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I Colori di Anna
I Colori di Anna
I Colori di Anna
E-book362 pagine5 ore

I Colori di Anna

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Info su questo ebook

I COLORI DI ANNA
di Roberta Adamo

Storia della crescita artistica di Anna, pittrice esordiente affetta da un’anomalia della vista, che le impedisce di percepire i colori e le permette di creare dei colori solo suoi, unici.


Anna è una giovane artista affetta da una rara forma di anomalia della vista che le impedisce di percepire i colori, costringendola a vivere in un mondo in bianco e nero. La ragazza sogna di diventare una pittrice affermata. Per realizzare il suo sogno vola a New York, dove incontra Jamal Davis, brillante avvocato afroamericano, ambizioso rampollo politico del partito democratico della città, dedito alla difesa dei diritti della sua gente. Un incubo inquietante, che nasconde una difficile verità, minaccia la stabilità di Anna. Riuscirà Anna a realizzare il suo sogno? Scoprirà la verità sul suo passato doloroso? Anna e Jamal saranno in grado di superare le barriere che li dividono?
LinguaItaliano
Editoreadams
Data di uscita17 gen 2018
ISBN9788827553374
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    Anteprima del libro

    I Colori di Anna - Roberta Adamo

    I Colori di Anna

    Prima Edizione Gennaio 2018

    Self-publishing

    Autore Roberta Adamo

    I Colori di Anna

    Romanzo

    Proprietà letteraria e artistica riservata. Tutti i diritti sono riservati.

    È vietata la riproduzione dei contenuti.

    Copertina a cura di Massimiliano Da Vinci

    Questo libro è un’opera di fantasia.

    Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autrice

    o sono usati in maniera fittizia.

    Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone, reali, viventi o defunte è puramente casuale.

    I Colori di Anna

    Amare significa cambiare, scegliere, donare …

      semplicemente complicato.

    Prologo

    Fuori la mia vita era lenta e piacevole, semplice e serena. La mia era una vita fatta di piatte quotidianità e vantaggiose certezze. Per tutti ero la bella studentessa modello con l’hobby della pittura e tante persone attorno a elargire affetto e carezze… ma dentro…. dentro mi sentivo urlare, sentivo il mio dolore rinchiuso in una gabbia dorata. Volevo prendere in mano la mia vita, ma ero troppo arrendevole per farlo. Avevo l’impressione di interpretare un ruolo, quello che mi ero dipinto addosso, il ruolo di ciò che pensavo di dover essere e di voler essere.

    Mi sentivo prigioniera di un passato che non volevo ricordare, di una verità che mi faceva paura, ma che pure avevo dentro di me, poi un viaggio, un uomo, un amore travolgente, mi ha sconvolto l’esistenza cambiandomi per sempre! Ho imparato ad essere me stessa: una ragazza senza certezze ma con tante possibilità, una donna che …

    I CAPITOLO

    Il Viola

    La luce del sole entrava dalla finestra attraverso una tenda leggera. I fiori, freschi tulipani viola, posti al centro del tavolo, in un vaso di cristallo, sembravano emergere da un quadro di un pittore realista. Quel vaso di cristallo non era molto alto, cosicché le teste dei tulipani ricadevano elegantemente verso la superficie del tavolo, sfiorandolo appena. Tutto intorno a lei era perfetto, immerso in un’atmosfera calda e piacevole: il soffice divano con un paio di riviste appoggiate sopra, l’enorme poltrona accanto al divano, che sarebbe stata appropriata per un maxi schermo, se quest’ultimo non fosse bandito da una casa come quella. E poi c’erano la libreria, traboccante di libri, il tappeto persiano e il grande camino stile liberty, attorno al quale la famiglia si riuniva, spesso, dopo cena, nelle fredde sere d’inverno, per chiacchierare, bere una tisana, farsi una risata, leggere un libro. In un angolo del salotto alcuni quadri terminati, appoggiati per terra e addossati contro il muro, attendevano oziosamente che qualcuno li notasse.

