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Il Cuore Antico: La tradizione dei Nativi europei tra Storia e mito
Il Cuore Antico: La tradizione dei Nativi europei tra Storia e mito
Il Cuore Antico: La tradizione dei Nativi europei tra Storia e mito
E-book361 pagine6 ore

Il Cuore Antico: La tradizione dei Nativi europei tra Storia e mito

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Info su questo ebook

Il “Cuore Antico” rappresenta l’identità ancestrale che distingue e unisce tutti i Popoli naturali. È l’esperienza di condivisione dell’individuo con la natura mistica e immateriale della Natura, nel suo concetto di Vuoto, lo Shan dell’antico druidismo. Il Cuore Antico esprime l’identità di una Tradizione che si mostra tra storia e spiritualità nelle culture di tutti i Popoli naturali del passato e del nostro presente. Tradizione che comprende anche la grande civiltà antica dei Nativi europei che oggi si esprime nell’epopea dei Celti e che viene custodita dalle Famiglie Celtiche del Nord e Centro Europa.
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Gli Autori 
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Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero, entrambi giornalisti, scrittori, musicisti e speaker radiotelevisivi, sono impegnati attivamente nella salvaguardia delle culture dei popoli nativi del pianeta, nelle battaglie legate alla difesa dei diritti degli animali e dell’ambiente e nelle iniziative per la Pace. Sono i promotori della Ecospirituality Foundation Onlus, ONG in stato consultativo con l’ONU che lavora alla tutela delle tradizioni dei Popoli naturali. Entrambi fanno parte del gruppo musicale LabGraal e sono autori di numerosi testi sul celtismo e sulle tradizioni dei Popoli naturali, tradotti in varie lingue e presentati in convegni e conferenze in Europa, negli Stati Uniti e in Australia.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2018
ISBN9788895127491
Il Cuore Antico: La tradizione dei Nativi europei tra Storia e mito

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    Anteprima del libro

    Il Cuore Antico - Giancarlo Barbadoro

    druidico

    Introduzione

    Abbiamo intrapreso questa ricerca spinti dall’interesse per la cultura megalitica e le origini celtiche dell’Europa, e in questo nostro lavoro siamo stati spesso guidati da antichi miti e soprattutto dal mito del Graal.

    Il mito del Graal ci ha guidati attraverso un viaggio nei territori europei all’interno delle tradizioni autoctone, e ci ha portato anche più lontano, a contatto con culture apparentemente appartenenti a mondi distanti, eppure simili nel profondo delle loro anime.

    Di fronte alla quantità di testimonianze culturali, tradizioni, reperti archeologici ed esperienze ancora mantenute vive, non abbiamo potuto rimanere indifferenti al mistero che circonda la storia più antica del continente europeo.

    Il nostro interesse ci ha portato a voler ricostruire una storia, legando tra loro, sovrapponendo e raffrontando le tradizioni ancora vive nel cuore delle popolazioni che continuano l’antica tradizione celtica. Abbiamo cercato di mettere insieme i pezzi dell’immenso mosaico delle vicende che sono alle radici della storia moderna dell’Europa.

    Ci siamo così trovati a viaggiare anche in altri continenti scoprendo un’anima comune, un cuore antico.

    La nostra ricerca all’interno delle tradizioni dei Popoli naturali del pianeta ci ha condotto al cuore nativo di questi popoli, che abbiamo creduto di identificare nel concetto di Shan.

    Shan è l’antico termine con cui i nativi europei definivano la natura, un concetto di natura che travalica la dimensione fisica e che manifesta un mistero che permea ogni cosa. Ancora oggi questo termine viene riportato nei nomi celtici e in alcuni dialetti gaelici con un significato che si riferisce tanto alla Madre Terra quanto ad un antico mistero mistico.

    Con questo volume abbiamo cercato di esprimere il senso della nostra ricerca sintetizzando il percorso all’interno delle antiche tradizioni native e raccontando il nostro viaggio sulle tracce della leggenda di Rama.

