Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Cordillera e nuove storie
Cordillera e nuove storie
Cordillera e nuove storie
E-book94 pagine1 ora

Cordillera e nuove storie

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Che ci fa un italiano, di Pompei, tra le montagne della Bolivia insieme a Che Guevara?
Una storia mai esistita, come la foto di copertina, che ritrae Che Guevara che suona la chitarra con John Lennon.
incontro mai avvenuto, ma tra le più condivise ed amate del web, così come la storia raccontata era forse nei sogni e negli ideali di una generazione ormai passata.
È solo uno dei nuovi racconti, o acquarelli, che compongono la presente raccolta e che rappresenta la continuazione ideale della precedente "L'ultima sigaretta e altri racconti".
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2015
ISBN9788892527911
Cordillera e nuove storie

Correlato a Cordillera e nuove storie

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Cordillera e nuove storie

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Cordillera e nuove storie - Pier Luigi Camagni

    stesso

    Nota dell’autore

    I racconti contenuti in questa raccolta sono frutto di fantasia e, come tali, anche i fatti e personaggi descritti.

    Ogni riferimento a persone o accadimenti reali è puramente casuale, né i racconti, come per Teodora o Cordillera , hanno alcuna pretesa di verità storica.

    Altri, poi, come Da grande farò il benzinaio. Oppure il Papa , trovano nella storia stessa l’evidenza di come siano solo storie nate dall’immaginazione di chi scrive.

    Castelli di carte

    C’è chi i castelli se li costruisce nella mente, io li costruisco con le carte.

    «Giulio, vieni che facciamo un castello con le carte».

    Era il richiamo con cui, mia madre, mi sollecitava nelle giornate di pioggia, al mare. Un modo per distrarmi.

    Due carte messe ad angolo, a sostenersi tra di loro, poi, altre due, a fianco, una sopra, tra lo spazio in mezzo, altre sui lati, poi, ancora sopra. E così, di seguito.

    Mi affascinavano talmente tanto quelle costruzioni che, tornato il sole, restavo comunque lì, dimenticando il mare e la spiaggia.

    «Chi ci vive nel castello?», domandavo a mia madre.

    Mi sembrava impossibile che in quelle bellissime architetture, che a me sembravano castelli veri, non vivesse una complessa umanità, quantunque lillipuziana, fatta di dame e cavalieri, principesse e draghi.

    Mi avvicinavo con gli occhi e ci spiavo dentro, alla loro ricerca, fino a che un soffio di mia madre distruggeva tutto.

    Lei rideva, io la guardavo stupito, poi, ridevo insieme con lei.

    Nel tempo, negli anni, i castelli diventavano sempre più grandi, mi ero specializzato.

    Prima, un mazzo da quaranta, poi, due, poi, un mazzo da ramino, poi uno ancora…

    Mia madre mi guardava e mi diceva:

    «Giulio, sei matto», ma lo diceva con affetto, mettendo in quel " matto " tutto l’amore che solo una madre sa dare.

    Anche ai tempi del liceo, i castelli di carte rimanevano la mia passione segreta. Ma neppure tanto.

    Mi ricordo un giorno in cui alcuni compagni vennero da me. Sulla scrivania, in camera mia, ce n’era uno discretamente grande, a cui avevo lavorato per più di una settimana.

    Vedendolo, sgranarono gli occhi.

    Marco mi disse:

    «Ma sei scemo?!? Giochi con le carte come i bambini?».

    Io li guardai e feci spallucce.

    Sono passati molti anni, mi sono laureato. Ho fatto architettura. Che ci fosse un nesso in questa mia scelta?

    Ma, i castelli, li faccio ancora.

    Anna l’ho conosciuta due anni fa, eravamo a cena da comuni amici.

    Dopo cena, alcuni chiacchieravano seduti sui divani, altri erano in terrazza, a discutere della notte, e altri ancora, sparecchiata la tavola, giocavano a carte.

    La partita era durata poco, non c’era molto interesse, e così, Anna ed io, ci siamo ritrovati fianco a fianco, a giocare con le carte. Facendo castelli.

    «Anche tu ti diverti a far castelli con le carte? Ma non mi dire!».

    «Non è che lo faccia spesso, ma mi ricorda quando ero piccola. Sai, questa sera sono venuta perché sono amica di Stefania – era la proprietaria di casa – ma, cena a parte, qui adesso è una noia».

    Le ho improvvisato una piccola costruzione, ma molto complessa.

    «Ma dai!!! Sei bravissimo!!! Come fai?».

    E mi ha illuminato con un sorriso.

    Quattro sere dopo, ci rivedevamo a cena. Io e lei. Soli.

    Anna era molto bella, ma, quello che mi attirava di più, era il suo entusiasmarsi alle cose.

    Passammo la serata a parlare di architettura, di cinema, di vini, le nostre passioni.

    Al termine, la riaccompagnai a casa, tenendola sottobraccio, romanticamente, quasi fossimo già amanti.

    E, amanti, lo diventammo. Solo qualche settimana più tardi.

    Meglio, lo diventai io, perché, stranamente, non vidi in Anna il solito entusiasmo. La cosa mi stupì.

    Se ti entusiasmi per una costruzione con le carte, o un discorso su Le Corbusier o su Il gusto del sakè , il film di Yasujirō Ozu, come fai a non porre entusiasmo nell’amore, che già di per sé dovrebbe essere fuoco, passione, adrenalina?

    Era la domanda che mi ponevo il giorno successivo alla mia dichiarazione, mentre lavoravo al più grande castello di carte che avessi mai costruito: trenta mazzi.

    A dir la verità, Anna era stata onesta, e me lo aveva detto da subito.

    «Giulio, tu mi piaci, sei dolce, premuroso ed io sto bene con te, ma sappi che non ti amerò mai come mi ami tu.

    «Io non credo più all’amore. Anzi, forse non ci ho mai creduto».

    Avevo fatto finta di nulla, di più, avevo elaborato teorie sull’esistenza di diversi modi di amare.

    Quella sera, rimasto solo, avevo sbagliato a mettere un paio di carte e il castello era crollato.

    «Cretino! – mi sono detto – Devi fare più attenzione, hai buttato via settimane di lavoro».

    I castelli di carte, per me, sono come il clarinetto per Dylan Dog . Nei momenti di tensione, o di vuoto, mi metto lì e costruisco.

    Costruisco e penso. Oppure, non penso a nulla, il risultato è il medesimo, avere accesso al più profondo di me stesso.

    Con Anna, mi sono buttato a capofitto, pensando che il mio amore bastasse per tutti e due, oppure che le cose, con il tempo, sarebbero cambiate e ci sarebbe stato da parte di entrambi.

    In alcuni momenti, anzi, ho pensato che fosse proprio così.

    Ero attento, presente, mi facevo carico dei problemi e dei desideri, anche a letto cercavo di dare ciò che non avevo dato mai e a nessuna.

    Per onestà, devo dire che, in parte, ne ero ricambiato.

    Il mio castello di carte

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1