    L’ambiente era accogliente ma un pizzico disordinato, era quel tipo di disordine, che permette di trovare una cosa quando la si cerca e che mette a proprio agio le persone come null’altro sa fare. Era quel genere di disordine, quasi ricercato, che fa sentire a casa, perché crea l’atmosfera giusta, quella che fa star bene chi ci vive e chi ci entra.

    Una brezza leggera entrava dalla finestra socchiusa, facendo ondulare la tenda di seta. Anna era immersa nel suo mondo, fatto di forme, spazi, linee, sensazioni che la rendevano beatamente estranea alla realtà. Dipingeva, in una mano reggeva la tavolozza dei colori, che lei non poteva vedere, mentre l’altra muoveva con decisione il suo pennello, che, carico di colore viola, si agitava maligno all’altezza del cielo. I lunghi e folti capelli biondo cenere erano raccolti in una strana rete di uncinetto, da cui fuoriusciva qualche ciocca impertinente.

    È tardi, pensò, mi staranno aspettando, ma il suo sguardo, perso nel viola di quel cielo, non riusciva a distogliersi dalla tela. Era come se ogni tocco del suo pennello volesse significare un’emozione precisa, che non aveva bisogno di essere recepita dal cervello, ma scivolasse istintivamente sulla tela. Il pennello era la sua penna per raccontare quelle emozioni, che non avrebbe saputo esprimere altrimenti.

    Il dipinto raffigurava un cielo cupo e un mare in tempesta, nel momento in cui un’onda spaventosa si stava per sollevare dalle acque, tutto sembrava sfiorato da un triste raggio di sole. Le onde, ribelli e capricciose, avevano tutta l’intenzione di uscire dalla tela mentre si arricciavano l’una nell’altra, formando dei tratti schiumosi. Una piccola barca, con a bordo tre figure dai contorni indefiniti, se ne stava a dispiegare la sua vela, stranamente non in mare, ma nel cielo. Mare e cielo si confondevano e fondevano l’uno nell’altro, creando come un vortice attraente per l’occhio che è alla ricerca di qualcosa. Nulla nel dipinto sembrava definitivo, il suo modo di trattare il colore non aveva nessuna logica, non seguiva nessuno schema razionalistico, ma non era neppure una scelta casuale, bensì istintiva. L’elemento centrale della stravagante raffigurazione era, appunto, la centralità di ogni suo elemento: il mare, il cielo, il colore, la barca a vela, il vento, come se ogni cosa rappresentasse un tassello di un significato più grande.

    Dipingeva di continuo anche se critici, pubblico ed esperti del settore, che, di tanto in tanto, le prestavano un minimo di pietoso interesse, ben poco riuscivano a cogliere dei suoi dipinti… ritenuti: «strani e sconnessi, irreali e indecifrabili».

    «… non saprei, ritengo che l’insistenza tematica nella ricerca grafica e cromatica non abbia sortito l’essenziale effetto che è proprio della speculazione filosofica, lei dipinge qualcosa di incomprensibile e per tale ragione priva della facoltà di emozionare, in quanto il colore, soprattutto, non armonizza con gli altri aspetti dell’arcana raffigurazione….». In modo simile commentavano alcuni adepti, rispondendo alle sue richieste di conferme e alle domande dei suoi amici, i quali desideravano tanto vedere uno dei suoi quadri esposto in una mostra, o preso in considerazione. Puntualmente, però, giornalisti e critici d’arte sceglievano sempre un altro giovane artista emergente da lanciare.

    Il tempo era passato come un soffio. Era davvero, davvero tardi. Aveva promesso a Sofia che l’avrebbe accompagnata, insieme con Matteo, a scegliere l’abito che le sarebbe servito per una serata speciale. Erano già le undici passate.

    Gli ho detto che ci saremmo incontrati al Tolesco alle undici o alle undici e mezzo? Non me lo ricordo più!, pensò. Mentre si insinuava nella sua testa la certezza che l’appuntamento fosse alle undici, si decise a cambiarsi frettolosamente per uscire. Andò in bagno, si lavò per bene le mani, sporche di colore, si guardò allo specchio. Il solito sottile dolore di vivere le attraversò il cuore e la pancia come un flash atteso. Si mise un po’ di fondotinta sul viso, il lucido sulle labbra, via la tuta, via la t-shirt.

