Io, il comunista, il terrone e poche ore di ospedale
Di Valter Bosti
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Anteprima del libro
Io, il comunista, il terrone e poche ore di ospedale - Valter Bosti
Valter Bosti
Io, il comunista, il terrone e poche ore di ospedale
V. Bosti
Io,
il comunista,
il terrone
e poche ore
di ospedale
E’ la quarta volta in una settimana che mi esce di sede il ginocchio; l’ultima volta m’è uscito mentre mi chinavo a raccogliere un foglio di carta cadutomi dalla scrivania.
Mi sono detto: vado subito, insisto, sbraito, urlo così capiranno…. Il mio cruccio è che mi dimettano ancora con un bloccaggio al ginocchio senza approfondire lo stato del mio menisco e siccome è il secondo menisco, una certa esperienza l’ho.
Il primo menisco me l’hanno trovato in frantumi e hanno sottolineato che avrei dovuto svegliarmi prima; memore di ciò, quando il medico del pronto soccorso ha posato l’occhio sul mio ginocchio destro, ho cacciato un urlo sovrumano tanto che l’infermiera è accorsa temendo il peggio.
Io credo non abbia guardato me, io credo abbia guardato il medico e l’indiffferenza del medico ha stagliato le movenze dell’infermiera; tant’è vero che io potevo tranquillamente rotolare sotto il lettino senza il ben che minimo accenno di premura da parte della stessa.
Il medico se ne stava davanti ad un gigantesco scaldatoast farcito di un abbondante pozione di gesso, lo avrebbe riscaldato e modellato sul mio ginocchio se io, previdentemente, non avessi ricacciato un altro urlo che ha subito raggiunto le ormai consunte forze del personale medico.
Che cos’ha da starnazzare?
Rispondo inarcandomi e girando il collo verso il muro alle mie spalle, stranamente vuoto e privo di accessori ad uso degli scheletri; di solito ci mettono qualche manifesto inneggiante alla salute e a quanto fa bene la cicoria ricca di calcio con consigli utili all’eventuale fratturato; gli offro la faccia sofferente.
"Va bene, va bene mandi qualcuno dei suoi a prendere gli oggetti personali,la ricoveriamo adesso, subito… Conciato così com’è domani stesso le faremo la risonanza magnetica e poi decideremo…
Cos’è la quarta volta questa?
Sì, se decide di farmi il bloccaggio, sarebbe il quarto… Sono stufo e…
Sì, si’… Ho capito, me l’ha già detto
S’è scocciato il personale medico. E chi se ne frega… lo guardo, ha l’aria di possedere la barca e solcare le bufere del lago di Lecco con tanto di fuoristrada e peli neri nelle nocche delle mani; bisogna dire che è tardi, è sera son quasi le ventidue, forse a quest’ora termina il suo turno.
L’infermiera ha i capelli crespi, crespi fin dalla fronte e mano a mano che s’inerpicano nell’aria qualcuno diventa bianco qualcun altro cade e cade sopra le orecchie conciate da orecchini che non c’entrano niente con la faccia e sembrano utensili per fissare le tende a pinza. In compenso dev’essere maestra nel preparare le melanzane sott’olio per un marito pugliese, uno di quei mariti tenuti a bada con la cucina del proprio paese. Il medico e l’infermiera hanno tutt’e due una raffinata capacità di non guardarsi, non si guardano neanche per sbaglio. Il medico si è messo a scrivere e fa ballare il piede destro, l’infermiera è andata via decisa, evidentemente c’è del consueto; qualcosa mi dice che lo fanno e rifanno più volte al giorno.
Sono indeciso se cacciare un altro urlo mentre tento di scendere da ‘sta branda alta centoventi centimetri; l’han fatta comoda per il personale medico, il paziente può anche fracassarsi a terra.
Decido di rimanere appollaiato e di risucchiare aria tra i denti sottolineando le frequenti fitte.
C’è da dire che effettivamente non ho dolore, ho imparato a gestire il ginocchio, basta lasciarlo molle, non tenderlo e se qualche movimento è faticoso è sufficiente attendere un attimo e adoprarsi per non muoverlo. Un po’ di mestiere!
Sa qualcosa dei suoi legamenti?
Mi coglie impreparato, conosco tutto sui menischi Bah! Sa, il dolore pervade il ginocchio…
Tace e scrive… Sono almeno dieci minuti che sta scrivendo e mi viene il sacro desiderio di tirarmi su i pantaloni.
Dottore… Scusi dottore… mi… mi… rivesto?
Scrive
Ma che ha da scrivere?!
Sento delle voci nel corridoio e una certa ansia frenetica atta a coprire le mie parti intime mi perviene da voci femminili. Da quando c’è ‘sta storia del menisco, non gioco più a pallone e le mie gambe son divenute gambette magre e bianche e verso le caviglie anche un po’ spelacchiate, non sono certo sessualmente presentabile al folto pubblico. Cosa faccio? Mi tiro su i pantaloni, me li tiro su da seduto, cioè non scendo, resto sulla brandina però con i pantaloni a posto.