    Cercando di ricostruire una storia che ci è stata negata, ma in cui affondano le nostre vere radici.

    I CELTI E LE MITICHE CIVILTÀ SCOMPARSE

    L’antica civiltà dei Celti

    Le radici dell’umanità affondano in un passato del quale sappiamo ben poco. La storia ufficiale ci parla di civiltà antiche come quella egizia o quella mesopotamica, ma tace ad esempio sull’imponente civiltà del continente europeo che sarebbe esistita prima di queste e di cui abbiamo testimonianza nella fine oreficeria sopravvissuta e nella perizia costruttiva dei monumenti megalitici.

    Siamo abituati a considerare le nostre radici e la nostra storia sulla base delle informazioni che ci fornisce la cultura in cui siamo nati e cresciuti. Solitamente non si tiene conto delle radici antiche su cui la stessa nostra cultura si poggia e da cui è nata.

    I Celti, che si definivano anche come figli del cielo, facevano risalire l’origine della loro cultura ad un’antica civiltà che era scomparsa a seguito di un immane diluvio. Una tragedia storica in parte ricordata nel mito della Terra d’Ys.

    Tuttavia l’esistenza di un civiltà precedente a quella del ciclo storico che viene appreso sui banchi di scuola sembra essere osteggiata dalla scienza ufficiale che nega l’esistenza di prove che possano avvalorarne la tesi.

    Nella biblioteca-museo di Alessandria, fondata da Alessandro Magno nel 332 a.C., in un frammento risparmiato dal vandalico incendio perpetrato dai romani invasori, viene citato Beroso, un Sacerdote babilonese del III secolo a.C. che già allora era identificato nel ruolo di un attento archeologo dei tempi antichi e conservatore delle loro memorie. Nella sua prospettiva storica è evidente che ai suoi tempi, prima delle grandi civiltà riconosciute dalla attuale storia ufficiale, vi erano elementi considerati temi di ricerca archeologica, da studiare e mostrare.

    Malauguratamente, l’archeologia ufficiale si ferma allo studio delle antiche culture della storia di cui si ha testimonianza attraverso i monumenti ancora esistenti, senza andare ad indagare il significato dei miti e delle leggende.

    Eppure il patrimonio dell’umanità non è costituito solo dai monumenti architettonici del passato: esiste un grande bagaglio tramandato dalla memoria storica dell’umanità, costituito dai miti e dalle leggende di tutti i popoli della terra, che ostinatamente accompagna la storia dell’uomo, pronto per essere interpretato e ricomposto come un enorme puzzle , geloso custode di millenari miti e di ancestrali insegnamenti.

    Ma se alcuni di questi miti sono inseriti nei programmi scolastici e sono materia di studio e di indagine, altri sono completamente trascurati. Il Mahabharata indiano, la Bibbia ebraica, l’Odissea greca e i miti Egizi fanno parte di un bagaglio di studio di cui si può trovare una vasta bibliografia. Stupisce invece che i miti celtici e nordici siano così poco presenti nelle materie di studio, nonostante facciano parte delle nostre radici di europei. Eppure non sono certo né meno complessi né meno densi di significati rispetto ad altri miti.

    Questo patrimonio si collega alla cultura dei Celti, estesa in tutta Europa, cultura in cui si trovano le nostre radici.

    Le popolazioni celtico-nordiche hanno abitato tre quarti d’Europa per molti secoli, lasciando dietro di loro un vasto patrimonio fatto di miti, leggende, letteratura, oggetti d’arte, reperti archeologici e monumenti megalitici, questi ultimi eredità di una cultura adottata sia dai Celti che dai norreni a testimonianza delle comune origini. Un patrimonio che testimonia l’elevata raffinatezza di queste culture che i testi di studio liquidano in poche frasi, definendole sommariamente popolazioni barbare o pagani, con tutto il senso dispregiativo che il termine comporta.