    Cosa mi metto?, si chiese, jeans di sicuro, pensò, per essere più comoda quando Sofia mi costringerà a fare il giro di tutti i negozi della città alla ricerca del suo vestito! Infilò la prima maglia di cotone che riuscì a trovare, prese giacca e borsa, indossò gli indispensabili occhiali da sole scuri e uscì di casa.

    Fortunatamente il caffè Tolesco era a due passi da casa sua, in effetti era strano che Sofia e Matteo non fossero venuti a citofonare, dato il suo ritardo. Magari avranno incontrato qualcuno dei nostri amici, sperò! Camminando, chiuse gli occhi per un attimo, sollevando la testa in su e lasciando che il sole le toccasse il viso. Arrivata al loro caffè, scorse subito l’amica seduta ad un tavolo insieme al fratello.

    «Eccomi qua!», fece Anna.

    «Sei in ritardo o sbaglio?» le rispose la bella Sofia, con l’aria di chi aveva subìto un terribile affronto, mentre Anna salutava Matteo, baciandolo su una guancia.

    «Mi dispiace, è che… lo sai come sono», rispose, sedendosi prudentemente accanto all’amico.

    «Una gran maleducata, che non riesce mai ad essere puntuale, neanche con i suoi migliori amici?»

    «Avevo dimenticato l’ora del nostro appuntamento e poi, quando avete visto che non arrivavo, perché non siete venuti a citofonare a casa?», chiese lei con un’aria innocentemente colpevole.

    «Ma si certo, perché non abbiamo avuto il riguardo di andare a prendere la nostra artista da casa, nonostante il nostro appuntamento fosse qui per bere piacevolmente e senza fretta un caffè, prima di fare il giro di tutti i negozi di Bari? In fondo dobbiamo avere un po’ di comprensione: l’arte è arte… anche quella di cui nessuno si accorge!», urlò sarcasticamente l’amica.

    «Grazie tante!», urlò a sua volta Anna, rivolgendole uno sguardo inviperito.

    Sofia si avvide subito che, con il suo solito tatto da elefante, l’aveva ferita nel suo punto debole, quindi, dopo qualche istante di silenziosa tensione: «Scusa, Anna… lo sai che apprezzo i tuoi dipinti molto più di quanto non dimostri, è solo che voglio veramente trovare l’abito per questa sera!»

    Anna, prima le rivolse un altro sguardo cattivo, poi però le sorrise.

    «Allora muoviamoci!», disse Matteo.

    Così il giovane trio partì per queste grandi compere, ciarlando allegramente. Tra di loro i litigi duravano non più di cinque minuti e il rancore era un sentimento sconosciuto. Il fatto di vivere costantemente insieme e di condividere nella quotidianità gioie e dolori, vittorie e sconfitte, amori e delusioni aveva reso la loro amicizia forte e salda come una famiglia.

    «Siamo sicuri di voler andare proprio in via Sparano?», chiese ad un certo punto Anna, vedendo che i suoi amici stavano imboccando via Nicolai dirigendosi verso il centro, dove si trovavano i negozi più griffati della città, ma anche quelli più costosi.

    «Sofi, vuoi veramente svenarti e spendere un mucchio di soldi per una cena con un ragazzo che ti piace e di cui tra qualche giorno non ricorderai neanche il nome?», chiese Anna.

    «È vero sorellona, come farai a pagare?», chiese Matteo.

    «Con questa!», rispose Sofia, agitando soddisfatta la carta di credito del padre.

    «Non ci posso credere! Perché a me papà non l’ha mai data?»

    «Perché non sai chiedere!», rispose Sofia, camminando a passo veloce accanto all’amica e al fratello, poi voltandosi verso Anna: «Si, decisamente via Sparano, è una questione importante!»

