Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il Dio Cornuto: Dai culti di fertilità pagani alla neostregoneria – La religione ancestrale che sopravvisse al Cristianesimo e all’Inquisizione
Il Dio Cornuto: Dai culti di fertilità pagani alla neostregoneria – La religione ancestrale che sopravvisse al Cristianesimo e all’Inquisizione
Il Dio Cornuto: Dai culti di fertilità pagani alla neostregoneria – La religione ancestrale che sopravvisse al Cristianesimo e all’Inquisizione
E-book400 pagine4 ore

Il Dio Cornuto: Dai culti di fertilità pagani alla neostregoneria – La religione ancestrale che sopravvisse al Cristianesimo e all’Inquisizione

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La sua figura oscura emergeva dai boschi durante le notti di luna terrorizzando gli abitanti di villaggi e città.

Ha occhi dorati, zampe caprine e dalla testa spuntano lunghe corna ricurve.

Tutti lo conoscono come il Diavolo ma il suo vero nome è un altro: è il Dio Cornuto, la più antica divinità del nostro mondo.

Nel corso dei millenni ha assunto molti nomi: Pan per i greci, Cernunnos per i celti e Fauno per il mondo romano ma la sua storia inizia molto prima con l’apparizione in Asia minore ed Egitto di divinità dalle sembianze di toro, come Api e Moloch.

Egli viene adorato da quando esiste l’uomo e si accompagna alla Dea Madre che diventerà nel medioevo la protettrice delle streghe.

Il Dio Cornuto è il signore della foresta e della natura, porta la primavera, vivifica i campi e spinge gli animali all’accoppiamento.

Egli dona la vita ma al contempo la strappa a ogni vivente poiché questo oscuro dio è sia la scintilla che genera ogni cosa sia il fuoco che tutto consuma.

Il Dio Cornuto incarna la procreazione e la sessualità e questo aspetto si riflette nei culti gioiosi a base di danze e banchetti che vengono tributati in suo onore, mentre il lato più oscuro ha spinto il cristianesimo a plasmare su di lui la figura del Diavolo.

Le popolazioni convertite al nuovo credo continuarono in segreto ad adorare i vecchi dèi celandoli nell’oscurità o rivestendoli con caratteristiche cristiane.

Persino i santi e le festività cristiane vengono proiettate sull’antica religione pagana. Il cristianesimo non riuscì a estirpare la vecchia religione, che si strutturò in modo clandestino.

Fece così ricorso alla violenza, travisandone e appiattendone la dottrina in un culto malefico: il Dio Cornuto venne identificato con Satana, i rituali divennero i Sabba e le streghe furono perseguitate dall’Inquisizione.

Questo culto ancestrale, però, rivive ancora oggi nel neopaganesimo e nella neostregoneria. Tracce dei rituali dell’antica religione si trovano ovunque, in mezzo a noi, ma dimenticati e muti a coloro che non conoscono le loro vere origini…
LinguaItaliano
EditoreOne Books
Data di uscita19 ago 2021
ISBN9788899912055
Il Dio Cornuto: Dai culti di fertilità pagani alla neostregoneria – La religione ancestrale che sopravvisse al Cristianesimo e all’Inquisizione

Leggi altro di Enrica Perucchietti

Correlato a Il Dio Cornuto

Ebook correlati

Critica letteraria per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il Dio Cornuto

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il Dio Cornuto - Enrica Perucchietti

    Introduzione

    «Nessun culto si estingue senza lasciare tracce dirette sulla nuova religione».

    MARGARET MURRAY

    I Krampus

    La sera del 5 dicembre, quando cala la sera e il freddo inizia a farsi pungente, adulti e bambini si riversano in strada per una festa che si svolge da secoli. Il sole è calato dietro le cime dei monti e l’oscurità sta per liberare delle forze diaboliche.