    Una storia di cui oggi si ha traccia solo nei miti, ma questi non vengono considerati come un patrimonio da studiare per indagare sul nostro passato.

    È una eccezione emblematica la scoperta dell’antica città di Troia ad opera di Schliemann, un archeologo dilettante che cercò di interpretare un poema dell’antica Grecia al di là dello scetticismo degli archeologi di professione.

    Dal canto suo la paleontologia, che indaga anch’essa sul passato della vita sulla Terra, non sembra proporre di meglio. Essa ha a sua disposizione pochi occasionali resti, rimasti intatti nel tempo, di varie creature dei tempi antichi e su questi pochi resti non fa altro che congetturare vari scenari basati ovviamente sull’esperienza culturale contemporanea, ponendo così dei limiti alle ipotesi, senza contribuire a nessuna ulteriore ricerca.

    In proposito, occorre dire che già l’antica tradizione dello sciamanesimo druidico asseriva che millenni prima dell’epoca attuale erano esistiti i grandi Sauri, ricoperti da piumaggi multicolori e a sangue caldo. Asserzioni che oggi sembrano essere confermate dalle inevitabili conclusioni a cui la scienza è giunta.

    Il mito di Atlantide

    Le tradizioni degli antichi Celti riportano il ricordo delle loro origini riferendole ad un’antica terra scomparsa a causa di un cataclisma naturale che avrebbe cancellato la sua presenza dalla storia. Questa antica civiltà sarebbe stata la fonte del sapere custodito nella tradizione segreta dei Druidi, intendendo questi ultimi come il cemento ideologico e sociale della costellazione di etnie che costituivano anticamente la cultura celtica.

    Alcuni ricercatori hanno identificato questa antica civiltà scomparsa nel mitico continente di Atlantide. Una civiltà che sarebbe stata l’erede di una cultura ancora più antica, ricordata con il nome di Tul , una terra scomparsa a seguito di una catastrofe ambientale che avrebbe ricoperto il pianeta di neve e di ghiacci e costretto i suoi abitanti a trasferirsi in terre più ospitali.

    Le tradizioni più antiche riportano che la civiltà di Tul era situata all’equatore primordiale della Terra e che dopo lo spostamento dell’asse terrestre si sarebbe venuta a trovare dove oggi vi è la Groenlandia.

    Se si considerano le tempistiche dei quattro periodi glaciali conosciuti (Gunz, Mindel, Riss e Wurm) rilevati dalla geologia moderna, questa antica civiltà si può collocare in un tempo storico situato nel periodo interglaciale che intercorre tra il 600 000 a.C. e il 16 000 a.C. Un periodo che si è manifestato concedendo di volta in volta tre intervalli non glaciali con temperature miti e fecondità della terra: il primo, Gunz-Mindel, di circa 60 000 anni; il secondo, Mindel-Riss, di circa 190 000 anni; il terzo, Riss-Wurm, di circa 60 000 anni.

    Secondo antiche leggende del bagaglio europeo, dopo la scomparsa di Tul rimase come ultimo baluardo dell’antica cultura la civiltà ricordata con il nome di Atl , arroccata su un piccolo continente nel mezzo dell’Oceano Atlantico. Ancora oggi il termine Atl presso i popoli amerindi è associato all’acqua: nella mitologia azteca Atl era un Dio dell’acqua e gli stessi Aztechi secondo la leggenda provenivano da una meravigliosa isola chiamata Aztlan , che significa vicino all’acqua. Aztlan è la leggendaria terra di origine di tutte le popolazioni di etnia Nahua , una tra le più importanti culture mesoamericane. Un’antica leggenda degli indigeni del Messico, trascritta nel Codice Aubin, iniziava con queste parole: Gli Uexotzincas, i Xochimilacas, i Cuitlahuacas, i Matlatzincas, i Malincalas abbandonarono Aztlan e vagarono senza meta. Le antiche tribù avevano dovuto lasciarla perché stava sprofondando nell’oceano. Dall’isola i superstiti avevano preso il nome: si facevano infatti chiamare Aztechi, ovvero abitanti di Aztlan.