    Per lei ogni appuntamento rappresentava un evento da ricordare, forse perché riusciva ad innamorarsi ogni giorno, con la stessa leggerezza, con cui il giorno dopo si disinnamorava. Sofia, però, non era affatto la ragazza stupidella e superficiale che amava far credere agli altri, lei era una ventiquattrenne intelligente e determinata, con le idee chiare e la testa sulle spalle… quasi sempre! Il suo asso nella manica era una straordinaria gaiezza nell’affrontare la vita, dall’amore agli esami universitari, dal rapporto con i genitori a quello con gli amici, dalla linea ai piccoli problemi di ogni giorno, la sua era, senza ombra di dubbio, una vita leggera, che molti le invidiavano. Anna amava di lei proprio questa sua capacità di farle vedere il mondo a colori.

    Imboccarono velocemente la strada per il centro.

    «Anna, Giacobini ti ha fatto sapere qualcosa riguardo alla mostra?», chiese Matteo.

    «No, purtroppo no!», rispose lei col broncio, «non nutro grosse speranze, Giacobini ha da poco scoperto il suo nuovo pupillo. Io, quel tipo, proprio non lo sopporto! Tanti paroloni: speculazione filosofica, devianza cromatica, lirismo delle idee… che nascondono una totale mancanza di contenuti, mi sembra come se dietro a tutti i suoi discorsi arzigogolati non ci sia una sola idea! E se qualche idea ci fosse, io non la capirei… e poi dice a me che i miei quadri sono incomprensibili, invece il suo modo di parlare e di scrivere è davvero comprensibilissimo!!!»

    «Stronzissimissmo!!!», esclamò Sofia.

    «Sempre con quest’aria di chi può e vuole farti un favore, ma solo se tu gli sei sufficientemente grato...», continuò Anna.

    «Viscido», ancora Sofia, disgustata.

    «Già, e poi io non chiedo favori, voglio soltanto che qualcuno di competente, mi dica chiaramente se ho qualche chance oppure no.»

    «A me piacciono molto i tuoi quadri!», disse Matteo convinto.

    «Lo so ciccio!», rispose Anna, pensando di essere, in fondo, molto fortunata: aveva la nonna e i suoi amici che le volevano bene e apprezzavano il suo lavoro.

    Si fermarono a guardare la vetrina immensa di Louis Vuitton in via Sparano, commentando gli abiti sui manichini. Il loro sguardo si soffermò su un vestito di seta stampata in varie tonalità di viola acceso e con una scollatura generosa che saltava subito agli occhi, l’abito sembrava fatto apposta per il decolleté di Sofia, che lo osservava con la cupidigia negli occhi!

    «Non starai pensando di entrare, vero?», chiese Anna spaventata.

    «Voglio solo provarlo!», rispose la sciagurata in trance.

    «No, no e poi no!», disse Anna rassegnata, entrando nel negozio mentre l’amica era praticamente già nel camerino a provare l’abito. Matteo e Anna si guardarono intorno: in quel negozio semideserto tutto era lusso ed eleganza, le tre commesse presenti, gli unici esseri umani a far da dame di compagnia ai manichini, li guardavano scetticamente, nella certezza che quei tre nomadi sarebbero usciti dal negozio senza alcuna busta tra le mani: non rientravano esattamente nel target della boutique. Sofia non impiegò molto a venir fuori dal camerino, come una dea viene fuori dalle acque.

    «Sei stupenda», esclamò Anna con un sorriso.

    «Incantevole», proferì Matteo, mentre in piedi vicino alla sorella dava una sbirciata all’etichetta, dove, sotto il marchio Louis Vuitton, c’era stampato il prezzo mozzafiato di soli 2.800 Euro!

    «È un abito che sembra fatto su misura per lei», disse la commessa con un pizzico di invidia, mentre Sofia si guardava estasiata allo specchio: sentiva che con quell’abito la propria autostima poteva raggiungere livelli insperati!

    «Cara, forse dovremmo andare…», fece Anna, che non vedeva l’ora di uscire dall’atelier, «ci pensi su e poi magari torniamo domani a prenderlo». Come no?, si disse, mentre Sofia andava a cambiarsi. Appena fuori, la dea cominciò a lamentarsi per aver dovuto lasciare il suo abito meraviglioso, Anna e Matteo smisero persino di fingere di ascoltarla!