    Non sono le tenebre a spaventare gli abitanti dell’arco alpino, quanto le creature che vi prendono forma uscendo dalle foreste. Dal Trentino Alto Adige alla Germania, dal Friuli Venezia Giulia all’Austria, coloro che non sono stati buoni temono la pena che li attende: verranno picchiati con bastoni e fascine, rincorsi, strattonati, calpestati. Al culmine del rituale chiunque incontri queste creature dovrà essere più agile e veloce di loro nel fuggire ai loro artigli.

    Ogni anno, il 5 dicembre, si ripropone infatti l’epica battaglia contro le forze del male. Solo la presenza del bene, incarnato per una sera nella effigie di un Santo, dominerà le creature della notte in modo che il rituale non degeneri nel sangue. I partecipanti devono ringraziare la secolarizzazione se non si consumano più gli antichi rituali nella loro forma più arcaica e se le forze infere non prevarranno strappandoli alle loro vite. Il rituale della religione ancestrale ha infatti ceduto il passo a una festa macabra che conserva solo in parte il simbolismo e i caratteri del culto primigenio.

    Questa notte vede lo svolgersi di ciò che è sopravvissuto di un rituale la cui origine si perde nella notte dei tempi: l’avvento di creature demoniache vestite con pelli di animali, le gambe che terminano in zoccoli, gli occhi bianchi che fissano le prede dall’oscurità, una lunga lingua rossa che evoca il simbolo fallico alla base dei culti di fertilità. Il loro tratto distintivo, però, sono le lunghe corna possenti che rimandano a un tempo ancestrale in cui le creature cornute dominavano le foreste e facevano inchinare al loro cospetto nobili e contadini, donne e cacciatori.

    Queste creature che escono dalle foreste per unirsi per una notte con gli uomini sono i Krampus. Il loro nome deriva presumibilmente dal termine tedesco kramp che significa artiglio.

    Questi diavoli sfilano ancora oggi per le strade dei paesi in feste che culminano con fiaccolate o fuochi d’artificio¹. La figura di un giovane che rappresenta San Nicolò/Nicola protegge il pubblico dalla loro violenza. Essi si dimostrano infatti aggressivi e brutali contro coloro che non si sono comportati bene durante l’anno e che vengono interrogati durante la processione dal Santo.

    Alcune versioni della festa vogliono che il Santo, accompagnato dai Krampus, visiti le case del luogo per interrogare adulti e bambini sull’andamento dell’anno che si sta per chiudere. I bambini che si sono comportati bene verranno ricompensati con regali e dolci. Non è un caso infatti se San Nicolò o san Nicola sia stato identificato dai ricercatori come una possibile rappresentazione originale di Santa Claus, Babbo Natale.

    Secondo una versione della nascita della figura di san Nicola, egli si accompagnava a un aiutante particolare, una specie di demone, il Krampus che poi le versioni successive del folklore hanno reso al plurale, facendone un gruppo di diavoli dai nomi diversi a seconda del contesto culturale e geografico in cui si muove:

    «Aiutante Oscuro, Klosen a Stelvio, Hans Muff, Black Peter, Bartel in Stiria, Knecht Ruprecht, Ruvid Nicholas, Klausbuf in Bavaria, Ru-Klaus, Hans Trapp, Schmutzli in Svizzera, Zwarte Pieten, Belsnickel e soprattutto Krampus in Austria, Baviera, Croazia, Slovenia, Ungheria e per l’Italia, Friuli, Alto Veneto e Trentino Alto Adige»².

    I Krampus, infatti, sono selvaggi, violenti e inferociti, e quindi in questa particolare serata danno sfogo a quelle forze che per tutto il resto dell’anno vengono represse. Rincorrono, fra urla, mugugni e grida, i bambini, i ragazzi, ma anche gli adulti e i più anziani, spingono la gente, dando pesanti frustate e colpi di verga alle gambe di chiunque capiti tra i loro piedi. I più timorosi camminano rasenti i muri, i più coraggiosi soprattutto tra i ragazzi si fanno avanti per osservare da vicino le creature. Il male ipnotizza e le antiche tradizioni mantengono vivo il proprio fascino millenario.