    Lo stesso mito è ricordato da Platone che lo identifica con la civiltà di Atlantide.

    I grandi monumenti megalitici esistenti su tutto il pianeta sarebbero opere realizzate dalla civiltà di Atlantide nel tentativo di ricostruire la cultura socialmente e spiritualmente evoluta della perduta civiltà di Tul.

    Secondo le tradizioni druidiche i continuatori dell’antica tradizione di Tul cercarono di riportare i fasti della civiltà perduta su tutta la terra assediata dai ghiacci. Come riportano le leggende di tutti i continenti, dal mito irlandese dei Túatha Dé Danann , i misteriosi esseri che giungevano volando nel cielo sulle nuvole, al Kokopelli dei Nativi americani che con il suo flauto e la sua sacca-cornucopia compiva prodigi, i continuatori dell’antica tradizione di Tul raggiunsero ogni luogo possibile per portare doni e conoscenza all’umanità imprigionata nei ghiacci.

    Così come nel mito nordico di Santa Claus, associato alla figura di Odino, che nel periodo del Solstizio d’Inverno giungeva dal cielo per portare doni alle giovani culture sopravvissute al cataclisma ambientale, secondo la tradizione gli esploratori di Atl portavano generi di sopravvivenza e farmaci e istituivano sul luogo strutture al fine che gli autoctoni potessero rendersi autonomi. In seguito, gli autoctoni intrapresero viaggi commerciali e diedero avvio alle economie locali.

    La cultura di Tul era basata sui principi dei Popoli naturali, culture ancora oggi esistenti e continuatrici della sua tradizione. Fulcro essenziale era l’individuo e la sua libera spiritualità. Un ruolo importante era quindi svolto dall’istruzione, che comprendeva l’apprendimento delle scienze e la pratica della meditazione.

    A questo periodo viene fatta risalire l’origine della " Nah-sinnar o Musica del Vuoto, strumento indispensabile per la realizzazione di un’esperienza ecospirituale con cui ricostruire il pianeta. La Musica del Vuoto" è ancora oggi patrimonio delle tradizioni druidiche.

    Gli esploratori di Atl realizzarono i grandi complessi megalitici presso le popolazioni che visitavano, complessi che ancora oggi possiamo osservare in ogni angolo del pianeta. In parte utilizzarono quelli già esistenti come centro delle loro scuole e in parte ne costruirono altri.

    Intorno a questi monumenti, che non erano strutture funerarie, ma rappresentavano centri di natura sociale e morale, si sviluppavano attività commerciali di mutuo scambio di beni e nel contempo costituivano delle vere e proprie università della cultura e dello spirito.

    Lo scopo di questi centri, per l’antica civiltà di Atlantide, era quello di instaurare una rete di legami commerciali per attuare un sostegno per le civiltà periferiche che, a seguito della scomparsa di Tul, stavano decadendo.

    Un’epoca di rinascimento culturale del pianeta, che la storia ci ha tramandato attraverso imponenti monumenti megalitici che ancora oggi testimoniano una realtà inspiegabile.

    Ma la storia non ci ha tramandato solo i resti archeologici del megalitismo: ci ha trasmesso anche gli OOPART (out of place artifacts), oggetti fuori posto, rinvenuti nelle pieghe della storia, che per la loro fattura e funzione non convenzionale non hanno riferimento con le civiltà storiche ufficialmente conosciute. Gli OOPART sembrano testimoniare l’esistenza di civiltà precedenti alla nostra con un grado di tecnologia avanzata, oggi ancora sconosciuta. Possiamo citare, tra i tanti oggetti inspiegabili, il ritrovamento delle pietre di Ica (Perù), migliaia di pietre che recano incisioni datate 5000 anni fa, in cui vi sono raffigurate operazioni chirurgiche e figure umane insieme a Sauri; o la pila di Baghdad, un reperto di duemila anni fa che si è rivelato un generatore di corrente; o il computer di Antikythera, un complesso macchinario di 2000 anni fa il cui utilizzo è ancora in gran parte misterioso, in grado di calcolare i movimenti annuali del sole e della luna ma anche una sorta di calcolatore che poteva mostrare le posizioni passate, presenti e future del cielo.