    «Proviamo ad andare in corso Cavour? Sicuramente troverai qualcosa di più abbordabile!», chiese Anna.

    «Ormai niente potrà soddisfarmi.»

    «Non dire sciocchezze, tu staresti bene anche con uno straccio addosso», finse di rincuorarla Anna.

    «Lo so, è solo che ormai io non potrò indossare nient’altro!»

    «Anna, è il tuo telefono, grazie a Dio!», interruppe Matteo irritato.

    «Sarà la nonna», fece Anna, cercando il cellulare nella borsa, «a quest’ora deve aver terminato la sua lezione. Ciao nonna… sono in giro per negozi con Sofia e Matteo. Tu?… Si ora glielo chiedo, ragazzi la nonna chiede se più tardi pranzate da noi, farà la carbonara e non so cos’altro…»

    Matteo e Sofia si guardarono, annuendo.

    «Nonna, dicono di si… Ok a dopo… si certo, si pranza all’una e mezzo. Ciao.»

    I ragazzi si diressero verso Corso Cavour, cambiando, discorso.

    «Con Ilaria?», chiese Anna al suo amico.

    «Con Ilaria niente… non avrò mai il fegato di chiederle di uscire, però mi piace, mi piace tanto!», rispose Matteo, pensando a quella timida ragazza dai capelli castani e dagli occhi grandi che si sedeva accanto a lui a lezione di inglese, di sociolinguistica, di italiano, erano quasi sempre insieme, come una coppia, eppure lui non era mai riuscito ad andare oltre al rapporto di colleghi universitari, per paura di un rifiuto. La stagna situazione era aggravata perché alla tenera timidezza di lui si aggiungeva la altrettanto imbarazzata timidezza di lei.

    «Mi ha anche dato i suoi appunti…», aggiunse lui.

    «Si… perché glieli hai chiesti!», commentò la sorella, spezzando l’idillio del fratello, come sempre.

    «Si siede sempre accanto a me a lezione…», aggiunse il ragazzo.

    «Considerando che arrivi appositamente prima di lei a lezione, tenendole il posto occupato con lo zainetto…», continuò Sofia, con aria ironica.

    «Grazie tante per avermelo ricordato!», rispose Matteo scocciato, «e tu con i tuoi uomini?», chiese, poi, ad Anna.

    «Si dai Anna racconta!», implorò Sofia, che aveva archiviato il discorso Louis Vuitton, perché parlare d’amore le piaceva di più.

    «Non so ragazzi, forse c’è qualcosa che non va in me, sia Oliviero che Marco sono molto carini e intelligenti, ma non riescono a coinvolgermi, eppure vorrei tanto innamorarmi…»

    «Che dici? Non c’è niente che non va in te! Di chi ti dovresti innamorare, di quel viziato, griffato fino alle mutande di Oliviero, o di quel segaiolo di facebook di Marco?», fece Sofia. Anna sorrise tristemente.

    «Una cosa è certa, sono tutti e due presi da te, sono dei tipi giusti e tu prima o poi dovrai prendere una decisione», disse saggiamente Matteo.

    «Nessuno dei due! Decisione presa… contento adesso?», proferì l’imperterrita.

    «Sto aspettando che qualcosa mi faccia cambiare idea...», esclamò Anna.

    «Attesa inutile, mia cara, cambia soggetto e te ne esci prima», continuò ancora Sofia.

    «Sofia, sei insopportabile, guarda che quei due sono innamorati veramente di Anna, e poi… almeno con Marco un tentativo potresti farlo!», cercò di aggiungere Matteo, rivolgendosi all’amica.

    «Insopportabile è invece il tuo inutile tentativo di raccomandare il tuo amico scemo!», urlò Sofia, riferendosi al rapporto di amicizia che legava il fratello a Marco, cotto di Anna.

    «Tu, Marco neanche lo conosci!»

    «E menomale!!!» I due stavano cominciando a litigare, quando la Provvidenza volle farli arrivare al negozio giusto, far trovare l’abito giusto, un tubino nero sexy ed elegante dall’esiguo costo di 114,99 euro e farli tornare a casa, al momento giusto per la carbonara di nonna Emilia.