    Essi rappresentano le forze dell’inverno, la notte, il freddo che vanno esorcizzate per cedere il passo alla primavera.

    La festa inizia con il vescovo San Nicolò, solitamente trainato su un carro, che interroga i bambini e si mostra con una folta barba bianca. Con i bambini che nel corso dell’anno si sono comportati bene, egli sarà generoso di regali, tra i quali dolci, mentre per quelli che non si sono comportati bene, ci sarà un brutto rimprovero e il carbone. Alcune di queste prelibatezze sono dei pani dolci con la forma degli stessi Krampus. Oltre a questo compito, San Nicolò deve placare le ire dei demoni cornuti nei confronti degli spettatori. Ed è proprio alla fine della processione, appena il sole tramonta, quando il santo si ritira scomparendo dalla sfilata, che i diavoli rimangono incontrollati e possono sfogare il loro istinto primordiale. Le valli vengono immerse nell’anarchia e adulti e bambini corrono a barricarsi in casa. Sprangano porte e finestre per tenere fuori, lontano, il male. Sventurati coloro che si ritrovano al loro cospetto… ancora oggi nemmeno la polizia riesce a mantenere l’ordine pubblico dinanzi alla rappresentazione del male.

    Le rincorse e gli inseguimenti da parte dei diavoli possono durare anche ore, fino a quando le tenebre riavvolgono la parata riportando l’ordine e la calma.

    Antiche usanze sopravvivono in zone rurali dell’Austria, Svizzera, Baviera, Slovenia, Croazia occidentale e Italia sotto forma di danze, arti, processioni, rituali, e giochi. Questi rituali hanno ormai assunto il carattere anche goliardico delle feste carnevalesche, in cui il riso, i giochi e la sovversione dei ruoli prevalgono per alcune ore o giorni come una sospensione delle regole tradizionali: domina l’elemento parodistico e addirittura sacrilego, come già ampiamente spiegato dall’esoterista francese René Guénon³ e dall’antropologo James Frazer nel suo Il ramo d’oro.

    Non potendoli debellare del tutto, la modernità ha infatti assorbito gli antichi culti il cui pallido ricordo sopravvive in feste popolari o carnevalesche. Così vedremo come la Corrida mantenga il ricordo di culti legati a un dio cornuto mentre il carnevale moderno evochi feste come i Saturnali romani in cui avveniva un ribaltamento della realtà con un conseguente rovesciamento dei rapporti gerarchici che sopravvive nelle maschere e nei comportamenti licenziosi di queste.

    Negli odierni rituali troviamo anche l’aspetto sinistro se non addirittura satanico che eccita il volgo attraverso la violenza e l’allegria: i ragazzi che scappano da uomini mascherati da Krampus ne è l’ennesima conferma. L’origine però di tali festività va rintracciata sotto il livellamento che il cristianesimo ha effettuato nel tentativo di scardinare gli antichi culti pagani e che successivamente la globalizzazione e il merchandising hanno ulteriormente sradicato (si pensi per esempio al caso di Halloween). Dietro le maschere macabre o mostruose, spiegava Guénon, rimane il carattere licenzioso che permette al volgo di sfogare le proprie pulsioni, di canalizzare la violenza e l’aggressività in modo da

    «renderle il più possibile inoffensive, dandogli l’occasione di manifestarsi, ma solo per periodi brevissimi e in circostanze ben determinate, e assegnando così a questa manifestazione degli stretti limiti che non le è permesso oltrepassare. Se infatti queste tendenze non potessero ricevere quel minimo di soddisfazione richiesto dall’attuale stato dell’umanità, rischierebbero, per così dire, di esplodere, e di estendere i loro effetti all’intera esistenza, sia dell’individuo sia della collettività, provocando un disordine ben altrimenti grave di quello che si produce soltanto per qualche giorno riservato particolarmente a questo scopo. Tale disordine è d’altra parte tanto meno temibile in quanto viene quasi regolarizzato, poiché da un lato, questi giorni sono come avulsi dal corso normale delle cose, in modo da non esercitare su di esso alcuna influenza apprezzabile, e comunque, dall’altro, il fatto che non vi sia niente di imprevisto normalizza in qualche modo il disordine stesso e lo integra nell’ordine totale»⁴.

