, poi, una delle pagine più spaventose e (per certi versi) incomprensibili della storia umana: la Shoah.
Non saremo mai abbastanza grati a coloro che hanno attinto ai propri ricordi impregnati di dolore per raccontare e per provare a comprendere l’incomprensibile.
Lorenza Mazzetti è regista cinematografica, scrittrice e pittrice. La sua infanzia è rimasta segnata dalla tragedia abbattutasi sulla famiglia degli zii che, rimasta orfana, l’avevano accolta con sé. Nella strage della famiglia Einstein (nota anche come strage di Rignano o strage del Focardo), verificatasi il 3 agosto 1944 nel territorio di Rignano sull’Arno, a opera delle milizie naziste, morirono tre donne: Cesarina (Nina) Mazzetti, Luce e Annamaria Einstein, moglie e figlie di Robert Einstein (cugino di Albert) che si suicidò l’anno successivo.
Col tempo, Lorenza ha saputo riappropriarsi della sua storia, rielaborando il trauma subìto e riuscendo a parlarci, con delicata sensibilità artistica, prima con uno splendido libro (Il cielo cade, edito da Sellerio), poi, in questi ultimi anni, con la sua tavolozza vivissima, della sua infanzia felice, dei suoi giochi, delle sue fantasie, dei suoi affetti, dei suoi timori, del suo non capire, del suo urlo di dolore rimasto tanto a lungo murato dentro di sé.
Conversazione con Lorenza Mazzetti
Tu hai avuto la sfortuna di sperimentare nella tua vita e nella vita della tua famiglia gli effetti dolorosi e distruttivi della violenza nazista. Nella postfazione de Il cielo cade, scrivi che la tua