    Entrati in casa la nonna li accolse con un sorriso e, mentre Matteo si stravaccava sul divano stanco morto, come sempre, le ragazze mostrarono l’abito alla nonna che si affaccendava tra i fornelli.

    «Forza ragazzi, ora apparecchiate, sto giusto mantecando la pasta!», intimò la nonna con la sua fantastica autorevolezza.

    La signora Emilia Sidiliani era una settantenne bassina e paffutella dal fare disinvolto e accattivante, che non aveva nessuna voglia di invecchiare, era, anzi, attaccata appassionatamente alla vita, non era bella e non lo era mai stata, ma si era sempre sentita tale, amava truccarsi, imbellettarsi, vestirsi bene, non le mancava mai al collo una preziosa collana di perle, sulle labbra il suo inseparabile rossetto rosso e… bionda come Marylin, due- venti - trenta gocce di chanel nr. 5! Spesso e volentieri il trucco e soprattutto il rossetto erano leggermente fuori contorno, in quanto la guai a chiamarla anziana signora non ci vedeva ormai tanto bene. Sofia e Matteo la adoravano, Anna la amava profondamente, ridendo delle sue piccole follie che la rendevano unica, per lei era stata madre, amica, confidente, punto di riferimento. Era docente universitaria presso la facoltà di Lingue e Letterature Straniere Moderne di Bari, nonché da poco nominata direttrice del dipartimento di Inglese, era temuta da colleghi e studenti dai quali non a caso era definita come la belva. Era, in effetti, un’insegnante piuttosto dura e fuori dagli schemi, come fuori dagli schemi era il suo divertente modo di catalogare gli studenti. C’erano, per esempio i furbi, con la scusa sempre pronta e l’alibi plausibile, oppure quelli che lei amava definire le zucche vuote all’interno delle quali nessuna parola aveva senso e soprattutto nessun senso riusciva a penetrare quell’enorme punto esclamativo che le separava dal mondo! Ma, più di tutti, non tollerava i legnosissimi/pallosissimi ignavi, dalle potenzialità tragicamente sprecate in noiose lamentele per il troppo studio, per gli esami troppo difficili, per i programmi troppo lunghi. Per finire, c’erano i tradizionali secchioni e i pochissimi geniali. I primi non erano apprezzati, ma, tutto sommato, non le dispiacevano, in quanto, benché noiosi e pedanti, studiavano con sollecitudine; i secondi, invece, erano da lei stimati profondamente, perché sapevano ancora stupirla, nonostante i suoi quarant’anni di onorato servizio universitario. I geniali erano quegli studenti dall’intuito giovane e dalle menti fresche, che avevano la capacità di non essere mai scontati, di trovare il nuovo nel vecchio e dargli voce in modo affascinante e creativo. In quest’ultima categoria rientrava Anna, e non perché fosse sua nipote, in quanto la categoria de i raccomandati non esisteva per nonna Emilia, ma perché Anna aveva la genialità di trattare il testo letterario e l’arte in genere in modo rivoluzionario, tirandone fuori riflessioni di grande originalità.

    In pochi secondi la tavola fu apparecchiata a puntino, con piatti, sottopiatti, tovaglioli, posate e bicchieri di cristallo, che, in una famiglia normale si usano solo durante la cena di Natale. La nonna mangiava solo in questo modo, non avendo la minima idea di come fosse fatto un piatto o un bicchiere in plastica.

    «Ho una fame!» disse Matteo, sedendosi a tavola per primo.

    «Sai che novità!» ridacchiò la nonna, mentre anche le ragazze si sedevano, «Enjoy your meal!», aggiunse, poi tutti cominciarono a mangiare con appetito, tutti tranne Anna.

    «Nonna è ottima!» disse Sofia, dopo qualche boccone.

    «Il trucco sta nell’usare non pancetta ma guanciale e poi le uova, meglio fresche, vanno sbattute insieme al pecorino e al pepe prima di amalgamare tutto con la pasta sul fuoco… si è vero, è proprio buona, o sarà che a quest’ora sarebbe buona qualsiasi cosa!»