    Questo genere di festeggiamenti servirebbe quindi per canalizzare le pulsioni più basse del volgo ed evitare che esse esplodano in una qualche forma di disordine generalizzato o in un carnevale perpetuo. Ciò servirebbe dunque per regolarizzare e integrare nell’ordine cosmico stesso le pulsioni verso il demoniaco. La materializzazione o l’uscita alla luce del sole delle maschere, rappresenta per Guénon

    «una parodia del rovesciamento che […] si produce a un certo grado dello sviluppo iniziatico: parodia, diciamo, e contraffazione veramente satanica, perché qui il rovesciamento è un’esteriorizzazione, non più della spiritualità, ma, all’opposto, delle possibilità inferiori dell’essere»⁵.

    Da un punto di vista esoterico è sicuramente vero, ma dal punto di vista storico religioso ed etnologico non possiamo che constatare come queste tendenze sussistano da millenni e abbiano accompagnato il cammino dell’uomo su questo pianeta.

    Il disordine che le forze ctonie, legate alla foresta, alla terra, addirittura al freddo e all’inverno e poi moralizzate e intese come male vengono infatti tenute a bada e reintegrate nell’ordine cosmico a cui appartengono. La parata di Krampus è infatti tenuta sotto stretta sorveglianza dalla figura del Santo e quando questi scompare per permettere lo sfogo delle pulsioni più basse delle creature, gli adulti corrono a casa con i figli: il pericolo rimane per gli sventurati, i forestieri o per coloro che volontariamente vogliono affrontare il pericolo. Il calar delle tenebre, però, ripoterà l’ordine e la calma, facendo scomparire i demoni e riportandoli da dove erano venuti. Dall’altra questo genere di feste vede la materializzazione di caratteri infernali attraverso le maschere a cui è permesso solo in periodi specifici di apparire e di prendere il sopravvento⁶.

    Dai Lupercalia a San Valentino

    Nella parata dei Krampus vi possiamo ravvisare un calendario specifico legato ai cicli della natura che ritorna costante nei rituali di tutte le religioni antiche: alla base troviamo la memoria di arcaici culti agrari, il richiamo della primavera e la cacciata delle forze rigide e oscure dell’inverno⁷. Il solstizio d’inverno una volta, secondo il calendario giuliano veniva festeggiato il 13 dicembre, e così tutte le celebrazioni del risveglio della primavera venivano officiate in questa data o attorno a essa.

    Il 5 dicembre⁸ rappresenta quindi un «momento del riposo e nello stesso tempo della nascita del nuovo ciclo solare, legata alla rigenerazione dei cicli naturali»⁹. In questa data fino all’8 dicembre, veniva festeggiato nelle campagne romane anche Fauno, antica divinità italica dei pascoli e dell’agricoltura, dalla forma umana ma con le gambe da capra e le corna sul capo. Come Pan amava suonare il flauto ed era portatore di istinti sessuali. Le celebrazioni in suo onore avvenivano con danze e processioni.

    In qualità di difensore delle greggi ovine e caprine e degli abitanti della campagna dagli assalti dei lupi era anche chiamato Luperco, divinità che si onorava invece il 15 febbraio con le Lupercalia¹⁰, feste purificatorie che consistevano nell’allontanare due gruppi di giovani sacerdoti, i Luperci, nelle foreste dopo essersi truccati in modo spaventoso, essersi spalmati di grasso le membra e vestiti con le pelli degli animali sacrificati. Secondo Georges Dumézil, i Lupercali avrebbero avuto in origine anche la funzione di conferma della regalità, adducendo come indizi alcuni passi compiuti da Cesare nel suo piano di restaurazione della monarchia a Roma¹¹. Sul tema della regalità insisteremo nella seconda parte di quest’opera.

