Vi salvo io: romanzo
Di Alekos Rundo
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Vi salvo io - Alekos Rundo
Vi salvo io
romanzo
Alekos Rundo
Published by Giuseppe Meligrana Editore
Copyright Meligrana Editore, 2015
Copyright Alekos Rundo, 2015
Tutti i diritti riservati
ISBN: 9788868151638
Copertina: Walking Yellow
concept by Eugenio Fabrizi
Meligrana Editore
Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV)
Tel. (+ 39) 0963 600007 – (+ 39) 338 6157041
www.meligranaeditore.com
info@meligranaeditore.com
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Indice
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Licenza d’uso
Alekos Rundo
Copertina
Dedica
Vi salvo io
Premessa
Parte Prima
Parte Seconda
Parte Terza
Ringraziamenti
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Alekos Rundo
Alekos Rundo è nato a Roma nel 1983. Come vuole il mare
è il suo primo romanzo.
Contattalo:
alek.writer@gmail.com
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Ai miei amici,
anche a quelli che
hanno dimenticato
di esserlo.
I personaggi e i fatti descritti in questo romanzo sono frutto della fantasia dell’autore. Ogni riferimento a persone e fatti reali è pertanto puramente casuale.
La vanità dell’uomo comune è il semenzaio in cui allevo i germogli del mio malessere. Io non sono migliore. L’ho capito da poco e non senza penare. L’estraneità agli stereotipi umani di cui spesso mi vanto non è che un miraggio. Ho capito che il solo assunto di sottostare alle leggi dell’uomo basta a livellare le mie aspirazioni a quelle di un qualunque abitante del globo. È una guerra persa in partenza. Se anche riuscissi ad elevarmi spiritualmente fino a sfiorare la grandezza di Dio; se arrivassi a guardare dall’alto il caotico annaspare del prossimo; se potessi sputare sulla sua calvizie incipiente, con chi potrei dividere la gioia della mia sublimazione?
Sarei solo. Come Dio è solo. E ostile. Come Dio è ostile.
Mario Rossi, Tre Io
PREMESSA
Tempi bui questi, dove la vita si costruisce piano, a trent’anni si è ancora ragazzi inconsapevoli e senza tempo: il tempo lo si impiega a lavorare per una misera paga che permette di sognare una vita migliore, non di creare una vita migliore.
Allora conviene alzare la testa, sfuggire agli inganni, ai ricatti. Partire, lasciare, tornare, amare.
Soprattutto amare.
PARTE PRIMA
Un giorno ti perderai
in fondo a quella strada
dove nessuno ti verrà a cercare.
Nessuno seguirà la scia
di quei passi che hanno superato
con premura i confini della notte.
Rimarrà il tuo odore
appiccicato ai nostri vestiti,
i tuoi occhi addosso ai nostri,
ma lontani uno sguardo
che vale un’eternità.
Infine nessuno se ne accorgerà.
Da Poesie per una sconosciuta di Roberto Fioravanti
CAPITOLO UNO
MARTEDÌ, TARDO POMERIGGIO
Max girò l’angolo e imboccò il cortile che conduceva al portone di casa: un condominio di otto piani composto da tre palazzi uguali dipinti di un giallo rancido a loro volta uguali a quelli accanto, che erano uguali a quelli dall’altro lato della strada. Un bel quartiere, tutto uguale, tutto giallo, costruito dai palazzinari che poi non erano riusciti a vendere gli appartamenti perché erano finiti in galera e la gente aveva occupato le case disabitate.
Avrebbe dovuto essere una zona in, invece si era trasformata in breve in una sorta di enorme caos governato dalla legge del più forte e abbandonato dalle autorità. Vi avrebbero dovuto aprire un ufficio postale, un distaccamento di uffici comunali e varie altre attività commerciali, bar e ristoranti, invece avevano aperto solo tre sale slot in una strada di trecento metri, e siccome l’uomo fa solo quello che vede, giocare alle slot machine era l’attività preferita dagli abitanti dei palazzi.
Questo in una cittadina di provincia alle porte di Roma.
Max entrò nel portone, salì in ascensore, raggiunse il terzo piano, aprì la porta di casa e trovò Paolo sul divano che guardava la tv.
Che fai, malandrino?
lo salutò.
Guardo una partita, è appena finito il primo tempo...
Mi pareva, infatti...
Cosa ti pareva?
Mi pareva strano che non stessi guardando una partita...
Ah.
Ti va un gelato dopo cena?
Paolo ci pensò per un attimo. Poi rispose:
No, grazie.
Max lo fissò e quel che vide fu un ragazzo alto e grosso, in pigiama, che alle sette di sera di un maggio caldo stava sul divano a vedere una partita. O meglio, aspettava che iniziasse il secondo tempo della partita.