    «Certo nonna… per una buona forchetta come te!», aggiunse Anna per stuzzicarla, mentre lei coglieva la battuta al volo.

    «Guardate la mia pelle miei cari», fece la nonna, toccandosi il viso, «alla veneranda età di settantuno anni, posso dire di non avere una ruga sul viso?»

    «Si, certo», rispose Sofia.

    «Non una!» aggiunse Matteo.

    «Questa pelle non è solo un dono del cielo, ma è anche il frutto dei miei sforzi, perché mangiando con gusto e ingrassando quel poco che basta per arrotondare sinuosamente le curve si ottiene quest’effetto, che amo definire lifting naturale della pelle che voi, mondo dei magri, sognate!», disse la nonna, alzandosi in piedi e portandosi le mani ai fianchi per far vedere quello che, in condizioni normali, si conosce come punto vita, ma, in quel caso le tradizionali etichette lasciavano il posto alla sexy corpulenza della donna.

    Risero tutti, le loro risate erano, in effetti, contagiose, la nonna, poi, era uno spasso, soprattutto quando, con autoironia, metteva in mostra le sue forme.

    «Con Ilaria?», chiese la nonna a Matteo, cambiando discorso.

    «Non va nonna, non va… certo che se Ilaria vedesse che ho preso trenta all’esame di Inglese, cadrebbe subito ai miei piedi!», esclamò il ragazzo, con un sorriso accattivante.

    «Si è una buona idea, ecco perché dovresti anche studiare di tanto in tanto!», rispose la nonna.

    «Ma se la nonna più dolce del mondo mettesse una buona parola con la Prof. Inguscio, sua grande amica…»

    «Mi hai convinto, faccio subito una telefonata a Giacinta per suggerirle di assegnarti un compito extra, così sarai pronto per l’esame!»

    «Mi privo malvolentieri del tuo aiuto, ci tengo a far tutto da solo!», rispose lui, abbassando lo sguardo sul piatto.

    «Matteo non ha il coraggio di farsi avanti…», spiegò Anna, giocherellando con la forchetta, senza mangiare nulla.

    «É un po’ tonto, nonna», aggiunse Sofia.

    «Voi non dovete fargli pressioni», disse la nonna, puntando la forchetta contro ciascuna delle ragazze, «se non si fa avanti vorrà dire che non è ancora arrivato il momento giusto, oppure che Ilaria non gli piace veramente: vedremo. Io trovo che proprio questo tuo fare timido e reticente sia parte del tuo sex appeal, Matteo, oltre ai tuoi capelli arruffati, che oggi alle ragazze piacciono tanto!»

    «Sono proprio messo male, sto parlando dei miei problemi sentimentali con due ragazze e con la nonna di 70’anni, senza offese nonna», si disse Matteo tenendosi la testa tra le mani.

    «Su ciccio, noi siamo le uniche donne al mondo che ti vogliono bene veramente!», aggiunse Anna, accarezzandogli i capelli.

    «Grazie Annina, se mi serviva il colpo di grazia, tu me lo hai dato…»

    «Anna… tu non hai mangiato nulla!», disse la nonna, osservando con aria delusa il piatto della nipote, praticamente intatto, «non è di tuo gradimento?»

    «Ho lo stomaco chiuso, non so perché! E pensare che fino ad un’ora fa morivo di fame!», rispose la ragazza. «Mangerò il secondo», si vide costretta ad aggiungere quando la nonna le sembrò assumere un’aria preoccupata.

    «Ma certo… quest’ultimo boccone di pasta merita un’altra spolverata di pepe», disse la nonna dirigendosi verso la credenza, mentre Sofia diceva sottovoce ad Anna: «La nonna mi fa impazzire, e poi con lei puoi parlare di tutto…»

    «Insomma… non proprio di tutto!», implorò Anna.

    «Sta’ a vedere», disse Sofia, vedendo la nonna che si rimetteva a tavola,                    «Nonna, certo che la vita delle donne è difficile…»

    «La vita è difficile per donne e uomini», disse la nonna, dopo aver terminato ogni traccia di pasta residua nel piatto e passandosi il tovagliolo sulle labbra, delicatamente per non togliersi il rossetto sbavato, poi aggiunse: «Devo ammettere, però, che le donne hanno, in certe situazioni, maggiori responsabilità e minori gratificazioni.»