    Oggetti che ci mostrano l’inadeguatezza delle tesi storiche circa il nostro passato.

    Il più evidente caso di OOPART è rappresentato dagli imponenti complessi megalitici esistenti su tutto il pianeta, le cui origini e la tecnica costruttiva sono ancora oggi un mistero.

    Secondo la tradizione druidica, nel 6000 a.C., 4000 anni dopo la ritirata dei ghiacci dall’Europa del nord, i popoli colonizzatori che costituivano le radici della futura cultura celtica, e che fondarono la civiltà di Vinheim nell’area dell’estremo nord dell’Europa, trovarono già edificati i grandi complessi megalitici.

    Sono monumenti che ancora oggi possiamo visitare: ne abbiamo un esempio nelle migliaia di menhir di Carnac in Bretagna, o nei grandi cerchi di pietre dei cromlech di Stonehenge o di Callanish.

    Successivamente, anche Atl, a seguito di un altro cataclisma, scomparve nelle acque dell’Oceano Atlantico lasciando il ricordo del suo ultimo tentativo di rinascimento nella magnificenza della civiltà di Tul.

    Le civiltà dimenticate

    Secondo un’antica leggenda, riportata da Platone nei suoi dialoghi dai testi del Crizia e del Timeo, al di là delle colonne d’Ercole sarebbe esistito il mitico continente di Atlantide che avrebbe dato il suo nome all’Oceano Atlantico.

    Atlantide, secondo la descrizione del filosofo greco, era un continente fertilissimo e ricchissimo. Dominio di Poseidone e dei suoi figli, era abitato da un popolo di valenti guerrieri che tentarono in epoche più tarde di invadere l’Europa e l’Asia.

    Il continente era descritto da Platone come una grande isola situata in mezzo all’omonimo oceano.

    Atlantide rappresentava un importante porto commerciale posto tra il vecchio continente e quello delle due Americhe. All’interno dell’isola si aprivano tre grandi cerchi concentrici d’acqua navigabile in cui transitavano le navi a seconda delle loro competenze commerciali e militari. Al centro si ergeva un’isola dove aveva sede il governo del continente e della casta sacerdotale e iniziatica che era l’anima spirituale di quel popolo.

    Il tema di Atlantide risulta complesso. Nella sua iconografia mitica si può intravedere la sovrapposizione di miti relativi ad altre antiche civiltà scomparse, come il continente di Mu collocato in un’area posta tra l’Oceano Indiano e l’Oceano Pacifico, oppure la altrettanto mitica Terra di Tul o anche Iperborea, posta a nord del mondo.

    Alcuni ricercatori fanno risalire l’era di Atlantide a quella dei giganti menzionati nel Libro della Genesi della Bibbia.

    Platone nel suo Timeo parla di Atlantide descrivendola come un continente scomparso migliaia di anni prima dell’epoca attuale, sede di una civiltà evoluta che tendeva ad espandersi sul pianeta, scomparsa a seguito di un cataclisma che rappresentava una punizione degli Dèi a causa dell’empietà dei suoi abitanti. Alcuni ricercatori stimano che la sua scomparsa sia ipoteticamente avvenuta intorno al 12 000 a.C. Il mito di Atlantide fu ripreso nei millenni seguenti e molti ricercatori arrivarono anche stabilirne l’ubicazione nei luoghi più disparati della terra, identificandola di volta in volta come un’antica civiltà dell’isola di Creta, nel Mar Mediterraneo, nell’area dove oggi identificano il cosiddetto triangolo delle Bermude, o come una antica cultura esistita nel bacino del Mar Nero.