    Il tentativo della Chiesa di osteggiare questi culti, sopravvissuti all’avvento del cristianesimo fino almeno al V secolo, diedero vita alla festa che oggi conosciamo come San Valentino che finì per sostituire i Lupercalia che in origine prevedevano anche dei rituali di fecondazione simbolica¹². Secondo alcune fonti, proprio allo scopo di estirpare definitivamente quegli antichi riti precristiani di fertilità, papa Gelasio I avrebbe pensato a una sorta di damnatio memoriae, istituendo la ricorrenza di San Valentino, martire tra il 492 e il 496, e anticipando la festività di un giorno al 14 febbraio¹³. Nei primi secoli dell’era cristiana, inoltre, i Fauni furono associati ai Satiri e ai Silvani e infine alla figura demoniaca dell’Incubo, finendo poi per rappresentare l’immagine tipica del diavolo con gambe e piedi caprini.

    Le leggende delle Dolomiti: i Fanes

    Nelle Dolomiti settentrionali troviamo delle leggende poi sfociate in racconti popolari su un popolo delle montagne, i Fanes, nome tuttora inspiegabile ma dalla radice simile al romano Fauno. Costoro vivono nello straordinario regno incantato sulle montagne che si chiama Fanis (in ladino¹⁴ Rëgn de Fanes). Gli abitanti di questa roccaforte erano considerati amabili e pacifici tanto da essere chiamati anche marmotte, ci spiega il giornalista e antropologo austriaco Karl Felix Wolff, «per la loro abitudine di rifugiarsi nel cavo dei monti ogni volta che erano minacciati da assalti nemici»¹⁵. Il folklore ci riporta uno schema che ritorna costantemente non solo nell’area indoeuropea ma in tutto il mondo (si pensi per esempio al mito di Agarthi o a quello di Akakor): la presenza di un regno sotterraneo abitato da un popolo che attende il tempo promesso o la fine dei tempi per tornare alla superficie.

    La leggenda dei Fanes parla di una popolazione che – in tempi così remoti che gli stessi ladini non sanno che definirla più antica di tutte le altre loro leggende – viveva sugli altipiani carsici d’alta quota fra Cortina d’Ampezzo a est e la val Badia ad ovest. In effetti, la leggenda dei Fanes è diversa da tutte le altre leggende ladine: è più lunga, è strutturata come un ciclo epico e i suoi contenuti sono del tutto peculiari¹⁶. Il mito di fondazione ha forti somiglianze strutturali con quello di Romolo e Remo; i due miti devono dunque condividere un antenato comune.

    Sotto il Lago di Braies, racconta Wolff, ci sarebbe una regione sotterranea

    «dove dormono gli ultimi dei Fanes i quali, quando giungerà il tempo promesso, si desteranno e usciranno alla luce del sole e faranno risorgere lo splendido regno dei loro antenati»¹⁷.

    L’antico santuario sull’Armentaria è stato eretto su un antico luogo pagano dove venivano officiati i sacrifici e che pare aver avuto contatti con gli Illiri e gli Etruschi. Diversi studiosi ladini, ma anche italiani, austriaci e tedeschi, hanno provato a ricostruire l’origine del materiale leggendario poi messo per iscritto da Wolff che fino a quel momento era solo orale e frammentato. Non viene esclusa la possibilità che il nucleo risalga all’epoca preromana. In particolare, alcuni temi potrebbero far supporre una datazione intorno alla fine dell’età del ferro.