Cosa fa?... Aspetti
Ma come ha fatto a vedermi? Forse legge i fruscii o forse i pazienti fanno tutti le stesse cose; fortuna che ho i boxer neri indossati per le grandi occasioni e metto i gomiti a reggere le spalle dandomi una certa aria non certo da moribondo.
E scrive.
E tace.
E’ la prima volta che viene qui?
Sì, in questo pronto soccorso sì
Il vociare si avvicina e si abbassa timoroso… Eccolo è arrivato… Ha quattro cinque chili di capelli con vistosi colpi di sole e una frangia di saggina.
Permesso…permesso?... Scusi dottore…
Signora che c’è?! Attenda fuori signora, aspetti…. Non c’è l’infermiera?
Ma quanto mi ruga farmi vedere in mutande! Eppure al mare… Cerco di consolarmi con il pensiero di spiagge affollate da gente adatta ai pronto soccorso
Ma perchè non mettono una luce rossa, ma perchè non chiudono la porta?
Penso all’infermiera, dove cavolo è andata, si sarà persa nei meandri o starà fumando una sigaretta in corridoi sotterranei dove ci sono i carrelli della biancheria sporca e negli angoli letti sfasciati accatastati con sopra polvere nera e sul soffitto gli immancabili tubi e porte dove è proibito entrare.
Ha l’assicurazione lei?
Sì ho una assicurazione, però non credo copra questi casi, è un’assicurazione sulla vita e sull’invalidità permanente.
Tace.
Ma che gliene frega della mia assicurazione?!
Ha smesso di far ballare il piede e, sempre senza guardarmi, si alza a recuperare la radiografia fattami nel tardo pomeriggio dopo più di tre ore di attesa.
E si rimette a scrivere…
Comincio a stufarmi e l’idea di prendermi il ginocchio e andarmene mi arride; sto pensando come compiere la fuga, quando una forte botta sulla porta semiaperta mi fa sobbalzare.
E che è? E’ l’infermiera di prima… ha fatto irruzione nella sala medica con una carrozzella da disabile.
Ecco prenda le sue scarpe e anche la giacca… Dov’è la sua giacca?... Si rimetta I pantaloni!
Le sputerei in faccia se non pensassi che mi ritornerebbe indietro per via di quella faccia di gomma, anzi di para perchè ne ha il colore stesso… Forse è un avanzo di abbronzatura o forse è l’espressione gommosa, inacidita da umili mansioni indi l’ora le giustifica una certa arroganza.
Mi inserisco le gambe (che giudico subito snelle per consolarmi) nelle brache cercando contemporaneamente di infilarmi le scarpe, cosa che compio con una certa eleganza. Aspetta, aspetta… C’è il medico che mi guarda… Indi caccio un urletto quanto basta per dar adito a pensare ad un forte dolore trattenuto da un uomo pieno di coraggio.
Dottore, dove lo porto?
Il dottore non risponde, sta rileggendo il suo componimento, l’infermiera si stizzisce: si sieda qui!
E’ un ordine perentorio ed io ubbidisco, oramai s’è innescata una situazione e la devo vivere per forza.
Tiri su gli appoggiapiedi, senò come fa a sedersi?
Provo un certo schifo, fuori nel corridoio non c’è nessuno, ci sono degli avvisi appesi ai muri con scritto che il sindacato di base inneggia alla liberazione dalle zanzare e prega di intervenire numerosi.
Passiamo il solito squallido corridoio e ci infiliamo in un atrio con mattoni a vista e scalinata di marmo. L’infermiera guida con perizia e parla ad una collega uguale a lei, si differenzia dagli zoccoli consunti; quest’ultima attende l’ascensore con un fascio di cartellette in mano, negli occhi le rate della macchina nuova e forse una frittata con i pomodori pelati che tanto le piaceva da bambina… ha la pancia.
C’è una piccola discesa che va in un cortile-giardino dotato anche di fontana priva di acqua. Son tentato di alzarmi e sto per dire all’infermiera di sedersi lei che spingo io, non lo faccio ma mi trattengo a fatica. Passiamo sul marciapiede, è buio e anche una piallata di freddo mi lavora la faccia… Spero non si vada di lì… C’è la salita… Naturale… Come fa costei con gli zoccoli?
Signora scusi, scendo e vado a piedi
Non se ne parla neanche, stia seduto lei… Stia fermo… Non si agiti… Non sa lei quante volte l’ho fatta sta salita? Eh? Lo sa? Lo sa che l’ho fatta anche con la neve?... Adesso aspetti che prendo la rincorsa.
Mi vedo arrivare in faccia la porta sita in fondo alla salita, d’istinto indietreggio con i piedi e stavolta la fitta la sento.
Sbatte la carrozzella contro la porta e viene aperta, anzi spalancata; roba che se c’è qualcuno, lo investe.
Adesso attenda qui che vado dalla caposala
L’ambiente è un lungo corridoio, roba di 30-40 anni fa, tenuta in decoro, lavata e ammodernata di recente, recenti sono le canaline quadrate e recenti sono le maniglie antipanico inserite nelle porte lasciando i maniglioni originali in ottone.