    «Per esempio, per noi donne è un problema anche», e qui Sofia si fermò, cercando di trovare una parola più consona all’età della nonna di sesso, «l’intimità, ecco…»

    «Per quale motivo il sesso dovrebbe essere un problema e non un piacere per le donne?», chiese la nonna.

    «È un problema perché c’è sempre il rischio di rimanere incinta, anche quando non lo vuoi…»

    «Qualcuno di voi  è incinta?», chiese la nonna, fulminando i ragazzi con gli occhi.

    «Io no!», rispose Matteo.

    «Ma no nonna, né io né Sofia abbiamo questo problema, in effetti non so dove vuoi arrivare, Sofi…», disse Anna, fulminando a sua volta l’amica con lo sguardo.

    «È giusto pour parler», rispose lei con leggerezza.

    «Se è solo pour parler», disse la nonna, sedendosi e rilassandosi come prima a chiacchierare con i suoi amati ragazzi.

    «Per esempio», continuò l’indomita Sofia, «ai tuoi tempi come facevate, voi ragazze moderne, ad evitare gravidanze indesiderate?»

    La nonna si mise a riflettere su come avesse potuto rispondere alle provocazioni di Sofia senza dire dettagli della sua vita privata che non voleva condividere con loro, poi, dopo aver allontanato il piatto vuoto da sé, i piatti vuoti, infatti, non le interessavano, cominciò a parlare, adagiandosi sullo schienale della sedia e accavallando le gambe: «Considerando che già nell’epoca rinascimentale veniva utilizzato il profilattico, io direi che non fosse poi così difficile!»

    «Quindi le ragazze avevano il coraggio di imporre l’uso del profilattico?», chiese scettica Sofia.

    «All’epoca esistevano ancora molti tabù, quindi credo che non tutte le ragazze fossero davvero consapevoli di cosa significasse fare sesso e delle sue possibili conseguenze, c’erano altri metodi poco sicuri, che poi sono gli stessi che si usano, ahimè, ancora oggi… »

    «Tipo?»

    «Hai capito Sofia, non fare la finta tonta!»

    «Voglio che me lo dica tu», la sfidò lei.

    La nonna raccolse la sfida: «Dunque… immagina che un uomo voglia fare un viaggio in treno, e percorrere un tragitto da Bari per… diciamo Milano, OK?»

    «Si», rispose Sofia, aggrottando un po’ le sopracciglia.

    «Il nostro viaggiatore, un uomo molto gentile e rispettoso, va a comprare il biglietto per un diretto Bari - Milano, quindi sale sul treno ed esibisce il biglietto al controllore, vigile e mai distratto, dopodiché prende posto. Il treno parte, il viaggiatore è contento perché ha raggiunto il suo scopo, è in viaggio sul treno dell’amore e del piacere e pensa che ormai nessuno lo fermerà fino al raggiungimento della sua meta, ma… il controllore, vigile e mai distratto, lo fa scendere a Roma.»

    A quest’uscita della donna, seguirono alcuni secondi di divertito silenzio, poi tutti cominciarono a ridere più di prima, mentre Sofia cercava di capire bene: «Quindi il passeggero…»

    «Molto gentile», puntualizzò la nonna.

    «Si il passeggero gentile…»

    «E rispettoso»

    «Si, il passeggero molto gentile e rispettoso era il ragazzo, mentre il controllore era la ragazza?»

    «Esatto, la ragazza doveva essere il controllore vigile e mai distratto», rispose la nonna, andando a prendere il secondo.

    «Ma nonna», aggiunse Anna, «questo tipo sarà pure molto gentile e rispettoso, ma anche fuori di testa, se deve andare a Milano e poi si fa buttare fuori dal treno a Roma?»

    «Tu attenta a non far arrivare nessuno a Trieste!!!», rise lei.

    «Neanche un tipo molto gentile, nonna?»,

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