    Sempre in questa regione, nei dintorni del lago Carezza, piccolo lago alpino situato nell’alta Val d’Ega, troviamo altre creature mitologiche, i Selvaggi che traevano forza invincibile dall’acqua magica del lago. I racconti delle loro gesta si intrecciano con grotte, caverne, foreste e miniere, elemento che, come vedremo, ritorna con costanza, legando le creature che vivono nelle viscere della terra alla figura oscura e ambigua del fabbro. I segreti della metallurgia, considerata «un’arte sacra, poi sfociati nell’alchimia spirituale (da non confondere con la protochimica o la spagiria), hanno rivestito un ruolo fondamentale in tutte le culture tradizionali; come ricorda Mircea Eliade, esse erano «connesse alle pratiche sacerdotali», facendo della metallurgia un’arte iniziatica ambigua, pericolosa e controversa, adorata e temuta così come i suoi esponenti.

    La gente che lavora i metalli, infatti,

    «entra in contatto con forza oscure e pericolose. Che il metallo abbia un’origine meteorica o terrestre, la sua magia è sempre temibile. Nel primo caso esso è investito di tutte le virtù del Cielo da cui si è staccato; nel secondo, il minerale viene strappato innanzi tempo alla matrice della terra madre, e questa operazione quasi ostetrica è estremamente rischiosa a causa delle forze magiche che libera»¹⁸.

    Ciò denota da sempre e in tutte le culture la funzione ambivalente del ferro:

    «Il ferro è investito di tale forza magica che chi lo forgia e ne conosce i segreti diventa naturalmente un essere pericoloso – screditato, temuto o rispettato, secondo le circostanze. Cosicché i fabbri in quanto tali costituiscono dovunque una casta a sé, considerata un gruppo misterioso che occorre isolare dal resto della comunit໹⁹.

    Per questo a seconda delle culture, i fabbri sono apprezzati o temuti e confusi con gli stregoni, addirittura esclusi dalla società.

    Questo stigma avrebbe colpito, come vedremo, anche i cosiddetti discendenti di Caino, il cui ruolo di fabbri viene indicato in Genesi. Nella zona dei Pirenei, come vedremo tra poco, troviamo molte leggende riguardanti i presunti Cainiti. Tra i posteri del primogenito biblico, infatti, troviamo Tubal Cain, fratello di Naamah, descritto dall’Antico Testamento come «il fabbro, padre di quanti lavorano il rame e il ferro²⁰», ossia «l’uomo che non potendosi più volgere alla terra, al suolo, per ricevere i frutti, si volge al sottosuolo, alle viscere della terra, per cavarne i metalli²¹», cioè al mondo propriamente infero. Egli sarebbe stato inoltre il detentore di una sapienza ereditata da tavole redatte dallo stesso Adamo: il fabbro/alchimista è così custode di un sapere segreto antidiluviano²². Sono queste le fonti da cui le correnti gnostiche avrebbero desunto gli elementi fondanti per accreditare il rovesciamento della storia sacra, così come tramandata dalla Bibbia, facendo di Caino il figlio di Eva e del Serpente.

    Se il significato del termine Caino – tema su cui torneremo nel nono capitolo – rimanda alla creazione o acquisizione²³ (egli è difatti il fondatore della prima città), la radice -qyn allude infatti all’attività di fabbro,

    «e tale è il significato che assume, nel contesto della parola cainiti, la razza di lavoratori metallurgici condannata ad abitare il deserto, teatro delle peregrinazioni di Israele. Tuttavia, per quanto riguarda la lingua ebraica la radice -qyn compare esclusivamente nei nomi propri di persona o di popolazioni, in arabo e aramaico la stessa è associata a una più ampia gamma lessicale, ma comunque sempre con il significato di fabbro. Il significato esoterico di possessio orbi, in tale contesto, trova appunto fondamento nella capacità reale di creare e acquisire, nel mentre la disponibilità di conoscenze capaci di trasformare concretamente la vita dell’Uomo allude inequivocabilmente a un sapere segreto. Si tratta ovviamente del primo deposito sapienziale, molti elementi del quale sono stati trasmessi a Tradizioni successive, mentre altri […] hanno finito con l’essere rimossi, letteralmente sepolti, pur permanendo, in forma più o meno monca o distorta, nell’ambito di una dottrina deviata di carattere essenzialmente ermetico cui va attribuito in qualche modo l’esaltazione del lato malefico associato a Tubal Cain e, più in generale, a tutto ciò che riguarda la simbologia dei metalli»²⁴.