Oggi ho fatto quel colloquio assurdo...
riprese Paolo mentre Max si era infilato in bagno. Lo aveva fatto tanto per fare, lo sapeva che non sarebbe servito a niente. Quasi si divertiva ormai a fare colloqui a destra e a manca, a confrontarsi con aziende che richiedevano serietà quando non ne ricambiavano nemmeno un briciolo; che pretendevano l’inglese perfetto e a malapena sapevano dire duiulaicdeuork? Quasi si divertiva, Paolo, e ci rideva su. Per non piangere, sia chiaro. E poi si stava preparando per il concorso.
Assurdo come gli altri?
chiese Max tornando in salone.
Peggio. Questi mi hanno offerto un vero stipendio...
Max si sedette accanto a Paolo sul divano.
Li immagino gomito a gomito che guardano lo schermo.
Addirittura lo stipendio...
fece Max.
Sì. Trecento euro al mese per dieci ore di lavoro al giorno. Per il primo anno. Poi, lo stipendio salirebbe a cinquecento euro al mese, sempre per dieci ore al giorno. La mansione? Correggere le traduzioni dall’inglese fatte da altri.
Li hai mandati a fare in culo anche da parte mia?
"No aspetta, lasciami finire. Le descrizioni sono importanti. Il tipo che mi ha fatto il colloquio aveva il Rolex al polso e parlava con la erre moscia e la zeppola, per cui diceva fmavtfon e il contvatto a pvogetto è la foluzione migliove. Hai capito il quadro?"
Sì. Ma lo hai mandato al diavolo o no?
No. Non mi abbasso alla volgarità. Mi sono alzato strappandogli il mio curriculum dalle mani e gli ho detto che ero un giornalista e che stavo conducendo un’inchiesta sul mondo del lavoro.
E quello?
Zitto e muto.
Hai fatto bene, sei un grande. Se avessi usato un linguaggio più burocratico lo avresti ammazzato.
Tipo?
Sono un funzionario dell’Ispettorato del lavoro. Ci avevano segnalato delle irregolarità nella sua azienda ma non pensavamo a delle proposte così fuorilegge. Lei sarà a breve segnalato all’autorità competente.
Avrei dovuto dire così, hai ragione. Che mangiamo per cena?
Adesso mi invento qualcosa, ma prima ti racconto quello che mi è successo poco fa. Stavo portando a spasso i cani del signor Batuffolo, sai, gli alani giganti, e mentre passeggiavo tutti si scansavano alla vista dei cuccioloni. Le persone, letteralmente, fuggivano da una parte all’altra senza pietà, come se davvero avessi avuto due mostri feroci al guinzaglio.
Mi pare normale, metti che uno ha paura dei cani?
Sì, infatti è normale. Quello che non è normale è che a me questa cosa comincia a piacere. Far scappare la gente, intendo. Camminare da solo per la città. Essere temuto perché ho al guinzaglio delle belve. È una cosa da pazzi, me ne rendo conto, e vorrei non provare quel briciolo d’adrenalina che ho sentito poco fa lungo la schiena. Invece l’ho provato, il briciolo, e da un lato mi dispiace.
Non ti seguo molto, Max...
"Intendo dire che in questa giungla nessuno si fa scrupolo di calpestare gli altri. Per arrivare prima, o semplicemente per arrivare. Siamo ridotti a fare i furbi, sempre e comunque, a saltare le file, ad evitare gli ostacoli con diavolerie di ogni genere. Ma l’uomo è un codardo, e alla vista di due bestioni che sbavano si ritira subito dalla lotta, adesso hai capito?"
Paolo annuì poco convinto. Il suo migliore amico stava diventando misantropo.
Me li immagino quei due, poco prima di cena. Paolo concentrato davanti alla partita e Max in balcone a prendere un po’ d’aria in attesa della serata che si prospettava. Mi mancano, quei due, di una mancanza che è dolore e rimpianto e senso di colpa.
Fu Max a cucinare: per lui fece due uova in padella e un’insalata di pomodori, a Paolo preparò la pasta col sugo pronto aglio e basilico, il cui odore faceva scappare i gatti, ma a Paolo piaceva tanto. Mangiarono in silenzio, lentamente, mentre il Tg in sottofondo ripeteva più o meno le stesse notizie degli ultimi tempi: attenti alla crisi, c’è la crisi, occhio alla crisi, la crisi è brutta e oddio quanto fa male la crisi, poi c’erano le ricette del governo per sconfiggere la crisi e tutti ripetevano per il bene del paese
, poi c’era la cronaca