    Oggi il nome di Atlantide è stato adottato dai geologi della comunità scientifica per designare un ipotetico continente emerso fra il Cambriano (primo periodo del Paleozoico, da 570 a 500 milioni di anni fa) e il Cretacico o Cretaceo (ultimo periodo geologico del Mesozoico, da 136 a 65 milioni di anni fa) su un’ampia parte dell’Oceano Atlantico di cui la Groenlandia, le Azzorre e le Canarie sarebbero i resti attuali.

    La Scienza ordinaria e il mito

    Da parte della cultura ordinaria c’è un grande timore nel dare credito all’esistenza reale della civiltà di Atlantide e delle altre civiltà scomparse.

    Un timore che impedisce di sviluppare una seria e impegnata ricerca sul passato della storia dell’umanità, tanto che il mito di Atlantide, come tanti altri miti simili, è relegato alla sfera dell’inconsistenza storica e attribuito all’ingenuità dei popoli antichi.

    Non si può dare una spiegazione a questo atteggiamento tenuto dalla scienza ufficiale, l’unica che a conti fatti ha i mezzi necessari per condurre una qualsiasi ricerca al di là delle possibilità dei ricercatori spontanei.

    È emblematica la storia di Heinrich Schliemann, l’archeologo dilettante che nell’800, seguendo la descrizione dei versi dei poemi di Omero, scoprì la città di Troia nello stesso posto dove la leggenda voleva si trovasse. Dovette lottare contro gli accademici del tempo che cercarono in tutti i modi di screditarlo e di indurlo, anche con la derisione, a desistere dalla sua ricerca. Alla fine, seguendo le indicazioni degli antichi poemi di Omero, trovò la città e i suoi tesori dimenticati.

    Anche la mitica città di Rama, secondo la tradizione esistita nella Val di Susa in Italia, sarebbe rimasta una leggenda se non fossero state alla fine trovate le sue imponenti muraglie di pietra...

    Esiste un preconcetto radicato che sembra non voler sollevare il velo della storia su alcuni eventi del passato che bene o male hanno inciso sulla storia dell’umanità.

    Forse il limite invalicabile della storia è da imputarsi alle grandi religioni storiche? Esse ispirano inevitabilmente la scienza delle culture in cui si manifestano. La loro storia inizia con i loro fondatori e, pur ammettendo l’esistenza di un antico Eden, tendono a dare e mantenere l’originalità alle loro teorie religiose evitando di far conoscere al pubblico le eventuali radici storiche che potrebbero minarne la credibilità. Questo ricorda le vicende del film di fantascienza Il pianeta delle scimmie.

    Fecero la stessa cosa già gli antichi Faraoni egizi che non davano continuità ai propri predecessori cancellando dai monumenti i nomi dei precedenti regnanti e le loro imprese.

    La psicoanalisi afferma che la narrazione mitica di paradisi perduti o di antiche civiltà evolute nella conoscenza e nel benessere non sono altro che narrazioni ingenue che si rifanno all’esperienza gratificante dell’età fetale degli individui.

    Questa ipotesi non spiega tuttavia la presenza concreta su tutto il pianeta della manifestazione imponente del megalitismo, che rivela l’esistenza di un innegabile comune elemento culturale che può rappresentare la testimonianza di un passato oggi sconosciuto.

    Miti che non sono quindi da interpretare in chiave psicoanalitica ma che sembrano rappresentare il ricordo di qualcosa di ben vivo e concreto, avvenuto nelle profondità della storia, che oggi la società patriarcale tende a sminuire e a far dimenticare.