    Come ricorda ancora Guénon, «i metalli e la metallurgia sono in diretta relazione con il fuoco sotterraneo, la cui idea si associa sotto più di un aspetto a quella del mondo infernale²⁵». Da ciò deriva una sorta di esclusione parziale o messa al bando dalla comunità (se non addirittura di veri e propri tabù) che colpisce nelle comunità tradizionali gli operai che lavorano i metalli, in particolare i fabbri, «il cui mestiere è d’altronde associato alla pratica di una magia inferiore e pericolosa, nella maggior parte dei casi degenerata nel suo ultimo stadio in pura e semplice stregoneria»²⁶.

    Il re cornuto nei Pirenei

    Nella zona dell’Ariège, sui Pirenei francesi, verso Bugarach troviamo una festa altrettanto particolare che porta in scena ogni anno uomini avvolti da lunghi mantelli, la barba lunga e incolta, che sembrano rappresentare il classico modello dell’Homo Selvaticus. L’uomo selvatico, infatti, di cui si trovano ampie tracce anche nelle tradizioni popolari italiane, è un uomo irsuto, selvaggio, dai capelli e barba lunghi, che vive in luoghi isolati come le montagne, le caverne o i boschi. Ogni anno, il mercoledì delle ceneri, a Bugarach si assiste all’uscita dalle caverne dei cosiddetti eremiti: brandiscono una croce su cui, per sfregio, vengono appesi dei salami, un collare di cavallo e dei sonagli (sonagli e campanacci sono presenti anche nelle feste del 5 dicembre).

    Si tratta della sortie des éremites (letteralmente l’uscita degli eremiti) che ha ispirato il Carnabal della vicina cittadina di Limoux. Il carnevale di Limoux, spiega Mariano Bizzarri,

    «è caratterizzato dalla comparsa di personaggi mascherati – i Fécos e i Goudhill – che, ogni domenica, per dieci settimane, percorrono tre volte al giorno le strade della cittadina, muovendosi in accordo con i ritmi della danza sacra. Nel corso dell’ultima domenica viene dato alle fiamme il fantoccio del carnabal, mentre la festa si conclude con il giro dell’Asino: l’ultimo sposo dell’anno, con in testa un paio di corna viene caricato su un asino e portato a spasso per le vie del paese»²⁷.

    In questa zona della Linguadoca sopravvive questa tradizione legata al Mondo sotterraneo – a cui molte correnti esoteriche fanno anche impropriamente riferimento in modo sincretistico – per cui gli abitanti delle viscere della terra tornano alla luce per riappropriarsi anche se per poco e in maniera simbolica della parte esterna del suolo. Costoro si distinguono come adoratori del dio cornuto spodestato dal Cristo e realizzano un rovesciamento dei valori tradizionali della religione cattolica. In questa tradizione sopravvive l’eco degli antichi culti di fertilità: l’ultimo sposo dell’anno inscena il re cornuto e viene portato a spasso per le vie del paese con in testa il simbolo della sua forza e regalità.

    In questa regione troviamo nella mitologia basca una divinità che, sebbene non sia cornuta, ha caratteristiche analoghe a quelle delle divinità cornute che analizzeremo in questo contesto. Si tratta di Basa-Jaun, che abita nelle alture o nel profondo delle caverne: è un genio protettore dei boschi e degli armenti. Lo stesso termine in basco significa signore del bosco o signore selvaggio²⁸. Il suo corpo, di forma umana come qualsiasi Homo Selvaticus, è più grande del normale, è totalmente coperto di lunghi capelli che gli arrivano fino alle ginocchia che gli coprono anche il viso. I suoi piedi «sono uno umano e l’altro di forma circolare»²⁹, ricordando così lo zoccolo che contraddistingue le divinità cornute o le zampe dei satiri, caratteristica in seguito, come abbiamo anticipato, associata al demonio. Basa-Jaun come Pan è il protettore degli armenti che difende mettendo in guardia i pastori quando si sta avvicinando un pericolo come tempeste o lupi, emettendo urla e fischi³⁰.