Non c’è nessuno, a quest’ora gli ammalati sono sul piede del sonno, ecco lì qualcuno si muove…
C’è un pile viola, una donna viola passa in un corridoio laterale… Ha i capelli sporchi, si vedono le striature di unto sotto la luce al neon, poi scompare in una stanza. Capisco che è donna; capisco l’età, non distinguo la forma del corpo… solo quel vistoso pile viola.
Cè qualcuno dietro lo stipite della seconda porta e mi sta guardando; starà pensando di me che sono ancora giovane e già in carrozzella, mi viene l’impulso di alzarmi perchè tutto sommato sto bene, solo un piccolo ritocco al ginocchio; i miei organi sono quasi tutti nuovi, questo pensiero mi fa rimanere sulla soglia della mia situazione come uno che ha il raffreddore in mezzo ai tubercolotici… Si capisce? Oh! Che cavolo ha da sbirciare?
Ce l’ha il pigiama?
Ha brancato la carrozzella con forza e con forza spinge, è lei, la mia accompagnatrice.
Dovrebbe portarmelo mia moglie, dovrebbe arrivare… E come fa a rintracciarmi?
Se non ha il pigiama devo andare a prenderle una camicia, un camicione…
Non riesce a registrar due domande per volta.Come fa a ritrovarmi, come fanno a sapere dove sono?
No, prima l’acconpagno al letto, lo alletto e poi andrò a cercare la camicia
Guardo la mia accompagnatrice e cerco di capire se il verbo allettare significa depositare in una branda ma lascio correre, ha la faccia di una a cui stanno capitando una serie di contrattempi tutti fuori dalla sua impegnativa oraria e non è retribuita, mi spiace di essere un contrattempo.
Signora scusi, se deve andare mi arrangio da solo …
Ma cosa vuole fare lei da solo! Non sa nemmeno in che stanza, in che letto mettersi… Stia buono, stia giù, si sieda bene!
Passiamo davanti alla stanza del guardone, ci sono dei grossi cumuli sopra le brande, due contengono degli scatoloni quadrati… Che corpi sono?! Il guardone non c’è più; ci sono sei letti e ogni letto ha una luce rivolta al soffitto.
Adesso ho capito! A sinistra del corridoio ci sono gli uomini mentre a destra le donne, infatti su questa stanza a destra davanti alla televisione accesa, c’è una signora molto avanti negli anni che, sentendo cigolare la carrozzella, tenta di girare il capo; quando esco dal suo campo visivo è circa a metà strada… Scorgo, però, con piacere un largo finestrone dal quale giganteggia un enorme albero, albero d’ospedale con fissità incombente.
Ma dove mi sta portando? Superato il bagno sito sulla destra, la signora mi piega verso destra, dove sono ospitate le donne.
Scusi…Scusi…Non si va a sinistra?
Non mi risponde ed io comincio ad immaginarmi in uno stanzone con anziane sdentate
ma ecco qui, è in piega a destra ma per girare bene verso il lato uomini.
Mi trovo dinanzi ad una porta chiusa e ho un attimo di terrore perchè ha tutta l’intenzione di abbatterla.
Si Fermi!
Guardi che sono stanca ma non stupida!
Sono con le pedivelle contro l’uscio e attende, cosa succede?
Stia qui un attimo
Ma dove cavolo va?
Si allontana, entra nel bagno e eccola
Tenga
Scusi signora, scusi infermiera ma io non ho bisogno del pappagallo, mingo da solo
Tenga
Mi allunga un orinario in plastica perdipiù bagnato
Che schifo!
Reggo per la maniglia lo strumento e sto attento che non mi goccioli addosso, contemporaneamente spalanca la porta e io entro trionfante con la coppa tenuta in gran pompa.
Signora mi scusi, le ripeto, non ho bisogno di questo strumento
Conto sei brande, quattro vuote, due abitate; l’unico sveglio sta leggendo ed ha una faccia tirata col matterello per il largo, mi guarda senza far pieghe, ha l’aria di aver votato comunista tutta la vita e di aver fatto le prime lotte operaie quando si lottava di mattino presto e poi si andava a lavorare; diventa tutto rosso… l’infermiera e io sul cocchio ci fermiamo e lo guardiamo stupiti: cosa fa? Scoppia?
Rimpicciolisce la bocca fino a farla diventare come una ciliegia e poi, dopo attimi interminabili, esplode con un colpo di tosse sussultoria proveniente non dalla gola ma dal frastuono degli oggetti sparpagliati dentro la testa e questi ultimi strisciano tra di loro unti di catarro.
E’ a strascico, non è a botto, è a strascico con piccoli colpi di assestamento terminali. Dopo essersi così presentato, sorride a crepapelle e mi lancia un Ciao
di benvenuto.
Finalmente qualcosa di umano!
Sorrido anch’io e rispondo al ciao, sono contento di vederlo, speriamo non russi.
"Il suo letto è questo qui, vicino alla finestra, metta giù