    L’archeologia ufficiale si ferma allo studio delle antiche culture della storia ordinaria, ovvero quella che si lega ufficialmente alla comparsa delle grandi religioni storiche. Evitando in ogni caso di dare una spiegazione alla presenza dei monumenti megalitici esistenti su tutto il pianeta e senza andare ad indagare il possibile significato dei miti e delle leggende che sono ancora oggi patrimonio culturale di tutta l’umanità. Riguardo ai monumenti megalitici, l’archeologia ufficiale tutt’al più si occupa della loro manifestazione europea attribuendoli all’opera delle popolazioni nordiche, ignorando del tutto la loro presenza nel bacino mediterraneo e quella riscontrabile sull’intero pianeta, dall’altopiano del Tibet all’Australia e alle terre dell’Oceania.

    Gli antichi miti, i monumenti rimasti, i reperti anche evidenti di una storia dimenticata e inspiegabile, finiscono così per non esistere. Diventano elementi di una cultura che non c’è e che non deve mai essere esistita.

    La storia ufficiale dell’umanità affonda in un passato del quale sappiamo ben poco. Ci parla di civiltà antiche come quella egizia o quella mesopotamica, ma tace sull’imponente civiltà del continente europeo che sarebbe esistita prima ancora di queste stesse, di cui abbiamo testimonianza nella fine oreficeria, nei monumenti megalitici e nel mito.

    Se i miti, come ha confermato scoperta di Schliemann, trattengono informazioni di validità storica, perché non pensare allora che ci possa essere nell’identica maniera un fondamento di verità anche in altri miti e in questo caso particolare anche nella civiltà di Atlantide e altri miti ad essa collegati?

    La Storia secondo gli antichi

    Le tradizioni degli antichi popoli del nostro pianeta sembrano essere in evidente disaccordo con le convinzioni dell’archeologia ufficiale. Esistono narrazioni che hanno dei riscontri geografici e storici, o testimonianze come il caso finora mai spiegato della manifestazione della cultura megalitica esistente su tutto il pianeta. Esistono oggetti provenienti dal passato che non trovano posto né spiegazione nell’iconografia storica ufficiale.

    L’ipotesi di fiorenti civiltà del passato oggi scomparse potrebbe non essere solamente un tema legato alle leggende bensì potrebbe rappresentare una realtà storica concreta.

    Il Sacerdote babilonese Beroso, archeologo e astronomo del III secolo a.C., sosteneva di poter consultare tavolette che riportavano osservazioni astronomiche di cinquecentomila anni addietro. La citazione è stata ritrovata nella Biblioteca di Alessandria in un frammento risparmiato dal vandalico incendio perpetrato dai romani.

    La grande biblioteca-museo di Alessandria fu poi distrutta da un’azione vandalica e senza spiegazioni dai romani invasori, guarda caso esponenti della grande religione storica di allora, oggi inspiegabilmente misconosciuta ma a quei tempi molto viva e attiva sotto la guida spirituale del così denominato Pontefice o Imperatore del tempo.

    In merito all’ipotesi di antiche civiltà scomparse, il filosofo greco Platone, nel suo Timeo, espone un preciso pensiero che può essere illuminante.

    Platone scrive del dialogo tra due interlocutori durante la visita ad un tempio egizio. Il primo è Solone, un greco viaggiatore; il secondo un Sacerdote Egizio di Sais del Delta del Nilo, considerato ben informato sui fatti accaduti nella storia precedente all’Antico Egitto.

    Il dialogo non lascia dubbi sulla legittima volontà di reinterpretare gli antichi miti. Il Sacerdote dice infatti:

    " ... O Solone, Solone, voi Greci siete sempre fanciulli, e un Greco vecchio non esiste! Voi siete tutti giovani d’anima, perché in essa non avete riposta nessuna vecchia opinione d’antica tradizione, nessun insegnamento canuto per l’età. E il motivo è questo. Molti e per molti modi sono stati e saranno gli stermini degli uomini: i più grandi per il fuoco e per l’acqua, altri minori per moltissime altre cagioni.