    L’avvento del cristianesimo lo renderà una creatura maligna che in origine non era, rappresentandolo con un solo occhio in mezzo alla fronte e dotato di forza sovrumana e di sorprendente agilità³¹. I racconti lo descrivono come il primo agricoltore e primo fabbro: «gli uomini hanno ottenuto da lui segreti per saldare il ferro e i metalli, per fabbricare la sega e l’asse del mulino³²». Queste caratteristiche sono le stesse che vengono fin dall’Antico Testamento attribuite a Caino, la cui figura viene ripresa anche nei Pirenei e sovrapposta con quella del dio cornuto che vivrebbe nelle viscere della terra aspettando la fine dei tempi per poter risalire in superficie e riprendersi il regno da cui è stato spodestato da Cristo.

    Una delle leggende popolari che si tramanda nella regione, narra infatti dell’esistenza di una caverna segreta antichissima, nel cui ventre un popolo sotterraneo attenderebbe l’occasione propizia per tornare in superficie. Questo popolo dimenticato officerebbe un culto infero (siamo nelle viscere delle terra) a una divinità demoniaca che alcuni ricercatori hanno identificato nel corso dei secoli con Caino di cui abbiamo ampiamente parlato nel nostro precedente saggio Il sangue di Caino³³.

    Caino, il Figlio del Fuoco

    Questa tradizione sarebbe stata ripresa dal poeta francese Gerard de Nerval che avrebbe parlato di due specie di uomini, i Figli del Fango, ossia i discendenti di Adamo, e i Figli del Fuoco, i discendenti di Caino³⁴. Il poeta francese, infatti, vicino ai circoli occulti che fiorirono attorno a Rennes-le-Château, riprendeva le antiche leggende ebraiche contenute nell’Haggadah in cui si sosteneva che Caino fosse il figlio di Eva e del Serpente e non di Eva e di Adamo. Nell’epopea di Nerval, infatti, Caino è figlio di Eva e del Serpente, Eblis, il Satana arabo. Esistono da sempre, seppur mescolate e in apparenza indistinguibili, due razze di uomini: una discesa da Adamo, plasmato da Yahweh dal Fango, l’altra da Eblis, lo Spirito del Fuoco e Satana arabo, il Serpente della tradizione biblica. Eva si era congiunta con entrambi: da Adamo aveva avuto Abele e dal Serpente, Caino. Verso il primogenito Yahweh aveva sempre provato disprezzo e astio, per questo Caino aveva sparso il sangue di Abele ed era poi stato maledetto dal Signore. Dopo il Diluvio, però, la discendenza di Eblis non si sarebbe estinta. Diversamente da come riportato nel racconto biblico, Tubal Cain avrebbe trovato rifugio all’interno della Grande Piramide, da cui sarebbe uscito solo dopo la fine delle piogge. Il suo unico figlio, avuto dalla sorella Naamah, sarebbe riuscito a sopravvivere al clima ormai deserto del pianeta e i suoi discendenti si sarebbero adattati al nuovo ecosistema, a partire da Nemrod che avrebbe fondato Babilonia. I Figli del Fuoco erano però destinati a sparpagliarsi per la terra, disprezzati, soli e costretti a servire i Figli del Fango. Yahweh li aveva infatti condannati a servire i figli di Adamo, a soffrire la miseria e la fame. Secondo una delle numerose versioni dell’Haggadah, inoltre, Caino sarebbe stato punito da Yahweh per l’uccisione del fratello Abele con un marchio particolare³⁵, l’imposizione di un corno sulla fronte che lo avrebbe quindi degradato e reso in qualche modo simile agli animali: Dio «fece crescere un corno sulla fronte di

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1