    Perché quello che anche presso di voi si racconta, che una volta Fetonte, figlio del Sole, avendo aggiogato il carro del padre, per non essere stato capace di condurlo per la via del padre, bruciò tutto sulla terra ed egli stesso perì fulminato, questo ha l’apparenza di una favola, ma la verità è la deviazione dei corpi che si muovono intorno alla terra e nel cielo, e la distruzione per molto fuoco e a lunghi intervalli di tempo di tutto quello che è sulla terra.

    Allora dunque gli abitanti delle montagne e dei luoghi alti e aridi muoiono più di quelli che dimorano presso i fiumi e il mare... E quando queste cose sono avvenute o presso di voi o qui o anche in un altro luogo, le quali sappiamo per fama, se qualcuna ve ne sia bella o grande o altrimenti insigne, sono state scritte tutte fin dall’età più antica qui nei templi e così conservate.

    Ma presso di voi o degli altri popoli non appena ogni volta si stabilisce l’uso delle lettere e di tutto quello che è necessario alla città, di nuovo nel solito intervallo d’anni come un morbo irrompe impetuoso il diluvio celeste e lascia di voi solo gl’ignari di lettere e di muse, sicché ritornate da capo come giovani, non sapendo niente di quanto sia avvenuto qui o presso di voi nei tempi antichi.

    Pertanto queste vostre genealogie, che tu, o Solone, ora esponevi, poco differiscono dalle favole dei fanciulli, perché innanzitutto ricordate un solo diluvio della terra, mentre prima ne avvennero molti, e di poi non sapete che nella vostra terra visse la più bella e buona generazione di uomini, dai quali tu e tutta la città, che ora è vostra, siete discesi, essendone rimasto piccolo seme: ma voi ignorate questo, perché i superstiti per molte generazioni morirono muti di lettere..."

    Il pensiero di Platone circa l’esistenza di antiche civiltà scomparse sembra essere molto esplicito. Nella sua citazione si riferisce evidentemente ad epopee di civiltà perdute che già ai suoi tempi facevano parte del mito, quindi al di là della storia che oggi ci viene fatta conoscere. La citazione di Platone ci autorizza pertanto ad ipotizzare che la nostra storia, e tutta la storia conosciuta, sia stata preceduta da quella di altre civiltà oggi scomparse.

    Il Sacerdote citato dal racconto di Platone parla di un arcaico evento che a ragione di logica sarebbe accaduto milioni di anni prima della nostra era. Se poi si riferisce al cataclisma che avrebbe cancellato dalla terra i grandi Sauri si può stimare possa risalire ad almeno 65 milioni di anni orsono.

    A questo punto potremmo legittimamente chiederci chi può aver trasmesso, attraverso i millenni, il racconto della caduta dell’asteroide del mito di Fetonte se a quei tempi non esisteva una qualche civiltà socialmente organizzata da registrare e trasmettere il fenomeno e tanto evoluta da distinguere tra una punizione divina e un evento astrofisico prodotto da un oggetto che si situava al di là della portata della semplice osservazione visiva dei testimoni del tempo. Cosa che implicava la nozione dello spazio siderale in cui si muove la terra.

    È evidente che nel passato della storia dell’umanità deve essere esistita una cultura in grado di perpetuarsi attraverso i millenni. Una cultura organizzata ed efficiente tanto da lasciare un segno nella nostra epoca anche se questo è censurato dalla cultura ufficiale attuale.

    Una cultura forse iniziata proprio con i Sauri?

    Civiltà antiche, con conoscenze avanzate ed esperienze acquisite, che ci hanno lasciato vestigia che ci inducono a riflettere sulla loro natura.

    Dai megaliti, presenti su tutti i continenti, che possono far pensare a grandi civiltà estese sull’intero pianeta, agli OOPART, gli oggetti fuori posto nella storia, che per le loro caratteristiche tecnologiche rivelano un alto livello di conoscenza e di tecnologia da parte delle civiltà che li hanno costruiti.

    Civiltà che, come sembrano suggerire i miti dei popoli di tutto il pianeta, forse potrebbero aver avuto anche contatti con creature giunte dalle stelle.

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